
Uno studio (Montaño MA et al. Changes in sexual behaviour and STI diagnoses among MSM using PrEP in Seattle, WA. CROI 2017, abstract 979, visualizza l’abstract sul sito del congresso, scarica il poster dal sito web del congresso) condotto sulle persone che fanno uso della profilassi pre-esposizione (PrEP) e presentato alla Conferenza sui Retrovirus e le Infezioni Opportunistiche conclusasi qualche giorno fa a Seattle (insomma, il CROI 2017), ha indicato elevati tassi di infezioni trasmesse sessualmente (MTS): fino a 20 volte superiore negli uomini gay HIV-negativi in PrEP rispetto alla popolazione generale.
Il numero è di quelli da far saltare sulla sedia, e i soggetti che scambiano la propria bigotteria per l’unità di misura delle cose del mondo (così come le assicurazioni americane desiderose di trovare un modo per non dare il Truvada ai loro Clienti) ne hanno subito profittato per imbastire la solita litania contro la PrEP, così da mantenere l’infezione da HIV una maledizione contro cui non si può fare nulla, se non predicare la castità.
Nello studio, c’è stato un aumento delle diagnosi di MTS rispetto a un anno prima che i pazienti entrassero in PrEP, e la percentuale di uomini che riportavano di non usare il preservativo per il sesso anale era piuttosto aumentata mentre questi erano in PrEP, anche se mai superiore al 10% di tutte le persone in PrEP.
L’evidenza che le malattie sessualmente trasmissibili aumentassero ulteriormente mentre le persone erano in PrEP è stata, tuttavia, molto più ambigua. Se i casi di Clamidia sono aumentati fino a nove mesi dopo l’inizio della PrEP, le diagnosi di sifilide sono diminuite nello stesso periodo di tempo, mentre le diagnosi di gonorrea sono rimaste allo stesso tasso. L’unica MTS che è aumentata durante la PrEP era la gonorrea uretrale, ma questo solo in un piccolo numero di individui.
In un simposio, il professor Matthew Golden, che gestisce il programma MTS e HIV di Seattle & King County, ha ricordato altri studi che indicano un aumento delle MTS dopo l’inizio della PrEP.
Lo stesso Golden però riconosce che il problema di provare la relazione causale tra PrEP e malattie sessualmente trasmissibili è che le malattie sessualmente trasmissibili tra gli uomini gay sono, in generale, in aumento da ben prima dell’avvento della PrEP, e, inoltre, che di solito la PrEP comporta test regolari per HIV e malattie sessualmente trasmissibili e, dal momento che molte malattie sessualmente trasmissibili sono asintomatiche e autolimitanti, più test si tradurranno in più diagnosi.
I tassi di MTS nelle persone che ricorrevano alla PrEP erano certamente alti: i tassi di tutte e tre le malattie sessualmente trasmissibili sono stati quasi esattamente 20 volte quello che erano nella popolazione gay HIV-negativa generale, e le malattie sessualmente trasmissibili rettali erano 30 volte più comuni.
Tutto questo può mostrare, tuttavia, anche solo che le persone a più alto rischio di MTS tendono a chiedere la PrEP, e che test completi per tutte le MTS raccolgono naturalmente più malattie sessualmente trasmissibili rispetto ai test singoli.
A volerla dire tutta però questa del CROI potrebbe sembrare solo “l’ultima tegola” sulla PrEP, dopo che nel 2016 un articolo su AIDS (Kojima N, Davey DJ, Klausner JD. Pre-exposure prophylaxis for HIV infection and new sexually transmitted infections among men who have sex with men. AIDS 2016; 30:2251–2252. https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/27314179) concludeva scrivendo che “incidence rate ratios showed that MSM using PrEP were 25.3 times more likely to acquire a Neisseria gonorrhoeae infection, 11.2 times more likely to acquire a Chlamydia trachomatis infection, and 44.6 times more likely to acquire a syphilis infection versus MSM not using PrEP”.
E allora, come stanno le cose? Davvero la PrEP è il cavallo di Tr.oia di ogni altra infezione?
Forse le cose non stanno proprio così.
Già gli autori dello studio di Seattle ammettono alcuni limiti del proprio studio, condotto su una piccola popolazione, senza un gruppo di controllo, e con l’inevitabile bias rappresentato dall’aumento dei test per le MTS sui soggetti PrEP.
Ma è la metanalisi di Kojima et al. che viene direi demolita su AIDS in una breve lettera che ne evidenzia alcune fallacie non da poco (prima pagina: http://journals.lww.com/aidsonline/Cita ... of.17.aspx seconda pagina: http://journals.lww.com/aidsonline/Cita ... re.18.aspx).
Il lavoro di Kojima, che so già ritroveremo in ogni salsa nei mesi a venire, tanto per iniziare “dimentica” un fatto: che le MTS sono in crescita da anni, che evidentemente il mondo continua a fare sesso senza preservativo (non ha mai smesso), a dispetto di ogni (rara) campagna e per la gioia di chi negli ultimi decenni s’è battuto contro la peccaminosa guaina di gomma; lo dimentica e non lo considera nel valutare i numeri che presenta.
L’onda lunga delle MTS si è sovrapposta all’avvento della PrEP, e i soggetti che assumono la PrEP sono ancora pochi, troppo pochi per dimenticare che altri fattori possono spiegare tanto l’aumento delle MTS quanto le differenze tra i vari gruppi di uomini che fanno sesso con altri uomini (MSM).
