Per riuscire ad eliminare il reservoir latente di HIV, è stata disegnata una strategia – chiamata “shock and kill” – che nella sua versione 2.0 prevede, oltre all’uso di sostanze anti-latenza per stimolare la trascrizione del virus latente (fase di “shock”), anche il rafforzamento delle reazioni citolitiche dei linfociti T, indeboliti da anni di infezione e di antiretrovirali, per aiutarli a distruggere le cellule latentemente infette in cui il virus è stato riattivato. Infatti, da sole queste cellule ci mettono troppo tempo a morire e – nel frattempo – costituiscono una pericolosa fabbrica di virioni, oppure possono tornare completamente quiescenti e dare nuova linfa al reservoir (fase di “kill”).
Sì è infatti visto in questi anni che, da solo, il sistema immunitario è inefficiente nel riconoscere le rare cellule quiescenti che presentano sulla propria superficie livelli modesti di antigeni virali grazie alla riattivazione della trascrizione del virus, sia perché il reservoir latente contiene HIV che ha sovente sviluppato mutazioni che gli permettono di sfuggire dalla pressione dei CD8 HIV-specifici, sia perché nelle persone in terapia i CD8 HIV-specifici in circolazione sono molto pochi.
Ma distruggere il maggior numero possibile di cellule del reservoir è la premessa per arrivare a una cura, sia essa un controllo della viremia senza bisogno di farmaci, o una vera e propria eradicazione.
La prima via che è stata sperimentata per rinforzare le reazioni CTL è stata quella dei vaccini terapeutici.
Quello in fase più avanzata e che ha dato i risultati migliori è il Vacc-4x di Bionor, che è studiato anche in un importante trial in combinazione con romidepsina, per il quale stiamo aspettando a breve i risultati.
Si è visto che il Vacc-4x riusciva a migliorare le risposte all’HIV e a consentire un modestissimo controllo delle viremie durante brevi periodi di interruzione della ART. Ma quella sperimentazione non è stata in grado di dirci se il vaccino abbia ridotto il reservoir di cellule latentemente infette o se, addirittura, non l’abbia invece aumentato, stimolando la replicazione virale.
È di soli cinque giorni fa la pubblicazione su JAIDS dei risultati del trial canadese CTN 173 sugli effetti di un altro vaccino terapeutico – ALVAC-HIV – da solo o in combinazione con un altro candidato vaccino terapeutico – Remune - sulle dimensioni del reservoir: zero. Niente, nessuna influenza: ALVAC-HIV ± Remune ha causato un certo ritardo nel rebound delle viremie alla sospensione della ART, ma al reservoir non ha fatto nulla.
D’altra parte, che la poco gloriosa storia dei vaccini terapeutici contro HIV sia costellata di delusioni e sconfitte è cosa ben nota.
Ma fortunatamente le reazioni CTL possono essere stimolate anche seguendo vie diverse da quelle dei vaccini terapeutici.
Di alcune di queste vie – come ad esempio la molto promettente 3B3-PE38 composta da un’immunotossina e un anticorpo monoclonale, o la meno avanzata radio-immuno-terapia – è già capitato di parlare. Così come abbiamo a lungo parlato del ruolo degli anticorpi monoclonali e anche del possibile ruolo del GS-9620, l’agonista del Toll-Like Receptor-7 sperimentato da Gilead contro la latenza, nel favorire l’attivazione delle cellule NK e dei CD8.
E abbiamo visto l’IL-15 potenziata (ALT-803) stimolare le cellule NK nei topi a un punto tale da far loro sopprimere l’infezione in fase acuta e da spingere i ricercatori a pensare che, unendo ALT-803 a bNAbs, le NK stimolate potrebbero favorire quel meraviglioso meccanismo dell’immunità cellulare che è noto come citotossicità mediata da cellule dipendente da anticorpi (ADCC), che potrebbe portare alla distruzione delle cellule latentemente infette.
E poi abbiamo discusso della regolazione dell’interazione fra PD-1 e PD-L1 e sicuramente di molto altro ancora che adesso non mi viene in mente …
[E sì, certo, c’è anche la via di Savarino auranofin + butionina sulfossimina che potrebbe permettere di fare a meno dei vaccini terapeutici (anche se non vorrei ricordarla, perché ora arriverà qualcuno a chiedere che fine ha fatto quella sperimentazione e io dovrò dire che al momento tutto tace).]
Insomma, non di soli vaccini terapeutici vive la speranza di arrivare a rendere il sistema immunitario un killer spietato del reservoir latente di HIV.
In questo periodo, mi è capitato di leggere diversi lavori sulle alternative ai vaccini per la fase di “kill”. Ho quindi pensato di raccontarne qualcuno in un thread appositamente dedicato.
Cominciamo con le DART.
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PROTEINE DART® (Dual-Affinity Re-Targeting) PER MEDIARE LA DISTRUZIONE DA PARTE DEI CD8 DEI CD4 LATENTEMENTE INFETTI
Le DART® sono delle molecole bi-specifiche prodotte da MacroGenics mettendo insieme delle proteine (degli anticorpi) in modo da renderle capaci di colpire – con una sola molecola – bersagli multipli.

