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ALLTRIALS: i risultati degli studi clinici vanno pubblicati
Fonte: Chalmers I., Glasziou P., Godlee F. All trials must be registered and the results published. BMJ2013;346:f105.
La rivista inglese British Medical Journal ha lanciato on line sul sito http://www.alltrials.net una petizione per raccogliere il sostegno all’iniziativa che richiede la pubblicazione dei risultati di tutti gli studi clinici. PartecipaSalute ha aderito a questo appello. Firma anche tu la petizione. Basta cliccare su “Sign the petition” e inserire nome, cognome e indirizzo mail. Per chi vuole è possibile anche inserire dei commenti.
L’iniziativa nasce a seguito della denuncia che vede come non siano stati riportati i risultati ottenuti dalle ricerche ed in particolare dagli studi clinici (1-4). Non segnalare i risultati delle ricerche è segno di un modo errato di condurre la ricerca e comporta delle conseguenze (5,6) come ad esempio sopravvalutare i benefici di un farmaco, o trattamento, sperimentale e quindi sottovalutare gli effetti tossici mettendo a rischio lo stesso paziente (7).
Gran parte della critica si concentra sulla ricerca finanziata dalle industrie farmaceutiche che comunque rappresenta il maggior sponsor degli studi clinici condotti in tutto il mondo. Esistono parecchie prove su come le aziende farmaceutiche non riportino i risultati di tutte le ricerche, soprattutto i risultati negativi, e di come manipolino la letteratura scientifica. In realtà è possibile riscontrare la mancata pubblicazione di dati negativi anche nel mondo accademico, definito no-profit. Anzi sembrerebbe che i primi esempi derivino proprio da lì (5,8).
È possibile stimare l’entità della sotto-segnalazione dei risultati grazie alla presenza dei registri degli studi clinici, dove oramai dal 2005, su iniziativa dell’ICMJE, devono essere registrati tutti gli studi condotti in tutto il mondo. Solo la metà degli studi registrati ha pubblicato almeno una parte dei risultati, questo livello di sottosegnalazione riguarda quasi indistintamente ogni tipo di studio: fasi precoci e tardive, grandi e piccoli, nazionali e internazionali, sponsorizzati e no-profit (9).
La non pubblicazione dei risultati degli studi, positivi e/o negativi, tradisce coloro che volontariamente si sono offerti di partecipare agli studi clinici pensando di contribuire al progresso delle conoscenze mediche. Inoltre, la non pubblicazione dei risultati risulta importante anche perché comporta una distorsione di base dei risultati sui quali i medici prendono le decisioni cliniche. Otto anni fa il clinico epidemiologo Alessandro Liberati pubblicava sul BMJ una protesta, come paziente affetto da mieloma multiplo, su come i risultati non pubblicati degli studi avrebbero potuto modificare e informare meglio le sue scelte di salute. “Perché essere costretti a prendere delle decisioni sapendo che da qualche parte erano presenti altre informazioni? Forse i risultati erano in ritardo e meno eccitanti del previsto? O perché nel campo di ricerca sul mieloma, in continua evoluzione, ci sono nuove teorie interessanti (o farmaci) da guardare? Fino a che punto si può tollerare questo comportamento come una farfalla dei ricercatori, che passano al fiore successivo prima che il precedente sia stato pienamente sfruttato?”(10). Poco più di un anno fa, Liberati è venuto a mancare per le complicazioni della sua malattia, era ancora in attesa che i ricercatori pubblicassero informazioni rilevanti in merito alle sue scelte di trattamento.
Sono molti anche gli studi accademici che non sono riusciti a riportare le loro ricerche, che cosa potrebbe spiegare la mancata pubblicazione di questi studi? Molte riviste sono state accusate di avere la tendenza ad accettare di pubblicare solo i risultati positivi delle ricerche. Ma i maggiori colpevoli sono sicuramente gli autori e proponenti delle ricerche che non arrivano nemmeno a presentare le relazioni per la pubblicazione. Inoltre negli studi clinici sponsorizzati alcuni risultati sfavorevoli vengono nascosti per via di un reale conflitto di interessi delle aziende farmaceutiche. Quale è il motivo nel caso degli studi no-profit? Per gli autori pubblicare dei risultati negativi sarebbe come ammettere il proprio fallimento in pubblico (11). Nonostante le risorse economiche sprecate c’è poco sforzo nel voler monitorare e stimare il grado di non pubblicazione, per non parlare su come indagare le ragioni sul perché vien fatto.
Le responsabilità degli autori secondo la Dichiarazione di Helsinki sono chiare e non lasciano spazio ad alcuna ambiguità, essi hanno il dovere di rendere accessibili al pubblico i risultati della loro ricerca sui soggetti umani e sono responsabili della completezza e dell’accuratezza delle relazioni. I risultati negativi e inconcludenti devono essere anch’essi pubblicati o almeno renderli disponibili al pubblico (12).
