[CROI 2013]D.Shepp_Disturbi cardiovascolari e infiammazione

Le principali novità dai congressi riguardanti la malattia da HIV (CROI, IAS/IAC, ICAAC...) e i nostri commenti.
Dora
Messaggi: 7493
Iscritto il: martedì 7 luglio 2009, 10:48

[CROI 2013]D.Shepp_Disturbi cardiovascolari e infiammazione

Messaggio da Dora » mercoledì 13 marzo 2013, 9:33

Traduco due report che David Shepp, Hofstra North Shore School of Medicine – Manhasset, NY, ha scritto per Natap: il primo riguarda i lavori presentati al CROI su disturbi cardiovascolari e comorbilità nella malattia da HIV; il secondo - nel prossimo messaggio - si concentra sull’asse monociti/macrofagi e l’immunità innata.


CROI 2013: Cardiovascular Disease and Co-morbidities in HIV

La terapia antiretrovirale combinata (ART) riduce enormemente le patologie AIDS-correlate e aumenta l’aspettativa di vita delle persone con infezione da HIV. Come risultato, patologie non-AIDS quali i disturbi cardiovascolari (CVD), i cancri non-AIDS e le epatopatie costituiscono ora le maggiori cause di morte. Fumo, obesità, diabete, dislipidemia e infiammazione cronica contribuiscono tutti alla patogenesi del CVD sia nella popolazione con HIV, sia in quella non infetta, ma il contributo di ciascuno di questi fattori può variare fra i due gruppi. Anche le tossicità della ART contribuiscono al rischio nelle persone HIV+.

Molti studi indicano oggi che l’infezione da HIV aumenta il rischio di CVD e di altre co-morbilità, anche tenendo conto dei fattori di rischio tradizionali. Questo comporta più alti tassi di malattia e forse anche un suo esordio più precoce. Tuttavia, si discute se l’HIV causi o meno un invecchiamento accelerato. Nuovi dati portati al CROI che si è appena concluso aiutano a chiarire il rischio di CVD e di altre co-morbilità, le loro cause e il modo migliore di trattarle nei pazienti con HIV.

RISCHIO DI CVD NELLE PERSONE CON HIV VS. QUELLE HIV-NEGATIVE ED EFFETTI DELL’INVECCHIAMENTO

Sono stati presentati tre studi sui tassi di CVD e sugli effetti dell’invecchiamento in popolazioni con e senza HIV.
Althoff, et al. [1] hanno analizzato il database del Veterans Aging Cohort Study (VACS) per determinare l’incidenza e l’età di esordio di tre importanti malattie che si presentano come co-morbilità in veterani HIV+ e controlli HIV-. Confrontati al gruppo HIV-, le persone con HIV avevano un aumento dell’81%, del 43% e dell’84% nell’incidenza di infarto del miocardio (MI), dell’insufficienza renale di stadio avanzato (ESDR) e di cancri AIDS-correlati (non di quelli che definiscono l’AIDS: cancro al polmone, al fegato, anale e orofaringeo, linfoma di Hodgkin). L’incidenza di altri cancri non-AIDS non è risultata aumentata. Per il CVD e l’ESDR, l’età al momento della diagnosi non era diversa per le persone HIV+ e quelle HIV-, ma c’era un’età media leggermente più bassa alla diagnosi (7 mesi) per entrambi i tipi di cancro. Punti di forza dello studio sono la sua grandissima dimensione (n > 100.000), l’aggiustamento per i più comuni fattori di rischio e le molto ampie distribuzioni delle età nelle due popolazioni. Questo studio offre un forte sostegno all’ipotesi che l’infezione da HIV stessa sia un fattore di rischio per questo tipo di co-morbilità, soprattutto perché il gruppo di controllo, fatto di veterani HIV-negativi in cura, è presumibilmente una popolazione ad alto rischio, se confrontata con la popolazione generale. Tuttavia, offre poche prove all’idea dell’invecchiamento precoce.

I ricercatori dello studio D A D hanno seguito un approccio indiretto per esaminare il problema, costruendo un modello dell’aumento del rischio CVD fra i 45 e i 60 anni, derivandolo dall’equazione di predizione del rischio CVD costruita nello studio D A D, che include fattori HIV-correlati [2]. Questo è stato confrontato al rischio stimato sulla base di tre equazioni derivate dalla popolazione generale, inclusa la Framingham e due equazioni derivate da pazienti italiani e scozzesi. Per l’endpoint del disturbo coronarico, che includeva anche MI, procedure invasive e morte improvvisa, e l’endpoint degli eventi cardiovascolari, che includeva anche l’infarto, il rischio stimato tramite l’equazione che includeva l’HIV è stato maggiore ed è parso in qualche modo aumentare con l’età, anche se non è stato possibile fare dei confronti statistici e non sono state date misure quantitative precise. Per quanto riguarda il solo endpoint dell’infarto del miocardio, non si sono viste differenze, ma i confronti sono stati possibili soltanto utilizzando per l’equazione Framingham questo parametro. Anche questo studio fornisce sostegno all’idea che il rischio CVD nelle persone con HIV sia aumentato e suggerisce che ci sia una modesta accelerazione legata all’invecchiamento, quanto meno se misurata con eventi CVD.

