
Uno studio dimostra nei sieropositivi l’alta prevalenza dei disturbi cognitivi minori e la neurotossicità anche a lungo termine di regimi contenenti efavirenz
Associazione tra uso di efavirenz e deficit neurocognitivi in pazienti HIV-positivi asintomatici
Nonostante l’introduzione della HAART abbia notevolmente ridotto la frequenza della demenza HIV-correlata, l’incidenza e la prevalenza di forme minori di compromissione neurocognitiva rimangono relativamente stabili, suggerendo che l’efficacia virologica a livello del sistema nervoso centrale del trattamento antiretrovirale sia subottimale in un’elevata percentuale di pazienti HIV-positivi.
L’obiettivo di questo studio trasversale, condotto all’Istituto di Clinica e Biologia delle Malattie Infettive dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma da Nicoletta Ciccarelli et al. (Neurology 2011; 76: 1403-1409), è stato quello di esplorare i predittori di disturbi cognitivi nell’infezione da HIV, analizzando tra i diversi fattori la potenziale neurotossicità dei farmaci antiretrovirali.
Nello studio 146 pazienti HIV-positivi asintomatici sono stati arruolati consecutivamente durante le visite ambulatoriali di routine. Tutti i soggetti sono stati sottoposti a un’ampia batteria di test neuropsicologici al fine di valutare la presenza di deficit cognitivi. In accordo con le più recenti evidenze presenti in letteratura, i risultati hanno dimostrato un’alta prevalenza di disturbi neurocognitivi minori (47%). Inoltre, l’uso di efavirenz è risultato associato in maniera indipendente a un maggior rischio di lieve compromissione cognitiva, anche nei pazienti in trattamento stabile da almeno un anno, suggerendo la potenziale neurotossicità a lungo termine dei regimi contenenti tale NNRTI.
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Efavirenz associated with cognitive disorders in otherwise asymptomatic HIV-infected patients
Ciccarelli N, Fabbiani M, Di Giambenedetto S, Fanti I, Baldonero E, Bracciale L, Tamburrini E, Cauda R, De Luca A, Silveri MC. Neurology 2011; 76: 1403-1409
COMMENTO DELL'ESPERTO
Dott.ssa Nicoletta Ciccarelli
I disturbi neurocognitivi HIV-associati rappresentano tutt’oggi un importante problema clinico. Sebbene l’introduzione della HAART abbia notevolmente ridotto l’incidenza della demenza HIV-correlata, l’incidenza e la prevalenza di deficit cognitivi minori rimangono relativamente stabili. Le cause di tale persistenza sono verosimilmente multifattoriali. Innanzitutto, anche nell’era HAART, il virus HIV gioca un ruolo fondamentale nella patogenesi dei disturbi cognitivi, in quanto, nonostante gli attuali schemi di terapia antiretrovirale permettano di controllare efficacemente la replicazione plasmatica del virus nella maggior parte dei pazienti, questa non è sempre efficacemente azzerata con potenziale persistenza del danno. Inoltre, in soggetti trattati con schemi terapeutici costituiti da farmaci dotati di scarsa neuropenetrazione è stata dimostrata la possibilità di una costante replicazione del virus HIV nel Sistema Nervoso Centrale (SNC) nonostante il controllo della replicazione plasmatica, con conseguente danno neuronale. Al riguardo, esistono numerose evidenze scientifiche circa la correlazione tra l’efficacia della neuropenetrazione dei farmaci antiretrovirali, stimata attraverso lo score (CPE) proposto da Letendre et al., e la carica virale a livello del liquido cerebrospinale. Tuttavia, i dati presenti in letteratura sull’associazione tra CPE-score e performance neuropsicologica sono tuttora controversi. Inoltre, l’età media dei soggetti HIV-positivi si sta progressivamente innalzando, sia per la maggior sopravvivenza legata alla HAART, sia in relazione all’innalzamento dell’età media alla quale si contrae l’infezione, contribuendo ad aumentare il rischio di neurodegenerazione.
Un ruolo importante nella patogenesi dei deficit cognitivi nell’infezione da HIV può essere svolto anche dalle comorbidità. Per le modalità di trasmissione condivise, una parte non trascurabile di pazienti sieropositivi presenta una coinfezione con il virus dell’epatite C (HCV), e lo stesso HCV è stato associato allo sviluppo di disturbi neurocognitivi. Inoltre, nei soggetti HIV-positivi è ormai riconosciuta la presenza di un incremento del rischio di patologie cardiovascolari, che possono a loro volta condurre allo sviluppo di danno cognitivo.
