HAART e tossicità correlata nella popolazione femminile

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Eilan
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HAART e tossicità correlata nella popolazione femminile

Messaggio da Eilan » sabato 5 novembre 2011, 13:57

In pratica rafforza ciò che è stato dimostrato con lo studio trattato da Dora Studio GRACE: come uomini e donne rispondono alla HAART anche se con qualche finalità diversa.
Si parla anche dello studio ACTG 5202 anche questo già affrontato da Dora qua [CROI 2010] Tebas: problemi metabolici

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Una metanalisi indica l’importanza di disegnare terapie ARV efficaci e sicure nelle donne HIV-positive


Risposta alla HAART e tossicità correlata nella popolazione femminile

La popolazione HIV-positiva è stata ed è attualmente molto studiata per quanto riguarda sia la patogenesi dell’infezione sia le tossicità legate alla terapia antiretrovirale. Tuttavia tutto questo è vero per quanto riguarda la popolazione maschile ma non quella femminile. Se si vanno ad esaminare i pazienti arruolati nei principali studi clinici, soprattutto in quelli di fase II-III, si nota come le donne sieropositive siano scarsamente rappresentate: nella maggior parte dei trial costituiscono meno del 30% dei partecipanti. Il mancato arruolamento del sesso femminile negli studi clinici fa sì che poco si conosce sia sulla risposta delle donne alla terapia antiretrovirale sia sul tipo e sull’entità degli effetti collaterali a essa legata.

Ashwaq Hermes et al. hanno cercato di far luce su questi aspetti conducendo una metanalisi di 7 studi prospettici (poster) presentata al 1st International Workshop on HIV & Women from Adolescence through Menopause che si è svolto a Washington DC il 10 e l’11 gennaio 2011.




Efficacy, safety and tolerability of lopinavir/ritonavir (LPV/r) in HIV-infected women: results of a meta-analysis of 7 prospective, randomized clinical trials (RCTs) through 48 weeks

Hermes A, Fredrick L, Pasley M, Trihn R, Martinez M, Norton M. 1st International Workshop on HIV & Women from Adolescence through Menopause, Washington DC, January 10-11, 2011

COMMENTO DELL'ESPERTO
Dott.ssa Teresa Bini

Dai pochi studi condotti sulle differenze di genere sembra che le donne presentino una diagnosi tardiva di infezione da HIV e accedano alle cure in ritardo rispetto alla popolazione maschile. Nonostante ciò diversi trial hanno dimostrato che al momento della presentazione nel sesso femminile si osserva una conta di linfociti CD4+ uguale a quella maschile, con una carica virale plasmatica addirittura inferiore. Nel momento in cui comunque le donne accedono alle cure non si nota una differente risposta immunovirologica tra i due sessi. È invece indubbio che la popolazione femminile sieropositiva presenta una maggiore frequenza di effetti collaterali rispetto a quella maschile, con un’alta probabilità di sospensione della terapia antiretrovirale (ARV). Le differenze di genere per quanto riguarda le tossicità dipendono da vari fattori, tra i quali età, body mass index e clearance, che influenzano la farmacocinetica degli antivirali.

È utile ricordare che le donne molto frequentemente assumono contraccettivi ormonali orali che interferiscono con molti inibitori delle proteasi (PI) e inibitori non nucleosidici alterandone la farmacocinetica, favorendo la tossicità e riducendo la risposta alla terapia.

