Poi con la pep, mi fossi accorto del condom rotto, mi sarei proprio salvato il culetto... In tutti i sensi ahahah

Sì, questa è una delle solite obiezioni che fin dall'inizio sono state mosse contro la PrEP.Barney ha scritto:Proteggersi però è una base fondamentale non solo per hiv, Dora...
sì, infatti, son d'accordo da questo punto di vista. e in effetti il dibattito in corso sulla PrEP (soprattutto negli US) è molto interessante.E poi la PrEP non dovrebbe essere vista come per forza alternativa al condom: può essere uno strumento di prevenzione in più. E se ascolti quello che dicono tutte le persone che la stanno usando negli Stati Uniti, almeno quelle che ne parlano fra le migliaia che la prendono stando zitti, noti che la vera ragione per cui la usano è per avere meno paura. E in questo funziona benissimo.
uffa2 ha scritto:Io credo che si debba avere il coraggio, su questa cosa del bareback, di essere onesti e di non farsi legare dai sensi di colpa tipici della nostra cultura, che vengano da dentro di noi o ci siano somministrati sottoforma di pressione sociale.
Bareback è una brutta parola, che evoca qualcosa di sporco.
Bareback è il sesso che fanno tutti, tutti i giorni in tutte le camere da letto, e che ha assunto questo nome solo per contrapposizione al sesso “safer” condotto attraverso l’intermediazione d’un preservativo.
È significativo che una parola nuova, e dal suono così sinistro, sia stata coniata dopo l’esordio della pandemia da HIV e con riferimento essenzialmente alla comunità gay: è un altro modo per ingabbiare e colpevolizzare in qualche modo.
NON sto né intendo sostenere alcunché in favore del sesso “insicuro”, però ci sono riflessioni che girano da tempo nella mia testolina.
E allora, anzitutto dividerei il campo tra chi fa sesso “scoperto” prima di una diagnosi di sieropositività e quel che succede dopo la diagnosi.
Prima della diagnosi, se fai sesso “scoperto”, le ragioni possono essere tante: obnubilamento da alcool o droghe, immaturità, disattenzione, cosciente e deliberata (ma non necessariamente colpevole, e i penalisti possono comprendere la differenza) ricerca dell’annichilimento.
E su quest’ultimo punto dico: «smettiamola di raccontarci tante cazzate: essere gay non è divertente».
Oltre alle rotture di palle che la vita somministra in quantità industriali a tutti, i gay si confrontano con segreti da mantenere, coming out a scacchiera, incomprensioni, la pesante continua sensazione che il tuo interlocutore “ti pesi” o cambi le sue parole in funzione della tua “diversità”, la minaccia di questa malattia che aleggia ovunque.
È facile dire “basta, non ce la faccio più”, “decidere” che è meglio “non avere più nulla da perdere”, o semplicemente essere depressi, tanto depressi e avere voglia di qualcuno accanto, di sentire quell’energia e quella vita che solo il sesso ti sa dare.
Che invece si possano organizzare “conversion party” in cui si va a caccia del virus per prenderlo è una cosa che mi devasta il cuore, perché immagino anime a pezzi, per le quali nulla vale più, o menti completamente fuori registro, tanto da pensare “razionalmente” ai “vantaggi sessuali” di una siero conversione.
A queste persone non saprei che dire per dissuaderle.
Perché è vero che la nostra condizione medica è “favolosa”, ma è vero che il dolore è il nostro compagno di strada, che la speranza di tornare alla normalità è nulla più che un auspicio, che ogni abbraccio con la persona che ami sarà per sempre un abbraccio “a tre”, perché se le premesse sono quelle, dopo la prima infezione ci saranno la seconda e la terza, ci saranno le coinfezioni e così via, e la strada tra la “favolosa condizione medica” e il baratro è veramente breve. E tutte queste cose le sai solo “dopo”.
Poi, ci siamo noi, dopo l’infezione.
E qui il panorama è, se possibile, peggiore.
Per lungo tempo, se il contagio non l’hai “cercato”, lo shock è tale che fai il nazista del condom; alcuni tra noi praticamente rinunciano al sesso.
Ma, siccome apparteniamo tutti alla stessa specie animale, contagio o no, il richiamo alla riproduzione (è quello, anche per noi gay) e il bisogno di qualcuno in cui annullarsi prima o poi tornano.
Tornano e si devono confrontare con la nuova realtà: il “lo dico / non lo dico”, il preoccuparsi per te e per gli altri, il pensare che in fondo “undetectable is the new negative”, che TU rischi veramente poco perché sei sotto PrEP da anni, che gli altri “ben sapranno quel che stanno facendo” (e tu, lo sapevi quando l’hai fatto?), eccetera. Lo stress, la fatica del “prima” tornano moltiplicati per sette, almeno.
E a quel punto torni a contrattare, quotidianamente, tra le tue convinzioni, le tue conoscenze, le tue paure, e il richiamo che le pulsioni fondamentali del tuo essere esercitano.
Scrivevo qualche giorno fa che nel mondo anglosassone c’è un detto: «you can’t really understand another person’s experience until you’ve walked a mile in their shoes», ecco: queste sono le scarpe nelle quale camminiamo tutti quanti ogni giorno, altro che “un miglio”.
Questa è la realtà, altro che stronzate, e se qualcuno, ancora una volta, cede al suo bisogno di sentire per un attimo il calore di un altro essere umano senza pensare più a nulla, beh, capisco cosa sta provando, e non sarò io a giudicarlo.
Se devo dirla tutta, oltre allo schifo da infezione intestinale che le Iene mi provocano, c’è pure questa certezza: quella di essere ancora una volta giudicato, e per di più di essere forse complice in questo giudicarmi da parte dei miei aguzzini, gente che quelle scarpe non le ha neppure mai viste.
Un post dei tuoi, Uffino ...uffa2 ha scritto:Io credo che si debba avere il coraggio, su questa cosa del bareback, di essere onesti e di non farsi legare dai sensi di colpa tipici della nostra cultura, che vengano da dentro di noi o ci siano somministrati sottoforma di pressione sociale.[...]