Un terzo studio ha usato un modello computerizzato sull’efficacia della prevenzione dell’HIV che include dati sulla co-morbilità e la mortalità per costruire un modello dei tassi di CVD nell’HIV e predire il rischio di CVD a età diverse, in confronto ai dati della popolazione generale e delle popolazioni HIV-negative ad alto rischio di HIV [3]. Questo studio ha ricavato delle proiezioni che danno tassi più alti di CVD nell’età 40-60 anni nella popolazione con HIV, ma sopra i 60 anni i rischi erano più bassi, a causa della competizione con altri fattori di rischio, a significare che la morte dovuta ad altre cause è divenuta più importante nel gruppo delle persone HIV-positive. Tuttavia questo studio, manteneva nel modello la presunzione che l’invecchiamento prematuro nelle persone con HIV faccia slittare di 10 anni il rischio di CVD. Pertanto, non si può ritenere che questo studio porti nuove prove a supporto dell’invecchiamento precoce nella malattia da HIV.

PATOGENESI E FATTORI DI RISCHIO NELLE CO-MORBILITÀ

Il disturbo coronarico nelle persone con HIV può comportare più caratteristiche anatomiche ad alto rischio e una patogenesi differente, come suggerito da un abstract presentato da Zanni et al. [4]. Nella popolazione generale, sono state individuate molte caratteristiche angiografiche come correlati di un aumentato rischio di rottura delle placche, che può portare alla sindrome coronarica acuta, all’infarto del miocardio e alla morte improvvisa. Il rimodellamento eccentrico della parete arteriosa, una bassa attenuazione della placca (LAP) e la microcalcificazione a macchia identificano la placca vulnerabile, che è ad aumentato rischio di rottura. Usando una angiografia di tomografia computerizzata (CT), questi ricercatori hanno indagato le caratteristiche della placca vulnerabile in 106 uomini HIV positivi, prevalentemente in ART, e 41 controlli HIV negativi. Nessuno aveva disturbi coronarici risaputi. Hanno scoperto che le caratteristiche della placca vulnerabile (LAP e rimodellamento eccentrico, ma non microcalcificazione) erano più comuni nelle persone con HIV. Della placca vulnerabile con tutti e tre i metodi di indagine è stata vista nell’8% dei partecipanti HIV+ e in nessuno dei controlli. Mediante analisi univariata, si è visto che la presenza di LAP si correla sia con i fattori di rischio cardiovascolare tradizionali, sia con i marker infiammatori, ma soltanto i livelli plasmatici di CD163 solubile un marker dell’attivazione dei monociti, sono rimasti associati in modo indipendente con la LAP in un’analisi multivariata. Simili dati sono stati descritti nelle donne in un poster presentato all’ultimo minuto [5]. Questo studio indica che il CVD nelle persone HIV+ può essere un disturbo più aggressivo, con maggiori caratteristiche che portano a eventi gravi, e che l’infiammazione sistemica, soprattutto quella che riguarda l’immunità innata e l’asse monociti/macrofagi, è centrale nella patogenesi.

Dati meno insoliti e con più tangibili implicazioni cliniche sono arrivati da tre poster che descrivevano le tendenze nei fattori di rischio convenzionali per il CVF e altre co-morbilità. Molti studi hanno mostrato che i tassi di fumo sono sostanzialmente più alti fra le persone con HIV rispetto a quelle senza negli USA, ma le stime della prevalenza del fumo sono variabili. I ricercatori dei CDC hanno analizzato i dati del Medical Managment Project nel 2009 e hanno scoperto il 42% delle persone con HIV fumavano, un tasso che è circa il doppio di quello del resto della popolazione [6]. Un altro 20% erano ex fumatori. I tassi di fumo variavano fra i gruppi demografici, ma erano sempre sostanzialmente maggiori nelle persone con HIV rispetto alla popolazione in generale.

Usando lo stesso database, i ricercatori dei CDC hanno valutato anche la questione dell’obesità [7]. I dati della popolazione generale venivano dall’indagine NHANES. Confrontata con la popolazione generale, la prevalenza di obesità aggiustata in base all’età (BMI > 30 kg/m2) nelle persone con HIV era più bassa complessivamente (35,7% vs 22,8%) e negli uomini (36% vs 17%), ma più alta nelle donne (36% vs 40%).

Di solito, dopo l’inizio della ART si vede un aumento di peso. Anche se l’obesità non è maggiormente prevalente negli uomini con HIV che nella popolazione in generale, un aumento di peso può comportare più sgradevoli implicazioni di salute. Herrin et al. [8] hanno analizzato il grande database VACS per stabilire l’effetto dell’aumento di peso sul rischio di diabete. Come valori di partenza, hanno trovato che solo il 10% di HIV+ nel database VACS erano obesi, rispetto al 36% degli HIV-. Dopo un anno, era più probabile che il gruppo HIV+ avesse avuto un aumento di peso > 2,3 kg. In un’analisi multivariata aggiustata per le caratteristiche di partenza, ogni 2,3 kg di aumento di peso davano un 10% di aumento di rischio di diabete dopo 5 anni di follow up, mentre per la popolazione HIV- questo aumento era del 6%.

