Trial su HDACi per eradicazione_Lewin/Margolis vs Clements 2
Inviato: giovedì 1 settembre 2011, 22:29
Questo thread è la continuazione del thread Trial su HDACI per eradicazione: Lewin/Margolis vs Clements.
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Il thread riprende con la pubblicazione sul Journal of Virology di un articolo – a firma Gautam Sahu e Miles Cloyd, della University of Texas – che, da quel che capisco, potrebbe sferrare un gran brutto colpo alla sperimentazione clinica di Margolis del SAHA come sostanza eradicante (ce n'è una sull'acido valproico ancora aperta ma, dopo le dimostrazioni di Siliciano, credo si possa già dare per scontato che sia un buco nell'acqua - cfr. Valproic Acid and Its Effects on HIV Latent Reservoirs).
Si tratta di un lavoro che esiste ancora come PDF provvisorio e che si intitola Latent HIV in primary T Lymphocytes is unresponsive to histone deacetylase inhibitors.
Conto di leggerlo con calma domani, quindi per ora mi limito a tradurre l’intervista a Carin Van Lint, che Lafeuillade ha appena postato nel suo sito.
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Gli inibitori dell’HDAC sono inattivi nei CD4 primari?
L’uso degli inibitori dell’istone-deacetilasi (HDACi) per ripulire i reservoir dell’HIV potrebbe essere compromesso dalla loro incapacità di agire nei linfociti T CD4+ primari, a differenza che nei modelli di linee cellulari che ricostruiscono la latenza dell’HIV.
Questa è la conclusione di uno studio da poco pubblicato sul Journal of Virology (1). Anche se gli HDACi, in passato, avevano dimostrato di saper riattivare l’HIV latente in modelli di linee cellulari della latenza dell’HIV, in cui le cellule si trasformavano e si dividevano in modo attivo, questo non era ancora stato confermato nei CD4 primari latentemente infetti generati nel sistema di co-cultura H80.
I risultati riportati nell’articolo di Sahu sono assai spiacevoli. Molti esperimenti fatti negli ultimissimi anni hanno dimostrato il ruolo del modellamento della cromatina nel mantenimento della latenza dell’HIV e hanno fatto sperare in nuove strategie capaci di “ripulire” il reservoir dell’HIV (2).
In questo articolo (1), gli autori hanno testato l’attività dell’acido valproico (VPA), della tricostatina A (TSA) e della prostratina (che non è un HDACi) nella riattivazione dell’HIV latente nei linfociti T primari generati nel sistema di co-cultura H80 (3). La prostratina ha indotto un aumento di 4 volte nella produzione del virus; invece, con il VPA o la TSA non si è osservato alcun effetto.
Dal momento che la bassa percentuale di linfociti T latentemente infetti nel sistema di co-cultura H80 potrebbe essere un fattore confondente quando si deve stabilire la capacità di risposta dell’HIV latente all’HDACi, gli autori hanno adattato il loro esperimento in modo da aumentare il numero di cellule latentemente infette nella coltura. Ma, di nuovo, hanno osservato gli stessi risultati per la prostratina e la stessa assenza di attività del VPA o della TSA.
Gli autori sottolineano che le condizioni per riattivare l’HIV latente sono multifattoriali. In particolare, sono essenziali le quantità di NF-kB, di CycT1 e di Cdk9.
Essi concludono che si dovrebbe studiare la latenza dell’HIV in CD4 normali che non si dividono, piuttosto che usare linee cellulari trasformate, che si dividono in modo attivo.
Abbiamo rivolto alla Professoressa Carin van Lint dell’Università di Bruxelles, una ben nota esperta nel campo, alcune domande sulle implicazioni di questi risultati. Ha gentilmente accettato di spiegarci le sottigliezze di quest’area di ricerca.
Alain Lafeuillade: lei ha studiato a fondo l’attività degli inibitori degli HDAC in vitro, su modelli cellulari della latenza dell’HIV. In base alla sua esperienza, quali sono i migliori candidati per la riattivazione dell’HIV?
