È uno di quei rari ricercatori con la capacità e il gusto di divulgare la scienza rendendola comprensibile a tutti, senza però trasformarla in una caricatura di sé stessa.
Dopo un libro in generale sui virus, Maga ha deciso di scrivere di HIV – e per farlo ha scelto un approccio molto diverso da quelli che vengono in genere preferiti dai suoi colleghi: in AIDS: la verità negata - Come l'HIV causa l’AIDS e perché dall'AIDS si potrà guarire, ha infatti parlato di HIV, della storia dell’infezione, della scienza che in trent’anni si è sviluppata attorno all’infezione, della ricerca di una cura e delle ragioni per cui a una cura è convinto si potrà arrivare.
Ma ha usato tutto questo per spiegare perché i negazionisti dell’HIV/AIDS hanno torto. Ha quindi analizzato le ragioni dei negazionisti, sia quelle motivazioni intime ed emotive, che possono portare delle persone a negare la realtà del virus e il suo ruolo causale nello sviluppo della sindrome da immunodeficienza acquisita, sia quelle intellettuali, gli argomenti che i negazionisti offrono a sostegno delle loro teorie. Questi argomenti Maga li ha smontati e confutati alla luce della scienza dell’HIV, arrivando a mostrarne la contradditorietà intrinseca, la mancanza di evidenze empiriche a sostegno e dunque, fondamentalmente, la non scientificità.
Ha poi affrontato la storia delle idee negazioniste e le ha calate nella realtà di alcuni Paesi, in particolare del nostro.
Ha raccontato le tragedie che queste idee hanno causato, le troppe morti inutili di cui sono state e sono tutt’oggi responsabili.
Tutta la seconda parte del libro è dedicata alla scienza dell’infezione da HIV: come il virus instaura l’infezione nell’organismo che lo ospita, come evade la risposta del sistema immunitario, che cosa accade alle cellule infettate. E poi: come avviene la diagnosi dell’infezione e come la terapia riesce a mantenerla sotto controllo.
Di questa seconda parte, il capitolo più bello e per molti aspetti rincuorante è l’ultimo, in cui Maga racconta come l’infezione potrà essere sconfitta, sia da un punto di vista epidemiologico, sia nei singoli esseri umani. E il libro si chiude con l’immagine del sorriso di Timothy Brown e la speranza e l’ottimismo che la sua storia ha generato.
Di ricerca di una cura parliamo tutti i giorni. Ho quindi incontrato Giovanni Maga per parlare con lui di negazionismo.
Il negazionismo e gli scienziati – SE REAGIRE, PERCHÉ REAGIRE E COME REAGIRE
● È la prima volta che esce un libro sul negazionismo dell’HIV/AIDS in Italia e che a scriverlo sia uno scienziato rende tutto ancora più interessante, perché sono pochissimi i ricercatori che hanno il tempo e la voglia di dedicarsi a questo problema, e forse anche la consapevolezza che questo sia tutt’oggi un problema. Fra l’altro, anche tutta la seconda parte del libro, quella dedicata alle più nuove ricerche sulla cura dell’infezione, fornisce un contrappunto alle idee negazioniste: spiegando che cosa è la scienza dell’infezione da HIV, si spiega anche perché il negazionismo non è scienza e dove soprattutto sbaglia.
Come è nata l’idea di scrivere questo libro?
L’idea originale del libro mi è venuta come conseguenza di due fatti: il contatto diretto che ho con gli studenti, perché tengo un corso di virologia molecolare in università e c’è una sezione monografica sull’AIDS come una delle principali malattie di origine virale. Parlo a studenti del III anno di scienze biologiche, quindi ragazzi di 22-23 anni, e mi sono accorto che c’era un grosso interesse, ma anche poca conoscenza della malattia. Questo, in ragazzi che stanno seguendo un corso di laurea in scienze biologiche e che sono anche una delle fasce di popolazione potenzialmente più esposta al rischio di contrarre l’infezione, già mi preoccupava e mi stimolava a creare uno strumento che potesse essere utile al pubblico generale per capire meglio la malattia.
L’altro elemento che è stato fondamentale è derivato dall’attività di volontariato che faccio andando nelle scuole superiori a parlare di AIDS – a partire dalla III media fino agli ultimi anni del liceo. Lì mi sono reso conto di quanto ancora meno i ragazzi di oggi fossero non soltanto a conoscenza del problema, ma anche sensibili. Non avevano idea del rischio ancora oggi molto rilevante di contrarre l’infezione.
Dato che ero appena uscito da un’esperienza positiva di scrittura di un libro divulgativo sui virus in generale, mi era venuta l’idea di scrivere qualcosa di più specifico sull’AIDS, cercando di offrire a un pubblico più generale qualche notizia che aiutasse a capire la malattia e a valutare il rischio.
