[CROI 2016] B.Walker: Linfociti T e controllo di HIV

Le principali novità dai congressi riguardanti la malattia da HIV (CROI, IAS/IAC, ICAAC...) e i nostri commenti.
Dora
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[CROI 2016] B.Walker: Linfociti T e controllo di HIV

Messaggio da Dora » mercoledì 24 febbraio 2016, 11:17

Bruce D. Walker - T Cell Control of HIV: Implications for Vaccines and Cure

La Bernard Fields Lecture quest’anno è stata tenuta da Bruce Walker, Ragon Institute of MGH, MIT e Harvard, ed è stata dedicata a un tema che è ritornato costantemente nelle nostre discussioni, soprattutto degli ultimi anni: il ruolo che i linfociti T citotossici, i CD8 HIV-specifici, hanno nell’infezione da HIV.

Walker ha esordito con delle domande:

  • - Che cosa sappiamo dei linfociti T CD8+ HIV-specifici se studiamo le persone infette?
    - Che cosa abbiamo imparato di nuovo, studiando l’infezione iperacuta, proprio all’inizio della battaglia fra virus e sistema immune, il momento fra quando inizia ad essere rilevabile il virus nel sangue e quando la viremia raggiunge il suo picco?
    - Quali sono le implicazioni per le strategie di cura e per lo sviluppo di un vaccino?


Ma la prima domanda è come i CD8 HIV-specifici riescano a limitare la produzione di virus.

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Quando una cellula viene infettata e inizia a produrre nuovi virus, vengono prodotte all’interno della cellula proteine virali che sono destinate a diventare nuove particelle virali.

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Ma al tempo stesso inizia un processo in cui esse vengono rotte in una decina di peptidi (amminoacidi), si legano a una molecola HLA di classe I che dall’interno della cellula viene trasportata alla sua superficie e la presenza di peptidi virali entro questa molecola HLA di classe I stimola risposte immuni, perché il sistema immune si accorge che entro quella cellula sta succedendo qualcosa che non va.
Ci sono 10.000 diversi alleli HLA e ciascuna persona può averne fino a 6 diversi. E diversi alleli HLA presentano diversi peptidi virali. Così in ciascun individuo si hanno risposte diverse.

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Sostanzialmente i CD8 HIV-specifici creano un contatto con il complesso peptide-MHC e rilasciano granuli litici che uccidono la cellula infetta. Al tempo stesso, rilasciano citochine e chemochine che hanno effetti antivirali. È un sistema molto sensibile, in cui perché il CD8 riconosca la cellula infetta bastano un peptide o due sulla superficie della cellula; ed è un sistema molto efficiente, perché il CD8 riesce a uccidere la cellula infetta prima che vengano prodotti nuovi virioni. Cioè il CD8 riconosce una cellula infetta quando il virus è nella sua fase più vulnerabile, prima di aver prodotto nuova progenie e se la cellula è uccisa, anche il virus lo è.

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Quali sono le caratteristiche dei CD8 HIV-specifici che contribuiscono al controllo immune? È ovviamente una questione cruciale per qualsiasi vaccino che voglia utilizzare queste risposte.
Esistono alleli HLA che proteggono e alleli che mettono a rischio. Ad esempio B*57 è associato con una prognosi migliore, mentre B*3503 con una peggiore.

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Un altro aspetto che determina la risposta dei CD8 HIV-specifici sono i peptidi virali espressi sulla superficie della cellula – peptidi Gag o Env possono essere presentati a seconda dell’abilità degli HLA di “catturarli”. Gli studi di popolazione hanno mostrato che quanto più ampie sono le risposte Gag-specifiche, tanto più bassa è la viremia, mentre quanto più ampie sono le risposte Env-specifiche, tanto più alta è la viremia. Quindi è importante che cosa di fatto il sistema immunitario colpisce, in termini del grado di controllo che si riesce a ottenere durante l’infezione cronica.

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Altri fattori sono coinvolti: la polifunzionalità, cioè la capacità delle cellule di produrre un gran numero di citochine diverse; così come la loro capacità di proliferare e di produrre granuli litici che uccidono le cellule infette.

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Anche l’esaustione dei linfociti T è un elemento che modula l’efficacia delle risposte: quando il CD8 deve ripetutamente impegnarsi con cellule infette, sovraregola la PD-1, che è una molecola che regola in modo negativo il sistema immunitario. In un certo senso, il sistema immunitario viene spento prematuramente dall’espressione di questa molecola sulle cellule. Ecco perché l’uso degli inibitori del check-point per bloccare la PD-1 è studiato molto nell’infezione da HIV (oltre che nel cancro).