Anche se la HAART ha avuto un ruolo determinante nella cronicizzazione dell’infezione da HIV, la terapia a lungo termine scatena importanti implicazioni metaboliche quali lipodistrofia, dislipidemia, insulinoresistenza e/o diabete e alterazioni ossee in entrambi i sessi. Alcune di queste sono più frequenti nelle donne, come l’obesità trunculare associata a lipoatrofia degli arti. La percezione del cambiamento corporeo causata dalla terapia ARV nel sesso femminile è una delle principali cause di autosospensione terapeutica. Le donne in trattamento con PI, specialmente quelle in sovrappeso, risultano essere a maggiore rischio di diabete. Sebbene il rischio di patologie cardiovascolari è più frequente nell’uomo rispetto alla donna in età fertile, al momento non ci sono studi che dimostrino che tale differenza persista una volta che la donna entra in menopausa. Inoltre, dato che le donne in menopausa hanno un rischio aggiuntivo di osteopenia e osteoporosi rispetto agli uomini, è molto importante incentivare il loro arruolamento nei principali studi clinici in modo da poter fare più chiarezza sulla risposta alla terapia ARV e sulle tossicità associate nella popolazione femminile HIV-positiva.

Al di là degli effetti collaterali dei farmaci le donne in età fertile dispongono di minori opzioni terapeutiche, soprattutto quando vogliono pianificare una gravidanza. Tra tutte le molecole a disposizione è sconsigliato sia impiegare efavirenz, per una possibile teratogenicità e, nelle pazienti con CD4+ >250 cell/mm3, sia iniziare una terapia con nevirapina perché aumenta il rischio di rash cutaneo e di epatotossicità.

La terapia ARV è comunque fondamentale durante la gravidanza in quanto agisce riducendo la carica virale materna prepartum e intrapartum e quindi l’esposizione neonatale al virus. Durante questo delicato periodo occorre quindi scegliere un trattamento non teratogeno e che sia in grado di raggiungere il feto attraverso la barriera placentare. I PI costituiscono una buona risposta a queste due criticità, in particolare lopinavir/ritonavir (LPV/r) oltre a essere il farmaco indicato come prima scelta in gravidanza nelle Linee Guida Italiane e Internazionali, è l’unico ad avere l’indicazione dell’EMEA per essere utilizzato in gravidanza senza modificare il dosaggio anche nell’ultimo trimestre.

Di seguito vengono analizzati i risultati di una metanalisi di 7 trial prospettici randomizzati su LPV/r, che ha valutato la risposta alla terapia e la tossicità a essa correlata nella popolazione femminile rispetto a quella maschile.

Questi risultati sono interessanti anche in considerazione dei dati di un’analisi dello studio ACTG 5202 condotto su 1.857 pazienti naïve e pubblicati al recente CROI di Boston in cui si valutavano efficacia, sicurezza e tollerabilità di atazanavir/ritonavir (ATV/r) ed efavirenz (EFV) entrambi associati ad abacavir/lamivudina (ABC+3TC) o a tenofovir/emtricitabina (TDF+FTC), confrontati tra uomini e donne. In particolare in tale analisi, pur non avendo evidenziato differenze nella risposta immunologica tra i sessi, le donne presentavano un più alto rischio di fallimento virologico nella terapia contenente ATV/r rispetto a quella con EFV, indipendentemente dal backbone utilizzato in associazione (nel braccio ABC + 3TC era 2,90 (95%CI: 1,32-6,36; p=0,004) e nel braccio TDF + FTC era 2,20 (95%CI: 0,97-4,98; p=0,03)).

Obiettivi

L’obiettivo della metanalisi era quello di fornire informazioni sull’efficacia, tossicità e sicurezza di un regime ARV contenente LPV/r dopo un follow-up di 48 settimane, focalizzando l’attenzione sulla popolazione femminile.

Metodi

Nella metanalisi sono stati inclusi 2.022 soggetti che assumevano un regime contenente 2 analoghi nucleosidici + LPV/r. Tali pazienti provenivano da studi clinici randomizzati che avevano arruolato soggetti sia naïve sia experienced. In tale metanalisi sono stati valutati la proporzione di pazienti con HIV-RNA <50 copie/ml, l’incremento dei linfociti CD4+ rispetto al baseline e gli eventi avversi.

