CROI 2013: Cardiovascular Disease and Co-morbidities in HIV
La terapia antiretrovirale combinata (ART) riduce enormemente le patologie AIDS-correlate e aumenta l’aspettativa di vita delle persone con infezione da HIV. Come risultato, patologie non-AIDS quali i disturbi cardiovascolari (CVD), i cancri non-AIDS e le epatopatie costituiscono ora le maggiori cause di morte. Fumo, obesità, diabete, dislipidemia e infiammazione cronica contribuiscono tutti alla patogenesi del CVD sia nella popolazione con HIV, sia in quella non infetta, ma il contributo di ciascuno di questi fattori può variare fra i due gruppi. Anche le tossicità della ART contribuiscono al rischio nelle persone HIV+.
Molti studi indicano oggi che l’infezione da HIV aumenta il rischio di CVD e di altre co-morbilità, anche tenendo conto dei fattori di rischio tradizionali. Questo comporta più alti tassi di malattia e forse anche un suo esordio più precoce. Tuttavia, si discute se l’HIV causi o meno un invecchiamento accelerato. Nuovi dati portati al CROI che si è appena concluso aiutano a chiarire il rischio di CVD e di altre co-morbilità, le loro cause e il modo migliore di trattarle nei pazienti con HIV.
RISCHIO DI CVD NELLE PERSONE CON HIV VS. QUELLE HIV-NEGATIVE ED EFFETTI DELL’INVECCHIAMENTO
Sono stati presentati tre studi sui tassi di CVD e sugli effetti dell’invecchiamento in popolazioni con e senza HIV.
Althoff, et al. [1] hanno analizzato il database del Veterans Aging Cohort Study (VACS) per determinare l’incidenza e l’età di esordio di tre importanti malattie che si presentano come co-morbilità in veterani HIV+ e controlli HIV-. Confrontati al gruppo HIV-, le persone con HIV avevano un aumento dell’81%, del 43% e dell’84% nell’incidenza di infarto del miocardio (MI), dell’insufficienza renale di stadio avanzato (ESDR) e di cancri AIDS-correlati (non di quelli che definiscono l’AIDS: cancro al polmone, al fegato, anale e orofaringeo, linfoma di Hodgkin). L’incidenza di altri cancri non-AIDS non è risultata aumentata. Per il CVD e l’ESDR, l’età al momento della diagnosi non era diversa per le persone HIV+ e quelle HIV-, ma c’era un’età media leggermente più bassa alla diagnosi (7 mesi) per entrambi i tipi di cancro. Punti di forza dello studio sono la sua grandissima dimensione (n > 100.000), l’aggiustamento per i più comuni fattori di rischio e le molto ampie distribuzioni delle età nelle due popolazioni. Questo studio offre un forte sostegno all’ipotesi che l’infezione da HIV stessa sia un fattore di rischio per questo tipo di co-morbilità, soprattutto perché il gruppo di controllo, fatto di veterani HIV-negativi in cura, è presumibilmente una popolazione ad alto rischio, se confrontata con la popolazione generale. Tuttavia, offre poche prove all’idea dell’invecchiamento precoce.
I ricercatori dello studio D A D hanno seguito un approccio indiretto per esaminare il problema, costruendo un modello dell’aumento del rischio CVD fra i 45 e i 60 anni, derivandolo dall’equazione di predizione del rischio CVD costruita nello studio D A D, che include fattori HIV-correlati [2]. Questo è stato confrontato al rischio stimato sulla base di tre equazioni derivate dalla popolazione generale, inclusa la Framingham e due equazioni derivate da pazienti italiani e scozzesi. Per l’endpoint del disturbo coronarico, che includeva anche MI, procedure invasive e morte improvvisa, e l’endpoint degli eventi cardiovascolari, che includeva anche l’infarto, il rischio stimato tramite l’equazione che includeva l’HIV è stato maggiore ed è parso in qualche modo aumentare con l’età, anche se non è stato possibile fare dei confronti statistici e non sono state date misure quantitative precise. Per quanto riguarda il solo endpoint dell’infarto del miocardio, non si sono viste differenze, ma i confronti sono stati possibili soltanto utilizzando per l’equazione Framingham questo parametro. Anche questo studio fornisce sostegno all’idea che il rischio CVD nelle persone con HIV sia aumentato e suggerisce che ci sia una modesta accelerazione legata all’invecchiamento, quanto meno se misurata con eventi CVD.