Carine van Lint:fra gli HDACi testati in vitro sulle linee cellulari di cellule latentemente infette dall’HIV, il SAHA (Suberoylanilide hydroxamic acid; vorinostat), un membro della classe di acidi idrossamici inibitori della istone-deacetilasi, rappresenta oggi il miglior candidato per dare inizio alle sperimentazioni cliniche, poiché è stato approvato dall’FDA per il trattamento del linfoma cutaneo delle cellule T (4-6).
AL: Nel lavoro di Sahu (1), non si è vista nessuna attività dell’acido valproico o della tricostatina A nei CD4 primari. Come spiega questi risultati?
CVL: Sahu e Cloyd hanno appena dimostrato che l’HIV latente nei linfociti primari non risponde agli inibitori dell’istone-deacetilasi VPA e TSA (1). Il loro modello usa CD4 purificati dal sangue di donatori normali, stimolati con anti-CD3 per 2 giorni e messi in coltura con IL-2 per 5 giorni. Le cellule vengono poi infettate con una variante di HIV R4-tropica poco citopatica. Si è testata la capacità delle cellule così infettate di riattivarsi mediante l’uso di HDACi quali la TSA e il VPA in presenza di AZT. Gli autori hanno osservato un aumento di produzione di p24 dopo un trattamento (invero piuttosto leggero) con prostratina (che è un antagonista della PKC); nessun effetto, invece, usando VPA e TSA (4). Altri gruppi hanno sviluppato un modello di linee cellulari primarie per studiare la latenza dell’HIV-1 e hanno testato gli HDACi per vederne la capacità di riattivazione in questi modelli, come si è detto prima (7).
Nel modello sviluppato dal gruppo di Sharon Lewin, i CD4 latenti possono essere infettati efficacemente dopo incubazione sia con ligandi del CCR7, sia con CCL19 o CCL21 (8) (un passaggio dell’incubazione che non ha indotto attivazione consistente o proliferazione). Un contributo importante dato da questo modello ex vivo è l’idea che uno stato virale latente possa essere raggiunto mediante l’infezione diretta di un CD4 memoria quiescente (in effetti, altri modelli usano cellule attivate come target dell’infezione, cui si consente poi di tornare a uno stato di quiescenza). Questo gruppo ha dimostrato che gli HDACi (inclusi SAHA, MCT3, LBH589, MS275) riattivavano l’HIV dalla latenza in due donatori indipendenti, ma meno rispetto al PMA (phorbol-12-myristate-13-acetate), che è molto potente (dati presentati allo IAS, Vienna 2010).
Il gruppo di Siliciano ha sviluppato un nuovo modello di latenza che comporta la trasduzione lentivirale di CD4 primari con un cDNA Bcl-2, per aumentare la sopravvivenza in vitro delle cellule (9). Queste cellule vengono poi attivate con anticorpi anti-CD3/CD28 e IL-2 e in seguito infettate. Le cellule latentemente infette sono ottenute consentendo alle cellule infette di tornare a uno stato di quiescenza via incubazione in assenza di citochine. Non è chiaro se l’espressione ectopica del Bcl-2 in questo sistema possa introdurre effetti artificiali in termini di attivazione cellulare e differenziazione che, a loro volta, potrebbero influenzare la latenza virale (9). Usando questo modello, hanno dimostrato che la latenza dell’HIV-1 era riattivabile con molta difficoltà se si usava il VPA (con dosi di 5nM) e che invece la TSA consentiva la riattivazione del virus a una dose di 200nM.
