Impatto economico della HAART e ReAd files
Inviato: venerdì 14 ottobre 2011, 14:39
Il numero 3, 2011 dei ReAd files è per la maggior parte dedicato alla valutazione dell’andamento della spesa sanitaria e, in particolare, all’impatto economico degli antiretrovirali, dal punto di vista degli ospedali (Sacco, per esempio), dei medici (Maggiolo) e delle associazioni.
È pieno di valutazioni e di tabelle interessanti, ma un articolo che mi ha colpito più degli altri è quello di Giulio Maria Corbelli (pp. 26-27), in cui viene analizzata la situazione dalla parte del paziente, o meglio del paziente-attivista-esponente del mondo delle associazioni. E mi ha colpito in senso fortemente negativo perché, pur partendo da una diagnosi che mi sembra coincidente con quanto emerge dai racconti delle persone che scrivono nei forum, e quindi pur evidenziando il fatto che in molti ospedali si negano ai pazienti i farmaci più nuovi, perché troppo costosi, giunge a una proposta che mi pare non tanto ingenua – come dice lui – ma demenziale. Così confermando, nel caso ce ne fosse bisogno, la crisi di idee in cui annaspano le associazioni: che cosa possono fare le suddette associazioni perché i pazienti abbiano accesso ai farmaci più costosi? Premere perché si avviino “politiche di diagnosi precoce dell’infezione, che porterebbero a un incremento nel numero delle persone che necessitano di trattamento; questo potrebbe essere usato con le aziende per spingerle ad abbassare i prezzi e, considerando anche l’effetto preventivo legato a un’efficace terapia, a lungo termine potrebbe rivelarsi una strategia economicamente conveniente”.
Non è perché “così fanno gli svizzeri” che aumentare il numero dei pazienti in terapia farà diminuire i costi dei farmaci nuovi. Non si può contare sulle economie di scala, in questo caso.
E poi c’è il solito problemino dell’uso strumentale dei pazienti: ti faccio la diagnosi precoce non perché serve a te, ma perché così ti metto subito in terapia e perché mi illudo, così facendo, di diminuire il costo delle medicine.
C’è qualcosa di perverso nelle derive intellettuali e morali cui sta portanto “test and treat”, non trovate?
Questo l’articolo di Corbelli:
Il valore del volontariato
Giulio Maria Corbelli
Giornalista e membrodell’European Aids Treatment Group(EATG)
La comunità scientifica e le istituzioni stanno cercando i modi per contenere la spesa farmaceutica relativa all’infezione da HIV. Ma qual è l’impatto dei farmaci antiretrovirali sul bilancio della sanità? In realtà essi costituiscono meno dell’1,5% della spesa farmaceutica totale, e poco più dello 0,3% della spesa sanitaria complessiva.
Infatti, la spesa farmaceutica totale registrata nel 2009, in Italia, è stata di oltre 25 miliardi di euro, di cui il 75% a carico del Sistema Sanitario Nazionale (1); la voce relativa ai farmaci costituiva circa il 23% delle risorse destinate alla sanità nel bilancio dello Stato, ammontanti complessivamente a 109,669 miliardi di euro (2). I farmaci anti-HIV, dopo gli anticorpi monoclonali, gli immunosoppressori biologici e gli altri antineoplastici, costituivano nello stesso anno la quarta categoria terapeutica con la spesa più elevata, pari a 369 milioni di euro (3). È evidente, quindi, che qualunque intervento volto a contenere la spesa farmaceutica anti-HIV può incidere solo marginalmente sul bilancio sanitario.
Tuttavia, anche le associazioni delle persone con HIV ritengono che, in un momento di difficoltà economica, qualunque iniziativa che possa ragionevolmente contribuire al risparmio collettivo debba essere senz’altro presa in considerazione.
Ben diversa la situazione in cui “risparmiare a tutti i costi” diventa un imperativo assoluto: nel campo della sanità in generale, e nell’HIV/AIDS in particolare, le analisi di spesa non possono prescindere dai benefici derivanti dall’impiego delle risorse. E la terapia antiretrovirale vanta un rapporto costo-utilità ampiamente al di sotto di qualsiasi soglia comunemente usata come riferimento (4).