Risultati

Nei 7 studi considerati nell’ambito della metanalisi sono state arruolate un totale di 492 donne HIV-positive di cui 286 naïve per ARV. I risultati che sono illustrati di seguito sono a 48 settimane per tutti gli studi inclusi nella metanalisi. La ARV veniva sospesa più frequentemente dalla popolazione femminile rispetto a quella maschile: nei pazienti naïve il 21,7% delle donne vs il 15,4% degli uomini, mentre nei soggetti experienced non si è riscontrata una differenza statisticamente significativa nelle percentuali di interruzione tra uomini e donne (23,8% delle donne vs il 21,9% degli uomini). La principale causa di sospensione della terapia nelle donne naïve era costituita dalla perdita al follow-up. In sostanza, nei pazienti sia ARV-naïve sia ARV-experienced, regimi contenenti LPV/r si sono rivelati ben tollerati da entrambi i gruppi, come si desume dalla bassa incidenza di interruzione terapeutica dovuta a eventi avversi o HIV-correlati (experienced: 7,8% donne vs 5,1% uomini, naïve: 5,9% donne vs 4,6% uomini).

Nell’analisi OD il successo virologico, definito come HIV-RNA < 50 copie/ml a 48 settimane nei pazienti naïve, era pari all’87% in entrambi i sessi. In un’analisi ITT risultava invece lievemente maggiore nel sesso maschile (74% uomini vs 69% donne; p>0,05). Per quanto riguarda i pazienti experienced, il successo virologico veniva raggiunto nell’analisi OD dal 76% dei maschi vs il 70% delle donne (p>0,100), mentre nell’analisi ITT dal 57% degli uomini vs il 52% delle donne (p>0,100). In sostanza, per soggetti sia ARV-naïve sia ARV-experienced, la percentuale di responder era nel complesso simile nella popolazione maschile e in quella femminile alle analisi OD e ITT.

L’incremento medio dei linfociti T CD4+ era molto simile nei due sessi in tutti i gruppi a 48 settimane: nei pazienti naïve si osservava un incremento medio di 200 cell/mm3 negli uomini vs 209 cell/mm3 nelle donne, mentre nei pazienti experienced l’aumento era di 123 cell/mm3 negli uomini e di 138 cell/mm3 nelle donne.

Eventi avversi di grado moderato-severo si registravano in misura lievemente maggiore nei pazienti naïve, ma con simile proporzione nei due sessi (34,3% donne vs 34,9% uomini). In generale, le donne lamentavano maggiormente vomito e dispepsia. Anche se l’incidenza delle alterazioni di laboratorio era simile nei due sessi, negli uomini i valori dei trigliceridi (>750 mg/dl) risultavano più elevati sia nel gruppo naïve (7,2% uomini vs 1,4% donne; p<0,05) sia in quello experienced (7,6% uomini vs 2% donne; p<0,05), mentre i livelli di CPK (>10X ULN) erano maggiori solo nei pazienti experienced (2,9% uomini vs 0% donne; p<0,05). Un ulteriore dato riguardante i parametri lipemici indicava che gli uomini, sia nel gruppo naïve sia in quello experienced, avevano già al baseline valori più elevati di trigliceridi, colesterolo totale e frazionato (LDL e HDL).

Conclusioni

In conclusione, questa metanalisi di 7 studi randomizzati condotta su 492 donne e 1.530 uomini in trattamento con regimi contenenti LPV/r, sia ARV-naïve sia ARV-experienced, non ha dimostrato sostanziali differenze di genere in termini di efficacia, sicurezza e tollerabilità.

Anche se le terapie antiretrovirali offrono spesso un’adeguata risposta immunovirologica in entrambi i sessi, differenze di genere possono riscontrarsi invece per quello che concerne la tossicità associata al trattamento ARV. Le donne infatti tendono a sospendere la terapia più frequentemente rispetto agli uomini a causa degli effetti collaterali e tale interruzione, soprattutto volontaria, può determinare un fallimento virologico. Bisogna anche ricordare di avere particolarmente riguardo per le donne in età fertile: iniziare una terapia ARV sicura ed efficace che possa essere mantenuta anche in gravidanza evita delle sostituzioni dell’ultimo momento, mantenendo sicura anche la fase dell’organogenesi che si svolge durante le prime 8 settimane di gestazione.



