“Il lavoro rende liberi”

Divagazioni...
Leon
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“Il lavoro rende liberi”

Messaggio da Leon » venerdì 10 agosto 2012, 11:58

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( http://www.corriere.it/esteri/12_agosto ... 8e55.shtml )

Confesso che non so chi sia il genio del scarcasmo più nero (e del male) che si è inventato le insegne “Il lavoro rende liberi” (“Arbeit macht frei”) che campeggiavano all'ingresso dei lager nazisti e che conservano tuttora il grande (e unico) merito di far venire i brividi solo a vederle.

Ora, che cosa ha fatto, in totale, la conduttrice radiofonica tedesca dell'articolo? Se non ho inteso male, ha semplicemente ripreso, "in tono minore" - e precisamente sostituendo al sarcasmo l'ironia e agli orrori estremi del nazismo un sovrappiù (lavoro anche nel fine settimana) dell'ordinario supplizio di una vita che già è tale per sua natura, e per giunta tocca pagare con il sudore della fronte (almeno cristiani e ebrei dovrebbero ricordarsi che si tratta di una tremenda maledizione inflitta da Dio Padre in persona, o mi sbaglio?) - il "motto" che dicevo. Un motto che non solo è così folle da poter essere pronunciato unicamente in senso appunto ironico (o più), ma - attenzione! - è anche pericolosissimo NON pronunciare (in tale, obbligato modo), perché altrimenti c'è il rischio che si finisca per prenderlo sul serio, e allora sì son guai, perché c'è sempre qualcuno pronto a approfittarne per portarlo (solo per quanto riguarda gli altri, ovvio) a certe più o meno estreme conseguenze.

Per quale motivo, anziché tributarle un riconoscimento, a questa intelligente conduttrice sia stata tappata la bocca, mettendola immediatamente alla porta e addirittura facendola oggetto di accuse veramente da manicomio ("incitamento all'odio razziale" :shock: :?: :?: :?: ), è per me incomprensibile, per non dire, considerati i mala tempora che currunt, sinistro. :?

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Non dimenticare (e attenzione alle contraffazioni!)


N.B. Mi rendo conto che quanto ho scritto è molto facile da fraintendere (anche perché è molto difficile da esprimere, almeno per me), ma me ne sono infischiato e, forse anche perché li temo/prevedo stupidi o capziosi, mi scuso fin d'ora se non risponderò a eventuali interventi al riguardo.



Dora
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Re: “Il lavoro rende liberi”

Messaggio da Dora » venerdì 10 agosto 2012, 12:50

Leon ha scritto:Confesso che non so chi sia il genio del scarcasmo più nero (e del male) che si è inventato le insegne “Il lavoro rende liberi” (“Arbeit macht frei”) che campeggiavano all'ingresso dei lager nazisti e che conservano tuttora il grande (e unico) merito di far venire i brividi solo a vederle.

Ora, che cosa ha fatto, in totale, la conduttrice radiofonica tedesca dell'articolo? Se non ho inteso male, ha semplicemente ripreso, "in tono minore" - e precisamente sostituendo al sarcasmo l'ironia e agli orrori estremi del nazismo un sovrappiù (lavoro anche nel fine settimana) dell'ordinario supplizio di una vita che già è tale per sua natura, e per giunta tocca pagare con il sudore della fronte (almeno cristiani e ebrei dovrebbero ricordarsi che si tratta di una tremenda maledizione inflitta da Dio Padre in persona, o mi sbaglio?) - il "motto" che dicevo. Un motto che non solo è così folle da poter essere pronunciato unicamente in senso appunto ironico (o più), ma - attenzione! - è anche pericolosissimo NON pronunciare (in tale, obbligato modo), perché altrimenti c'è il rischio che si finisca per prenderlo sul serio, e allora sì son guai, perché c'è sempre qualcuno pronto a approfittarne per portarlo (solo per quanto riguarda gli altri, ovvio) a certe più o meno estreme conseguenze.