Il fumo di sigaretta e l’obesità sono forti fattori di rischio di co-morbilità che oggi sono comuni fra le persone con HIV, compresi CVD, diabete, ipertensione e cancro. L’obesità è prevalente nell’HIV, soprattutto nelle donne e l’aumento di peso associato alla ART sembra portare un aumentato rischio di diabete. Dal momento che sono spesso presenti molti altri fattori di rischio, nel trattamento delle persone con HIV è necessario fare grandi sforzi perché raggiungano il peso corporeo ideale e smettano di fumare.

INSUFFICIENZA CARDIACA

HIV, ipertensione, diabete, abuso di alcool e certi antiretrovirali sono tutti associati a un aumento del rischio di insufficienza cardiaca. Dal momento che i pazienti con HIV vivono per molto più tempo con queste patologie, l’insufficienza cardiaca può diventare sempre più comune fra le co-morbilità cardiache. Per esaminarne la prevalenza fra i veterani con HIV, Freiberg et al. [9] hanno utilizzato il database VACS per studiare persone con e senza HIV che di partenza non avevano CVD. L’inizio dell’insufficienza cardiaca è stato riconosciuto mediante codici ICD-9 e l’insufficienza cardiaca è stata categorizzata in base ai risultati dell’ecocardiogramma. Dopo aver aggiustato per molti possibili elementi confondenti, si è visto che i veterani HIV+ avevano il 60% di probabilità in più di sviluppare insufficienza cardiaca rispetto ai veterani HIV-. Questa patologia era 3 volte più probabile che venisse diagnosticata prima dei 50 anni nelle persone HIV+.

TRATTAMENTO E PREVENZIONE DEL CVD

Poiché il rischio di CVD è aumentato nella malattia da HIV, servono efficaci metodi di prevenzione. Sia l’aspirina, sia le statine sono efficaci nella prevenzione primaria e secondaria del CVD nella popolazione generale, ma la loro efficacia non è certa nella malattia da HIV. Le statine sono un’opzione allettante perché, oltre ad abbassare il colesterolo, hanno effetti anti-infiammatori che possono ulteriormente ridurre il CVD e tutte le cause di mortalità. Uno studio di coorte pubblicato in precedenza ha identificato un beneficio significativo in termini di sopravvivenza per le persone con HIV che usano le statine ed avevano viremia controllata dalla ART. Due abstract hanno ulteriormente esaminato i benefici dell’uso di statine nell’HIV. Usando un registro nazionale, Rasmussen et al. hanno esaminato le cause generali di mortalità di tutte le persone HIV+ in Danimarca, confrontando chi usava e chi non usava le statine [10]. In un modello multivariata aggiustato per diversi parametri connessi all’HIV che si sanno avere influenza sulla sopravvivenza, la presenza di certe co-morbilità ed escludendo i fallimenti della soppressione virale, questi ricercatori hanno scoperto una tendenza alla riduzione della mortalità, che non ha però raggiunto la significatività statistica. A causa delle dimensioni, questo studio potrebbe aver perso la capacità statistica di individuare un effetto. Uno studio molto più ampio sul VACS ha trovato, sorprendentemente, che l’uso di statine era associato in modo significativo con un ridotto rischio di cancro, ma non di CVD o di mortalità in generale [11]. Una analisi limitata a chi prendeva solo statine molto potenti (atorvastatina e rosuvastatina) ha fatto ipotizzare maggiori riduzione nel cancro, nel CVD e nella mortalità, ma di nuovo ha raggiunto significatività statistica solo nel caso del cancro.

Le statine in genere sono ben tollerate, ma certi loro effetti collaterali – mialgia e miopatia – ne limitano l’uso in certi pazienti. Più di recente, l’uso di statine è stato associato a un aumento di rischio di insorgenza di diabete, anche se questo rischio non contrasta il beneficio complessivo per il CVD. Due studi di coorte che esaminavano l’uso di statine come fattore di rischio per l’insorgenza del diabete nella popolazione con HIV hanno dato risultati opposti. Uno studio italiano ha scoperto che l’uso di statine era fortemente associato a una diminuzione del rischio di diabete [12], mentre una analisi americana fatta prendendo dati dallo studio HOPS (HIV Out-patient study) ha trovato che l’uso di statine era associato a un aumento di rischio di diabete di circa il 10% per anno di esposizione [13]. Questi studi di popolazione hanno caratteristiche diverse, usano definizioni e metodi statistici diversi, e come tutti gli studi di coorte possono avere molti bias confondenti. A causa dei risultati in conflitto, la questione dell’aumento di rischio di diabete in persone con HIV che prendono statine rimane senza risposta.