Infine, un ulteriore fattore da considerare è la potenziale neurotossicità dei farmaci antiretrovirali. Al riguardo, sono ampiamente noti gli effetti collaterali di efavirenz sul SNC. Tuttavia, i dati presenti in letteratura riguardano prevalentemente reazioni avverse di natura psichiatrica nelle prime settimane di trattamento con efavirenz, mentre pochi studi ne hanno esplorato gli effetti sul funzionamento cognitivo nel breve e nel lungo termine.
In questo scenario si inserisce il nostro studio, i cui dati preliminari sono stati presentati alla 17th Conference on Retroviruses and Opportunistic Infections, che si è tenuta a San Francisco nel 2010.
Obiettivi
Esplorare la prevalenza e i predittori dei disturbi neurocognitivi in pazienti HIV-positivi asintomatici, analizzando tra i fattori la potenziale neurotossicità dei farmaci antiretrovirali.
Metodi
Nello studio 146 pazienti HIV-positivi sono stati arruolati consecutivamente durante le visite ambulatoriali di ruotine dal novembre 2008 all’aprile 2010. I criteri di esclusione sono stati l’età inferiore a 18 anni, l’incapacità a firmare il consenso informato, l’anamnesi positiva per infezioni opportunistiche del SNC, la presenza di disturbi psichiatrici attivi, l’abuso di sostanze stupefacenti e/o alcool e/o psicofarmaci negli ultimi 6 mesi e la mancata padronanza della lingua italiana. Al momento dell’arruolamento, l’88,4% dei pazienti era in trattamento antiretrovirale, di cui il 66% con regimi contenenti un PI e il 30% con schemi includenti un NNRTI (principalmente efavirenz), mentre il restante 4% con altre combinazioni. Tutti i soggetti sono stati sottoposti a un’ampia batteria di test neuropsicologici al fine di valutare la presenza di deficit cognitivi e a una scala di autovalutazione della depressione. Inoltre 30 soggetti HIV-negativi, equiparabili per età e scolarità alla popolazione dei pazienti HIV-positivi, sono stati selezionati come gruppo di controllo. La presenza di danno cognitivo è stata valutata sulla base del confronto tra la prestazione ottenuta ai test neuropsicologici dai pazienti sieropositivi e quella osservata nella popolazione di controllo.
I fattori associati alla presenza di disturbi neurocognitivi sono stati analizzati attraverso la regressione logistica o lineare.
Risultati
Il 47% dei pazienti HIV-positivi ha presentato deficit cognitivi minori. Nell’analisi multivariata l’uso di efavirenz (OR=4,00; p=0,008) e la nazionalità non italiana (OR=3,46; p=0,035) sono risultati associati a un maggior rischio di danno cognitivo, mentre la scolarità è risultata essere un fattore protettivo (OR=0,85; p=0,002). L’associazione tra impiego di efavirenz e compromissione cognitiva è stata confermata anche restringendo l’analisi ai soggetti in trattamento antiretrovirale stabile (≥1 anno) (n=87; OR=6,11; p=0,007) o ai pazienti di nazionalità italiana (n=126; OR=3,40; p=0,021). È degno di nota che i soggetti trattati con regimi contenenti efavirenz non presentavano differenze significative nelle principali caratteristiche cliniche e demografiche rispetto ai pazienti che non assumevano efavirenz. Infine, in questo studio trasversale, variabili quali conta dei CD4+, nadir dei CD4+, carica virale, coinfezione con HCV e CPE-score non sono risultate associate alla performance cognitiva.
Conclusioni
In accordo con le più recenti evidenze presenti in letteratura, un’alta prevalenza (47%) di forme minori di disturbi neurocognitivi è stata osservata in pazienti HIV-positivi asintomatici. L’uso di efavirenz è risultato associato in maniera indipendente a un maggior rischio di compromissione cognitiva, prevalentemente a carico delle abilità attenzionali ed esecutive. Tale risultato è confermato anche nei pazienti in trattamento stabile (≥1 anno), suggerendo la potenziale neurotossicità a lungo termine di efavirenz. In questo contesto, risulta importante inserire nella routine della pratica clinica l’esame del quadro neuropsicologico dei pazienti HIV-positivi affinché il clinico possa eseguire una corretta diagnosi, gestire forme più lievi ma clinicamente rilevanti di HAND e monitorare la neuroefficacia e la potenziale neurotossicità della terapia antiretrovirale.