Nel sistema sviluppato dal gruppo di Karn (10), i CD4 primari vengono stimolati con anticorpi anti-CD3 + anti-CD28 in presenza di IL-2 e poi infettati con vettori HIV-1 privi del gene env e contenenti Tat wild-type o attenuata. Dopo 2 giorni, le cellule produttivamente infette vengono purificate ed estratte mediante citometria a flusso e poi vengono messe in coltura in presenza di aCD3 + aCD28, con anche rIL-2 per 4-6 settimane. Dopo circa 6 settimane, il 70-90% delle cellule infette ospitano virus latente, che non esprime più il gene reporter (10). L’analisi con test della immunoprecipitazione della cromatina (ChIP) ha dimostrato che l’attivazione del TCR [T-cell receptor] comporta un aumento di acetilazione istonica e un reclutamento dell’NF-kB nella regione del promoter dell’LTR (Toll-like receptor] dell’HIV-1 integrato. L’esposizione al solo SAHA riattiva leggermente la trascrizione virale, ma ciò può dipendere dai bassi livelli di P-TEFb nei linfociti T primari. Inoltre, quando usato in combinazione con altri induttori dell’HIV, il SAHA riattiva l’espressione virale in modo sinergico (11).
Il laboratorio di Planelles ha sviluppato dei modelli di cellula primaria basati sull’isolamento dei CD4 naive, che vengono poi attivati e indotti a differenziarsi in un fenotipo Tcm [T memoria centrale], conosciuto come cellule non-polarizzate (NP) (12). Quando queste cellule sono in uno stato attivato, vengono infettate con HIV-1 e la latenza virale risulta fortemente favorita dalla naturale progressione delle cellule attivate verso uno stato quiescente, simile a quello delle cellule memoria (12).
Inoltre, altri gruppi – fra cui il nostro – hanno testato il potenziale di riattivazione degli HDACi nei CD4 quiescenti isolati da pazienti HIV+ sotto HAART. Le cellule quiescenti sono state isolate mediante selezione negativa dalle PBMC di pazienti con HIV trattati con HAART e messe a coltura per 6 giorni, in presenza o meno di diverse sostanze. Si è poi valutata la riattivazione virale misurando l’HIV RNA nel supernatante delle cellule. Il nostro laboratorio ha dimostrato che gli HDACi possono riattivare l’HIV dalla latenza e agiscono in sinergia sulla riattivazione virale quando usati in combinazione con altri induttori dell’HIV (13, 14).
Per di più, Margolis ha dimostrato che gli inibitori degli HDAC di classe I sono induttori molto efficienti dello sviluppo del virus dai CD4 latenti dei pazienti aviremici, mentre raramente si riesce a recuperare HIV da cellule di pazienti esposte a inibitori degli HDAC di classe II (15). Da notare che il VPA, pur debole nell’inibire gli HDAC, riesce comunque a riattivare l’espressione virale in cellule isolate da pazienti trattati con HAART, anche se meno rispetto al più potente SAHA (14).
In conclusione, l’assenza di riattivazione virale osservata nei modelli di cellula primaria da certi gruppi, fra cui quello di Sahu e Cloyd, può dipendere dalle condizioni sperimentali. Nonostante piccole divergenze fra i loro due sistemi di cellula primaria, Sahu e Cloyd non hanno osservato riattivazione virale dopo esposizione a VPA e TSA, mentre il gruppo di Karn ha dimostrato una piccola, ma significativa, riattivazione del virus dopo trattamento con SAHA (e una riattivazione maggiore quando sono state usate combinazioni di SAHA più altri induttori dell’HIV) (11).
Da notare che i modelli di latenza dell’HIV basati su cellule primarie in vitro sono fisiologicamente più rilevanti rispetto alle linee di cellule cronicamente infette, perciò rappresentano uno strumento molto importante. Tuttavia, devono essere migliorati e i dati ottenuti con linfociti T quiescenti isolati da pazienti in HAART aviremici rappresentano un modello ancora più fisiologico.
AL: ritiene che i nostri modelli di latenza dell’HIV in vitro siano imperfetti e che sia prematuro trasferire nei trial clinici le scoperte che abbiamo fatto grazie a loro?