A cura della Dott.ssa Tiziana Quirino

Il punto

Secondo il Report on the global AIDS epidemic del 2010 del Joint United Nations Programme on HIV/AIDS (UNAIDS) dei 33,3 milioni di persone che nel mondo hanno contratto l’infezione da HIV circa il 52% sono donne. Inoltre, nonostante si sia registrata una diminuzione globale delle nuove infezioni da HIV, la proporzione di donne sieropositive è aumentata progressivamente negli anni: il rapporto maschi-femmine è passato dal 3,5 nel 1985 al 2,5 nel 2007. Il numero delle donne HIV-positive è cresciuto non solo nei Paesi in via di sviluppo, come in gran parte atteso, ma anche in Europa occidentale. Questo dato sembra correlare con il differente trend epidemiologico per cui la maggioranza delle trasmissioni avviene tramite rapporti eterosessuali non protetti; la popolazione femminile sarebbe così quella più esposta al rischio di infezione. A fronte di tale vulnerabilità e per poter mettere a punto strategie terapeutiche sempre più personalizzate, è necessario approfondire l’impatto di genere sull’infezione da HIV e sulla sua gestione, in termini di decorso e progressione della malattia, di probabilità di ricevere il trattamento ARV, di aderenza e di risposta alla terapia, di efficacia dei nuovi antiretrovirali e di comparsa di effetti collaterali dei farmaci.
Dai limitati studi clinici condotti finora sulla popolazione femminile emerge che se da un lato la storia naturale dell’infezione da HIV e la risposta al trattamento ARV non sembrano presentare differenze sostanziali tra i sessi, dall’altro nelle donne la frequenza degli eventi avversi e la percentuale delle interruzioni della terapia appaiono, in alcuni studi, più elevati. A questo proposito sono interessanti i risultati della metanalisi recentemente presentata al 1st International Workshop on HIV & Women from Adolescence through Menopause, che ha confrontato i risultati di 7 studi randomizzati valutando efficacia, tollerabilità e sicurezza a 48 settimane di un regime standard contenente lopinavir/ritonavir (LPV/r). Il numero complessivo di pazienti studiati era significativo (492 donne e 1.530 uomini) e l’analisi ha confrontato i risultati in uomini e donne naïve al trattamento ARV ed experienced. La metanalisi non ha dimostrato sostanziali differenze di genere nei parametri considerati, dimostrando l’affidabilità di questo farmaco anche nella donna. LPV/r, oltre a essere standard of care e riferimento per la gran parte degli studi di non inferiorità, è altresì “preferred drug” in tutte le linee guida per il trattamento nella donna in gravidanza; si tratta quindi di una valida opzione per le donne in età fertile.

Ulteriori informazioni sulla risposta agli schemi terapeutici nelle pazienti HIV-positive naïve provengono dallo studio ACTG 5202 presentato al 18mo CROI (Smith K et al.). In particolare, è stato osservato che nel braccio in trattamento con ATV/r le donne avevano un rischio più elevato di fallimento virologico rispetto agli uomini, indipendentemente dal backbone nucleosidico associato. Inoltre ACTG 5202 è il primo studio randomizzato a mostrare un rischio maggiore di fallimento virologico nelle donne in trattamento con ATV/r rispetto quelle che hanno assunto EFV. Per comprendere le cause e i fattori correlati a tali differenze sono sicuramente necessari altri trial, tuttavia tali dati suggeriscono la necessità di sviluppare differenti approcci terapeutici nelle donne HIV-positive, in particolare se in età fertile, che tengano in considerazione la nuova progettualità di gravidanza dimostrata da molti studi.

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