Si sa poco dell’uso di aspirina e della sua efficacia in persone con HIV. Suchindran et al. [14] hanno investigato l’uso non episodico di aspirina in un largo database di persone con e senza HIV che afferivano a un grande sistema di cura universitario a Boston. L’aspirina era meno utilizzata dagli uomini HIV+, ma non dalle donne. La differenza è aumentata fra coloro che avevano due o più fattori di rischio CVD, dove si è visto che l’aspirina era usata circa 2 volte più spesso dagli uomini e dalle donne HIV negativi. Dopo gli aggiustamenti per i fattori di rischio tradizionali, i tassi di infarto sono risultati ridotti in modo significativo fra le persone HIV negative che usavano l’aspirina, mentre non si è visto alcun apparente beneficio fra gli uomini o le donne HIV positivi, a basso o ad alto rischio di CVD. Come altri studi di coorte, questo studio è limitato da possibili fattori confondenti, quali fattori di rischio di CVD non misurati, ma è provocatorio e dimostra che non si può dare per scontato che metodi che funzionano nella popolazione generale siano altrettanto efficaci nella malattia da HIV. Il CVD può comportarsi in modo diverso nelle popolazioni con HIV, in parte a causa di una differente patogenesi. Servono dei trial randomizzati sulla terapia con aspirina nella malattia da HIV, oppure bisogna includere più pazienti con HIV nei trial di prevenzione del CVD sulla popolazione generale.

Il miglioramento della sopravvivenza dopo infarto del miocardio nella popolazione generale negli ultimi decenni è stato attribuito all’uso più diffuso e più aggressivo di procedure invasive e di misure di prevenzione secondaria. Solo più di recente si è riconosciuto che le persone con HIV hanno un tasso di infarto aumentato e, con il trattamento antiretrovirale, una aspettativa di vita che richiede interventi aggressivi contro il CVD. Lo studio D A D ha analizzato se il miglioramento nelle cure del cuore siano stati estesi alla popolazione con HIV [15]. È stato esaminato il database per vedere le tendenze fra il 1999 e il 2011 e si è visto che il numero di infarti è diminuito in quel periodo, così come la mortalità a breve termine associata, dal 26 all’8%. Si è visto che l’uso di procedure invasive prima della diagnosi di infarto era basso, ma era molto più alto e aumentava moltissimo dopo l’infarto. Anche la prevenzione primaria con statine, anti-ipertensivi, ACE inibitori e sostanze anti-piastrine era bassa prima dell’infarto e cresceva poco nel corso del periodo in esame. Dopo l’infarto l’uso aumentava. Tuttavia, l’uso di questi farmaci come prevenzione secondaria era nel complesso basso, con meno della metà dei pazienti che ricevevano un intervento. Non c’erano però dati per fare un confronto con dei controlli HIV negativi. In una analisi multivariata dei fattori di rischio di morte a breve termine dopo infarto, la maggior parte dei miglioramenti nella sopravvivenza sono stati dovuti a un aumento nell’uso sia di procedure invasive, sia della prevenzione secondaria.



Fonti:




Dora
Messaggi: 7493
Iscritto il: martedì 7 luglio 2009, 10:48

Re: [CROI 2013]D.Shepp_Disturbi cardiovascolari e infiammazi

Messaggio da Dora » giovedì 14 marzo 2013, 7:59

Quello che segue è il secondo report che David Shepp ha scritto per Natap, analizzando i lavori che al CROI hanno trattato dell’attivazione di monociti/macrofagi e dei suoi effetti sullo stato di infiammazione cronica nella malattia da HIV. Un paio o tre di abstract sono già stati segnalati nel precedente report di Shepp, ma li riporto ugualmente.


Inflammation and HIV at CROI 2013: Focus on the Monocyte/Macrophage Axis and Innate Immunity

L’HIV non trattato causa uno stato di attivazione immunitaria e di infiammazione cronica, che è direttamente coinvolto nella patogenesi dell’AIDS. La deplezione dei linfociti T e il mal funzionamento delle cellule immunitarie, i segni caratteristici dell’AIDS, derivano più dall’esaurimento dei linfociti T e dall’apoptosi che dagli effetti citopatici diretti del virus. I primi studi si sono concentrati sui marker di attivazione dei linfociti T e hanno dimostrato una forte correlazione con la progressione dell’AIDS. Tuttavia, l’infiammazione risulta dall’attivazione di entrambi i sistemi immuni, sia quello adattivo, sia quello innato. Nella popolazione generale, l’infiammazione contribuisce anche alla patogenesi di molte patologie croniche, fra cui i disturbi cardio- e cerebro-vascolari (CVD), il diabete, l’insufficienza renale cronica, l’osteoporosi e il cancro. Queste stesse patologie, dette co-morbilità non-AIDS (NCACoMs), sono oggi responsabili della maggior parte dei casi di morbilità e di mortalità nelle persone con HIV con viremia soppressa dalla terapia antiretrovirale. I marker plasmatici solubili dell’attivazione immunitaria innata sono fortemente correlati con il conseguente rischio di NCACoMs e di morte.
Studi più recenti inducono a ritenere che l’attivazione dell’immunità innata possa essere più importante dell’attivazione dei linfociti T nel predire eventi clinici in persone con HIV in ART.
Al CROI 2013 sono stati presentati nuovi studi che consolidano questa idea ed evidenziano l’importanza della attivazione dell’asse dei monociti/macrofagi nella patogenesi del disturbo cardiovascolare e nella mortalità. Per sostenere ulteriori miglioramenti nella salute e nell’aspettativa di vita delle persone con HIV con una buona soppressione virologica grazie alla ART, possono essere necessari nuovi trattamenti per controllare l’attivazione immunitaria residua. Sono stati presentati al CROI di quest’anno anche dei dati sui possibili trattamenti per ridurre l’attivazione immunitaria.