Per quale motivo, anziché tributarle un riconoscimento, a questa intelligente conduttrice sia stata tappata la bocca, mettendola immediatamente alla porta e addirittura facendola oggetto di accuse veramente da manicomio ("incitamento all'odio razziale" :shock: :?: :?: :?: ), è per me incomprensibile, per non dire, considerati i mala tempora che currunt, sinistro. :?
Non so se sia per amor di retorica, o perché vuoi vedere solo l'orrore metafisico del lavoro (della vita), o che cosa; ma secondo me trascuri un aspetto non marginale della questione: la frase che fa venire i brividi, sia se si pensa allo stravolgimento grottesco che ne hanno fatto i nazisti, sia se si pensa alla maledizione biblica che incombe sul genere umano, per un altro aspetto - forse meno metafisico, ma certo concreto e adattabile alla vita di molti - è anche profondamente vera.
Pensa solo a quante donne, lavorando e quindi rendendosi economicamente autonome, si sono liberate dal giogo del matrimonio e della dipendenza economica (e non solo) da un uomo, magari disgustoso.

Quanto alla disavventura della conduttrice, mi sembra l'ennesima vittima di quel predominio del politicamente corretto che ammorba le nostre vite. In fondo, mi sa che il vero, immenso, problema è che esiste una grande maggioranza di esseri umani incapaci di distinguere fra l'uso letterale del linguaggio e tutti quegli altri registri, che vanno dall'ironia al sarcasmo, dal paradossale al grottesco, che quella letteralità la ribaltano, rendendo il senso delle parole più difficile da comprendere, molto meno dominabile, ma insieme anche il mondo più stratificato e vario e tanto meno noioso.
Insomma, l'incapacità di gestire la complessità, che porta all'irrigidimento e alla polarizzazione, quindi alla perdita delle sfumature.

Comunque sia, certe frasi, certe parole, in certe lingue, in determinati luoghi o periodi storici, si cristallizzano in un certo significato e riaprirle alla molteplicità è difficilissimo.
"Arbeit macht frei" mi pare un esempio paradigmatico.



friendless

Re: “Il lavoro rende liberi”

Messaggio da friendless » venerdì 10 agosto 2012, 15:39

Dora ha scritto:
Quanto alla disavventura della conduttrice, mi sembra l'ennesima vittima di quel predominio del politicamente corretto che ammorba le nostre vite. In fondo, mi sa che il vero, immenso, problema è che esiste una grande maggioranza di esseri umani incapaci di distinguere fra l'uso letterale del linguaggio e tutti quegli altri registri, che vanno dall'ironia al sarcasmo, dal paradossale al grottesco, che quella letteralità la ribaltano, rendendo il senso delle parole più difficile da comprendere, molto meno dominabile, ma insieme anche il mondo più stratificato e vario e tanto meno noioso.
Insomma, l'incapacità di gestire la complessità, che porta all'irrigidimento e alla polarizzazione, quindi alla perdita delle sfumature.
Effettivamente è così. Anche qui da noi, nei forum, spesso succede che le persone gridino allo scandalo quando leggono delle affermazioni forti e questo succede perché si fermano a ciò che trovano scritto in modo letterale e non valutano le intenzioni o il tono con cui un pensiero viene formulato. A volte è proprio un limite, che io ascrivo a una disabitudine alla lettura. Altre volte è la semplice voglia di voler barbonare ... ma quando uno ha familiarità coi polemisti (esempi? hitchens o busi o carmelo bene) capisce che spesso per provocare o per il gusto del paradosso o per fare dell'ironia chi scrive esagera e la spara un po' grossa. Magari è semplicemente perché si mostra solo un aspetto della realtà che ovviamente è più complessa. A me è capitato di esprimermi con libertà nel forum del sieropositivo salvo poi accorgermi che o uno o l'altro saltava in piedi scandalizzato e ne nasceva una storia e mi accusavano di avercela con questo o con quello (una volta erano i musulmani l'altro il piatto in cui mangiavo - proprio così-). Alla fine ho smesso di scrivere.