La metanalisi inoltre mescola studi molto grandi con studi molto piccoli, viola i propri stessi criteri di selezione degli studi proprio per lo studio più grosso, infine riporta dati sbagliati per taluni di questi studi.
Insomma una cialtronata.
Una tale cialtronata che, rifatti i conti, gli Autori della lettera ad AIDS scoprono che il tasso di infezioni tra persone in PrEP/non in PrEP non è 5,8% verso 67,7%, ma un meno travolgente 22,8% verso 63,4%.
Anche questi autori si chiedono poi se non sia stata la maggiore frequenza di test a influenzare il risultato.
Ma, allora, qual è il futuro? davvero la PrEP è lo scivolo per ogni MTS? Torniamo all’ultimo CROI.
Un modello matematico indica che i tassi di nuove MTS dovrebbero rientrare con la capillare diffusione della PrEP
Uno studio di modelli matematici presentato al CROI (Jenness SM et al. STI incidence among MSM following HIV preexposure prophylaxis: a modelling study. CROI 2017, abstract 1034. visualizza l’abstract sul sito del congresso scarica il poster dal sito web del congresso) fa una previsione opposta a quella interessata dei bigotti: se la PrEP si diffondesse tra gli uomini gay negli Stati Uniti, le diagnosi da MTS aumenterebbero sì nel primo anno, ma andrebbero in caduta in seguito.
Se per esempio l’intervallo tra i test fosse una volta ogni sei mesi, l’incidenza delle MTS negli uomini omosessuali cadrebbe da circa 5,4% di un anno dopo l’avvio di un programma di PrEP al 4% di tre anni dopo l’inizio e a meno del 2% dieci anni dopo l’inizio dello stesso.
Questa previsione si basa sul presupposto di un’elevata copertura: che il 40% degli uomini omosessuali sieronegativi prenda la PrEP, e che ogni MTS rilevata sia posta in trattamento. L’incidenza delle MTS rimarrebbe invariata invece di cadere se solo il 50% di queste fosse trattato. Va anche osservato che questi benefici della PrEP sono calcolati ipotizzando che l’uso del preservativo negli uomini omosessuali in PrEP cali del 40%, il beneficio cioè sarebbe ancora maggiore se l’uso del preservativo non diminuisse.
In questo studio non c’è alcun supporto per l’ipotesi che la PrEP per se stessa potrebbe causare un aumento delle MTS: in questo modello, anche l’uso di zero preservativi sotto PrEP non potrebbe trasformare i tassi delle MTS della popolazione gay generale in quelli visti nella popolazione attualmente in PrEP. Lo studio insomma sostiene l’idea che le persone che chiedono la PrEP già sanno di essere ad alto rischio e non pensano che il rischio si ridurrà da solo.
Al termine di questo lungo trattato su quello che ci toccherà leggere da chi vuole proteggere le anime dei cittadini, a costo di lasciare che si infettino tutti di HIV, vorrei proporre le mie modeste osservazioni.
Il mio punto di vista è, per una volta, semplice: “le altre MTS aumentano con la PrEP? forse sì, più probabilmente no, in ogni caso chissenefrega!”
La proiezione di Jenness SM et al. è a mio ben più credibile di quelle dei corifei del “non facciamo nulla”, e non perché mi faccia piacere pensarlo, ma perché la vicenda dell’HIV è la prova sul campo che la strategia di individuare e trattare è l’unica vincente, e la riduzione delle infezioni nelle grandi città dove è arrivata la PrEP lo dimostra.
Se per assurdo la diffusione della PrEP corrispondesse pure all’aumento di sifilidi, gonorree e quant’altro direi comunque «chissenefrega!». Cosa preferiamo: spazzare via l’HIV in una generazione o tenerci l’HIV solo per non infastidire le anime belle che pensano che per la prima volta nella storia del mondo la realtà (gli uomini e le donne scopano) possa essere sconfitta dalle farneticazioni?
Ma ho scritto “se per assurdo”, perché sappiamo esattamente che quello che Jenness e i suoi Colleghi prevedono accadrà: i test più frequenti porteranno al trattamento delle nuove MTS e alla “cattura” al circuito virtuoso dei partner e alla cura anche per loro. Prima o poi la frequenza di controlli cui gente che prima non ne faceva sarà sottoposta spingerà anche a rallentare le altre infezioni: se becchi una sifilide e la curi in fretta, sterilizzi il portatore e i suoi partner… insomma, grazie alla PrEP, il trattamento delle nuove infezioni avrebbe un effetto preventivo sulla diffusione, esattamente come accade con noi e la nostra condizione di undetectable.
C’è una sola strada: premere sull’acceleratore, spingere perché il Truvada divenga da subito un’opzione offerta a tutte le persone a rischio oggi, e domani, il mattino dopo la genericizzazione del Truvada, diventi una strategia di politica sanitaria. Cancellare l’infezione da HIV dal futuro della prossima generazione si può fare già oggi, non farlo è un crimine.
Sono debitore per la traccia iniziale di questo post all’articolo di Gus Cairns “STI rates in PrEP users very high, but evidence that PrEP increases them is inconclusive” su AIDSmap.
Finally, thanks to Ben Ryan (twitter.com/scribenyc http://www.benryan.net) for his kind collaboration