L’ATTIVAZIONE DEI MONOCITI/MACROFAGI NEL CVD E IN ALTRE NCACoMs

Baker et al. [1] hanno studiato la progressione del calcio nelle coronarie (CAC) nei partecipanti dello studio SUN, una coorte prospettica sulla storia naturale dell’HIV composta largamente da pazienti che danno una buona risposta alla ART. A 436 persone sono stati valutati i punteggi del CAC grazie a una TAC sia all’inizio dello studio, sia dopo 2 anni. Sono stati misurati i marker cellulari dell’attivazione dei monociti e dei linfociti T. La prevalenza dei tradizionali fattori di rischio cardiovascolare era piuttosto bassa, tranne che per il fumo di sigaretta. L’insorgere del CAC o un suo significativo peggioramento si sono verificati in 55 persone. In un’analisi multivariata, in cui si sono fatti aggiustamenti per diverse caratteristiche HIV-correlate e per i fattori di rischio di CVD, l’espressione al basale del CD16 sui monociti (con o senza il CD14, considerato connesso a fenotipi intermedi e non classici dei monociti) è risultata associata in modo indipendente con la progressione del CAC a due anni. Non si è vista correlazione con l’espressione dei marker di attivazione HLA-DR e CD38 o con il marker di senescenza CD57, né sui CD4, né sui CD8.

La coronaropatia nelle persone con HIV può presentarsi con caratteristiche che la rendono più rischiosa e la patogenesi può essere scatenata dall’attivazione dei monociti, come viene suggerito in un abstract presentato da Zanni et al. [2]. Nella popolazione generale, molti aspetti dell’angioplastica sono stati identificati come correlati a un aumentato rischio di rottura della placca e portano alla sindrome coronarica acuta, all’infarto del miocardio e alla morte coronarica improvvisa. Il rimodellamento eccentrico della parete delle arterie, la bassa attenuazione della placca (LAP) e la microcalcificazione a spot identificano la placca vulnerabile, che presenta un rischio di rottura aumentato. Usando l’angiografia TAC, questi ricercatori hanno indagato le caratteristiche della placca vulnerabile in 106 uomini HIV+, prevalentemente in ART, e 41 controlli HIV-. Nessuno aveva disturbi coronarici risaputi. Hanno scoperto che le caratteristiche della placca vulnerabile (LAP e rimodellamento eccentrico, ma non microcalcificazione) erano più comuni nelle persone con HIV. Della placca vulnerabile con tutti e tre i metodi di indagine è stata vista nell’8% dei partecipanti HIV+ e in nessuno dei controlli. Mediante analisi univariata, si è visto che la presenza di LAP si correla sia con i fattori di rischio cardiovascolare tradizionali, sia con i marker infiammatori, ma soltanto i livelli plasmatici di CD163 solubile un marker dell’attivazione dei monociti, sono rimasti associati in modo indipendente con la LAP in un’analisi multivariata. Simili dati sono stati descritti nelle donne in un poster presentato all’ultimo minuto [3]. Questo studio indica che il CVD nelle persone HIV+ può essere un disturbo più aggressivo, con maggiori caratteristiche che portano a eventi gravi, e che l’infiammazione sistemica, soprattutto quella che riguarda l’immunità innata e l’asse monociti/macrofagi, è centrale nella patogenesi.

Un terzo studio ha evidenziato l’importanza dei livelli elevati dei marker solubili dell’attivazione immunitaria innata. Tenorio et al. hanno analizzato il follow up della coorte ACTG del trial sulla ART per determinare la relazione fra marker plasmatici solubili di infiammazione, marker cellulari di attivazione dei linfociti T ed eventi clinici, definiti qui come infarto, ictus, infezioni batteriche non-AIDS gravi e morte non accidentale [4]. I casi (n=143) che hanno presentato uno di questi eventi sono stati confrontati con 315 controlli che non ne hanno avuti. In un’analisi multivariata con correzione di molti possibili aspetti di confusione, i livelli di IL-6, dei recettori I e II del TNF solubile, del CD14 solubile (sCD14, un marker di attivazione dei monociti) si sono visti associati in modo significativo ad eventi clinici, mentre i marker di attivazione e di senescenza dei linfociti T no. Si è trovata questa relazione al momento di partenza dello studio (pre-ART), ma anche dopo un anno di terapia. Anche se i marker di attivazione dei linfociti T non sono risultati correlati con eventi clinici, lo è stata la ricostituzione immunitaria dei CD4. Confrontati con i controlli, i pazienti HIV+ avevano più scarsa ricostituzione dei CD4 e ogni aumento dei CD4 di 100 cellule/uL dava una riduzione del 19% del rischio di eventi clinici.