Puzzle
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Re: “Il lavoro rende liberi”

Messaggio da Puzzle » venerdì 10 agosto 2012, 15:58

Avendo conosciuto la Germania e i tedeschi ho constatato quanto siano estremamente sensibili per i fatti commessi durante la 2a guerra mondiale. In genere non amano scherzare e non tollerano ironie su certi argomenti. E loro stessi lo ammettono. Sarà che hanno un senso della memoria diverso dal nostro, che conservino ancora dei sensi di colpa collettivi e che la II guerra mondiale, che per noi è stata dimenticata e relegata ai libri di storia, per loro si è completamente risolta solo recentemente con l'unificazione delle due germanie, queste reazioni non mi meravigliano.
Ultima modifica di Puzzle il venerdì 10 agosto 2012, 20:49, modificato 1 volta in totale.



Eilan
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Re: “Il lavoro rende liberi”

Messaggio da Eilan » venerdì 10 agosto 2012, 16:25

Vado forse un po' fuori tema, ma non credo più di tanto. Se ci atteniamo solamente alla frase in sè - il lavoro rende liberi - c'è qualcosa che non funziona, o meglio, per poter far parte di questa società consumistica è normale che il lavoro ti dia l'opportunità di avere, di mangiare, di sopravvivere, ma non ti rende sicuramente libero, anzi, sempre più, ora come ora, si accettano condizioni minime, sottopagate e svalutate che rendono il lavoro oltre che l'unica possibilità, una schifezza assoluta.
Se si potesse scegliere tra lavorare e non lavorare sarebbe un altro discorso, riuscendo a vivere lo stesso anche rimanendo al di fuori del circuito lavorativo, almeno per il minimo indispensabile, ma l'ingranaggio oramai è questo ed è una scelta obbligata.
Oltretutto è stato forse anche troppo mitizzato il lavoro, e reso sempre più obbligatorio, ma nella malaugurata ipotesi,sempre più realistica in questi tempi, che uno lo perda e non lo trova più, nel giro di breve tempo, diventa un reietto, un peso per la società, muore in poche parole, perchè quest'ultima (la società) non ha nulla da offrirgli in cambio, nemmeno i propri principi religiosi di assistenza, sussistenza, di solidarietà o di libertà individuale.
Si muore pure per lavoro sia chiaro, le cronache degli ultimi giorni (ma solo per ordine temporale) ce lo ricordano bene - vedere ILVA - dove per inciso i lavoratori e non solo loro, sono consapevoli della probabile fine che gli aspetta, ma non possono scegliere, perchè non esistono alternative, oppure se anche vi fossero a quale prezzo le affronterebbero? Quindi il lavoro non rende liberi ma è, e rimane sempre una gran schiavitù.
In un sistema come questo non esistono altri surrogati a questo, oltremodo si è passati dalla solidarietà alla competizione, dal sano e giusto corporativismo ad un individualismo senza morale, dove farsi le scarpine, sembra diventata la lotta quotidiana per allungare e continuare solo l'agonia lavoratizia delle persone, dove se si ha la fortuna di non ammalarsi nel corpo, ti avveleni l'anima.
A parte il fatto che 40 anni di lavoro sono un abominio, nella mia società ideale immaginaria penso proprio che se potessi non lavorerei, avrei ben altri stimoli che mi piacerebbe coltivare anzichè cercare di pararmi le spalle giornalmente per difendere il mio posto di lavoro sia dai poveretti come me, che dall'inadeguatezza di una classe dirigente incapace, della crisi mondiale, e da un sistema politico finanziario malato, sbagliato e profondamente ingiusto. Per cui per finire mi viene in mente l'accattone di Pasolini che aveva ''scelto'' di non far parte di un sistema, ma ora che tu ne faccia parte o meno la fine è quasi sempre la stessa.