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Proprio come accade con la pressione degli antiretrovirali, con la pressione immune possono svilupparsi nel virus delle mutazioni e le mutazioni negli epitopi virali che sfuggono ai CD8 (mutazioni di escape) hanno un ruolo nella modulazione della viremia.

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Infine, esistono delle caratteristiche funzionali dei CD8 che contribuiscono alla loro capacità di inibire la replicazione virale. Queste sono in genere particolarmente importanti nelle persone capaci di controllare spontaneamente la viremia.

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Sulla base di un’enorme mole di ricerche fatte in questi decenni, Walker avanza dunque alcune conclusioni:

  • 1. I CD8 HIV-specifici possono uccidere le cellule infettate dal virus prima che sia prodotta la progenie di virioni;
    2. L’HLA e i peptidi virali presentati influenzano la viremia;
    3. I CD8 HIV-specifici differiscono per efficacia antivirale;
    4. Le mutazioni virali che si producono sotto pressione dei CD8 portano all’escape immune;
    5. La viremia persistente porta a una disfunzione di queste cellule.


Quanto detto finora è stato appreso prevalentemente da dati derivati da persone con infezione cronica. Sappiamo però che agli inizi dell’infezione accade qualcosa che permette di predire come sarà il corso successivo della malattia.
La viremia a un anno predice che cosa accadrà in futuro. Ecco perché è particolarmente importante capire che cosa accade durante le fasi precoci dell’infezione.

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Durante l’infezione acuta, si è visto che i CD8 HIV-specifici appaiono quando la viremia inizia a declinare nel sangue dopo aver raggiunto il suo picco, a suggerire che i CD8 abbiano giocato qualche ruolo in quel declino, ben prima che compaiano gli anticorpi neutralizzanti. Si tratta però di risposte abbastanza modeste, quindi è difficile pensare che la responsabilità del declino della viremia sia tutta loro.

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Per capire che cosa accade bisogna andare ancora più indietro nel tempo, al momento dell’infezione iperacuta, quando la viremia comincia ad essere rilevabile nel sangue e a salire. Il problema è che è molto difficile trovare persone in quello stato, perché pochissimi sono sintomatici.

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Per cercare persone in quello stato, diversi anni fa Walker e colleghi hanno iniziato una collaborazione con la KwaZulu Natal University a Durban, Sud Africa, dove molti bambini nascono con l’infezione (più del 9% delle donne fra 18 e 35 anni è HIV positivo) e dove è stato possibile studiare le reazioni dei CD8 di donne appena infettate.

Hanno dunque dato inizio al progetto FRESH (Female Rising through Education, Support and Health), che aveva insieme due obiettivi: 1) prevenire l’infezione da HIV mediante una riduzione della povertà e 2) studiare l’immunologia dell’infezione iperacuta.
Hanno dunque arruolato donne fra i 18 e i 23 anni ad alto rischio di contrarre l’infezione e hanno fornito loro due volte a settimana occasioni di “empowerment” (abilità lavorative, disponibilità di lavoro, informazioni su come prevenire l’infezione). Queste ragazze sono state testate due volte a settimana, così da poter individuare immediatamente un’eventuale infezione e trattarla in base alle linee guida sudafricane.

Il successo nell’impedire a queste ragazze di infettarsi non è stato completo. Qualcuna si è infettata, ma è stato possibile individuare l’infezione durante la fase iperacuta. Nella slide che segue si vede il primo caso che hanno osservato: 3 giorni prima del primo test RNA positivo non c’era viremia rilevabile nel plasma. Poi la viremia è salita a 4000 copie e in un mese è arrivata a oltre 10 milioni di copie. Si vede un parallelo declino dei CD4 durante il picco della viremia.

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Walker e colleghi sono stati in grado di stimare una mediana del tempo di raddoppiamento della viremia (0,68 giorni), una mediana del picco della viremia (10 milioni di copie) e una mediana del set point virale (42.700 copie). Quello che hanno trovato di interessante è che il tempo di raddoppiamento è stato simile in tutte le persone studiate, mentre i picchi delle viremie e i set point hanno avuto una grande variabilità.