CVL: no, io ritengo che, per quanto nessuno dei modelli sviluppati finora di cellula primaria in vitro sia perfetto, essi ci consentano di studiare la latenza dell’HIV in un contesto più fisiologico rispetto a quello fornito dalle linee di cellule cronicamente infette trasformate. L’uso del Bcl2 e/o di attivatori quali l’IL-2, così come il passaggio attraverso la co-cultura, rappresentano dei bias e possono avere qualche influenza sullo stabilirsi della latenza dell’HIV-1. Si devono fare altre ricerche per migliorare e creare modelli di linee di cellule primarie e modelli animali più adatti. Queste ricerche sono una pre-condizione per trasferire i dati ottenuti sulla riattivazione a delle sperimentazioni cliniche.
Tuttavia, sono già iniziati almeno due trial clinici riguardanti il SAHA: uno guidato da Sharon Lewin (Monash University, Melbourne) e uno guidato da David Margolis (University of North Carolina, Chapel Hill). Questi trial certamente daranno risultati importanti e che serviranno per i futuri trial clinici sull’eradicazione.
Bibliografia
(1) Sahu GK, Cloyd MW. Latent HIV in primary T Lymphocytes is unresponsive to histone deacetylase inhibitors. Virol J 2011; 8 (1): 400 [epub ahead of print]
(2) Colin L, van Lint C. Molecular control of HIV-1 postintegration latency: implications for the development of new therapeutic strategies. Retrovirology 2009; 6: 111
(3) Sahu GK Lee K, Ji J, Braciale V, Baron S, Cloyd MW. A novel in vitro system to generate and study HIV latently-infected long-lived normal CD4+ T-lymphocytes. Virology 2006; 355(2): 127-37
(4) Duvic, M., and Vu, J. (2007) Expert Opin Investig Drugs 16(7), 1111-1120
(5) Marks, P. A. (2007) Oncogene 26(9), 1351-1356
(6) Mann, B. S., Johnson, J. R., Cohen, M. H., Justice, R., and Pazdur, R. (2007) Oncologist 12(10), 1247-1252
Sahu, G. K., and Cloyd, M. W. (2011) Virol J 8(1), 400
(7) Bosque, A., and Planelles, V. (2011) Methods 53(1), 54-61
(8) Saleh, S., Solomon, A., Wightman, F., Xhilaga, M., Cameron, P. U., and Lewin, S. R. (2007) Blood 110(13), 4161-4164
(9) Yang, H. C., Xing, S., Shan, L., O'Connell, K., Dinoso, J., Shen, A., Zhou, Y., Shrum, C. K., Han, Y., Liu, J. O., Zhang, H., Margolick, J. B., and Siliciano, R. F. (2009) J Clin Invest 119(11), 3473-3486
(10) Tyagi, M., Pearson, R. J., and Karn, J. (2010) J Virol 84(13), 6425-6437
(11) Friedman, J., Cho, W. K., Chu, C. K., Keedy, K. S., Archin, N. M., Margolis, D. M., and Karn, J. (2011) J Virol 85(17):9078-89
(12) Bosque, A., and Planelles, V. (2009) Blood 113(1), 58-65
(13) Quivy, V., Adam, E., Collette, Y., Demonte, D., Chariot, A., Vanhulle, C., Berkhout, B., Castellano, R., de Launoit, Y., Burny, A., Piette, J., Bours, V., and Van Lint, C. (2002) J Virol 76(21), 11091-11103
(14) Reuse, S., Calao, M., Kabeya, K., Guiguen, A., Gatot, J. S., Quivy, V., Vanhulle, C., Lamine, A., Vaira, D., Demonte, D., Martinelli, V., Veithen, E., Cherrier, T., Avettand, V., Poutrel, S., Piette, J., de Launoit, Y., Moutschen, M., Burny, A., Rouzioux, C., De Wit, S., Herbein, G., Rohr, O., Collette, Y., Lambotte, O., Clumeck, N., and Van Lint, C. (2009) PLoS One 4(6), e6093
(15) Keedy, K. S., Archin, N. M., Gates, A. T., Espeseth, A., Hazuda, D. J., and Margolis, D. M. (2009) J Virol 83(10), 4749-4756
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Il thread riprende con la pubblicazione sul Journal of Virology di un articolo – a firma Gautam Sahu e Miles Cloyd, della University of Texas – che, da quel che capisco, potrebbe sferrare un gran brutto colpo alla sperimentazione clinica di Margolis del SAHA come sostanza eradicante (ce n'è una sull'acido valproico ancora aperta ma, dopo le dimostrazioni di Siliciano, credo si possa già dare per scontato che sia un buco nell'acqua - cfr. Valproic Acid and Its Effects on HIV Latent Reservoirs).