Tarek
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Re: “Il lavoro rende liberi”

Messaggio da Tarek » venerdì 10 agosto 2012, 16:59

Puzzle ha scritto:Avendo conosciuto la Germania e i tedeschi ho notato quanto siano estremamente sensibili per i fatti commessi durante la 2a guerra mondiale. In genere non amano scherzare e non tollerano ironie su certi argomenti. E loro stessi lo ammettono. Sarà che hanno un senso della memoria diverso dal nostro, che conservino ancora dei sensi di colpa collettivi e che la II guerra mondiale, che per noi è stata dimenticata e relegata ai libri di storia, per loro si è completamente risolta solo recentemente con l'unificazione delle due germanie, queste reazioni non mi meravigliano.
Leggere Gunter Grass dá l'idea della Germania con tutte le sue colpe e, stranamente, qualche anno fa, anche Gunter è stato dipinto come nazista quando in verità ha sempre difeso i diritti umani.



stealthy
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Re: “Il lavoro rende liberi”

Messaggio da stealthy » venerdì 10 agosto 2012, 17:59

flavio ha scritto:
Puzzle ha scritto:Avendo conosciuto la Germania e i tedeschi ho notato quanto siano estremamente sensibili per i fatti commessi durante la 2a guerra mondiale. In genere non amano scherzare e non tollerano ironie su certi argomenti. E loro stessi lo ammettono. Sarà che hanno un senso della memoria diverso dal nostro, che conservino ancora dei sensi di colpa collettivi e che la II guerra mondiale, che per noi è stata dimenticata e relegata ai libri di storia, per loro si è completamente risolta solo recentemente con l'unificazione delle due germanie, queste reazioni non mi meravigliano.
Leggere Gunter Grass dá l'idea della Germania con tutte le sue colpe e, stranamente, qualche anno fa, anche Gunter è stato dipinto come nazista quando in verità ha sempre difeso i diritti umani.
Non voglio uscire fuori dal tema e me ne scuso: ma Günther Grass non si può certo dire che ha sempre difeso i diritti umani... E' nazista a senso unico, questo sì.
friendless ha scritto:[...]
Effettivamente è così. Anche qui da noi, nei forum, spesso succede che le persone gridino allo scandalo quando leggono delle affermazioni forti e questo succede perché si fermano a ciò che trovano scritto in modo letterale e non valutano le intenzioni o il tono con cui un pensiero viene formulato. A volte è proprio un limite, che io ascrivo a una disabitudine alla lettura. Altre volte è la semplice voglia di voler barbonare ... ma quando uno ha familiarità coi polemisti (esempi? hitchens o busi o carmelo bene) capisce che spesso per provocare o per il gusto del paradosso o per fare dell'ironia chi scrive esagera e la spara un po' grossa. Magari è semplicemente perché si mostra solo un aspetto della realtà che ovviamente è più complessa. A me è capitato di esprimermi con libertà nel forum del sieropositivo salvo poi accorgermi che o uno o l'altro saltava in piedi scandalizzato e ne nasceva una storia e mi accusavano di avercela con questo o con quello (una volta erano i musulmani l'altro il piatto in cui mangiavo - proprio così-). Alla fine ho smesso di scrivere.
Condivido e hai colto in pieno l'ironia.



isabeau
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Re: “Il lavoro rende liberi”

