Io direi che le amabili scimmiacce di Portland dovremmo seguirle con uno sguardo più attento di quanto abbiamo fatto finora.uffa2 ha scritto:direi che c'è di che commuoversi
In fondo, abbiamo dedicato tempo, energie e fiumi di parole ai macachi di Lourdes, che paiono inchiodati dov’erano ormai da tempo immemorabile – anzi, te lo ricordi (vero?!) che eravamo insieme quando il bell’Andrea ci raccontava con aria ispirata e divorandosi un carciofo alla giudia (o forse ero io che stavo mangiando quella delizia? – solo su questo ho ricordi confusi) che era convinto entro un anno di passare in fase clinica? Era il febbraio 2010.
Un poco di sollecitudine in più al lontano Oregon potremmo proprio dedicarla.
Così, per iniziare subito a mantenere il proposito e fugare qualche inquietudine in chi – a ragion veduta – il CMV preferirebbe tenerlo lontano da persone immunodepresse, vi racconto che nei giorni scorsi mi sono imbattuta in un lungo articolo scritto l’altr'anno dai tre papà delle nostre bestiacce e dedicato a “nuovi paradigmi per lo sviluppo di un vaccino per l’HIV/AIDS”.
Qui Louis Picker, insieme a Scott Hansen e Jeff Lifson, ci espone in modo che mi pare chiaro ed esauriente la sua idea sulle direzioni in cui la ricerca di un vaccino dovrebbe muoversi, non nascondendo di vedere con un certo scetticismo la grande moda - oggi dilagante - dei bNAbs.
Anzitutto, analizza l’immunobiologia dell’infezione da HIV/SIV, spiegando perché proteggere i linfociti T memoria effettori sia un aspetto così cruciale nella prevenzione/cura dell’infezione e come tutto si giochi nella prima decina di giorni dopo la trasmissione del virus (le svariate pagine dedicate a questi aspetti della questione sono sintetizzate dalle Figure 1 e 2).
Poi racconta che cosa abbiamo imparato dal fallimento del vaccino della Merck (STEP) e dal successo parziale del vaccino Thai (RV144) e illustra in che cosa consista il suo vaccino, spiegando cose che in sostanza abbiamo già visto.
Infine, espone la sua idea di che cosa si debba fare per arrivare a un vaccino che funzioni. Questa ultima parte dell’articolo è quella tradotta qui sotto.
PROSPECTS FOR AN HIV/AIDS VACCINE – REVISITED
Con il risultato negativo del trial STEP e la comprensione che è improbabile che anche i vaccini più potenti costruiti per stimolare risposte convenzionali dei CD8 memoria riescano a conferire lo status di elite controller alla maggior parte delle persone infette vaccinate, lo sviluppo del campo dei vaccini contro l’HIV/AIDS è stato lasciato senza un programma chiaro che porti a un vaccino efficace – solo con la speranza che una analisi strutturale sempre più dettagliata e sofisticata delle interazioni fra la proteina Env e un gruppo crescente di anticorpi monoclonali ampiamente neutralizzanti isolati da persone con HIV porti a dei progressi nella progettazione di un immunogeno Env e finalmente a un vaccino capace di provocare alti titoli di anticorpi ampiamente neutralizzanti.
Anche se abbiamo imparato molto sugli epitopi riconosciuti da questi diversi anticorpi ampiamente neutralizzanti, applicare queste informazioni sull’antigenicità allo sviluppo di immunogeni in grado di indurre risposte simili si è rivelato una sfida particolarmente avvilente. È ovvio che è importante esplorare completamente questa strategia ma, nel momento in cui scriviamo, il risultato di tutti questi sforzi rimane incerto.
Dati recenti aprono la possibilità di un nuovo approccio allo sviluppo di un vaccino contro l’HIV/AIDS basato sullo sfruttamento delle vulnerabilità immunitarie del virus durante la fase precoce dell’infezione.
L’infezione delle mucose potrebbe essere impedita da più prosaici vaccini mirati agli anticorpi, che inducono risposte anticorpali capaci di legarsi a un virus o a una cellula infetta, ma non necessariamente in grado di sviluppare un’attività ampiamente neutralizzante.