Nel preparare questo libro, avevo pensato che non avrei potuto evitare di confrontarmi anche con le teorie che negavano l’origine virale. Nella mia poca conoscenza del problema, queste teorie erano relegate ad alcune figure principali, tipo Peter Duesberg o David Rasnick, insomma personaggi magari non direttamente calati nella realtà italiana. Pur sapendo che Duesberg continuava pervicacemente a sostenere queste idee anche oggi, non immaginavo che potessero avere ancora un impatto così forte. Quando ho cominciato a documentarmi, invece, mi sono reso conto che non soltanto queste teorie negazioniste erano pervasivamente presenti sul web e all’interno di forum e di blog in cui si confrontavano i pazienti ma, dai commenti e da quello che riuscivo a capire, avevano anche una notevole presa. C’erano tante persone che, ancora oggi, erano convinte che HIV non causi l’AIDS. Questo mi ha veramente preoccupato, perché – dato che io studio i meccanismi molecolari con cui il virus infetta le cellule e cerco delle strategie per fermarlo, quindi ho una panoramica del rischio epidemiologico e dell’impatto che questa malattia ha sulla società, sulla salute e sull’economia – il fatto che una quota importante non soltanto di persone che hanno già incontrato il virus, ma anche di potenziali vittime di questa malattia, potesse avere accesso a queste teorie e crederci, mi metteva molto a disagio. Quindi ho deciso di cambiare l’impostazione del libro, cioè di cercare, nei limiti delle mie possibilità, di rendere il più possibile noto questo fenomeno allertando le persone di questo pericolo e, ovviamente, spiegando anche perché queste teorie non avevano alcun fondamento scientifico.
Anche quando presento il mio libro in pubblico, ci tengo sempre a sottolineare che io non pretendo di vendere una verità. Quello che ho fatto, dato che è il mio mestiere, è stato presentare dei fatti, cercando anche di dare tutto il supporto utile a un pubblico generale di dati concreti, che dimostrano il consenso della comunità scientifica su determinati aspetti. Offrendo questi dati, lascio poi ai lettori la libertà di decidere in merito alla posizione da tenere. Il mio convincimento è che chiunque abbia a disposizione i dati che io presento non possa che concludere che le teorie negazioniste non hanno alcun fondamento. Però non volevo presentarmi come qualcuno che parla dogmaticamente ex cathedra, dicendo “queste sono tutte delle stupidaggini perché lo dico io”. No, come fanno tutti i ricercatori quando presentano i loro dati, io presento dei fatti, dei dati reali, lasciando poi ai peer reviewers, che in questo caso sono i lettori, stabilire quanto siano validi. Tutti possono vedere che la quantità di informazioni e la robustezza delle evidenze disponibili sono sufficienti per convincere chiunque che le teorie negazioniste non hanno nessuna base. Il problema è fare arrivare queste informazioni al pubblico.
● Questa è una visione che mi piace molto, ma è anche molto illuministica. Lo scrivi fin dalla Prefazione “Nessuno ha paura delle opinioni basate sui fatti, sono quelle fondate sull’ignoranza e il pregiudizio che spaventano”. Però l’impressione che io ho è che i fatti siano ben noti - certo si incontra tanta ignoranza, ma la possibilità di avere accesso ai fatti, anche in una versione un poco semplificata e più facilmente accessibile ai non esperti, in realtà c’è. Tuttavia, mi pare che molte persone si siano lasciate convincere dalle teorie negazioniste e non abbiano nessun desiderio di avere a che fare con i fatti: hanno una visione molto rigida della realtà, che serve loro – e tu questo lo ricordi molto bene nel libro – per contrastare la paura della complessità del mondo; si trovano davanti a un mondo estremamente complicato, che non capiscono e li spaventa, e quella visione se la tengono ben stretta, perché permette loro di orientarsi, per quanto a scapito della coerenza logica. Ci sono tanti studi su diverse declinazioni di negazionismo, per esempio sul negazionismo climatico o sull’anti vaccinismo, che dimostrano come anche quando tu esponi dei fatti, anche in modo molto chiaro, difficilmente le persone convinte del contrario sono disposte a cambiare idea. Tu ritieni che ci sia la possibilità di fare breccia?
Di questo sono consapevole. Anche nell’Introduzione ho scritto che proponevo questo strumento sì per confrontarmi con i negazionisti, offrendo delle motivazioni scientifiche, ma consapevole del fatto che chi ha fatto determinate scelte molte volte – come dicevi tu – non reagisce razionalmente, è prigioniero di una visione dogmatica. Quello che ho cercato di fare è di offrire queste considerazioni a chi ancora non è caduto in questo errore, cercando di proporre del materiale per cui chi si trovi esposto a queste teorie possa avere un’idea con cui confrontarle.
● Hai avuto qualche reazione da parte di negazionisti?
Direttamente sul libro no, ma forse anche perché è uscito da poco. Ho avuto esperienze di confronto con dei negazionisti su dei blog. Mi è capitato di intervenire leggendo dei post in cui si mettevano in dubbio l’efficacia delle terapie o l’opportunità stessa di fare la terapia. Io proponevo alcune considerazioni e in qualche caso ho avuto delle reazioni verbalmente abbastanza forti, addirittura violente. In questi casi, rispondi una volta, poi ti accorgi che quello che dici non viene neanche preso in considerazione e l’utilità del dialogo viene meno. Mi rendo conto che ci sono persone convinte di queste teorie “a prescindere”, non disponibili ad ascoltare argomenti contrari. Allora una delle possibilità per cercare di fare breccia almeno in quelle persone che hanno mantenuto un minimo di capacità di analisi razionale è offrire non soltanto delle motivazioni contro, cioè di presentare le obiezioni scientifiche alle loro osservazioni, ma anche di far capire come quello che discende dalla teoria scientifica dell’HIV quale causa dell’AIDS è anche l’opportunità migliore per poter sopravvivere alla malattia. Offrire una visione anche positiva del problema: non è una necessità rifugiarsi in una visione che dice “ho l’HIV, ma tanto non mi farà mai niente” per potersi sentire bene, per avere una speranza. Oggi, le terapie che discendono da tutto il lavoro fatto lavorando sull’ipotesi che l’HIV causa l’AIDS offrono reali possibilità di sopravvivere e di avere una buona qualità di vita - se non perfettamente equivalente a quella di una persona non malata, comunque in moltissimi casi rimanendo liberi dalla malattia per tantissimi anni.