USARE I MARKER INFIAMMATORI PER PREDIRE IL RISCHIO

Studi fatti in passato hanno dimostrato che i livelli di IL-6 e D-dimero sono fra i più affidabili predittori dell’accadere futuro di NACoMs e morte. I livelli di partenza sono correlati con il rischio 5 anni dopo. Grund et al. hanno combinato i dati dei livelli al basale di questi marker prendendoli da tre grandi trial clinici (SMART, ESPRIT, SILCAAT) in modo da sviluppare un’equazione che li usi entrambi e fornisca una forte correlazione con eventi clinici e morti [5]. Gli autori hanno proposto di usare questa equazione nei trial clinici per stimare l’impatto degli interventi volti a ridurre l’infiammazione cronica e forse anche per avere un marker surrogato dei risultati clinici, anche se per questo servirebbe una validazione prospettica di questo concetto.

INTERVENTI PER RIDURRE L’INFIAMMAZIONE CRONICA

Le statine sono efficaci nella prevenzione primaria e secondaria del CVD nella popolazione generale, ma la loro efficacia non è certa nella malattia da HIV. Le statine sono un’opzione allettante perché, oltre ad abbassare il colesterolo, hanno effetti anti-infiammatori che possono ulteriormente ridurre il CVD, le NACoMs e tutte le cause di mortalità. Uno studio di coorte pubblicato in precedenza ha identificato un beneficio significativo in termini di sopravvivenza per le persone con HIV che usano le statine ed avevano viremia controllata dalla ART. Due abstract presentati al CROI 2013 hanno ulteriormente esaminato i benefici dell’uso di statine nell’HIV. Usando un registro nazionale, Rasmussen et al. hanno esaminato le cause generali di mortalità di tutte le persone HIV+ in Danimarca, confrontando chi usava e chi non usava le statine [6]. In un modello multivariata aggiustato per diversi parametri connessi all’HIV che si sanno avere influenza sulla sopravvivenza, la presenza di certe co-morbilità ed escludendo i fallimenti della soppressione virale, questi ricercatori hanno scoperto una tendenza alla riduzione della mortalità, che non ha però raggiunto la significatività statistica. A causa delle dimensioni, questo studio potrebbe aver perso la capacità statistica di individuare un effetto. Uno studio molto più ampio sul VACS ha trovato, sorprendentemente, che l’uso di statine era associato in modo significativo con un ridotto rischio di cancro, ma non di CVD o di mortalità in generale [7]. Una analisi limitata a chi prendeva solo statine molto potenti (atorvastatina e rosuvastatina) ha fatto ipotizzare maggiori riduzione nel cancro, nel CVD e nella mortalità, ma di nuovo ha raggiunto significatività statistica solo nel caso del cancro. Questi due studi tendono a sostenere un effetto benefico delle statine ma, come altri studi di coorte, sono limitati da possibili fattori di rischio confondenti non misurati e dalle indicazioni di uso delle statine. I risultati di un trial randomizzato aiuterebbero a chiarire i benefici delle statine nella malattia da HIV.

Anche l’aspirina è efficace nella prevenzione sia primaria, sia secondaria del CVD nella popolazione generale. Come le statine, l’aspirina ha diversi modi di agire e lavora sia come sostanza anti-piastrine, sia come anti-infiammatorio. Si sa poco dell’uso e dell’efficacia dell’aspirina in persone con HIV.
Suchindran et al. [9] hanno investigato l’uso non episodico di aspirina in un largo database di persone con e senza HIV che afferivano a un grande sistema di cura universitario a Boston. L’aspirina era meno utilizzata dagli uomini HIV+, ma non dalle donne. La differenza è aumentata fra coloro che avevano due o più fattori di rischio CVD, dove si è visto che l’aspirina era usata circa 2 volte più spesso dagli uomini e dalle donne HIV negativi. Dopo gli aggiustamenti per i fattori di rischio tradizionali, i tassi di infarto sono risultati ridotti in modo significativo fra le persone HIV negative che usavano l’aspirina, mentre non si è visto alcun apparente beneficio fra gli uomini o le donne HIV positivi, a basso o ad alto rischio di CVD. Come altri studi di coorte, questo studio è limitato da possibili fattori confondenti, quali fattori di rischio di CVD non misurati, ma è provocatorio e dimostra che non si può dare per scontato che metodi che funzionano nella popolazione generale siano altrettanto efficaci nella malattia da HIV. Il CVD può comportarsi in modo diverso nelle popolazioni con HIV, in parte a causa di una differente patogenesi. Servono dei trial randomizzati sulla terapia con aspirina nella malattia da HIV, oppure bisogna includere più pazienti con HIV nei trial di prevenzione del CVD sulla popolazione generale.