Messaggio da isabeau » venerdì 10 agosto 2012, 18:08

Melisanda ha scritto:Vado forse un po' fuori tema, ma non credo più di tanto. Se ci atteniamo solamente alla frase in sè - il lavoro rende liberi - c'è qualcosa che non funziona, o meglio, per poter far parte di questa società consumistica è normale che il lavoro ti dia l'opportunità di avere, di mangiare, di sopravvivere, ma non ti rende sicuramente libero, anzi, sempre più, ora come ora, si accettano condizioni minime, sottopagate e svalutate che rendono il lavoro oltre che l'unica possibilità, una schifezza assoluta.
Se si potesse scegliere tra lavorare e non lavorare sarebbe un altro discorso, riuscendo a vivere lo stesso anche rimanendo al di fuori del circuito lavorativo, almeno per il minimo indispensabile, ma l'ingranaggio oramai è questo ed è una scelta obbligata.
Oltretutto è stato forse anche troppo mitizzato il lavoro, e reso sempre più obbligatorio, ma nella malaugurata ipotesi,sempre più realistica in questi tempi, che uno lo perda e non lo trova più, nel giro di breve tempo, diventa un reietto, un peso per la società, muore in poche parole, perchè quest'ultima (la società) non ha nulla da offrirgli in cambio, nemmeno i propri principi religiosi di assistenza, sussistenza, di solidarietà o di libertà individuale.
Si muore pure per lavoro sia chiaro, le cronache degli ultimi giorni (ma solo per ordine temporale) ce lo ricordano bene - vedere ILVA - dove per inciso i lavoratori e non solo loro, sono consapevoli della probabile fine che gli aspetta, ma non possono scegliere, perchè non esistono alternative, oppure se anche vi fossero a quale prezzo le affronterebbero? Quindi il lavoro non rende liberi ma è, e rimane sempre una gran schiavitù.
In un sistema come questo non esistono altri surrogati a questo, oltremodo si è passati dalla solidarietà alla competizione, dal sano e giusto corporativismo ad un individualismo senza morale, dove farsi le scarpine, sembra diventata la lotta quotidiana per allungare e continuare solo l'agonia lavoratizia delle persone, dove se si ha la fortuna di non ammalarsi nel corpo, ti avveleni l'anima.
A parte il fatto che 40 anni di lavoro sono un abominio, nella mia società ideale immaginaria penso proprio che se potessi non lavorerei, avrei ben altri stimoli che mi piacerebbe coltivare anzichè cercare di pararmi le spalle giornalmente per difendere il mio posto di lavoro sia dai poveretti come me, che dall'inadeguatezza di una classe dirigente incapace, della crisi mondiale, e da un sistema politico finanziario malato, sbagliato e profondamente ingiusto. Per cui per finire mi viene in mente l'accattone di Pasolini che aveva ''scelto'' di non far parte di un sistema, ma ora che tu ne faccia parte o meno la fine è quasi sempre la stessa.
certo e' ke ki si puo' permettere di non lavorare e' "libero vero"..per tutto il resto conconrdo...concordo pure con la Dora quando dice ke se sei autosufficente puoi gestire la tua vita in modo diverso..e se non sei"ricco"il lavoro ti da' la possibilita' di scelta...per quanto riguarda la giornalista...mi spiace per lei...purtroppo ci sono delle "parole" ke rimangono "scolpite "per cui diventa complicato dargli un altro senso...cmnq spero di vincere al superenalotto e va' davià i ciàp :mrgreen:



Tarek
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Re: “Il lavoro rende liberi”

Messaggio da Tarek » venerdì 10 agosto 2012, 21:00

Non voglio uscire fuori dal tema e me ne scuso: ma Günther Grass non si può certo dire che ha sempre difeso i diritti umani... E' nazista a senso unico, questo sì.
Puzzle, prima di giudicarlo dovresti leggerlo. Gli scrittori devono sempre meravigliare/sconvolgere se no nessuno li legge.

Comunque per questa dichiarazione:
Nell'agosto del 2006, ormai settantottenne, lo scrittore tedesco dichiarò, in un'intervista al giornale Frankfurter Allgemeine Zeitung, di aver militato durante la guerra nella 10. SS-Panzer-Division "Frundsberg" delle Waffen-SS, come volontario e non coscritto come si era fino a quel momento creduto, anche se arruolatosi in realtà con il desiderio di diventare sommergibilista. «Il motivo fu - racconta lo scrittore - comune per quelli della mia generazione, un modo per girare l'angolo e voltare le spalle ai genitori.» non si può giudicare una persona. (Le sue ultime prese di posizione sono quella contro una possibile aggressione di Israele all'Iran nonché contro la proliferazione nucleare) ma ha quasi 85 anni :?