Far capire che accettare la realtà è il modo migliore per poter sopravvivere alla malattia potrebbe fare breccia.
Si offre una visione coerente alternativa e che dà qualcosa di più rispetto alla visione negazionista.
Il negazionismo e la Rete – le connessioni internazionali, l’incontro fra diversi negazionismi, il dilagare delle pseudoscienze – COME CONTRASTARE UN FENOMENO IN ESPANSIONE?
● Le teorie negazioniste hanno trovato in Internet una cassa di risonanza e, come ricordi tu nel libro, sono riprese in ogni genere di siti e di blog, specialmente quelli che si occupano di “medicine alternative” o di fare “controinformazione”, in cui il negazionismo dell’HIV/AIDS si trova mescolato con l’anti vaccinismo, le più bizzarre teorie sul cancro-la fatica cronica-l’autismo e il modo per curare tutto con yoghurt o veleno di scorpione, i vari complottismi dall’11 settembre all’uomo sulla luna.
Inoltre, ho notato molto spesso che tutto il materiale negazionista che è stato messo in Rete ormai ha come perso l’autore. Per esempio, dal film negazionista House of Numbers sono stati scorporati pezzi di interviste, in particolare a Luc Montagnier, che sono una falsificazione della storia scientifica passata di questo scienziato e perfino una falsificazione di quanto ha realmente detto durante l’incontro con Brent Leung, il regista del film. Questi pezzi di interviste vengono diffusi non si sa neppure più da chi e diventano “la verità di Montagnier”, venendo acquisiti in modo totalmente acritico anche da persone che non sono formalmente negazioniste, addirittura da malati che sono in terapia. Secondo te, c’è un modo per contrastare tutta questa enorme massa di spazzatura pseudoscientifica e di falsificazioni della realtà?
Temo di no, nel senso che non credo che sia né ragionevole, né possibile pensare a una forma di limitazione o di filtro, perché la Rete è fondamentalmente incontrollabile. E questo è anche uno dei suoi aspetti positivi. Quello che però si può fare è cercare di offrire confronti, argomenti alternativi. E anche sottolineare alcune cose. Per esempio, uno degli argomenti che più ricorrono nei siti negazionisti o nei commenti scritti da negazionisti è che “ci sono dei premi Nobel che sostengono che …”.
I premi Nobel in realtà sono solo uno, Kary Mullis, che già di per sé è un personaggio con una storia molto particolare, basta leggere la sua autobiografia per rendersene conto e capire che è difficile dargli grande credito. Ma soprattutto è una persona che non ha la minima preparazione e competenza per giudicare in materia di virologia. Mullis ha avuto il grande merito di aver messo a punto una tecnologia, che ha rivoluzionato la biologia molecolare; ma questo non gli dà nessun titolo per prendere posizione come se fosse un esperto riguardo alla connessione causale fra HIV e AIDS. Cioè le sue opinioni negazioniste non sono supportate da una conoscenza professionale, sono opinioni personali. Quindi il fatto che vengano utilizzate la sua visibilità e l’assegnazione del premio Nobel in un campo del tutto differente per collegarli alle sue idee negazioniste è una aberrazione.
● Inoltre, questo è un uso del principio di autorità, che in campo scientifico non dovrebbe avere spazio.
Esatto. È come se un premio Nobel per la letteratura facesse delle esternazioni sulla fisica nucleare: è un premio Nobel, ma non ha nessun tipo di competenza.
Questa purtroppo è una mistificazione che ricorre spesso e che ha anche presa, perché uno pensa che il Nobel dia una qualche autorità. Ma in questo campo, Kary Mullis non ne ha nessuna. Quindi bisogna dirlo e smascherare questa falsificazione della realtà.
Anche l’utilizzo di alcune posizioni di Montagnier è mistificatorio. È vero che le sue ultime prese di posizione sull’omeopatia o sull’autismo lo allontanano dalla visione accettata dalla comunità scientifica. Ma resta il fatto che l’avere preso il Nobel in quanto scopritore ufficiale del virus non può in alcun modo essere una garanzia che per tutta la vita questa persona manterrà chiarezza di vedute e obiettività su qualsiasi cosa dica. Il Nobel è una certificazione che il lavoro fatto nel passato ha avuto un’importanza eccezionale, non è però una garanzia sul futuro.
La stessa cosa può essere detta per Duesberg: all’inizio della sua carriera era uno scienziato di straordinario livello, che ha dato dei contributi fondamentali anche proprio sui retrovirus. Ma a un certo punto della sua carriera ha fatto l’ipotesi che i retrovirus fossero innocui e, per motivi che restano oscuri, di fronte al fatto che grazie al suo lavoro si accumulavano evidenze che questa ipotesi era sbagliata, lui non ha mai accettato di cambiare idea. Ha continuato a sostenere che i retrovirus non possono essere patogeni e di conseguenza l’HIV non può causare l’AIDS, indipendentemente da tutte le evidenze raccolte. Ha cambiato atteggiamento mentale: non si è più comportato da scienziato, ma da privato cittadino che ha un’idea e la porta avanti nonostante tutte le prove contrarie.
La grossa difficoltà è fare capire che l’autorità non è qualcosa con cui si nasce, o qualcosa che viene impressa come un marchio che rimane per sempre. L’autorità deriva esclusivamente dalla robustezza delle motivazioni e una persona parla con autorità quando ha dietro di sé degli argomenti forti.
● Sì, sono i fatti che parlano e non più la persona.