Un terzo studio ha usato un modello computerizzato sull’efficacia della prevenzione dell’HIV che include dati sulla co-morbilità e la mortalità per costruire un modello dei tassi di CVD nell’HIV e predire il rischio di CVD a età diverse, in confronto ai dati della popolazione generale e delle popolazioni HIV-negative ad alto rischio di HIV [3]. Questo studio ha ricavato delle proiezioni che danno tassi più alti di CVD nell’età 40-60 anni nella popolazione con HIV, ma sopra i 60 anni i rischi erano più bassi, a causa della competizione con altri fattori di rischio, a significare che la morte dovuta ad altre cause è divenuta più importante nel gruppo delle persone HIV-positive. Tuttavia questo studio, manteneva nel modello la presunzione che l’invecchiamento prematuro nelle persone con HIV faccia slittare di 10 anni il rischio di CVD. Pertanto, non si può ritenere che questo studio porti nuove prove a supporto dell’invecchiamento precoce nella malattia da HIV.
PATOGENESI E FATTORI DI RISCHIO NELLE CO-MORBILITÀ
Il disturbo coronarico nelle persone con HIV può comportare più caratteristiche anatomiche ad alto rischio e una patogenesi differente, come suggerito da un abstract presentato da Zanni et al. [4]. Nella popolazione generale, sono state individuate molte caratteristiche angiografiche come correlati di un aumentato rischio di rottura delle placche, che può portare alla sindrome coronarica acuta, all’infarto del miocardio e alla morte improvvisa. Il rimodellamento eccentrico della parete arteriosa, una bassa attenuazione della placca (LAP) e la microcalcificazione a macchia identificano la placca vulnerabile, che è ad aumentato rischio di rottura. Usando una angiografia di tomografia computerizzata (CT), questi ricercatori hanno indagato le caratteristiche della placca vulnerabile in 106 uomini HIV positivi, prevalentemente in ART, e 41 controlli HIV negativi. Nessuno aveva disturbi coronarici risaputi. Hanno scoperto che le caratteristiche della placca vulnerabile (LAP e rimodellamento eccentrico, ma non microcalcificazione) erano più comuni nelle persone con HIV. Della placca vulnerabile con tutti e tre i metodi di indagine è stata vista nell’8% dei partecipanti HIV+ e in nessuno dei controlli. Mediante analisi univariata, si è visto che la presenza di LAP si correla sia con i fattori di rischio cardiovascolare tradizionali, sia con i marker infiammatori, ma soltanto i livelli plasmatici di CD163 solubile un marker dell’attivazione dei monociti, sono rimasti associati in modo indipendente con la LAP in un’analisi multivariata. Simili dati sono stati descritti nelle donne in un poster presentato all’ultimo minuto [5]. Questo studio indica che il CVD nelle persone HIV+ può essere un disturbo più aggressivo, con maggiori caratteristiche che portano a eventi gravi, e che l’infiammazione sistemica, soprattutto quella che riguarda l’immunità innata e l’asse monociti/macrofagi, è centrale nella patogenesi.
Dati meno insoliti e con più tangibili implicazioni cliniche sono arrivati da tre poster che descrivevano le tendenze nei fattori di rischio convenzionali per il CVF e altre co-morbilità. Molti studi hanno mostrato che i tassi di fumo sono sostanzialmente più alti fra le persone con HIV rispetto a quelle senza negli USA, ma le stime della prevalenza del fumo sono variabili. I ricercatori dei CDC hanno analizzato i dati del Medical Managment Project nel 2009 e hanno scoperto il 42% delle persone con HIV fumavano, un tasso che è circa il doppio di quello del resto della popolazione [6]. Un altro 20% erano ex fumatori. I tassi di fumo variavano fra i gruppi demografici, ma erano sempre sostanzialmente maggiori nelle persone con HIV rispetto alla popolazione in generale.
Usando lo stesso database, i ricercatori dei CDC hanno valutato anche la questione dell’obesità [7]. I dati della popolazione generale venivano dall’indagine NHANES. Confrontata con la popolazione generale, la prevalenza di obesità aggiustata in base all’età (BMI > 30 kg/m2) nelle persone con HIV era più bassa complessivamente (35,7% vs 22,8%) e negli uomini (36% vs 17%), ma più alta nelle donne (36% vs 40%).