Io ho letto con le lacrime agli occhi il Tamburo di Latta (scritto nel 1959). Ecco qualche stralcio

Dal manicomio in cui è rinchiuso, Oskar Matzerath, giovane tedesco fisicamente deforme ma dotato di un'intelligenza superiore e paranoica, rievoca suonando il suo tamburo di latta tutta la vita sua, della sua famiglia e della Germania del 1900

Oskar vive la sua vita da bambino suonando il tamburo che porta sempre appeso al collo. Scopre inoltre che la sua voce ha delle capacità "vetricide". E il suo primo giorno di scuola utilizza questa capacità contro la maestra, chiudendo così per sempre la sua brevissima esperienza scolastica.

Intanto però la vita di Oskar scorre "normale", disturbando col suo tamburo i comizi dei politici nazisti, distruggendo il vetro con la sua voce e tentando i cittadini di Danzica al furto, fracassando di notte le vetrine dei negozi davanti a passanti ignari.

Al funerale della madre partecipa anche il giocattolaio ebreo Sigismund Markus, dal quale Oskar si rifornisce di tamburi, che viene allontanato da alcuni membri del partito nazista presenti alla funzione. Un giorno di novembre del 1938 Oskar, ritrovandosi con il tamburino rotto, decide di recarsi al negozio di giocattoli per acquistarne uno nuovo, ma trova il negozio distrutto a causa dei pogrom antisemiti che dilagano. Oskar ritrova il giocattolaio morto suicida nel suo studio.

Oskar quindi, ormai ventenne, comincia a frequentare un gruppo di teppistelli nei pressi di una fabbrica. Dopo essere stato la loro vittima, diviene il capobanda della cosiddetta "Banda dei conciatori", dandosi il nome di Gesù. Le loro scorribande si rivelano sacrileghe e antireligiose, fino a quando questi vandalismi non vengono scoperti dalla polizia.

La guerra intanto continua e la famiglia Matzerath si rifugia nella cantina per difendersi dagli attacchi aerei. Quando i russi arrivano a Danzica, fanno irruzione anche nella cantina dei Matzerath. Qui Oskar si rende responsabile ancora una volta della morte di uno dei suoi "due padri": Alfred cerca di nascondere una spilla nazista che ha in bella mostra davanti ai soldati sovietici, prima nella mano, poi cerca d'inghiottirla e rimane dapprima soffocato, poi mitragliato dai nemici.


Comunque anche Louis Ferdind Celine, che amo tanto , é stato condannato dopo la guerra per antisemitismo ma nei sui librii c'era tutto fuorche l'odio verso gli Ebrei.

Anche Gore Vidal , recentemente defunto, era antisemita



Puzzle
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Re: “Il lavoro rende liberi”

Messaggio da Puzzle » sabato 11 agosto 2012, 0:27

flavio ha scritto:
Non voglio uscire fuori dal tema e me ne scuso: ma Günther Grass non si può certo dire che ha sempre difeso i diritti umani... E' nazista a senso unico, questo sì.
Puzzle, prima di giudicarlo dovresti leggerlo. Gli scrittori devono sempre meravigliare/sconvolgere se no nessuno li legge.
Non sono io che l'ho giudicato, hai sbagliato a quotare. Anzi, non so neanche cosa possa significare accusare Günther Grass di "essere nazista". Sono più accuse intellettuali che fondate su reali idealismi. La vera apologia del nazismo in Germania è punita severamente. E lì ne conservano piena memoria, come ho scritto sopra. Ho avuto modo di visitare il campo di Sachsenhausen, poco distante da Berlino, durante una commemorazione e posso assicurare che è conservato molto bene. Come sono stati ristrutturati egregiamente per essere conservati ai posteri i sotterranei della sede della Gestapo (l'edificio non esiste più) a Berlino, dove venivano imprigionati i dissidenti politici con le sale di tortura che mi hanno fatto un certo effetto.

Il Tamburo di latta l'ho letto tantissimi anni fa, quando ero ragazzo e non me lo ricordo. Celine piace tantissimo anche a me (Viaggio al termine della notte) e il suo antisemitismo lo ha trasmesso in modo esplicito solo in alcuni scritti dedicati al tema. Ma a mio avviso resta sempre una grande del '900.



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