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Studiando il modo in cui i CD8 hanno reagito durante l’infezione iperacuta, si è visto che erano massicciamente (più dell’80%) attivati e poi, con la discesa della viremia, diminuiva anche l’attivazione dei CD8.

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Questi dati sono molto simili a quelli dello studio RV217 di Robb e Michael, non ancora pubblicato, sull’infezione acuta in Africa orientale e in Thailandia.

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Tutti questi studi messi insieme ci dicono che non solo il sistema immunitario durante l’infezione acuta “vede” il virus, ma reagisce in modo molto forte.
Ci si chiede però se questi CD8 siano HIV-specifici o no. Nella slide qui sotto si vede che i CD8 prima dell’infezione non producono interferone gamma, mentre ne producono sempre di più all’aumentare della viremia, per poi diminuirne la produzione quando la viremia declina, a indicazione che sono largamente specifici per HIV.

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Risposte così forti dei CD8 non sono mai state rilevate in persone con infezione cronica, compresi gli elite controller.
Sulla base di questi dati, ci si può chiedere come questa massiccia attivazione dei CD8 influenzi il set point virale. Quel che Walker e colleghi hanno visto è che il tempo perché l’attivazione dei CD8 arrivi al suo massimo si correla direttamente con il set point della viremia.

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Invece, la percentuale di CD8 attivati si correla inversamente con il set point della viremia. In sostanza: ci vogliono molti CD8 e molto in fretta per abbassare il set point.

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Ma perché, allora, i CD8 si contraggono in presenza di una produzione continua di viremia? Il set point non è zero, la replicazione virale continua, eppure l’attivazione dei CD8 diminuisce e i CD4 riprendono a declinare.
Durante l’infezione iperacuta, i CD8 proliferano a un tasso molto rapido e hanno forti caratteristiche pro-apoptotiche.

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Questo indica che sono cellule molto fragili, inoltre non si trasformano in cellule della memoria in modo appropriato (l’espressione del CD27 come marker di memoria a lungo termine è molto bassa in questi CD8).

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Un altro segnale che queste cellule stanno diventando disfunzionali è la progressiva perdita di perforina.

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Come si fa a impedire questa perdita di funzionalità dei CD8 HIV-specifici? È possibile farlo trattando l’infezione iperacuta?
Walker e colleghi sono riusciti ad avere il permesso di trattare 14 donne delle 37 arruolate nello studio FRESH e quello che hanno ottenuto è descritto nella slide che segue: un picco ovviamente molto più basso della viremia, un suo rapido abbattimento e il mantenimento dei CD4 a livelli di normalità.

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Inoltre, il trattamento così precoce ha comportato un miglioramento della funzionalità dei CD8 e una trasformazione dei CD8 HIV-specifici in “buoni” CD8 memoria, funzionalmente competenti.

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Walker ne conclude che:

  • 1. L’infezione iperacuta può essere identificata se la si va a cercare nel cuore dell’epidemia di HIV;
    2. L’inizio dell’infezione si associa con una massiccia risposta HIV-specifica dei CD8 con caratteristiche disfunzionali;
    3. L’ampiezza e la cinetica delle risposte dei CD8 HIV-specifici durante l’infezione iperacuta determina il controllo successivo della viremia;
    4. Il trattamento dell’infezione iperacuta comporta un fenotipo dei CD8 HIV-specifici più funzionale e più adatto alla loro sopravvivenza.


Una conclusione a latere, ma di non minore importanza, è che si può usare la scienza di base per migliorare la vita delle persone coinvolte negli studi:

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Che implicazioni può avere tutto questo per le strategie di cura e per lo sviluppo di vaccini?
Una strategia di cura è quella di indurre le cellule latentemente infette a produrre virus. Abbiamo però imparato che questo non comporta automaticamente la morte di quelle cellule e questo spinge a ipotizzare che i CD8 siano proprio quel che serve per eliminare le cellule riattivate. Mobilizzare le risposte CTL sembra dunque una necessità centrale in questo approccio.

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Inoltre, i CD8 possono servire come sensori per definire l’efficacia delle sostanze anti-latenza in vitro: se la sostanza fa quel che deve, i CD8 messi in coltura insieme ai CD4 latentemente infetti si riattivano; se non c’è produzione di proteine virali, i CD8 non rispondono.