Si tratta di un lavoro che esiste ancora come PDF provvisorio e che si intitola Latent HIV in primary T Lymphocytes is unresponsive to histone deacetylase inhibitors.
Conto di leggerlo con calma domani, quindi per ora mi limito a tradurre l’intervista a Carin Van Lint, che Lafeuillade ha appena postato nel suo sito.
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Gli inibitori dell’HDAC sono inattivi nei CD4 primari?
L’uso degli inibitori dell’istone-deacetilasi (HDACi) per ripulire i reservoir dell’HIV potrebbe essere compromesso dalla loro incapacità di agire nei linfociti T CD4+ primari, a differenza che nei modelli di linee cellulari che ricostruiscono la latenza dell’HIV.
Questa è la conclusione di uno studio da poco pubblicato sul Journal of Virology (1). Anche se gli HDACi, in passato, avevano dimostrato di saper riattivare l’HIV latente in modelli di linee cellulari della latenza dell’HIV, in cui le cellule si trasformavano e si dividevano in modo attivo, questo non era ancora stato confermato nei CD4 primari latentemente infetti generati nel sistema di co-cultura H80.
I risultati riportati nell’articolo di Sahu sono assai spiacevoli. Molti esperimenti fatti negli ultimissimi anni hanno dimostrato il ruolo del modellamento della cromatina nel mantenimento della latenza dell’HIV e hanno fatto sperare in nuove strategie capaci di “ripulire” il reservoir dell’HIV (2).
In questo articolo (1), gli autori hanno testato l’attività dell’acido valproico (VPA), della tricostatina A (TSA) e della prostratina (che non è un HDACi) nella riattivazione dell’HIV latente nei linfociti T primari generati nel sistema di co-cultura H80 (3). La prostratina ha indotto un aumento di 4 volte nella produzione del virus; invece, con il VPA o la TSA non si è osservato alcun effetto.
Dal momento che la bassa percentuale di linfociti T latentemente infetti nel sistema di co-cultura H80 potrebbe essere un fattore confondente quando si deve stabilire la capacità di risposta dell’HIV latente all’HDACi, gli autori hanno adattato il loro esperimento in modo da aumentare il numero di cellule latentemente infette nella coltura. Ma, di nuovo, hanno osservato gli stessi risultati per la prostratina e la stessa assenza di attività del VPA o della TSA.
Gli autori sottolineano che le condizioni per riattivare l’HIV latente sono multifattoriali. In particolare, sono essenziali le quantità di NF-kB, di CycT1 e di Cdk9.
Essi concludono che si dovrebbe studiare la latenza dell’HIV in CD4 normali che non si dividono, piuttosto che usare linee cellulari trasformate, che si dividono in modo attivo.
Abbiamo rivolto alla Professoressa Carin van Lint dell’Università di Bruxelles, una ben nota esperta nel campo, alcune domande sulle implicazioni di questi risultati. Ha gentilmente accettato di spiegarci le sottigliezze di quest’area di ricerca.
Alain Lafeuillade: lei ha studiato a fondo l’attività degli inibitori degli HDAC in vitro, su modelli cellulari della latenza dell’HIV. In base alla sua esperienza, quali sono i migliori candidati per la riattivazione dell’HIV?