Questi dati purtroppo non sempre fanno parte delle valutazioni operate dagli amministratori, soprattutto a livello locale. A titolo d’esempio, alcuni Centri non acquistano e quindi non dispensano ai pazienti farmaci innovativi e coformulazioni per il trattamento dell’infezione da HIV (5), adducendo il risparmio come motivazione di questa scelta.
Questo è palesemente antieconomico: la terapia antiretrovirale per ottenere risultati pienamente soddisfacenti richiede un’aderenza particolarmente accurata e diversi studi confermano che l’aderenza aumenta se c’è una maggiore convenienza posologica (minor numero di compresse, impiego di coformulazioni) e se si contengono gli effetti collaterali (e per far questo in alcuni casi può essere necessario ricorrere a farmaci di nuova generazione). Quando la terapia antiretrovirale “funziona”, però, si eliminano quasi del tutto i costi di ospedalizzazione e si recupera pienamente la produttività della persona con HIV.
Difficilmente queste considerazioni potranno far cambiare idea agli amministratori che devono decidere sull’acquisto di farmaci dai prezzi decisamente alti. Prezzi che le aziende farmaceutiche giustificano per coprire gli ingenti investimenti necessari per la ricerca e lo sviluppo di nuovi farmaci.
Cosa possono suggerire le associazioni dei pazienti, interessate da un lato ad avere disponibili molecole innovative e dall’altro a poter accedere a farmaci ad alto costo?
Un’idea, forse ingenua, suggerisce di avviare politiche di diagnosi precoce dell’infezione, che porterebbero a un incremento nel numero delle persone che necessitano di trattamento; questo potrebbe essere usato con le aziende per spingerle ad abbassare i prezzi e, considerando anche l’effetto preventivo legato a un’efficace terapia, a lungo termine potrebbe rivelarsi una strategia economicamente conveniente. È la strada seguita, ad esempio dal recente Piano d’azione federale sull’HIV/AIDS della Svizzera, che considera economico diagnosticare a trattare tempestivamente le persone con HIV “in modo da mantenere la loro carica virale al di sotto della soglia misurabile ed evitare il rischio di contagio in caso di contatti sessuali” (6).
D’altra parte le associazioni delle persone che vivono con l’HIV possono attivarsi per ottenere il massimo risultato dall’impiego dei farmaci: da anni esse promuovono la preparazione di chi deve cominciare una terapia, diffondendo informazioni che possono far comprendere meglio l’importanza dell’aderenza e collaborando perché i medici possano interagire con pazienti più consapevoli e quindi - come dimostrato da diverse analisi - capaci di raggiungere risultati migliori.
Ma il coinvolgimento delle associazioni potrebbe non fermarsi qui. La posizione del paziente con HIV in merito ai costi della terapia è singolare: egli è scarsamente coinvolto nella scelta del farmaco che dovrà assumere, visto che solo quelli più preparati sono in grado di interagire con l’infettivologo che è incaricato di prescrivere la molecola giusta. E non è coinvolto in alcun modo nel processo che determina il prezzo del farmaco, deciso nelle contrattazioni che avvengono tra l’Agenzia regolatoria (AIFA) e le case farmaceutiche. Sarebbe invece altamente auspicabile che in questo processo la voce delle persone direttamente interessate potesse trovare una collocazione.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
1. Gruppo di lavoro OsMed. L’uso dei farmaci in Italia. Rapporto nazionale anno 2009. Roma: Il Pensiero Scientifico Editore, 2010: XXIII.
2. Ministero dell’Economia e delle Finanze. Relazione Generale sulla Situazione Economica del Paese - 2009. Roma, 2010; (II): 302.
3. Gruppo di lavoro OsMed. L’uso dei farmaci in Italia. Rapporto nazionale anno 2009. Roma: Il Pensiero Scientifico Editore, 2010: XXIV.
4. Ravasio R. Analisi di costo efficacia di emtricitabina/tenofovir disoproxil più efavirenz rispetto ad altri regimi antiretrovirali nel trattamento di prima linea di pazienti affetti da HIV. Giornale Italiano di Health Technology Assessment 2010; 3 (1): 1-11.