Certo, anche perché qui stiamo parlando di poche personalità che hanno visibilità a fronte di decine di migliaia di scienziati, con centinaia di migliaia di lavori pubblicati. Non è una situazione che possa essere vista come equivalente.
Il negazionismo e le università – le coperture - QUALI SONO I LIMITI DELLA LIBERTÀ ACCADEMICA?
● Vorrei ora parlare del negazionismo in Italia e partire da quello che forse è l’aspetto più sconcertante: la sua presenza nelle università. In questi ultimi anni abbiamo assistito ad episodi che, ad elencarli, possono sembrare una galleria degli orrori. Ne ricordo qualcuno: abbiamo visto Presidenti di corsi di laurea che hanno approvato (a loro insaputa, ma con lettere protocollate e vistate dalla segreteria dell’università) corsi in cui si metteva in dubbio che l'HIV sia l'agente eziologico dell'AIDS e addirittura si insegnava che l'HIV è stato eradicato con “stimolatori del sistema immunitario”; abbiamo visto Rettori rispondere con toni di inusitata arroganza, vera e propria villania accademica, a lettere di reputati scienziati, che protestavano per la negligenza con cui si consentiva il dilagare del negazionismo all’interno dell’università; abbiamo visto Commissioni di laurea non avere nulla da obiettare al fatto che si facessero laureare studenti con tesi di argomento negazionista e copiate da materiale reperibile in Internet; abbiamo visto riviste ufficiali di società scientifiche e di proprietà di università che pubblicavano – dietro vera o presunta “peer review” – articoli in cui si sosteneva che in Africa non c’è nessuna epidemia di AIDS; abbiamo visto biologi, docenti in dipartimenti di Medicina e Sanità pubblica, far laureare studenti con tesi negazioniste e poi scrivere prefazioni agiografiche a libri tratti dalle tesi dei loro studenti.
La copertura che tutti questi personaggi hanno avuto dalle loro università è raccapricciante e l’argomento più di frequente utilizzato per giustificare questa collusione o connivenza con il negazionismo è stato la libertà accademica.
Io ti chiedo: che cosa è successo nella nostra università? Quali sono i limiti della libertà accademica?
È una domandona. Nel momento in cui si parla di porre dei limiti nell’ambito soprattutto dell’insegnamento accademico, è chiaro che si ha una reazione istintivamente negativa, perché da sempre l’insegnamento accademico è considerato uno dei modi con cui, all’interno della società, possono essere espresse liberamente delle opinioni, e quindi anche un modo di mantenere democrazia e libertà di discussione senza condizionamenti che provengano dal mondo politico. Questo in teoria, perché sappiamo benissimo che non è sempre così.
Il principio che dovrebbe essere seguito è quello deontologico. Così come un medico, nella sua professione, ha dei vincoli deontologici e deve sempre proporre al paziente le cure migliori, secondo principi codificati e non curare il cancro con le vitamine o con lo yoghurt, perché può essere passibile di provvedimenti disciplinari, anche un docente universitario, nella sua piena libertà di scelta dell’approccio, deve rispettare il principio di passare informazioni agli studenti che abbiano verosimiglianza scientifica. Nessuno dice che non si possa criticare una qualsiasi teoria scientifica, perché nella scienza non esiste la Verità e qualsiasi dato acquisito è vero fino a prova contraria – quei dati per i quali le prove contrarie non arrivano nel tempo vengono considerati come acquisiti. In linea di principio, ci deve essere libertà ed è anzi auspicabile che ci sia discussione. Ma deve essere una critica fatta secondo le modalità dell’investigazione scientifica. Se io non sono d’accordo con una determinata ipotesi, e magari sono l’unico a non essere d’accordo, agli studenti devo proporre la teoria accettata dalla comunità scientifica. Poi posso anche proporre la mia visione, ma devo portare i fatti, i dati, che sono a supporto dell’una e quelli che, secondo me, sono a supporto dell’altra. Sarà lo studente a valutare criticamente se quello che dico è una sciocchezza o se invece ha un valore.
● Però lo studente potrebbe non avere ancora acquisito gli strumenti per valutare quello che gli dici; inoltre qui è in gioco un rapporto di fiducia con il docente ed è molto facile oltrepassare i limiti dell’abuso.
Sì, è vero. È per questo che dico che è una questione molto delicata, perché nel momento in cui un docente muove una critica a una teoria scientifica, è lui – in scienza e coscienza – a dover capire quanto questa critica possa essere valida e quali conseguenze possa avere. Quel famoso professore di Firenze, per esempio, avrebbe anche potuto sollevare il problema e dire “guardate che non tutti sono d’accordo sull’origine virale dell’AIDS”. Però – in scienza e coscienza – avrebbe dovuto dire “il 99,99% delle evidenze scientifiche puntano sulla validità di questa teoria – chi non è d’accordo dice queste cose … ma queste cose non sono compatibili al momento con i risultati scientifici”.
Quindi si poteva dare l’informazione che esiste una posizione critica, ma lo si doveva fare nel contesto dei dati disponibili, che al momento non consentono di considerarla un’ipotesi valida. Nel momento in cui questo viene ribaltato e si dà ex cathedra l’ipotesi contraria come quella vera, dicendo che l’ipotesi ufficiale è falsa, allora lì c’è una rottura dal punto di vista deontologico e il docente fallisce il suo compito di formatore e di informatore, perché veicola attraverso la sua autorità di docente un punto di vista in modo non conforme alla realtà, senza il minimo supporto dei dati di fatto.