In alternativa, l’infezione delle mucose potrebbe essere prevenuta da un rigoroso controllo dell’infezione mediante dei vaccini che generano linfociti T memoria effettori (Tem).
Per quanto nessuna di queste strategie vaccinali sia – così com’è - abbastanza ottimizzata per passare a un uso clinico, non è irragionevole ipotizzare che un’ottimizzazione empirica e un disegno razionale possano insieme migliorare l’efficacia di entrambi gli approcci e che una combinazione di questi approcci diversi e indipendenti possa comportare dei miglioramenti aggiuntivi o perfino sinergici nell’efficacia complessiva.
L’approccio del vaccino RV144 potrebbe essere migliorato empiricamente ottimizzando i vettori di priming, la Env che trasportano e gli immunogeni della proteina Env usati nella stimolazione, così come l’uso di adiuvanti più potenti insieme alla stimolazione proteica.
Certamente, nuovi immunogeni derivati dall’analisi della struttura e della funzione degli anticorpi monoclonali ampiamente neutralizzanti potrebbero essere incorporati in questi vaccini prime-boost mirati agli anticorpi, se questi si dimostrassero efficaci. E questa ottimizzazione la si potrebbe raggiungere utilizzando sia modelli di primati non umani, sia trial clinici adattivi.
L’idea di un vaccino che protegga i linfociti T memoria effettori che, ad oggi, è stato testato solo in un modello di SIV delle scimmie, segue una linea di sviluppo più complessa.
I vettori CMV, il prototipo dell’approccio vaccinale ai Tem, sono specie-specifici, pertanto il passaggio di questi vettori alla clinica richiede lo sviluppo di vettori CMV/HIV umani basati sull’RhCMV (il CMV dei macachi rhesus) validato mediante un modello di primati non umani.
Anche se i CMV che infettano i macachi e quelli che infettano gli uomini sono geneticamente distinti, sono strettamente collegati e sussiste un’omologia funzionale fra i geni chiave per poter tradurre nel secondo modello i concetti ideati per il primo.
Benché l’infezione da CMV sia onnipresente e non patogenica nella grande maggioranza delle persone infette, i vettori CMV wild-type possono in ogni caso mettere a rischio alcune popolazioni vulnerabili, come le donne in gravidanza e le persone mai entrate in contatto con il CMV e che hanno un’immunodeficienza di cui non si sospetta l’esistenza.
Ne segue che questi vettori non sarebbero dei candidati ideali da includere in un vaccino preventivo. Tuttavia, sia nei modelli scimmieschi, sia nei modelli murini, l’immunogenicità del CMV non dipende da una completa capacità di replicazione; dei costrutti CMV geneticamente modificati in modo da renderli incapaci o pochissimo capaci di propagarsi dopo il primo ciclo di infezione, sono in grado di provocare e mantenere una alta frequenza di risposte dei Tem, che sono sostanzialmente indistinguibili dalle risposte causate dai CMV wild-type.
È probabile che questa attitudine rifletta la capacità delle cellule infettate dal CMV di sfuggire all’eliminazione da parte delle risposte immuni e di persistere per lunghi periodi, nonostante una continua espressione dell’antigene – una biologia che favorisce con forza lo sviluppo di vettori CMV sicuri, e tuttavia altamente immunogenici.
Questi vettori potrebbero essere usati dopo un prime-boost eterologo, riuscendo così – presumibilmente – ad aumentare l’immunogenicità complessiva, mantenendo al tempo stesso il carattere Tem delle risposte provocate.
Data la variabilità in dimensione, qualità e durata delle risposte immuni provocate dal vaccino negli esseri umani, e date sia la capacità di evasione immunitaria, sia la diversità dell’HIV, è improbabile che un qualsiasi approccio vaccinale singolo – perfino il “Sacro Graal” della vaccinologia dell’HIV/AIDS, un approccio che stimoli anticorpi ampiamente neutralizzanti potenti e durevoli – sia efficace (cioè riesca a prevenire o a controllare molto bene l’infezione) in tutti i possibili casi di trasmissione.