Carine van Lint:fra gli HDACi testati in vitro sulle linee cellulari di cellule latentemente infette dall’HIV, il SAHA (Suberoylanilide hydroxamic acid; vorinostat), un membro della classe di acidi idrossamici inibitori della istone-deacetilasi, rappresenta oggi il miglior candidato per dare inizio alle sperimentazioni cliniche, poiché è stato approvato dall’FDA per il trattamento del linfoma cutaneo delle cellule T (4-6).
AL: Nel lavoro di Sahu (1), non si è vista nessuna attività dell’acido valproico o della tricostatina A nei CD4 primari. Come spiega questi risultati?
CVL: Sahu e Cloyd hanno appena dimostrato che l’HIV latente nei linfociti primari non risponde agli inibitori dell’istone-deacetilasi VPA e TSA (1). Il loro modello usa CD4 purificati dal sangue di donatori normali, stimolati con anti-CD3 per 2 giorni e messi in coltura con IL-2 per 5 giorni. Le cellule vengono poi infettate con una variante di HIV R4-tropica poco citopatica. Si è testata la capacità delle cellule così infettate di riattivarsi mediante l’uso di HDACi quali la TSA e il VPA in presenza di AZT. Gli autori hanno osservato un aumento di produzione di p24 dopo un trattamento (invero piuttosto leggero) con prostratina (che è un antagonista della PKC); nessun effetto, invece, usando VPA e TSA (4). Altri gruppi hanno sviluppato un modello di linee cellulari primarie per studiare la latenza dell’HIV-1 e hanno testato gli HDACi per vederne la capacità di riattivazione in questi modelli, come si è detto prima (7).
Nel modello sviluppato dal gruppo di Sharon Lewin, i CD4 latenti possono essere infettati efficacemente dopo incubazione sia con ligandi del CCR7, sia con CCL19 o CCL21 (8) (un passaggio dell’incubazione che non ha indotto attivazione consistente o proliferazione). Un contributo importante dato da questo modello ex vivo è l’idea che uno stato virale latente possa essere raggiunto mediante l’infezione diretta di un CD4 memoria quiescente (in effetti, altri modelli usano cellule attivate come target dell’infezione, cui si consente poi di tornare a uno stato di quiescenza). Questo gruppo ha dimostrato che gli HDACi (inclusi SAHA, MCT3, LBH589, MS275) riattivavano l’HIV dalla latenza in due donatori indipendenti, ma meno rispetto al PMA (phorbol-12-myristate-13-acetate), che è molto potente (dati presentati allo IAS, Vienna 2010).
Il gruppo di Siliciano ha sviluppato un nuovo modello di latenza che comporta la trasduzione lentivirale di CD4 primari con un cDNA Bcl-2, per aumentare la sopravvivenza in vitro delle cellule (9). Queste cellule vengono poi attivate con anticorpi anti-CD3/CD28 e IL-2 e in seguito infettate. Le cellule latentemente infette sono ottenute consentendo alle cellule infette di tornare a uno stato di quiescenza via incubazione in assenza di citochine. Non è chiaro se l’espressione ectopica del Bcl-2 in questo sistema possa introdurre effetti artificiali in termini di attivazione cellulare e differenziazione che, a loro volta, potrebbero influenzare la latenza virale (9). Usando questo modello, hanno dimostrato che la latenza dell’HIV-1 era riattivabile con molta difficoltà se si usava il VPA (con dosi di 5nM) e che invece la TSA consentiva la riattivazione del virus a una dose di 200nM.
