Datex ha scritto:leggendo i commenti nella pagina facebook di today, la trasmissione che ha ospitato sheen c'è un'armata di sostenitori che ha espresso solidarietà nei suoi confronti, ma soprattutto complimenti per il coraggio dimostrato. probabilmente molti sono fan ma non importa perchè spesso si innesca una reazione a catena che coinvolge anche altre persone.
link:
quello che sta infatti facendo infuriare non pochi, tra associazioni e sostenitore della causa, è che sheen sia stato costretto a rivelare la sua condizione in quanto ricattato. questo evidenzia di quanto sia vivo e vegeto lo stigma attorno a questa malattia. finalmente ne abbiamo una prova concreta e sarà curioso vedere come si evolverà la fase giudiziaria. sheen ha avvocati con le palle che potrebbero innescare un meccanismo interessante e creare un precedente nella giustizia americana (considerazione personale).
[...] credo tuttavia che una figura come sheen mancasse e che dai tempi di rock hudson nessun personaggio famoso e di spicco sia stato collegato alla malattia, a parte forse magic johnson che ormai non è più attivo come prima.
[...] insomma l'argomento hiv sta in questo momento riconquistando una certa attenzione e potrebbe innescare discussione e considerazioni sullo stigma, vera e unica barriera alla prevenzione, e sulla criminalizzazione.
Anzitutto, vorrei premettere che le idee che mi sto facendo sul “caso Charlie Sheen” sono così legate al susseguirsi degli eventi di questi giorni che molto probabilmente sono destinate a cambiare e anche a capovolgersi in base a quanto deve ancora accadere.
I ragionamenti che sto facendo al momento sono questi:
1. LA REAZIONE DELL’OPINIONE PUBBLICA ALLA RIVELAZIONE: come sappiamo – basti pensare a #JeSuisCharlie, solo per rimanere a un altro Charlie e a un evento vicino nel tempo – le prime reazioni a un evento che in qualsiasi modo colpisce l’opinione pubblica sono per lo più emotive. Appena l’emozione si stempera, la solidarietà lascia il posto ai distinguo, alle prese di distanza, al riemergere delle opinioni differenti.
Quindi non conterei troppo sul perdurare di sentimenti di umana comprensione nei confronti di Charlie Sheen e mi aspetto che, passata la commozione per un attore famoso che va in TV a fare rivelazioni sul suo stato di salute, se c’erano dei pregiudizi nei confronti della sua malattia, questi riprendano il sopravvento. A meno che l’ondata di emotività non venga incanalata verso una presa di coscienza razionale e collettiva sulla realtà dell’infezione da HIV oggi, nel 2015.
Questo può avvenire se, da qui all’1 dicembre, gli attivisti e le istituzioni sanitarie riusciranno a martellare con le corrette informazioni. Dopo il I dicembre, però, subentrerà la saturazione e più nessuno dedicherà il suo tempo a leggere articoli sull’HIV.
Quanto saranno solide le informazioni acquisite dall’opinione pubblica in questo paio di settimane? Quanto perdureranno?
Se lasciate a sé stesse, evaporeranno in brevissimo tempo e i pregiudizi riemergeranno.
Qui entra in gioco il punto numero 2.
2. LE REAZIONI DEGLI ATTIVISTI E DELLE ASSOCIAZIONI: il “caso Sheen” per chi si occupa in senso lato di HIV è un bagno di realtà, perché ha sbattuto sulle facce di tutti in modo dirompente quanto ancora sia profondo lo stigma e quanto facilmente i diritti delle persone con HIV possano essere violati. Per quanto dolorosi, i bagni di realtà possono essere molto utili, perché mettono di fronte alla necessità di aumentare il proprio impegno e di dirigerlo meglio, così da renderlo più efficace.
Chi si occupa di contrastare lo stigma sa quanto siano volatili le ondate emotive nel provocare cambiamenti e quanto invece sia il lavoro quotidiano, la goccia che scava la pietra, a indurre modificazioni profonde nel sentire dell’opinione pubblica. Io credo che quanto abbiamo visto in questi giorni servirà da stimolo agli attivisti per lavorare di più, per trovare modi nuovi e più efficaci per costruire una narrazione sull’infezione da HIV che sia più vicina a quello che l’infezione è oggi e permetta a chi non ce l’ha di capire come vivono le persone con il virus.
Parlo degli attivisti americani e di qualche inglese. Come è noto, il livello della mia fiducia nell'intelligenza e capacità di azione degli attivisti italiani è piuttosto basso.