Sarebbe bello avere un modo per regolamentare la questione della libertà accademica, ma purtroppo è un problema deontologico, di coscienza. Tuttavia è chiaro che, nel momento in cui la rottura di questo vincolo deontologico viene rilevata, è obbligatorio che questo venga sanzionato e al docente vengano attribuite le responsabilità che ha avuto, anche con la rimozione dall’incarico. Nel momento in cui uno non è più in grado di fare il proprio lavoro e, facendolo male, danneggia l’immagine sia dell’università in cui lavora, sia dell’insegnamento in generale, potrebbe anche essere rimosso dall’incarico.
● Alla fine del 2012, all’università di Brighton si è verificato un fatto per certi aspetti analogo: un docente aveva organizzato una proiezione in università del famigerato film negazionista House of Numbers, sostenendo che l'HIV non causa l'AIDS e invitando gli studenti a chiedersi quanto siano accurati i test e se l'HIV sia "un fatto o una finzione". Questo è uno dei modi tipici con cui i negazionisti cercano di far passare la loro propaganda attraverso le università. Il risultato, però sono state delle reazioni indignate da parte degli studenti. Più di 100 persone hanno firmato una petizione online per chiedere che la proiezione venisse annullata e c’è stata una reazione immediata da parte dell’università, che non soltanto ha annullato la proiezione, ma attraverso un portavoce ha dichiarato: “Our position is absolutely clear. We regard HIV and Aids as extremely serious matters of concern and we provide our students with advice and we support research into these issues”. Allo stesso modo – senza fare tante storie – la School of Oriental and African Studies presso la University of London il mese scorso ha cancellato la proiezione di un altro film negazionista, non appena si sono resi conto di quello che stavano per fare.
La questione, secondo me, è semplice: hai libertà di parola, ma questo non ti rende esente da critiche, né obbliga un’istituzione come l’università a ospitare ogni fesseria, o a prestarsi a far da megafono a ogni teoria la più fantasiosa solo perché a sostenerla è un docente.
Insomma, ci sono anticorpi che possono funzionare benissimo e per esempio li abbiamo visti all’opera all’università di Torino, dove a uno psicologo negazionista è stato impedito addirittura di arrivare alla discussione della tesi di dottorato. E questo non perché era negazionista, ma perché i suoi docenti hanno valutato il suo elaborato così carente dal punto di vista metodologico da non corrispondere neppure ai criteri minimi di una ricerca scientifica. Se dimostri di non dominare il metodo scientifico neppure per scrivere una tesi di PhD, sei fuori. Sacrosanto, direi, eppure troppo spesso non è stato così.
È vero. Io, onestamente, non so dare una spiegazione. Di certo il nostro sistema accademico risente ancora in alcuni casi di uno spirito elitario, del fatto di sentirsi un corpo non estraneo alla società, ma comunque con dei diritti un po’ speciali. Questa è una visione arcaica, che fortunatamente si sta perdendo, perché sempre di più il mondo accademico deve essere collegato al resto del mondo. Ci deve quindi essere una apertura verso la ricerca accademica internazionale.
Se pensiamo a cent’anni fa, il professore universitario rappresentava l’elite dell’elite e questo ha perpetuato l’idea che i problemi si debbano risolvere dall'interno, così come a volte si ha paura di offendere o urtare la sensibilità del collega. Non c’è l’atteggiamento anglosassone, o anche mitteleuropeo, in cui nessuno è al di sopra delle regole e tutti sono giudicabili. Da noi ancora persiste, in alcuni casi, un certo spirito corporativo. Quindi, forse, parte del problema è che il professore universitario in certi contesti viene lasciato troppo libero di gestire la propria vita accademica senza controlli, finché dall’esterno non vengono messi in evidenza dei problemi.
Ci vorrebbe sicuramente una attenzione maggiore ai contenuti di certi corsi. Anche senza arrivare all’estremo del negazionismo, credo che tutti noi abbiamo avuto l’esperienza di corsi universitari che non erano di qualità eccelsa, che magari si perpetuavano per anni identici a sé stessi senza nessun aggiornamento. Queste cose all’estero difficilmente succedono perché c’è sempre una grande attenzione alla qualità dell’offerta formativa e alla risposta da parte degli studenti. L’insegnamento universitario non deve essere qualcosa calato dall’alto ma, essendo un servizio che viene offerto, deve esserci attenzione da parte degli organi competenti verso i singoli docenti affinché mantengano alto il livello dei corsi. Fortunatamente in anni recenti anche in Italia l'Università è sempre di più attenta a questi aspetti di innovazione e aggiornamento.
Stesso discorso vale per le tesi negazioniste che sono state approvate in alcune Università italiane. Io sono certo che se fosse stata presentata qui a Pavia una tesi di questo tipo non sarebbe mai stata approvata, né dal correlatore, né dalla commissione di laurea. C’è veramente da chiedersi come sia stato possibile.
● Sì, questa è una cosa che ci stiamo chiedendo in molti da qualche anno.
Io non so se questo sia un problema di ignoranza o di negligenza, di sottovalutazione del problema. Può anche darsi che all’interno di quelle commissioni ci fossero persone che non sapevano che le cose sostenute in quelle tesi erano delle aberrazioni.
● La famosa tesi discussa a Bologna e postata in Rete mostra che i membri della commissione ascoltano senza fare obiezioni l’esposizione dell’aspirante dottore, poi gli stringono la mano e gli danno la lode. E sono dei medici. Chiamiamola pure negligenza, ma forse sarebbe più corretto definirla acquiescenza.
Molta superficialità. Cose che non dovrebbero essere consentite.