Nel sistema sviluppato dal gruppo di Karn (10), i CD4 primari vengono stimolati con anticorpi anti-CD3 + anti-CD28 in presenza di IL-2 e poi infettati con vettori HIV-1 privi del gene env e contenenti Tat wild-type o attenuata. Dopo 2 giorni, le cellule produttivamente infette vengono purificate ed estratte mediante citometria a flusso e poi vengono messe in coltura in presenza di aCD3 + aCD28, con anche rIL-2 per 4-6 settimane. Dopo circa 6 settimane, il 70-90% delle cellule infette ospitano virus latente, che non esprime più il gene reporter (10). L’analisi con test della immunoprecipitazione della cromatina (ChIP) ha dimostrato che l’attivazione del TCR [T-cell receptor] comporta un aumento di acetilazione istonica e un reclutamento dell’NF-kB nella regione del promoter dell’LTR (Toll-like receptor] dell’HIV-1 integrato. L’esposizione al solo SAHA riattiva leggermente la trascrizione virale, ma ciò può dipendere dai bassi livelli di P-TEFb nei linfociti T primari. Inoltre, quando usato in combinazione con altri induttori dell’HIV, il SAHA riattiva l’espressione virale in modo sinergico (11).
Il laboratorio di Planelles ha sviluppato dei modelli di cellula primaria basati sull’isolamento dei CD4 naive, che vengono poi attivati e indotti a differenziarsi in un fenotipo Tcm [T memoria centrale], conosciuto come cellule non-polarizzate (NP) (12). Quando queste cellule sono in uno stato attivato, vengono infettate con HIV-1 e la latenza virale risulta fortemente favorita dalla naturale progressione delle cellule attivate verso uno stato quiescente, simile a quello delle cellule memoria (12).
Inoltre, altri gruppi – fra cui il nostro – hanno testato il potenziale di riattivazione degli HDACi nei CD4 quiescenti isolati da pazienti HIV+ sotto HAART. Le cellule quiescenti sono state isolate mediante selezione negativa dalle PBMC di pazienti con HIV trattati con HAART e messe a coltura per 6 giorni, in presenza o meno di diverse sostanze. Si è poi valutata la riattivazione virale misurando l’HIV RNA nel supernatante delle cellule. Il nostro laboratorio ha dimostrato che gli HDACi possono riattivare l’HIV dalla latenza e agiscono in sinergia sulla riattivazione virale quando usati in combinazione con altri induttori dell’HIV (13, 14).
Per di più, Margolis ha dimostrato che gli inibitori degli HDAC di classe I sono induttori molto efficienti dello sviluppo del virus dai CD4 latenti dei pazienti aviremici, mentre raramente si riesce a recuperare HIV da cellule di pazienti esposte a inibitori degli HDAC di classe II (15). Da notare che il VPA, pur debole nell’inibire gli HDAC, riesce comunque a riattivare l’espressione virale in cellule isolate da pazienti trattati con HAART, anche se meno rispetto al più potente SAHA (14).
In conclusione, l’assenza di riattivazione virale osservata nei modelli di cellula primaria da certi gruppi, fra cui quello di Sahu e Cloyd, può dipendere dalle condizioni sperimentali. Nonostante piccole divergenze fra i loro due sistemi di cellula primaria, Sahu e Cloyd non hanno osservato riattivazione virale dopo esposizione a VPA e TSA, mentre il gruppo di Karn ha dimostrato una piccola, ma significativa, riattivazione del virus dopo trattamento con SAHA (e una riattivazione maggiore quando sono state usate combinazioni di SAHA più altri induttori dell’HIV) (11).
Da notare che i modelli di latenza dell’HIV basati su cellule primarie in vitro sono fisiologicamente più rilevanti rispetto alle linee di cellule cronicamente infette, perciò rappresentano uno strumento molto importante. Tuttavia, devono essere migliorati e i dati ottenuti con linfociti T quiescenti isolati da pazienti in HAART aviremici rappresentano un modello ancora più fisiologico.
AL: ritiene che i nostri modelli di latenza dell’HIV in vitro siano imperfetti e che sia prematuro trasferire nei trial clinici le scoperte che abbiamo fatto grazie a loro?