5. Delta n. 30, agosto 2006, pag. 8.
6. Ufficio Federale della Sanità Pubblica (UFSP). Programma nazionale HIV e altre infezioni sessualmente trasmissibili (PNHI) 2011-2017. Versione breve, Berna, 2010, pag. 14.
È pieno di valutazioni e di tabelle interessanti, ma un articolo che mi ha colpito più degli altri è quello di Giulio Maria Corbelli (pp. 26-27), in cui viene analizzata la situazione dalla parte del paziente, o meglio del paziente-attivista-esponente del mondo delle associazioni. E mi ha colpito in senso fortemente negativo perché, pur partendo da una diagnosi che mi sembra coincidente con quanto emerge dai racconti delle persone che scrivono nei forum, e quindi pur evidenziando il fatto che in molti ospedali si negano ai pazienti i farmaci più nuovi, perché troppo costosi, giunge a una proposta che mi pare non tanto ingenua – come dice lui – ma demenziale. Così confermando, nel caso ce ne fosse bisogno, la crisi di idee in cui annaspano le associazioni: che cosa possono fare le suddette associazioni perché i pazienti abbiano accesso ai farmaci più costosi? Premere perché si avviino “politiche di diagnosi precoce dell’infezione, che porterebbero a un incremento nel numero delle persone che necessitano di trattamento; questo potrebbe essere usato con le aziende per spingerle ad abbassare i prezzi e, considerando anche l’effetto preventivo legato a un’efficace terapia, a lungo termine potrebbe rivelarsi una strategia economicamente conveniente”.
Non è perché “così fanno gli svizzeri” che aumentare il numero dei pazienti in terapia farà diminuire i costi dei farmaci nuovi. Non si può contare sulle economie di scala, in questo caso.
E poi c’è il solito problemino dell’uso strumentale dei pazienti: ti faccio la diagnosi precoce non perché serve a te, ma perché così ti metto subito in terapia e perché mi illudo, così facendo, di diminuire il costo delle medicine.
C’è qualcosa di perverso nelle derive intellettuali e morali cui sta portanto “test and treat”, non trovate?
Questo l’articolo di Corbelli:
Il valore del volontariato
Giulio Maria Corbelli
Giornalista e membrodell’European Aids Treatment Group(EATG)
La comunità scientifica e le istituzioni stanno cercando i modi per contenere la spesa farmaceutica relativa all’infezione da HIV. Ma qual è l’impatto dei farmaci antiretrovirali sul bilancio della sanità? In realtà essi costituiscono meno dell’1,5% della spesa farmaceutica totale, e poco più dello 0,3% della spesa sanitaria complessiva.
Infatti, la spesa farmaceutica totale registrata nel 2009, in Italia, è stata di oltre 25 miliardi di euro, di cui il 75% a carico del Sistema Sanitario Nazionale (1); la voce relativa ai farmaci costituiva circa il 23% delle risorse destinate alla sanità nel bilancio dello Stato, ammontanti complessivamente a 109,669 miliardi di euro (2). I farmaci anti-HIV, dopo gli anticorpi monoclonali, gli immunosoppressori biologici e gli altri antineoplastici, costituivano nello stesso anno la quarta categoria terapeutica con la spesa più elevata, pari a 369 milioni di euro (3). È evidente, quindi, che qualunque intervento volto a contenere la spesa farmaceutica anti-HIV può incidere solo marginalmente sul bilancio sanitario.
Tuttavia, anche le associazioni delle persone con HIV ritengono che, in un momento di difficoltà economica, qualunque iniziativa che possa ragionevolmente contribuire al risparmio collettivo debba essere senz’altro presa in considerazione.
Ben diversa la situazione in cui “risparmiare a tutti i costi” diventa un imperativo assoluto: nel campo della sanità in generale, e nell’HIV/AIDS in particolare, le analisi di spesa non possono prescindere dai benefici derivanti dall’impiego delle risorse. E la terapia antiretrovirale vanta un rapporto costo-utilità ampiamente al di sotto di qualsiasi soglia comunemente usata come riferimento (4).
Questi dati purtroppo non sempre fanno parte delle valutazioni operate dagli amministratori, soprattutto a livello locale. A titolo d’esempio, alcuni Centri non acquistano e quindi non dispensano ai pazienti farmaci innovativi e coformulazioni per il trattamento dell’infezione da HIV (5), adducendo il risparmio come motivazione di questa scelta.