In realtà una modifica del comportamento degli autori è improbabile senza un’azione decisa da parte dei comitati etici, delle istituzioni ed anche dei finanziatori della ricerca. Esiste una denuncia anche nei confronti dei comitati etici che a volte non adottano nessuna misura preventiva per garantire la pubblicazione di tutte le ricerche (13). Non solo, anche le istituzioni accademiche e i finanziatori hanno fallito.
L’unica eccezione è fornita dal programma di Health Technology Assessment finanziato dall’Istituto Nazionale di Ricerca sulla Salute Inglese che pubblica rapporti completi con tutti i risultati, parte di questo dipende dal fatto che solo dopo l’invio del rapporto riescono a ricevere l’ultima tranche di pagamento sulla ricerca. Questo dimostra cosa si può e si deve fare. Rendere pubbliche le informazioni attraverso la registrazione degli studi clinici sui relativi registri *link( permette di identificare i ricercatori e gli sponsor che non pubblicano i risultati degli studi. In questo modo i pazienti, invitati a partecipare agli studi, non dovrebbero accettare di parteciparVi a meno che non ricevano una comunicazione scritta che i risultati dello studio completi saranno resi pubblici e liberamente accessibili.
Referenze:
1. Chalmers I. Proposal to outlaw the term “negative trial.” BMJ1985;290:1002.
2. Dickersin K, Chalmers I. Recognising, investigating and dealing with incomplete and biased reporting of clinical research: from Francis Bacon to the World Health Organisation. 2010. http://www.jameslindlibrary.org/illustr ... estigating....
3. Song F, Parekh S, Hooper L, Loke YK, Ryder JJ, Sutton AJ, et al. Dissemination and publication of research findings: an updated review of related biases. Health Technol Assess2010;14(8).
4. Goldacre B. Bad pharma. Fourth Estate, 2012.
5. Chalmers I. Underreporting research is scientific misconduct. JAMA2010;263:1405-8.
6. A consensus statement on research misconduct in the UK. BMJ2012;344:e1111.
7. McGauran N, Wieseler B, Kreis J, Schüler Y-B, Kölsch H, Kaiser T. Reporting bias in medical research—a narrative review. Trials2010;11:37.
8. Simes RJ. Publication bias: the case for an international registry of clinical trials. J Clin Oncol1986;4:1529-41.
9. Ross JS, Mulvey GK, Hines EM, Nissen SE, Krumholz HM. Trial publication after registration in clinicaltrials.gov: a cross-sectional analysis. PLoS Med2009;6:e1000144.
10. Liberati A. An unfinished trip through uncertainties. BMJ2004;328:531.
11. Torjesen I. Sentinel node biopsy for melanoma: is it worth it? BMJ2013;346:e8645.
12. World Medical Association. Ethical principles for medical research involving human subjects. 2008. http://www.wma.net/en/30publications/10policies/b3/.
13. Savulescu J, Chalmers I, Blunt J. Are research ethics committees behaving unethically? Some suggestions for improving performance and accountability. BMJ1996;313:1390-3.
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Registri studi clinici: davvero disponibili a tutti?
Nonostante l’obbligo morale di rendere pubblici i risultati ottenuti dalla ricerca clinica, la letteratura ha segnalato negli anni come alcuni proponenti abbiano nascosto i risultati, in particolare i risultati negativi. E’ stato segnalato inoltre che questo comportamento è particolarmente frequente nei paesi a basso e/o medio reddito dove c’è un minore controllo da parte delle autorità regolatorie. Alessandro Liberati, seguendo il proprio percorso di malattia, ha denunciato negli anni come la mancata pubblicazione dei dati di studi clinici limiti la possibilità di fare scelte di salute informate e consapevoli.
Il dibattito sul modo più utile e efficiente di rendere pubbliche le informazioni sugli studi clinici interessa gli enti regolatori sovranazionali e nazionali, i ricercatori stessi, i promotori e gli sponsor degli studi, ma anche i cittadini, pazienti e le loro rappresentanze. Per favorire la pubblicazione dei risultati l’International Committee of Medical Journal Editors (ICMJE), già nel 2005, si espresse sull’obbligatorietà di registrare ciascun studio clinico da parte dei promotori prima del reclutamento del primo paziente. Così, tra le iniziative promosse dalle maggiori riviste scientifiche c’è quella di pubblicare articoli su risultati di studi clinici solo se questi ultimi sono stati registrati su registri clinici pubblici.
Negli anni si è assistito ad una sempre maggior richiesta dei cittadini e pazienti di ricevere più informazioni sugli studi clinici in corso attraverso la disponibilità dei registri. In generale per capire dove e come si sta muovendo la ricerca e in particolare per favorirne la partecipazione. Una recente revisione afferma che rendere il paziente più consapevole assicura l’accettabilità delle sperimentazioni cliniche e fa aumentare il numero di soggetti partecipanti. Da parte loro le associazioni di pazienti si stanno impegnando sempre di più, nel voler creare gruppi di lavoro tra ricercatori e pazienti mediante giornate di training, creazione di materiale informativi.
Per rispondere a questo tipo di problema in Italia dal 2005 l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) ha reso pubblico, cioè consultabile da tutti non più solo dagli addetti ai lavoro, il registro degli studi clinici (*
http://www.agenziafarmaco.gov.it/it/con ... medicinali).