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C’è poi la questione di che cosa colpire nelle cellule in cui il virus è stato riattivato, perché a causa delle mutazioni di escape Siliciano ci ha fatto vedere che i CD8 faticano a riconoscerle come obiettivo da distruggere.

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E un’altra cosa importante che Siliciano ci ha insegnato è che nei pazienti trattati in fase acuta questo problema delle mutazioni di escape è molto meno grave.

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Ecco dunque che se si riescono a generare delle reazioni dei CD8 a epitopi virali subdominanti, che non sono mutati rispetto al virus wild type, il problema delle mutazioni di escape può essere aggirato. [Per questa fondamentale ricerca del Siliciano Lab, cfr. il post ”CONOSCI IL TUO NEMICO”. “EVITA CIÒ CHE È FORTE E COLPISCI CIÒ CHE È DEBOLE”.]

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Un’altra questione è se il trattamento precoce influenzi la risposta immune (lo studio FRESH ha detto di sì). Uno studio di Dan Barouch su 36 macachi infetti da SIV, che hanno iniziato la ART al 7° giorno dal contagio e poi sono stati vaccinati con un vaccino Ad26/MVA, ha mostrato che le scimmie immunizzate hanno avuto una grande espansione dei CD8, molto maggiore rispetto a quella delle scimmie di controllo.

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Questo avrà implicazioni importanti per la creazione di un vaccino per gli uomini. E un’altra implicazione di tutti questi studi è che, come ci ha insegnato Siliciano, un vaccino deve riuscire a colpire le regioni più vulnerabili del virus, dove le mutazioni della Gag causano il disassemblamento del capside del virus.

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Un altro approccio ai vaccini considerato da Walker è quello del vaccino basato sul CMV di Picker, che ha stimolato risposte dei CD8 non convenzionali, ristrette agli HLA di classe II e agli HLA-E.

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Walker conclude la lezione chiedendosi che cosa si può imparare dai “super elite controller” per creare un vaccino che aiuti ad arrivare all’eradicazione o alla cura funzionale dell’infezione. Si tratta di persone che devono essere studiate, perché

  • - hanno un’infezione documentata da decenni;
    - mantengono l’RNA virale irrilevabile;
    - hanno un virus che non si riesce a far replicare facilmente;
    - mantengono normali livelli dei CD4;
    - hanno risposte dei CD8 deboli, ma quelle dei CD8 memoria HIV-specifici possono essere assai forti;
    - a volte hanno un Western Blot incompleto;
    - hanno così pochi antigeni virali che le risposte dei linfociti B e T non sono quasi stimolate.


In conclusione:

  • 1. Il trattamento precoce dell’infezione iperacuta migliora le risposte ai vaccini terapeutici;
    2. Le strategie di cura prevedibilmente richiederanno l’eliminazione delle cellule infette mediante dei CD8 capaci di colpire epitopi subdominanti;
    3. I CD8 HIV-specifici possono contribuire all’efficacia di un vaccino, insieme ad altre risposte immuni.



Barney
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Re: [CROI 2016] B.Walker: Linfociti T e controllo di HIV

Messaggio da Barney » venerdì 26 febbraio 2016, 18:36

ma i cd8 dopo la fase acuta come cercherebbero di mantenerli ad alti livelli? ..si ipotizzano somministrazioni esogene? delle procedure di stimolazione immunitaria ripetute??
se il loro calo è naturale in ogni infezione subacuta e cronica, lo è prima di tutto per motivi genetici 'costituzionali' dell'essere umano...a monte della loro espressione ci sono poi alleli variabili da individuo a individuo... come potrebbero operare a un livello 'così' molecolare? l'ingegneria genetica è la migliore prospettiva in cui investire?



Dora
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Re: [CROI 2016] B.Walker: Linfociti T e controllo di HIV