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A cura della dott.ssa Maria Caterina Silveri
Il punto
È noto che l'HIV raggiunge il Sistema Nervoso Centrale (SNC) subito dopo l’infezione primaria, permanendovi per tutte le fasi della malattia. Il bersaglio principale del virus nell'encefalo non è rappresentato dai neuroni, ma dalla microglia e dai macrofagi la cui attivazione innesca una cascata di eventi, con produzione di molecole immunoattive che amplificano il processo infiammatorio, e di segnali neurotossici, che possono condurre a degenerazione e morte neuronale. Il corrispettivo clinico di tali eventi è rappresentato dai disturbi neurocognitivi HIV-associati (HAND) che si manifestano con quadri di gravità variabile: dal semplice deficit neurocognitivo asintomatico (ANI), al disturbo neurocognitivo lieve (MND), fino alla demenza HIV-correlata (HAD).
Se con l’introduzione della terapia antiretrovirale (ARV) si è ridotta sensibilmente l’incidenza della HAD, che un tempo rappresentava una delle più frequenti complicanze neurologiche e che oggi è pari al 2-3%, la prevalenza dei deficit neurocognitivi di entità lieve-moderata rimane elevata, interessando oltre il 50% dei casi. In genere, si tratta di disturbi dell’attenzione, della memoria, delle funzioni esecutive e del coordinamento motorio, che possono compromettere la qualità di vita delle persone HIV-positive. Questi disturbi sono diventati più evidenti con l’allungamento della sopravvivenza, un traguardo raggiunto proprio grazie all’impiego della ARV, e con il conseguente aumento dell’età media dei soggetti sieropositivi che predispone all’emergenza del danno cognitivo.
Il trattamento ARV non elimina il virus dal SNC, che rimane un importante “reservoir” per l’HIV che in questa sede può continuare, in alcuni casi, a replicarsi a basso titolo anche in presenza di una viremia plasmatica controllata. Si ritiene pertanto che, per essere efficace, una terapia ARV debba impiegare farmaci che siano in grado di penetrare nel SNC e di interferire con la replicazione virale locale. Non si può comunque escludere, in linea teorica, una potenziale neurotossicità del farmaco stesso che possa favorire la comparsa di disturbi cognitivi. Esistono tuttavia significative differenze nella capacità dei farmaci antiretrovirali a oltrepassare la barriera ematoencefalica e a esercitare la loro efficacia nel SNC. Questa variabile capacità è ormai da alcuni anni definita dal CPE-score (CNS Penetration-Effectiveness score), anche se l’effettiva trasferibilità clinica di questo strumento è ancora in discussione.
Esistono peraltro, oltre alla possibile neurotossicità dei farmaci, altri fattori che aumentano il rischio di sviluppare disturbi neurocognitivi, quali: età avanzata, bassi livelli di CD4, comorbidità, alterazioni metaboliche e diabete. La precisa definizione e il precoce riconoscimento dei diversi fattori di rischio implicati nella genesi dei deficit cognitivi sono condizioni essenziali per cercare di mettere in atto, fin dalle prime fasi, strategie terapeutiche efficaci e sicure. A queste problematiche fa riferimento lo studio di Nicoletta Ciccarelli et al. recentemente pubblicato su Neurology che ha indagato in soggetti HIV-positivi asintomatici la prevalenza dei disturbi neurocognitivi e ha cercato come obiettivo secondario di valutare i possibili effetti sul sistema nervoso degli antiretrovirali. In accordo con dati europei e statunitensi, nello studio è stata messa in evidenza una discreta prevalenza di HAND di grado lieve-moderato (circa 50%); è emerso inoltre che, tra le diverse variabili indagate, unicamente l’impiego di efavirenz era associato in maniera indipendente al rischio di comparsa di deficit neurocognitivo, anche quando si consideravano solo i soggetti in trattamento stabile da un anno e oltre. Del resto, la potenziale neurotossicità evidenziata per efavirenz conferma i risultati ottenuti in studi precedenti, in cui è stato dimostrato che un regime che include questo farmaco provoca, in una certa percentuale di casi (soprattutto nelle prime settimane di terapia) effetti neuropsichiatrici indesiderati, tra cui depressione, letargia, reazioni maniacali e paranoiche e attività onirica anomala. Dal momento che i soggetti sieropositivi, anche in epoca di terapia ARV efficace, possono sviluppare sintomi neuropsicologici seppure di lieve entità con una discreta frequenza, è importante indagare, come sottolineano anche le Linee Guida Italiane del 2010, mediante test di screening, la presenza dei fattori di rischio per danno cognitivo sopra indicati, come nadir CD4 <200/mm3, età >50 anni, coinfezione con HCV, diabete o resistenza insulinica, prima di avviare un trattamento ARV contenente farmaci con potenziale neurotossicità, con lo scopo di valutarne il rapporto rischio/beneficio. Infine, come neuropsicologa mi sento di suggerire un attento e costante monitoraggio nel tempo delle funzioni neurocognitive in soggetti per i quali è prevedibile una terapia ARV protratta per decenni, soprattutto se avanti negli anni.
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