[*ndr: il sito del registro è temporaneamente in ristrutturazione]
Dove sono i registri? Considerando questo panorama di riferimento, si è organizzata una indagine per valutare la disponibilità di registri degli studi clinici accessibili nel panorama italiano e si sono messe a confronto le disponibilità di informazioni presenti sui registri italiani rispetto a quelli internazionali. È stato preso in esame un campione di 194 siti web italiani e internazionali. Nel dettaglio sono stati analizzati i siti di:
- • tutti gli Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico (IRCCS) (n=42), di ospedali dove si svolgono gli studi clinici di gruppi cooperativi come il CERP, il Mango e il MITO (n=124), le associazioni o federazioni di pazienti a carattere nazionale (n=16);
• il registro AIFA;
• i registri delle istituzioni internazionali presi dal data base ICTRP (International Clinical Trials Registry platform) (n=11).
Sono stati visitati tutti i siti web e si è proceduto alla ricerca della disponibilità di un registro, o di una sezione inerente agli studi clinici in corso o almeno la presenza di un link ad altri registri. Nel caso in cui il registro degli studi clinici fosse presente sono stati scelti e scaricati in maniera casuale due studi clinici per registrare la tipologia di informazioni disponibili. Le variabili considerate sono quelle dettate dalle regole dell’ICMJE, che considera le seguenti come informazioni minime necessarie: numero identificativo, titolo, patologia, presenza o meno di un trattamento, tipo o fase dello studio, approvazione da parte del comitato etico, sponsor principale, scopo dello studio, criteri di inclusione ed esclusione, esiti primari e secondari, data di inizio del trial, numero di pazienti previsto per lo studio, stato di reclutamento, contatti a cui fare riferimento, lingua del registro, presenza di un glossario nel sito che spieghi i termini specialistici ed, infine, aggiornamento del sito/registro.
Nei 182 siti italiani visitati solo nell’8% dei casi si trova un registro, in tutti gli altri casi non è segnalato neppure un link ad altri registri o al registro AIFA. Il 26% degli IRCSS ha un registro, contro il 3% degli ospedali e il 6% delle associazioni campionati.
Cosa dicono i registri? I 16 registri italiani (15 più AIFA) sono stati confrontati con gli 11 registri internazionali per quanto riguarda la disponibilità di informazioni sugli studi. Forte la variabilità di informazioni disponibili tra i registri con un gradiente legato alla complessità dell’informazione. Cosi titolo e patologia sono quasi sempre riportate (80% e 93%), meno frequenti fase dello studio (67%), tipo di trattamento (60%), sponsor e contatti disponibili (67%), obiettivo dello studio nel 47%. Percentuali molto basse su informazioni quali criteri di inclusione ed esclusione o data inizio studio (circa 7%). Quasi mai presente un glossario dei termini tecnici. Tutte le percentuali sono di gran lunga superiori nel caso dei registri istituzionali, sia nazionali (AIFA) che internazionali.
Per concludere Dall’analisi effettuata si evince come per i cittadini e i pazienti italiani ci sia nella realtà una scarsa disponibilità di informazioni sugli studi clinici in corso. Considerando che oramai internet è un importante strumento, utilizzato sempre più per ricercare informazioni sulla salute, sono davvero pochi gli ospedali dove si fa ricerca clinica che rendano disponibili registri degli studi clinici in corso. Sarebbe senza-altro utile rendere facile l’accesso ai registri sulle sperimentazioni, per trial clinico in corso o per patologia in modo da favorire il reperimento delle informazioni e la trasparenza delle attività. Gli ospedali sembrano davvero poco interessati a questo aspetto. Non solo, sono così poco interessati da non dare nemmeno delle indicazioni su dove trovare le giuste informazioni sugli studi clinici, come ad esempio inserire un link al registro clinico dell’AIFA. Il linguaggio utilizzato nelle parti discorsive dei registri è per lo più di carattere tecnico, solo in un caso è stato riscontrato un linguaggio divulgativo, e va segnalata anche la mancanza di glossari specifici. Anche i risultati ottenuti dai site delle associazioni di pazienti sono parecchio deludenti.
Le informazioni presenti all’interno dei registri internazionali sono di gran lunga maggiori, ma il problema è che queste sono tutte fornite in lingua inglese e quindi più difficilmente fruibili dai lettori italiani.
Sarebbe dunque necessaria una azione di lobby tra le associazioni di cittadini/pazienti per aumentare: 1) la sensibilità a questo tema e in generale al tema della ricerca clinica, perché si è sempre più convinti che si cura meglio dove si fa ricerca, 2) la discussione sul coordinamento della ricerca, in quanto l’esistenza di registri potrebbe evitare inutili duplicazioni e ripetizioni di studi; 3) la possibilità che i registri siano un veicolo anche per aumentare la pubblicazione di risultati ottenuti, vedasi l’iniziativa
http://www.alltrials.net/.
Paola Mosconi, Anna Roberto
Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Négri, Milano