Messaggio da Dora » sabato 27 febbraio 2016, 7:34

Barney ha scritto:ma i cd8 dopo la fase acuta come cercherebbero di mantenerli ad alti livelli? ..si ipotizzano somministrazioni esogene? delle procedure di stimolazione immunitaria ripetute??
se il loro calo è naturale in ogni infezione subacuta e cronica, lo è prima di tutto per motivi genetici 'costituzionali' dell'essere umano...a monte della loro espressione ci sono poi alleli variabili da individuo a individuo... come potrebbero operare a un livello 'così' molecolare? l'ingegneria genetica è la migliore prospettiva in cui investire?
Più che mantenerli alti, evitare che diventino disfunzionali e magari riuscire anche a migliorarne le reazioni anti-HIV.
Si sta pensando ad esempio a dei vaccini terapeutici - e Walker ha ricordato quello di Picker. Ma ci sono altri tipi di interventi, di cui abbiamo parlato ad esempio nel thread Alternative ai vaccini terapeutici per la fase di "kill", oppure in MGN1703: agonista del TLR9 per rinforzare la risposta immune.
E poi naturalmente c'è la terapia genica. Quanto fatto in passato con i CD8 non è stato esaltante, vedi ad esempio il thread Kitchen-Zack_staminali modificate per creare CD8 più cattivi. Però il lavoro che Sangamo sta iniziando a fare, modificando un po' di CD8 insieme ai CD4 sembra averli messi sulla direzione giusta (vedi da qui in poi).



bugs
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Re: [CROI 2016] B.Walker: Linfociti T e controllo di HIV

Messaggio da bugs » sabato 27 febbraio 2016, 8:00

Praticamente li dopa un poco così da stimolargli la crescita muscolare e farli un po caz.zuti così da schiacciare l'intruso :D

Buon giorno dora

Questa storia di creare super cd8 me gusta !



Dora
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Re: [CROI 2016] B.Walker: Linfociti T e controllo di HIV

Messaggio da Dora » sabato 27 febbraio 2016, 8:07

bugs ha scritto:Praticamente li dopa un poco così da stimolargli la crescita muscolare e farli un po caz.zuti così da schiacciare l'intruso :D
Proprio così! I CD8 sono delle macchine da combattimento. (*)
Buon giorno, caro.




(*) Guardane uno in azione contro il cancro:




Barney
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Re: [CROI 2016] B.Walker: Linfociti T e controllo di HIV

Messaggio da Barney » sabato 27 febbraio 2016, 9:50

Perforine e granzimi come se piovessero :lol:



Dora
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Re: [CROI 2016] B.Walker: Linfociti T e controllo di HIV

Messaggio da Dora » mercoledì 9 marzo 2016, 16:07

La settimana scorsa, Jean-Pierre Routy e colleghi della McGill University hanno pubblicato su JIAS (la rivista della International AIDS Society - tutta open access) una review sul problema del persistere della attivazione dei CD8 anche durante l'infezione da HIV controllata con la ART.
La suggerisco come lettura particolarmente chiara a chi desiderasse approfondire l'argomento trattato in questo thread (ha anche, come ogni review, una ricca bibliografia):




nuovo giorno
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Re: [CROI 2016] B.Walker: Linfociti T e controllo di HIV

Messaggio da nuovo giorno » domenica 10 aprile 2016, 14:10

Dora ha scritto:La settimana scorsa, Jean-Pierre Routy e colleghi della McGill University hanno pubblicato su JIAS (la rivista della International AIDS Society - tutta open access) una review sul problema del persistere della attivazione dei CD8 anche durante l'infezione da HIV controllata con la ART.
La suggerisco come lettura particolarmente chiara a chi desiderasse approfondire l'argomento trattato in questo thread (ha anche, come ogni review, una ricca bibliografia):


Grazie Dora, ora ho capito qualcosa in più sui CD8



Fiore79
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Re: [CROI 2016] B.Walker: Linfociti T e controllo di HIV

Messaggio da Fiore79 » domenica 10 aprile 2016, 16:29

Su di me non fanno nessun studio... Forse perché come me c'è ne sono già tanti



Dora
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Re: [CROI 2016] B.Walker: Linfociti T e controllo di HIV

Messaggio da Dora » lunedì 11 aprile 2016, 6:56

Fiore79 ha scritto:Su di me non fanno nessun studio... Forse perché come me c'è ne sono già tanti
Non so dove tu sia seguita, ma non in tutti i centri si fa ricerca e anche nei centri dove la si fa non è detto che tu rientri nel tipo di ricerche che vengono fatte. Però di studi sui long term non progressor e sugli elite controller ce ne sono tanti, quindi anche se non vieni studiata direttamente tu, certamente i tuoi medici possono avere accesso a tante informazioni utili per seguirti nel modo migliore.
Ho letto che ti hanno rifiutato la terapia nonostante tu l'abbia esplicitamente richiesta e stia per di più cercando di avere un bambino con un uomo HIV negativo. Forse la letteratura che i tuoi medici leggono ha bisogno di qualche aggiornamento.



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