CVL: no, io ritengo che, per quanto nessuno dei modelli sviluppati finora di cellula primaria in vitro sia perfetto, essi ci consentano di studiare la latenza dell’HIV in un contesto più fisiologico rispetto a quello fornito dalle linee di cellule cronicamente infette trasformate. L’uso del Bcl2 e/o di attivatori quali l’IL-2, così come il passaggio attraverso la co-cultura, rappresentano dei bias e possono avere qualche influenza sullo stabilirsi della latenza dell’HIV-1. Si devono fare altre ricerche per migliorare e creare modelli di linee di cellule primarie e modelli animali più adatti. Queste ricerche sono una pre-condizione per trasferire i dati ottenuti sulla riattivazione a delle sperimentazioni cliniche.
Tuttavia, sono già iniziati almeno due trial clinici riguardanti il SAHA: uno guidato da Sharon Lewin (Monash University, Melbourne) e uno guidato da David Margolis (University of North Carolina, Chapel Hill). Questi trial certamente daranno risultati importanti e che serviranno per i futuri trial clinici sull’eradicazione.
Bibliografia
(1) Sahu GK, Cloyd MW. Latent HIV in primary T Lymphocytes is unresponsive to histone deacetylase inhibitors. Virol J 2011; 8 (1): 400 [epub ahead of print]
(2) Colin L, van Lint C. Molecular control of HIV-1 postintegration latency: implications for the development of new therapeutic strategies. Retrovirology 2009; 6: 111
(3) Sahu GK Lee K, Ji J, Braciale V, Baron S, Cloyd MW. A novel in vitro system to generate and study HIV latently-infected long-lived normal CD4+ T-lymphocytes. Virology 2006; 355(2): 127-37
(4) Duvic, M., and Vu, J. (2007) Expert Opin Investig Drugs 16(7), 1111-1120
(5) Marks, P. A. (2007) Oncogene 26(9), 1351-1356
(6) Mann, B. S., Johnson, J. R., Cohen, M. H., Justice, R., and Pazdur, R. (2007) Oncologist 12(10), 1247-1252
Sahu, G. K., and Cloyd, M. W. (2011) Virol J 8(1), 400
(7) Bosque, A., and Planelles, V. (2011) Methods 53(1), 54-61
(8) Saleh, S., Solomon, A., Wightman, F., Xhilaga, M., Cameron, P. U., and Lewin, S. R. (2007) Blood 110(13), 4161-4164
(9) Yang, H. C., Xing, S., Shan, L., O'Connell, K., Dinoso, J., Shen, A., Zhou, Y., Shrum, C. K., Han, Y., Liu, J. O., Zhang, H., Margolick, J. B., and Siliciano, R. F. (2009) J Clin Invest 119(11), 3473-3486
(10) Tyagi, M., Pearson, R. J., and Karn, J. (2010) J Virol 84(13), 6425-6437
(11) Friedman, J., Cho, W. K., Chu, C. K., Keedy, K. S., Archin, N. M., Margolis, D. M., and Karn, J. (2011) J Virol 85(17):9078-89
(12) Bosque, A., and Planelles, V. (2009) Blood 113(1), 58-65
(13) Quivy, V., Adam, E., Collette, Y., Demonte, D., Chariot, A., Vanhulle, C., Berkhout, B., Castellano, R., de Launoit, Y., Burny, A., Piette, J., Bours, V., and Van Lint, C. (2002) J Virol 76(21), 11091-11103
(14) Reuse, S., Calao, M., Kabeya, K., Guiguen, A., Gatot, J. S., Quivy, V., Vanhulle, C., Lamine, A., Vaira, D., Demonte, D., Martinelli, V., Veithen, E., Cherrier, T., Avettand, V., Poutrel, S., Piette, J., de Launoit, Y., Moutschen, M., Burny, A., Rouzioux, C., De Wit, S., Herbein, G., Rohr, O., Collette, Y., Lambotte, O., Clumeck, N., and Van Lint, C. (2009) PLoS One 4(6), e6093
(15) Keedy, K. S., Archin, N. M., Gates, A. T., Espeseth, A., Hazuda, D. J., and Margolis, D. M. (2009) J Virol 83(10), 4749-4756