Questo è palesemente antieconomico: la terapia antiretrovirale per ottenere risultati pienamente soddisfacenti richiede un’aderenza particolarmente accurata e diversi studi confermano che l’aderenza aumenta se c’è una maggiore convenienza posologica (minor numero di compresse, impiego di coformulazioni) e se si contengono gli effetti collaterali (e per far questo in alcuni casi può essere necessario ricorrere a farmaci di nuova generazione). Quando la terapia antiretrovirale “funziona”, però, si eliminano quasi del tutto i costi di ospedalizzazione e si recupera pienamente la produttività della persona con HIV.
Difficilmente queste considerazioni potranno far cambiare idea agli amministratori che devono decidere sull’acquisto di farmaci dai prezzi decisamente alti. Prezzi che le aziende farmaceutiche giustificano per coprire gli ingenti investimenti necessari per la ricerca e lo sviluppo di nuovi farmaci.
Cosa possono suggerire le associazioni dei pazienti, interessate da un lato ad avere disponibili molecole innovative e dall’altro a poter accedere a farmaci ad alto costo?
Un’idea, forse ingenua, suggerisce di avviare politiche di diagnosi precoce dell’infezione, che porterebbero a un incremento nel numero delle persone che necessitano di trattamento; questo potrebbe essere usato con le aziende per spingerle ad abbassare i prezzi e, considerando anche l’effetto preventivo legato a un’efficace terapia, a lungo termine potrebbe rivelarsi una strategia economicamente conveniente. È la strada seguita, ad esempio dal recente Piano d’azione federale sull’HIV/AIDS della Svizzera, che considera economico diagnosticare a trattare tempestivamente le persone con HIV “in modo da mantenere la loro carica virale al di sotto della soglia misurabile ed evitare il rischio di contagio in caso di contatti sessuali” (6).
D’altra parte le associazioni delle persone che vivono con l’HIV possono attivarsi per ottenere il massimo risultato dall’impiego dei farmaci: da anni esse promuovono la preparazione di chi deve cominciare una terapia, diffondendo informazioni che possono far comprendere meglio l’importanza dell’aderenza e collaborando perché i medici possano interagire con pazienti più consapevoli e quindi - come dimostrato da diverse analisi - capaci di raggiungere risultati migliori.
Ma il coinvolgimento delle associazioni potrebbe non fermarsi qui. La posizione del paziente con HIV in merito ai costi della terapia è singolare: egli è scarsamente coinvolto nella scelta del farmaco che dovrà assumere, visto che solo quelli più preparati sono in grado di interagire con l’infettivologo che è incaricato di prescrivere la molecola giusta. E non è coinvolto in alcun modo nel processo che determina il prezzo del farmaco, deciso nelle contrattazioni che avvengono tra l’Agenzia regolatoria (AIFA) e le case farmaceutiche. Sarebbe invece altamente auspicabile che in questo processo la voce delle persone direttamente interessate potesse trovare una collocazione.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
1. Gruppo di lavoro OsMed. L’uso dei farmaci in Italia. Rapporto nazionale anno 2009. Roma: Il Pensiero Scientifico Editore, 2010: XXIII.
2. Ministero dell’Economia e delle Finanze. Relazione Generale sulla Situazione Economica del Paese - 2009. Roma, 2010; (II): 302.
3. Gruppo di lavoro OsMed. L’uso dei farmaci in Italia. Rapporto nazionale anno 2009. Roma: Il Pensiero Scientifico Editore, 2010: XXIV.
4. Ravasio R. Analisi di costo efficacia di emtricitabina/tenofovir disoproxil più efavirenz rispetto ad altri regimi antiretrovirali nel trattamento di prima linea di pazienti affetti da HIV. Giornale Italiano di Health Technology Assessment 2010; 3 (1): 1-11.
5. Delta n. 30, agosto 2006, pag. 8.
6. Ufficio Federale della Sanità Pubblica (UFSP). Programma nazionale HIV e altre infezioni sessualmente trasmissibili (PNHI) 2011-2017. Versione breve, Berna, 2010, pag. 14.