Sono una tecnologia molto flessibile, che può essere utilizzata per indirizzare le cellule killer del sistema immunitario contro tumori solidi o del sangue, oppure per modulare il segnale dei linfociti B e bloccare la produzione di citochine nelle malattie auto-immuni, o anche – ed è qui che diventano interessanti per noi – per colpire epitopi virali, magari in futuro anche coniugandole con immunotossine (cioè proteine bifunzionali, che – come la 3P3-PE38 cui ho fatto cenno sopra - sono formate da un anticorpo e da una tossina).

Altro pregio delle DART è di essere molecole piccole, che penetrano facilmente nei tessuti e nei tumori. La loro struttura è compatta e le rende particolarmente adatte a formare dei contatti stabili fra cellula target e cellula effettore.
Nella loro versione iniziale, queste proteine avevano il difetto di un’emivita nel siero molto breve, quindi richiedevano una scomodissima infusione continua. Ora sono state modificate e rimangono in circolazione per il tempo che serve per una somministrazione più comoda ed efficace.
Questa classe di molecole bispecifiche è già stata studiata in vivo in diversi trial su diverse neoplasie e si è visto sia che è efficace a dosaggi molto più bassi rispetto a quelli usati in genere per i mABs, sia che ha un profilo di sicurezza accettabile.
Grazie alla collaborazione fra Duke University (Barton Haynes) e University of North Carolina, Chapel Hill (David Margolis), è stata sviluppata HIVxCD3 DART. Si tratta di una proteina DART che combina due anticorpi non neutralizzanti – A32 e 7B2 – che si legano rispettivamente alle parti più conservate della proteina Env di HIV, gp120 e gp41, stimolando la citotossicità mediata da cellule dipendente da anticorpi (ADCC) per distruggere le cellule infettate da diversi sottotipi di HIV, con hXR32, un anticorpo anti-CD3 che dirige la DART verso i linfociti T (genericamente - i CD3), reindirizzandoli contro le cellule che esprimono anche bassissimi livelli di Env sulla loro superficie.

Il lavoro da cui sto traendo queste informazioni è stato pubblicato a fine settembre sul Journal of Clinical Investigation: Dual-Affinity Re-Targeting proteins direct T cell–mediated cytolysis of latently HIV-infected cells.
Qui Margolis, Haynes e colleghi hanno dimostrato la capacità delle HIVxCD3 DART di riconoscere i CD4 che esprimevano la Env di HIV e reindirizzare i CD8 contro i CD4 infetti per distruggerli.
Sono stati fatti diversi esperimenti, in cui sono state usate linee cellulari, ma sono anche stati prelevati i linfociti T a persone sieronegative e a persone con HIV in terapia e poi i CD4 sono stati (re)infettati sia con diversi sottotipi di HIV, sia con virus riattivato dal reservoir latente di ciascun paziente.
In tutti gli esperimenti, le DART hanno reindirizzato i CD8 a distruggere le cellule infette. Non solo, ma dal momento che le DART esprimono genericamente il CD3, anche i CD4 sono stati stimolati a svolgere il loro ruolo citotossico (questo fenomeno sarà da approfondire per capire se può verificarsi anche in vivo).
In sintesi, questa attività citolitica genericamente dei linfociti T mediata dalle DART si è rivolta sia contro linee cellulari di CD4 che esprimevano la Env di HIV, sia contro CD4 attivati di persone HIV negative infettati in vitro con diversi tipi di HIV, sia contro i CD4 attivati di persone HIV+ in ART reinfettati in vitro, sia – infine – contro i CD4 quiescenti di persone con HIV in terapia, esposti ex vivo all’azione anti-latenza del vorinostat.
È stato molto importante dimostrare che le DART stimolavano l’attività dei CD8 di persone da tempo in terapia. Ma l’esperimento più interessante è l’ultimo elencato, in cui si è riprodotta una situazione di “shock and kill”, perché si è visto che le HIVxCD3 DART potrebbero essere testate in vivo combinandole con qualche farmaco anti-latenza.
Per rimanere nella sfera di influenza di Margolis, la prossima puntata sarà dedicata agli HXTC.