Né Margolis, né Sharon Lewin porteranno altri risultati dei loro trial clinici ad AIDS 2012. Verranno invece presentati i dati di una sperimentazione del SAHA su macachi, fatta da Jeffrey Lifson dell’AIDS and Cancer Virus Program presso il Frederick National Laboratory. Lifson ha lavorato con macachi infetti da SIVmac239 (a differenza di Savarino, che usa l’SIVmac251) e a luglio, a Washington, parlerà di Evaluation of treatment with the histone deacetylase inhibitor vorinostat (suberoylanilide hydroxamic acid; SAHA) in antiretroviral drug treated, SIVmac239-infected rhesus macaques.
Riporto, anzitutto, una parte di discussione avvenuta in altro thread in cui già si spiega il problema emerso al Keystone Symposium dello scorso marzo:
Leon ha scritto:Dora ha scritto:Dai un'occhiata a questo post pubblicato ieri: http://hiv-reservoir.net/index.php/the- ... voirs.html.
Racconta, molto brevemente, di un seminario che l'ANRS ha tenuto la settimana scorsa sui reservoir.
Quello che mi ha colpito sono i risultati preliminari del trial sul SAHA fatto da Sharon Lewin, anticipati da Carine Van Lint: "no latent virus activation could be found after a 2 weeks administration period in 9 patients".
Non bello, direi. In contrasto con i risultati di Margolis.
Ma, invece, in linea con un lavoro che Jana Blazkova (Chun & Fauci) ha presentato a marzo durante uno dei congressi dei Keystone Symposia (l'articolo dovrebbe essere in via di pubblicazione su JID), in cui parrebbe che gli HDACi abbiano molto meno impatto di quanto si sperava nel risvegliare il virus dalla latenza: "a 48-hour SAHA treatment of resting CD4+ T cells taken from HIV-infected individuals on ART did not increase HIV RNA expression compared with untreated CD4+ T cells".
Ho letto che Margolis era presente, ma non sembra ci sia stata una grande discussione fra i due. Sembra solo che lui dopo abbia detto che forse una spiegazione di questi risultati così in contrasto con i suoi è che 48 ore sono un tempo troppo lungo di trattamento.
Vabbè, appena esce l'articolo della Blazkova sapremo qualcosa di più.
Senti, la mia opinione su Margolis mi pare che tu la conosca e, francamente, non è mai molto cambiata, nel senso che per me rimane uno totalmente inaffidabile (oltre che dissociato: anche se poi non ero riuscito a rispondere, avevo letto un suo "punto della situazione", che aveva scritto - mi pare - per il solito Jules e che tu avevi riportato, e veramente mi ero chiesto da quale presunta altezza si permettesse di cagare su qualunque cosa fosse men che l'eradicazione).
In ogni caso, resta il dato di fatto che è stato ricoperto di mmmerda da Siliciano (la Janet, per l'esattezza) dopo la sua palla dell'acido valproico. Adesso mi dici che altrettanto sta accadendo col SAHA ad opera di altre due. Non sarà che ha anche qualche segreta perversioncina?
P.S. Riguardo alla giustificazione "cronometrica" di Margolis, tu immagina, anche nell'ipotesi che stesse in piedi, a che cosa potrebbe mai servire IN VIVO una roba che, per funzionare in vitro, deve spaccare il secondo!!!
E questa è una sintesi di quanto racconta Andreas von Bubnoff nel suo report:
Una delle strategie al momento preferite per eradicare i reservoir virali consiste nell’indurre la replicazione dell’HIV nelle cellule latenti, in modo che queste muoiano come risultato del riattivarsi della replicazione virale oppure possano divenire il bersaglio dei farmaci o delle risposte immuni. Uno dei farmaci che i ricercatori sperano possa risvegliare l’HIV dai luoghi in cui si nasconde è l’inibitore dell’istone-deacetilasi SAHA. Lifton sta testando questa possibilità nei suoi macachi rhesus indiani.
Ma il SAHA viene testato anche su esseri umani e David Margolis, dopo i dati preliminari della fase I riportati al CROI su pochissimi pazienti in HAART, in cui una singola dose di SAHA aveva portato a un aumento dell’espressione dell’HIV RNA associato alle cellule, al Keystone Symposium ha diffuso altri risultati su 7 pazienti. In media, il trattamento con SAHA ha portato a un aumento di circa 5 volte dell’HIV RNA associato alle cellule rilevato nei CD4 del sangue.
Tuttavia Chun e altri del NIAID (la Blazkova di cui si parlava sopra) hanno presentato dei dati che sono in contrasto con quelli di Margolis: un trattamento ex vivo con SAHA per 48 ore su CD4 quiescenti, latentemente infetti, isolati dal sangue di persone in HAART, NON HA PORTATO ALL’AUMENTO DI VIRUS LIBERI (misurati dal numero di RNA virali al di fuori delle cellule) PRODOTTI DALLE CELLULE, in confronto alle cellule non trattate.
Margolis ha obiettato che una ragione dei risultati diversi di Chun rispetto ai suoi potrebbe essere che 48 ore potrebbero essere un tempo di trattamento troppo lungo: l’esposizione prolungata a questo farmaco, a queste concentrazioni potrebbe – a suo parere – avere effetti non specifici sulle cellule. 48 ore sono molto di più del tempo necessario a una dose di SAHA per essere eliminata dall’organismo.
Inoltre, anche se le cellule non vengono uccise dal SAHA in vitro, un’esposizione così prolungata potrebbe risultare troppo tossica per un uso clinico.
Contro-obiezioni di Chun: le cellule usate nel suo esperimento erano molto vitali e ciò fa pensare che il trattamento con SAHA per 48 ore non sia stato troppo tossico. Inoltre, Chun avrebbe trovato risultati simili anche trattando le cellule per meno di 24 ore.
Chun ha avanzato una spiegazione diversa dei risultati contrastanti: mentre lui ha cercato i livelli di RNA di particelle libere di HIV, Margolis ha misurato i livelli di HIV RNA all’interno delle cellule. È possibile che il SAHA induca un aumento della trascrizione dell’RNA virale, ma che questo non si traduca necessariamente in un aumento di virioni rilasciati dalla cellula. [NdD: che gran pasticcio!]