Il negazionismo e gli Ordini professionali – NON HANNO DAVVERO NULLA DA DIRE?
● Al di fuori dell’accademia, che cosa possono fare gli Ordini? In diversi casi, abbiamo assistito a delle evidenti violazioni della deontologia, ma le sanzioni tardano ad arrivare e, onestamente, l’impressione è che anche qui ci sia il tentativo di coprire dei comportamenti che dovrebbero invece essere condannati con estrema chiarezza.
Lo stesso medico per il quale da due anni attendiamo che si esprima l’Ordine dei Medici di Firenze, quando era ancora sotto inchiesta all’università, ha partecipato a una trasmissione radiofonica insieme a due negazionisti notissimi come David Rasnick e Celia Farber e ha raccontato di una sua collaborazione, presso un non meglio precisato ospedale universitario, con colleghi strutturati, che delegavano a lui la gestione di pazienti con HIV/AIDS considerati “difficili” (il link oggi è stato cancellato ma, a parte la trascrizione e traduzione della trasmissione, ne esistono ancora riferimenti in Rete).
Parallelamente, lo stesso psicologo negazionista di cui l’università di Torino è riuscita a liberarsi senza tanto clamore, durante un’intervista al Gary Null Show ha sostenuto che il trattamento psicologico cui sottopone i suoi pazienti con diagnosi di HIV/AIDS comprende anche il convincerli della "semplice verità", per lui "di chiarezza cristallina", che "non esiste alcuna prova scientifica" che dimostri che l'HIV è la causa dell'AIDS e ha precisato che "non potrebbe mai avere un paziente con HIV/AIDS senza informarlo di questa *verità*”; ha inoltre dichiarato di avere visto "molte psicopatologie scomparire semplicemente dicendo questa *verità*" e che questo "è il modo migliore per aiutare una persona con diagnosi di HIV/AIDS"; e infine che, grazie al suo "counselling" e alla sua "psicoterapia", è stato in grado non soltanto di alleviare i sintomi psicologici associati a una diagnosi di HIV/AIDS, ma anche di invertire la diagnosi medica stessa - cioè di far scomparire i marker dell'infezione da HIV.
E se notiamo che queste persone tendono ad esprimersi più liberamente in inglese, non dobbiamo dimenticare che solo pochi mesi fa ci siamo trovati con un Ordine dei Medici che aveva organizzato nella propria sede provinciale una conferenza dedicata alla Nuova Medicina Germanica dell'ex medico e ora latitante in Norvegia Ryke Geerd Hamer, facendola tenere al presidente di una associazione che propugna le teorie di Hamer e a un dirigente medico di una ASL, che è anche vicepresidente di un’altra associazione che diffonde le medesime teorie e pubblica una “Carta di Difesa dei Diritti dei Microbi”, ora saggiamente fatta sparire dal sito della associazione. Solo la protesta infuriata di decine di medici da tutt’Italia è riuscita a far togliere il patrocinio dell’Ordine ad una iniziativa che era totalmente in contrasto con le basi stesse di esistenza della medicina come noi la conosciamo.
In casi come questi credo che gli Ordini abbiano tutti i titoli per intervenire, perché qui c’è una rottura di quella deontologia professionale che dovrebbe importi di garantire al paziente lo stato dell’arte nelle cure. È chiaro che posizioni di questo tipo, che non hanno nessun riscontro nella letteratura scientifica, non possono essere “somministrate” a un paziente come se fossero la posizione corretta. Anche qui il problema è come fare a scoprirli, perché non è che gli Ordini possano andare a monitorare le attività di tutti gli iscritti. È chiaro però che quando palesi violazioni dei principi deontologici e professionali vengono portate all’attenzione, allora è giusto intervenire.
Nel caso di Firenze, quando l’università ha segnalato all’Ordine dei Medici che questa persona aveva iniziato una specie di sperimentazione clinica del tutto folcloristica e assolutamente non approvata, è stata aperta un’inchiesta. Poi, da quello che ho letto nel comunicato dell’Ordine dei Medici, si è sovrapposta un’inchiesta giudiziaria – non si sa relativamente a che cosa, ma immagino sempre a qualcosa di connesso alla professione e, dal momento che sono coinvolti i NAS, probabilmente a qualcosa che ha a che fare con somministrazione di farmaci. Dal momento che l’inchiesta penale ha la precedenza, l’Ordine dei Medici ha dovuto congelare il procedimento disciplinare. I tempi della giustizia italiana sono biblici e, a causa del segreto istruttorio, non si sa nulla, per esempio se il GIP abbia depositato una richiesta di autorizzazione a proseguire le indagini.
Per quanto riguarda il caso della sponsorizzazione della Nuova Medicina Germanica da parte di un Ordine dei Medici, credo sia un esempio di ignoranza. A parte il fatto che è già sconvolgente che un medico possa in qualche modo dare credito a questo tipo di teorie, purtroppo però ne vediamo molti. Basta pensare a come molti medici vedono l’omeopatia, quasi come se potesse essere offerta non solo come coadiuvante, ma addirittura in sostituzione alla terapia farmacologica tradizionale. Ora, dietro l’omeopatia ci sono interessi economici straordinari, ma quello che veramente lascia attoniti è il fatto che possa essere considerata efficace quasi come la farmacopea scientifica.
