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da friendless » mercoledì 2 novembre 2011, 5:59
Rispondo a carletto, perché penso che spiegarmi sia meglio che lasciare le cose in sospeso. Vista l'ora e considerato il fatto che ho una mattinata piena di impegni, per forza di cose, butto giù qualche pensiero senza garantire una lucidità e una chiarezza di esposizione che invece, vista l'importanza della discussione, sarebbero necessari.
Partiamo da una considerazione. Io quando sono stato in metabolica, per la verità più gli anni addietro che le ultime volte, ho avuto le stesse identiche impressioni di jonathan. Quello che i miei occhi hanno visto e le considerazioni che ne sono conseguite nel mio cervello sono state di essere di fronte a persone alla deriva. Ovviamente non è che tutti fossero così, ma era così alta la concentrazione di uomini e donne che emanavano questo alone di disagio, emarginazione, sciatteria, povertà che non poteva non essere colto.
La cosa mi ha colpito intensamente, senza che provassi nei confronti di queste persone sentimenti di superiorità o disprezzo, perché non ne ero abituato.
Nell'ospedale in cui sono seguito, in una cittadina del nord, io tutta questa malattia - fisica e morale - non la vedo. Perché non c'è.
Quando io vado all'ospedale qui è come se entrassi nella sala d'aspetto di oculistica. In metabolica, soprattutto nel 2005 - 2009, era diverso. Era un altro ambiente. Era come entrare nella germania dell'est provenendo da ovest. Era quasi come entrare in un sert, ma non perché fossero tutti fattoni, ma perché questo alone di malattia emanava da tante persone. E non solo per la lipo, perché erano sciatti nel vestire, trascurati, spenti, erano a tutti gli effetti persone alla deriva.
Perciò io a modena ho avuto la stessa impressione di jonathan e non mi ha stupito sentirlo usare un'espressione forte come il bar di guerre stellari.
Quando noi sieropositivi parliamo di aids parliamo di qualcosa che rappresenta la nostra vita. L'aids è una parte fondamentale di noi stessi. Tocca le nostre corde più profonde e io trovo assurdo e sbagliato che qualcuno si provi a dire a un altro cosa deve vedere, cosa deve pensare e come debba elaborare ciò che vede e ciò che pensa.
Non esiste distanza tra noi e l'aids, perché la maattia è la nostra vita, e qualunque pretesa di dire come dobbiamo interpretarla è moralismo.
Parlassimo di qualcosa che è più distante, parlassimo della guerra o della opportunità che pazzini giocasse titolare, sarebbe lecito questionare su ciò che uno deve vedere e dire.
Ma sull'aids secondo me no, perché l'aids è una cosa troppo legata alla nostra vita e troppo importante per questionare.
Siamo sempre di fronte a una questione di sensibilità personale. Siamo come persone che hanno vissuto il lager. Primo Levi isegna. Nei sommersi e salvati, libro che ho letto tanto tempo fa, Levi racconta come ciascuno vivesse quell'esperienza a modo suo, ci vedesse quello che voleva e pensasse come credeva, in base alla propria sensibiltà.
Levi racconta come il suo atteggiamento fosse completamente diverso e in disaccordo con quello che aveva l'intellettuale di auschiwtz - amery - e siamo di fronte a due persone di cultura, sapienza e sensibilità superiore.
Per concludere: sull'aids, una questione così vitale e intima, lasciamo che ognuno veda e pensi quello che vuole, e lasciamo quel tipo di considerazioni per argomenti che ci toccano meno da vicino.
Per questo il tuo intervento a me è risultato di un moralismo insopportabile, indigeribile come un sasso preso a mattina a colazione.
Non per offenderti, carletto, mi è parso un intervento che neanche muccioli quando veniva a parlare agli ospiti di san patrignano era così pesante. Un predicozzo, una predica di buonsenso da pretino di paese. E non l'ho sopportato.
Potrei e dovrei aggiungere altro ma il tempo è finito e devo allontanarmi dal pc.