Di solito, dopo l’inizio della ART si vede un aumento di peso. Anche se l’obesità non è maggiormente prevalente negli uomini con HIV che nella popolazione in generale, un aumento di peso può comportare più sgradevoli implicazioni di salute. Herrin et al. [8] hanno analizzato il grande database VACS per stabilire l’effetto dell’aumento di peso sul rischio di diabete. Come valori di partenza, hanno trovato che solo il 10% di HIV+ nel database VACS erano obesi, rispetto al 36% degli HIV-. Dopo un anno, era più probabile che il gruppo HIV+ avesse avuto un aumento di peso > 2,3 kg. In un’analisi multivariata aggiustata per le caratteristiche di partenza, ogni 2,3 kg di aumento di peso davano un 10% di aumento di rischio di diabete dopo 5 anni di follow up, mentre per la popolazione HIV- questo aumento era del 6%.
Il fumo di sigaretta e l’obesità sono forti fattori di rischio di co-morbilità che oggi sono comuni fra le persone con HIV, compresi CVD, diabete, ipertensione e cancro. L’obesità è prevalente nell’HIV, soprattutto nelle donne e l’aumento di peso associato alla ART sembra portare un aumentato rischio di diabete. Dal momento che sono spesso presenti molti altri fattori di rischio, nel trattamento delle persone con HIV è necessario fare grandi sforzi perché raggiungano il peso corporeo ideale e smettano di fumare.
INSUFFICIENZA CARDIACA
HIV, ipertensione, diabete, abuso di alcool e certi antiretrovirali sono tutti associati a un aumento del rischio di insufficienza cardiaca. Dal momento che i pazienti con HIV vivono per molto più tempo con queste patologie, l’insufficienza cardiaca può diventare sempre più comune fra le co-morbilità cardiache. Per esaminarne la prevalenza fra i veterani con HIV, Freiberg et al. [9] hanno utilizzato il database VACS per studiare persone con e senza HIV che di partenza non avevano CVD. L’inizio dell’insufficienza cardiaca è stato riconosciuto mediante codici ICD-9 e l’insufficienza cardiaca è stata categorizzata in base ai risultati dell’ecocardiogramma. Dopo aver aggiustato per molti possibili elementi confondenti, si è visto che i veterani HIV+ avevano il 60% di probabilità in più di sviluppare insufficienza cardiaca rispetto ai veterani HIV-. Questa patologia era 3 volte più probabile che venisse diagnosticata prima dei 50 anni nelle persone HIV+.
TRATTAMENTO E PREVENZIONE DEL CVD
Poiché il rischio di CVD è aumentato nella malattia da HIV, servono efficaci metodi di prevenzione. Sia l’aspirina, sia le statine sono efficaci nella prevenzione primaria e secondaria del CVD nella popolazione generale, ma la loro efficacia non è certa nella malattia da HIV. Le statine sono un’opzione allettante perché, oltre ad abbassare il colesterolo, hanno effetti anti-infiammatori che possono ulteriormente ridurre il CVD e tutte le cause di mortalità. Uno studio di coorte pubblicato in precedenza ha identificato un beneficio significativo in termini di sopravvivenza per le persone con HIV che usano le statine ed avevano viremia controllata dalla ART. Due abstract hanno ulteriormente esaminato i benefici dell’uso di statine nell’HIV. Usando un registro nazionale, Rasmussen et al. hanno esaminato le cause generali di mortalità di tutte le persone HIV+ in Danimarca, confrontando chi usava e chi non usava le statine [10]. In un modello multivariata aggiustato per diversi parametri connessi all’HIV che si sanno avere influenza sulla sopravvivenza, la presenza di certe co-morbilità ed escludendo i fallimenti della soppressione virale, questi ricercatori hanno scoperto una tendenza alla riduzione della mortalità, che non ha però raggiunto la significatività statistica. A causa delle dimensioni, questo studio potrebbe aver perso la capacità statistica di individuare un effetto. Uno studio molto più ampio sul VACS ha trovato, sorprendentemente, che l’uso di statine era associato in modo significativo con un ridotto rischio di cancro, ma non di CVD o di mortalità in generale [11]. Una analisi limitata a chi prendeva solo statine molto potenti (atorvastatina e rosuvastatina) ha fatto ipotizzare maggiori riduzione nel cancro, nel CVD e nella mortalità, ma di nuovo ha raggiunto significatività statistica solo nel caso del cancro.