E, naturalmente, quando un’infezione si verifica a fronte di una significativa pressione immunologica che non riesce a dare una buona protezione, quasi inevitabilmente essa porta a un’evasione immunitaria, e dunque alla possibile generazione e trasmissione di virus che non sono più sensibili ai meccanismi immunologici coinvolti.
Delle strategie di vaccini “a mosaico” possono allargare le risposte immuni stimolate dal vaccino e aiutare a superare il problema della diversità delle sequenze dei ceppi di HIV trasmessi. Ma è possibile che una soluzione più generale stia nello sviluppo di vaccini multimodali, che colpiscano diverse vulnerabilità immunitarie (proprio come degli antiretrovirali multipli e con obiettivi differenziati nei regimi efficaci di chemioterapia antiretrovirale combinata).
Questa strategia è sottilmente diversa dal mantra ripetuto dalla sapienza convenzionale, secondo cui un vaccino davvero efficace contro l’HIV dovrebbe indurre sia immunità umorale, sia immunità cellulare, nella speranza che uno dei bracci del sistema dell’immunità adattiva sia in grado di contrastare la porzione di virus che non vengono efficacemente contrastati dall’altro.
La nostra idea è che si potrebbero combinare elementi vaccinali indipendenti (impostati in modo da non interferire gli uni con gli altri) e farli lavorare insieme in modo strategicamente complementare per aumentare l’efficacia complessiva.
Per esempio, un regime prime-boost ottimizzato, focalizzato sulla Env dell’HIV e costruito così da generare anticorpi che blocchino l’acquisizione, potrebbe essere combinato con vettori CMV, che si concentrino sul resto del proteoma (l’insieme delle proteine) dell’HIV e siano disegnati in modo da stimolare risposte cellulari basate sui Tem che abbiano una lunga durata, per un controllo precoce e una sorveglianza immune di lungo periodo di un’eventuale infezione residua.
Se la prima componente è efficace al 50% nel bloccare l’acquisizione e la seconda riesce al 50% a controllare bene l’infezione iniziale, l’efficacia complessiva – senza sinergie – sarebbe di un non disprezzabile 75%.
È però plausibile che qualche sinergia si verificherebbe – per esempio, nelle persone vaccinate che si infettano, la risposta anticorpale Env-specifica potrebbe far diminuire il numero di foci infettivi e/o ostacolare una precoce trasmissione da una cellula all’altra, così aumentando la probabilità che i Tem generati dal vettore CMV siano effettivamente capaci di controllare l’infezione.
Inoltre, nella misura in cui la protezione iniziale dovesse non essere sterilizzante, la caratteristica dei vettori CMV di mantenere un’alta frequenza di Tem per lunghi periodi di tempo potrebbe distruggere l’infezione residua o sottomettere ogni rebound dell’infezione a un controllo molto stretto, anche qualora la componente anticorpale dovesse svanire.
In conclusione, la ricerca di base e clinica continua sull’immunobiologia dell’HIV/AIDS e la vaccinologia ha, sulla scia della delusione per i risultati del trial STEP, rinvigorito lo sviluppo di un vaccino. Insieme ai risultati sorprendentemente positivi dello studio RV144, questo lavoro ha conclusivamente dimostrato che, se si prende l’infezione da HIV/SIV subito dopo l’esposizione delle mucose e nella fase iniziale della replicazione virale, prima che l’infezione si diffonda in modo irreversibile, questi virus sono più vulnerabili di quanto si pensasse a un intervento immunitario. Dei vaccini capaci di suscitare appropriate risposte immuni degli effettori in queste fasi iniziali potrebbero dare una buona protezione.
Anche se c’è ancora molto lavoro da fare per ottimizzare questi approcci e tradurre queste informazioni in vaccini che possano essere messi in commercio, il campo dei vaccini contro l’HIV/AIDS, per la prima volta, ha davanti a sé una strada da seguire, che è basata su solide osservazioni di efficacia e su una comprensione sempre più sofisticata dell’immunobiologia dei lentivirus.