Fortunatamente i rimedi omeopatici, essendo fondamentalmente privi di qualsiasi principio, è difficile che abbiano effetti negativi sulla salute. Può anche starmi bene che vengano utilizzati come placebo, in associazione con farmaci. Ma non possono essere spacciati come qualcosa che abbia un effetto terapeutico. Purtroppo ci sono dei medici che sono convinti che raffreddore o influenza possano essere curati con l’omeopatia. Ma quelle sono infezioni autolimitanti, che in una settimana guariscono comunque da sole, quindi il danno di assumere rimedi omeopatici è minimo. Però è il principio che spaventa, perché in certi casi vengono offerti per malattie che possono avere esito fatale.
Questo, secondo me, è un sintomo della scarsa formazione scientifica non solo di una parte della classe medica, ma in generale della società. Ed è un sintomo della superficialità che spesso le istituzioni hanno rispetto a iniziative come quella di cui parlavi prima. È sufficiente che venga presentata una domanda di organizzare una conferenza da parte di persone che apparentemente hanno titolo di farlo e nessuno va a fondo.
Sempre in Italia, qualche anno fa c’è stato un caso simile: una persona che aveva un ruolo prominente all’interno di un'importante organizzazione scientifica aveva organizzato, con la sponsorizzazione e nella sede dell'organizzazione, un convegno anti evoluzionista al quale aveva invitato i principali esponenti delle teorie contrarie all’evoluzione, quelli che sostengono che i dinosauri erano coevi ai primi uomini, che la terra ha 6000 anni e cose del genere. Che una grande istituzione scientifica italiana organizzasse e sponsorizzasse un meeting di questo tipo, nel momento in cui è stato annunciato ha scatenato un subbuglio: molti ricercatori hanno scritto e il presidente dell'associazione giustamente ha precisato che l'istituzione si dissociava ufficialmente dalle posizioni della persona che voleva organizzare il convegno. Ma perché è stato concesso di farlo? Perché chi voleva farlo l’ha organizzato attraverso un iter burocratico-amministrativo senza il minimo controllo scientifico.
Questa superficialità poi ha delle conseguenze.
● Sì, anche perché se uno crede che i dinosauri siano coevi all’uomo non fa male a nessuno, se non alla sua lucidità intellettuale. Ma in altri casi il danno è enorme.
Certo, se uno crede che il cancro si possa curare con i cristalli mette a repentaglio la vita delle persone.
Il negazionismo e la politica, la magistratura, la stampa – CHE COSA RISCHIAMO IN TERMINI DI SALUTE PUBBLICA?
● Secondo te, un caso come quello di Stamina potrebbe dare una svolta all’attenzione dell’opinione pubblica e degli scienziati stessi?
Riguardo agli scienziati, credo probabilmente di sì. Frequento diversi gruppi di discussione sul problema da un lato della comunicazione della scienza, dall’altro delle bufale scientifiche, che sono sempre più diffuse su qualsiasi argomento, e noto che effettivamente l’attenzione dei ricercatori si sta svegliando.
● La vicenda Stamina ha messo in evidenza degli aspetti profondamente critici nel rapporto fra la scienza, la politica, la magistratura e i mezzi di comunicazione, che se non è sufficiente questo a far riflettere che qualcosa deve cambiare, mi chiedo che cosa mai possa volerci.
La comunità scientifica è sempre stata concentrata sul proprio lavoro e non aveva grandi aperture verso il pubblico. Rispetto ad altri Paesi, in Italia c’è più difficoltà, da parte dei ricercatori, a far conoscere il proprio lavoro e questo poi si paga, perché l’opinione pubblica finisce con il formarsi sulla propaganda di personaggi istrionici.
Secondo me, un caso come Stamina, così come il movimento antivaccinazioni con la sentenza del Tribunale di Rimini che ha condannato il Ministero della Salute a risarcire i genitori di un bambino sostenendo, che era diventato autistico a causa della vaccinazione trivalente, hanno scosso molti scienziati e si sta cercando di collaborare con i giornalisti scientifici per arrivare ad avere una comunicazione più corretta della scienza e della ricerca.
Per quanto riguarda l’opinione pubblica, invece, ho molti dubbi. Il caso Stamina è stato scandaloso ed ha scoperchiato un barattolo di vermi. Ma non per tutti. Credo ci sia ancora molta gente che ritenga che si doveva dare a Vannoni l’opportunità di sperimentare il suo “metodo”.
Purtroppo c’è una sfiducia diffusa nella scienza, che viene vista come la posizione dell’autorità. La posizione ufficiale del Ministero della Salute viene vista con sospetto perché è del Ministero della Salute. Quindi temo che anche lo sbugiardamento di Vannoni e le sentenze che spero arriveranno da parte della magistratura non saranno sufficienti a scardinare l’idea che molta gente ha che quel “metodo” poteva funzionare.
Io credo che l’unica speranza che abbiamo per evitare che in futuro accadano ancora queste cose è di lavorare sull’educazione. Lavorare sui ragazzi è un investimento che dobbiamo fare per il futuro: bisogna insegnare che cos’è il metodo scientifico, bisogna insegnare ad essere critici e a utilizzare gli strumenti della Rete. Bisogna far capire che quello che si trova in Rete non necessariamente è vero.
● Nel libro tu parli anche di Grillo e del Movimento 5 Stelle. Da questo movimento, forse più che da altre parti politiche, viene intercettata proprio la sfiducia nei confronti della scienza, che poi può diventare negazionismo nei confronti dell’HIV/AIDS, ma che è anche negazione del valore dei vaccini, esaltazione di teorie variamente New Age e di medicine cosiddette “alternative”. Che cosa rischiamo in termini di salute pubblica?