Le statine in genere sono ben tollerate, ma certi loro effetti collaterali – mialgia e miopatia – ne limitano l’uso in certi pazienti. Più di recente, l’uso di statine è stato associato a un aumento di rischio di insorgenza di diabete, anche se questo rischio non contrasta il beneficio complessivo per il CVD. Due studi di coorte che esaminavano l’uso di statine come fattore di rischio per l’insorgenza del diabete nella popolazione con HIV hanno dato risultati opposti. Uno studio italiano ha scoperto che l’uso di statine era fortemente associato a una diminuzione del rischio di diabete [12], mentre una analisi americana fatta prendendo dati dallo studio HOPS (HIV Out-patient study) ha trovato che l’uso di statine era associato a un aumento di rischio di diabete di circa il 10% per anno di esposizione [13]. Questi studi di popolazione hanno caratteristiche diverse, usano definizioni e metodi statistici diversi, e come tutti gli studi di coorte possono avere molti bias confondenti. A causa dei risultati in conflitto, la questione dell’aumento di rischio di diabete in persone con HIV che prendono statine rimane senza risposta.
Si sa poco dell’uso di aspirina e della sua efficacia in persone con HIV. Suchindran et al. [14] hanno investigato l’uso non episodico di aspirina in un largo database di persone con e senza HIV che afferivano a un grande sistema di cura universitario a Boston. L’aspirina era meno utilizzata dagli uomini HIV+, ma non dalle donne. La differenza è aumentata fra coloro che avevano due o più fattori di rischio CVD, dove si è visto che l’aspirina era usata circa 2 volte più spesso dagli uomini e dalle donne HIV negativi. Dopo gli aggiustamenti per i fattori di rischio tradizionali, i tassi di infarto sono risultati ridotti in modo significativo fra le persone HIV negative che usavano l’aspirina, mentre non si è visto alcun apparente beneficio fra gli uomini o le donne HIV positivi, a basso o ad alto rischio di CVD. Come altri studi di coorte, questo studio è limitato da possibili fattori confondenti, quali fattori di rischio di CVD non misurati, ma è provocatorio e dimostra che non si può dare per scontato che metodi che funzionano nella popolazione generale siano altrettanto efficaci nella malattia da HIV. Il CVD può comportarsi in modo diverso nelle popolazioni con HIV, in parte a causa di una differente patogenesi. Servono dei trial randomizzati sulla terapia con aspirina nella malattia da HIV, oppure bisogna includere più pazienti con HIV nei trial di prevenzione del CVD sulla popolazione generale.
Il miglioramento della sopravvivenza dopo infarto del miocardio nella popolazione generale negli ultimi decenni è stato attribuito all’uso più diffuso e più aggressivo di procedure invasive e di misure di prevenzione secondaria. Solo più di recente si è riconosciuto che le persone con HIV hanno un tasso di infarto aumentato e, con il trattamento antiretrovirale, una aspettativa di vita che richiede interventi aggressivi contro il CVD. Lo studio D A D ha analizzato se il miglioramento nelle cure del cuore siano stati estesi alla popolazione con HIV [15]. È stato esaminato il database per vedere le tendenze fra il 1999 e il 2011 e si è visto che il numero di infarti è diminuito in quel periodo, così come la mortalità a breve termine associata, dal 26 all’8%. Si è visto che l’uso di procedure invasive prima della diagnosi di infarto era basso, ma era molto più alto e aumentava moltissimo dopo l’infarto. Anche la prevenzione primaria con statine, anti-ipertensivi, ACE inibitori e sostanze anti-piastrine era bassa prima dell’infarto e cresceva poco nel corso del periodo in esame. Dopo l’infarto l’uso aumentava. Tuttavia, l’uso di questi farmaci come prevenzione secondaria era nel complesso basso, con meno della metà dei pazienti che ricevevano un intervento. Non c’erano però dati per fare un confronto con dei controlli HIV negativi. In una analisi multivariata dei fattori di rischio di morte a breve termine dopo infarto, la maggior parte dei miglioramenti nella sopravvivenza sono stati dovuti a un aumento nell’uso sia di procedure invasive, sia della prevenzione secondaria.
Fonti:
- 1. Althoff K, C Wyatt C, Gibert C, et al. HIV+ Adults Are at Greater Risk for Myocardial Infarction, Non-AIDS Cancer, and End-stage Renal Disease, but Events Occur at Similar Ages Compared to HIV- Adults. Abstract 59, 20th CROI, Atlanta, GA, March 3-6, 2013;
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