
Negli ultimi giorni sono stati pubblicati ben tre articoli che affrontano questioni di definizioni e che mostrano in quale ginepraio ci si impigli quando si cerca di fare un po’ d’ordine fra i concetti.
I primi due articoli – uno su AIDS (A systematic review of definitions of extreme phenotypes of HIV control and progression) e uno su PLoS ONE (An Evaluation of HIV Elite Controller Definitions within a Large Seroconverter Cohort Collaboration) – la questione delle definizioni di cura la prendono molto alla larga, trattando in realtà di elite controllers.
Poiché gli elite, per la loro capacità di controllare la replicazione dell’HIV senza bisogno di farmaci, si ritiene possano per certi aspetti costituire un modello cui ispirarsi per trovare una cura funzionale, sintetizzerò una recensione di quei due articoli fatta da Richard Jefferys, usando il suo post come introduzione al mio.
Il termine “elite controller” viene applicato a un piccolo gruppo di persone HIV+ che riescono a mantenere viremia irrilevabile in assenza di qualsiasi trattamento. Il criterio per definire gli elite, però, varia da uno studio all’altro, soprattutto quando si tratta di stabilire la durata del controllo virale.
Un gruppo di ricerca britannico ha pubblicato di recente due lavori – una review sistematica (quella resa open access su AIDS) e una ricerca (quella su PLoS ONE) – in cui hanno tentato di raccogliere le svariate definizioni esistenti in letteratura e identificare quelle più accurate per arrivare a un consenso all’interno della comunità scientifica e avere coerenza fra i diversi studi.
Nella review sono stati esaminati ben 501 studi per raccogliere le definizioni di gruppi di persone HIV+ che si trovano ad entrambi gli estremi dello spettro della progressione della malattia: progressori rapidi, progressori lenti, non-progressori a lungo termine ed elite controller. Quel che si è visto è che le definizioni di ciascun gruppo possono variare di molto, ma anche sovrapporsi. A volte, però, piccole differenze hanno come conseguenza che definizioni simili catturino popolazioni notevolmente diverse.
Per limitarci agli elite, gli autori della review hanno identificato una babele di ben 50 definizioni, in cui la soglia della viremia varia fra 40 e 500 copie, con la soglia delle 50 copie come la più comune, e la durata del follow up varia da 6 mesi a 16 anni.
Nell’articolo su PLoS ONE, gli autori hanno preso in considerazione 10 definizioni di elite controller e ne hanno valutato la correttezza usando i dati dei quasi 25.700 partecipanti della coorte CASCADE, composta di persone seguite fin dal momento della sieroconversione. Per le persone che ricadevano in ciascuna diversa definizione di elite controller sono stati valutati differenti aspetti, fra cui per quanto tempo hanno continuato a corrispondere alla definizione, la progressione della malattia, la viremia, il numero e la curva discendente dei CD4.
I risultati hanno confermato che gli elite sono molto rari. Infatti, la maggior parte delle definizioni catturava circa l’1% dei partecipanti, talvolta anche meno. Inoltre, pochissimi fra loro corrispondevano alla definizione più restrittiva che prevedeva l’essere HIV+ per più di 10 anni e con la viremia costantemente sotto le 50 copie ad ogni prelievo.
Mentre il rischio di progressione della malattia è stato confermato minore fra gli elite controller rispetto ai semplici controller, i ricercatori hanno osservato che in tutte le definizioni di elite prese in considerazione si verificavano comunque eventi indicatori di progressione dell’infezione, in particolare il declino dei CD4.
La conclusione che ne hanno tratto è che è improbabile che la maggior parte degli elite riesca a rimanere tale per un tempo indefinito.
Se a questo aggiungiamo il fatto che anche gli elite presentano sovente elevati livelli di attivazione immunitaria a indicazione di una non perfetta protezione dalla progressione della malattia, si capisce come difficilmente lo stato di elite controller possa costituire un buon modello di cura funzionale.