Nell’ipotesi che ci trovassimo con un esponente dei 5 Stelle come Ministro della Salute potremmo correre rischi molto seri. Certo, c’è fortunatamente sempre la possibilità che le idee di uno vengano ammorbidite o contrastate da altri, ma potrebbero essere messe in atto politiche o misure tipo quelle del progetto di legge contro l’obbligatorietà dei vaccini recentemente depositato dal gruppo Lombardia del Movimento 5 Stelle. Credo che molte posizioni a vario titolo negazioniste vengano utilizzate dal Movimento esclusivamente per guadagnare visibilità e costruirsi l’immagine di movimento sempre e comunque “contro”- a prescindere dalla giustificazione di queste idee e dalle loro possibili conseguenze. Questo fa paura, perché da politici che vogliono governare un Paese ti aspetteresti una presa di coscienza del loro ruolo e delle conseguenze delle loro azioni. Su eventi macroscopici quali la campagna contro i vaccini, per non parlare delle posizioni mai smentite da Grillo su HIV e AIDS, che possono avere conseguenze gravissime per la salute pubblica, ci si dovrebbe aspettare, già all’interno del movimento, la capacità di mettere una moratoria su alcune posizioni completamente fuori dal mondo. Il fatto che questo non ci sia, preoccupa.
E preoccupa molto il fatto che in tanti settori della pubblica amministrazione e della giustizia le motivazioni scientifiche non siano sovente prese in considerazione. Al di là di sentenze incredibili come quella di condanna dei geologi per il terremoto dell’Aquila, o quella di Rimini che sancisce il legame fra vaccinazione MMR e autismo, la commissione di esperti formata per giudicare il metodo Stamina è stata rifiutata per vizio di forma, perché in tempi non sospetti alcuni scienziati chiamati a farne parte avevano detto che secondo loro il metodo Stamina non stava in piedi. Ma è ovvio che quegli esperti non potevano giudicare altrimenti. Eppure quello è stato usato come motivo per far decadere la commissione. Queste sono le aberrazioni del nostro sistema.
È evidente la differenza con il caso Parenzee in Australia, che racconto anche nel libro: un gruppo di negazionisti si erano proposti come consulenti della difesa e i giudici non li hanno ammessi, semplicemente perché hanno ritenuto non rilevante la loro posizione sulla base della letteratura scientifica.
L’atteggiamento che si ritrova nei tribunali italiani, in cui le ragioni scientifiche spesso non vengono considerate come preminenti e vengono messe sullo stesso piano delle ipotesi pseudoscientifiche è dunque motivo di grande preoccupazione. Non si pretende che un magistrato abbia delle competenze scientifiche. Quello che si pretende è che, di fronte a un argomento che ha una chiara valenza scientifica e in cui la decisione se un atto sia o meno penalmente rilevante dipende da quanta validità scientifica gli si possa attribuire, sia richiesto un parere terzo e di questo si tenga conto. Un magistrato non può decidere solo sulla base del codice.
● Speriamo che la conclusione della vicenda Stamina possa servire anche ai magistrati per riflettere sul loro ruolo e sui limiti delle loro competenze.
Speriamo che accada.
La diffusione degli atteggiamenti antiscientifici sta raggiungendo dei livelli mai sperimentati prima ed è giunta perfino a gesti di violenza. Pensa ad esempio all’attacco degli animalisti estremisti allo stabulario dell’università di Milano, con la distruzione di anni di ricerca. Si sta diffondendo, almeno fra gli scienziati, la consapevolezza della necessità di contrastare queste posizioni estreme, isolandole e impedendo loro di trovare consenso e fare proseliti.
L’opinione pubblica, quando viene stimolata da iniziative di divulgazione scientifica, in genere risponde, non solo migliorando la propria cultura scientifica, ma anche aumentando il proprio interesse per la scienza. Proprio come risponde agli stimoli di ciarlatani e pseudoscienziati. Però questo non deve avvenire con toni ex cathedra: è necessario che gli scienziati si mettano alla pari del pubblico dicendo “vi racconto delle cose e, se volete, vi spiego perché ci credo”. Per esempio, anche quest’anno – fra pochi giorni – Italia unita per la Scienza organizza in diverse città italiane incontri sulla ricerca. Fra l’altro, quello di quest’anno è proprio dedicato a “La bufala è servita: tra scienza e antiscienza”.
Quello che invece è disastroso per la scienza è la sua spettacolarizzazione, la presentazione di alcuni risultati scientifici magnificandoli ben al di là della loro portata e della loro reale potenzialità. Questo spesso è colpa della stampa, ma talvolta anche dei ricercatori in cerca di visibilità o di finanziamenti.
● Beh, qui in Italia, negli ultimi 15 anni in modo ricorrente ci è stato detto dalla stampa che il vaccino italiano contro l’HIV era una realtà.
Sì, ci sono due aspetti: una parte di colpa è delle istituzioni scientifiche che, anche per attirare fondi, devono sottolineare il più possibile gli aspetti positivi delle ricerche e a volte esagerano. E poi c’è la ricerca spasmodica da parte della stampa del titolo che attiri. Di questo ho discusso tanto con i giornalisti scientifici. Quelli specializzati sono quasi sempre free lance e molte volte trovano difficoltà a pubblicare articoli sulla ricerca, che vengono preferenzialmente assegnati, da parte delle testate, a cronisti che in genere di scienza non sanno nulla. Il risultato è che l’opinione pubblica viene bombardata da notizie straordinarie, ma poi vede che non hanno alcun riscontro nella realtà e non dà la colpa ai giornali, la dà ai ricercatori, perdendo inevitabilmente fiducia nella scienza e nella ricerca.