Usando modelli animali di AIDS, Walker et al. hanno indagato la capacità di un composto ancora in fase di studio – il PA 300 – di inibire i macrofagi attivati nel cuore [10]. I macachi infetti da SIV con i CD8 distrutti sviluppano una patologia simile all’AIDS che progredisce rapidamente, con alti tassi di encefalite e di miocardite, entrambe condizioni caratterizzate da macrofagi CD163+ che infiltrano i tessuti. Il PA 300 è una versione biodisponibile oralmente di un farmaco anti-tumorale, l’MGBG, che inibisce la sintesi delle poliammine. Queste sono necessarie per l’attivazione e il traffico dei macrofagi nei tessuti. Delle scimmie infette da SIV trattate con PA 300 hanno mostrato una diminuzione dose-correlata dei macrofagi CD163+ presenti nel tessuto cardiaco. Non sono stati dimostrati dei miglioramenti istologici o funzionali, e non è chiaro se questo modello animale sia rilevante per l’infezione umana da HIV o se il PA 300 sia sicuro nei trial su esseri umani. Servono altri studi.

Terapie integrative in grado di ridurre l’infiammazione nei pazienti in ART sarebbero le benvenute, se diminuissero il rischio di NACoMs, ma imporrebbero di rinunciare ad alcuni dei guadagni realizzati di recente grazie alla semplificazione dei regimi di ART. Degli antiretrovirali con utili proprietà immunomodulanti potrebbero farci aggirare il problema. Il cenicriviroc (CVC) è un antiretrovirale che blocca il CCR5 per impedire l’ingresso dell’HIV, ma blocca anche il CCR2, un importante recettore sulla superficie dei monociti che media l’attivazione. Gathe et al. [11] hanno riferito i dati parziali a 24 settimane di uno studio di fase II, randomizzato, in doppio cieco, con doppio placebo, in cui si confrontavano 100 o 200 mg una volta al giorno di cenicriviroc con l’efavirenz (EFV), entrambi dati con tenofovir DF ed emtricitabina. Lo studio ha arruolato 143 partecipanti naive, con un HIV sensibile a tutti i farmaci somministrati. Entrambe le dosi di CVC e di EFV hanno prodotto simili tassi di soppressione dell’HIV RNA < 50 copie/mL (71-76%), anche se lo studio non era abbastanza grande per dimostrare la non-inferiorità. Il braccio del CVC ha mostrato una tendenza ad avere più fallimenti virali e il braccio dell’EFV più interruzioni a causa di eventi avversi, ma l’efficacia complessiva potrebbe essere stata ostacolata dall’uso di una ingombrante formulazione iniziale del CVC e dal doppio placebo, che hanno aumentato il numero delle pillole da prendere. Mentre sono rimasti identici per l’EFV, i livelli di MCP-1, un ligando del CCR2, sono aumentati nelle persone che hanno preso il CVC e questo induce a pensare che si sia verificato un blocco del CCR2. Il CD14 solubile, un marker di attivazione dei macrofagi che è un altro forte correlato di mortalità nelle popolazioni con HIV, è diminuito, mentre è aumentato leggermente nel braccio dell’EFV. Anche se questo studio non era abbastanza grande per dare risultati incontrovertibili, suggerisce comunque che possano esserci delle differenze fra gli antiretrovirali nei loro effetti anti-infiammatori. Servono dunque altri studi per definire meglio questi effetti.


La ART è stata studiata per ridurre in misura variabile gli elevati livelli di attivazione immunitaria e i marker di infiammazione presenti nelle persone con HIV. Tuttavia, si sa poco dei relativi effetti anti-infiammatori degli ARV comunemente usati. Uno studio pubblicato tempo fa suggeriva che passare da un inibitore della proteasi rinforzato con ritonavir al raltegravir comportasse un più sensibile miglioramento dei marker infiammatori. Lake et al. [12] hanno riferito dei cambiamenti in un piccolo trial in cui sono state randomizzate delle donne con adiposità centrale per passare al raltegravir da un regime o co IP o con NNRTI, oppure per rimanere nel regime di partenza. Dopo 24 settimane, l’sCD14 è diminuito nelle donne che erano passate al raltegravir, mentre quelle rimaste con il vecchio regime non hanno avuto cambiamenti. Non si sono visti cambiamenti significativi nell’sCD163 o nell’I-FABP, un marker di integrità intestinale e di traslocazione microbica. Questo è il secondo studio che suggerisce che il raltegravir possa avere degli effetti sui marker infiammatori migliori rispetto ad altri ARV. Servono ulteriori conferme di questo possibile effetto.

Due piccoli studi pilota che indagavano gli interventi anti-infiammatori hanno riferito risultati negativi. 24 settimane di clorochina data come terapia integrativa a pazienti in ART soppressiva non sono riuscite a produrre alcuna riduzione in un gran numero di marker cellulari e solubili di infiammazione [13]. Questo risultato contrasta con i miglioramenti dei marker infiammatori segnalati in precedenza in pazienti in ART soppressiva cui era stata somministrata idrossiclorochina, un farmaco correlato.
In un trial randomizzato, in doppio cieco, controllato con placebo sulla pentoxifillina, un preteso inibitore del TNF-alfa dato per 8 settimane a pazienti non in terapia, non si sono visti miglioramenti nella dilatazione arteriale flusso-mediata, né nei marker di attivazione cellulare, né in nessuno di un gruppo di marker solubili di infiammazione e della funzione endoteliale [14].