3. CHARLIE SHEEN IN SÉ E PER QUANTO PUÒ “SERVIRE ALLA CAUSA”: le reazioni che ho letto degli attivisti americani mi sono parse molto simili alla prima reazione che ho avuto io. Come personaggio pubblico, Charlie Sheen mi piace poco: è un antisemita, un antivaccinista, un negazionista dell’11 settembre, uno che offende e minaccia le donne – non esattamente una persona con cui mi piacerebbe uscire a cena. Ma il modo in cui la sacralità della sua privacy è stata violata e il coraggio (e - ammettiamolo – anche il
mestiere) con cui ha affrontato il pubblico durante la trasmissione su
Today me l’hanno reso umanamente simpatico, mi hanno spinto a chiedermi
io come mi sentirei e come mi comporterei se fossi nei suoi panni? Sarei capace di altrettanto coraggio?
Passata la commozione e l’indignazione, rimane però da chiedersi se lui – Charlie Sheen come persona e come personaggio – possa servire come “poster boy”.
Io di questo dubito, proprio per le stesse ragioni per cui è stato massacrato dalla stampa: perché il personaggio pubblico che ha incarnato fino ad oggi ripropone esattamente lo stereotipo che si cerca di contrastare.
E poi c’è lui, la persona che è stata forzata a rivelare la propria sieropositività per mettere un freno ai ricatti.
Certamente dietro suggerimento del suo team legale,
ha dichiarato in una “lettera aperta”:
- […] In questo periodo sconcertante e difficile [dopo la diagnosi], io ero disorientato e ho scelto (o pagato) la compagnia di tipi disgustosi e insulsi. Indipendentemente dalla loro cattiva reputazione, per quanto riguarda la mia condizione io mi sono sempre comportato onestamente, usando i condom. Purtroppo, la mia verità ben presto è divenuta il loro tradimento; come un diluvio di ricatto ed estorsione, è divenuta protagonista in questo circo dell’inganno.
Fino ad oggi, ho pagato milioni e milioni a questi feroci ciarlatani.
Bloccato in un vuoto di paura, ho scelto di consentire alle loro minacce e ai loro imbrogli di esaurire in gran parte l’eredità dei miei figli, mentre il mio “segreto” rimaneva seppellito negli alveari della loro follia (o così io pensavo).
Notizia flash: questo finisce oggi. Reclamo indietro la mia libertà. I piatti della bilancia della giustizia saranno rapidamente e giustamente rimessi in equilibrio.
In conclusione: io accetto questa condizione non come una maledizione o un flagello, ma come un’opportunità e una sfida. Un’opportunità per aiutare gli altri. Una sfida per migliorare me stesso. […]
I giorni delle feste sono dietro di me. I giorni della filantropia mi sono davanti.
Ernest Hemingway una volta scrisse: “Il coraggio è grazia sotto pressione”.
Il tempo di stare sotto pressione per me è finito. Ora io abbraccio il coraggio e la grazia.
Quanto lui stesso sarà disponibile ad essere usato come “poster boy” credo dipenderà molto dalle sue vicende legali, se dovrà affrontare dei processi per cause di “non disclosure”, se da questi processi emergerà che ha messo in pericolo o addirittura infettato qualcuno, se subirà delle condanne.
Questo è presto per dirlo, perché fino ad ora quel che si è visto è solo polvere negli occhi.
In ogni caso, ascoltando le parole del Dr Robert Huizenga (
*) – molto noto a Hollywood come “Dr Robert” e con un passato che comprende la partecipazione all'abilissima difesa di OJ Simpson – la mia impressione è che la linea di difesa sia già stata tracciata: se Charlie Sheen finirà in tribunale, i suoi legali useranno l’argomento del disturbo bipolare per spiegare gli eccessi della sua vita passata che l’hanno “portato” a mettere a rischio la sua salute “e dunque” a infettarsi. E, se emergerà che non ha rivelato la sua condizione prima di fare sesso o addirittura ha infettato qualcuno, verrà usata la depressione per spiegare sia il comportamento incosciente, sia la mancata aderenza alla terapia antiretrovirale. Il tutto allo scopo di procacciargli attenuanti.
Non esattamente quel che ci vuole per contrastare i pregiudizi che gravano sulle persone con HIV - nel caso, un Charlie Sheen che incarna lo psicopatico drogato e ubriacone che si infetta per la sua vita dissoluta e infetta altri perché troppo stordito per ricordarsi di prendere le medicine sarebbe l'ultima cosa che serve a chi cerca di alleggerire lo stigma.
Ecco, più o meno queste sono le riflessioni che sto facendo in questi giorni.
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