Fonti:

  • 1. Baker J, Huppler Hullsiek K, Singh A, et al. Monocyte Activation, but Not T Cell Activation, Predicts Progression of Coronary Artery Calcium in a Contemporary HIV Cohort. Abstract 66LB, 20th CROI, Atlanta, GA, March 3-6, 2013; http://www.retroconference.org/2013b/Ab ... /47865.htm

    2. Zanni M, Lo J, Wai B, Shah B, et al. Increased Coronary Atherosclerotic Plaque Vulnerability Features on Computed Tomography Angiography among HIV+ Subjects vs Matched HIV- Controls. Abstract 63, 20th CROI, Atlanta, GA, March 3-6, 2013; http://www.retroconference.org/2013b/Ab ... /47634.htm

    3. Fitch K, Abbara S, Burdo T, et al. Non-Calcified Coronary Plaque and Macrophage Activation Markers Are Increased in HIV+ Women. Abstract 185LB, 20th CROI, Atlanta, GA, March 3-6, 2013; http://www.retroconference.org/2013b/Ab ... /48048.htm

    4. Tenorio A, Zheng E, Bosch R, et al. Soluble Markers of Inflammation and Coagulation, but Not T Cell Activation, Predict Non-AIDS-defining Events during Suppressive ART. Abstract 790, 20th CROI, Atlanta, GA, March 3-6, 2013; http://www.retroconference.org/2013b/Ab ... /47174.htm

    5. Grund B, Baker J, Deeks S, et al. Combined Effect of Interleukin-6 and D-dimer on the Risk of Serious Non-AIDS Conditions: Data from 3 Prospective Cohorts. Abstract 60, 20th CROI, Atlanta, GA, March 3-6, 2013; http://www.retroconference.org/2013b/Ab ... /47309.htm

    6. Rasmussen L, Kronborg G, Larsen C, et al. Statin Therapy and Mortality in HIV+ Individuals: A Danish Nationwide Population-based Cohort Study. Abstract 764, 20th CROI, Atlanta, GA, March 3-6, 2013; http://www.retroconference.org/2013b/PDFs/764.pdf

    7. Drechsler H, Zhang S, Maalouf N, et al. Impact of Statin Exposure on Mortality and Non-AIDS Complications in HIV Patients on HAART. Abstract 765, 20th CROI, Atlanta, GA, March 3-6, 2013; http://www.retroconference.org/2013b/PDFs/765.pdf

    8. McComsey G, Jiang Y, Debanne S, et al. Effect of Statins on Immune Activation and Inflammation in HIV+ Subjects on ART: A Randomized Placebo Controlled Trial. Abstract 186LB, 20th CROI, Atlanta, GA, March 3-6, 2013; http://www.retroconference.org/2013b/Ab ... /48072.htm

    9. Suchindran S, Regan S, Meigs J, et al. Comparison of Aspirin Use and Incident Myocardial Infarction Rates in HIV+ and HIV- Patients in a Large US Healthcare System. Abstract 65, 20th CROI, Atlanta, GA, March 3-6, 2013; http://www.retroconference.org/2013b/Ab ... /45699.htm

    10. Walker J, Burdo T, Miller A, et al. Elevated Numbers of CD163+ Macrophages in Hearts of SIV+ Rhesus Macaques with Cardiac Disease Are Decreased Using PA300. Abstract 64, 20th CROI, Atlanta, GA, March 3-6, 2013; http://www.retroconference.org/2013b/Ab ... /47395.htm

    11. Gathe J, Cade J, DeJesus E, et al. Week-24 Primary Analysis of Cenicriviroc vs Efavirenz, in Combination with Emtricitabine/Tenofovir, in Treatment-naïve HIV-1+ Adults with CCR5-tropic Virus. Abstract 106LB, 20th CROI, Atlanta, GA, March 3-6, 2013; http://www.retroconference.org/2013b/Ab ... /48023.htm

    12. Lake J, McComsey G, Hulgan T, et al. Soluble CD14 Declines in Virologically Suppressed Women Switching from Protease Inhibitor or NNRTI to Raltegravir: The Women, Integrase, and Fat Accumulation Trial. Abstract 794, 20th CROI, Atlanta, GA, March 3-6, 2013; http://www.retroconference.org/2013b/Ab ... /46835.htm

    13. Jenabian M-A, Patel M, Kanagaratham C, et al. Evaluation of Chloroquine Administration on CD4 Recovery and Immune Activation in HIV+ Subjects Receiving ART. Abstract 565, 20th CROI, Atlanta, GA, March 3-6, 2013; http://www.retroconference.org/2013b/Ab ... /46089.htm

    14. Gupta S, Mi D, Dube M, et al. Pentoxifylline neither Reduces Systemic Inflammation nor Improves Endothelial Function in HIV+ Persons Not Receiving ART. Abstract 565, 20th CROI, Atlanta, GA, March 3-6, 2013; http://www.retroconference.org/2013b/Ab ... /45579.htm



Rispondi