2012 [ora 2013]_Il punto sulle staminali e l'HIV

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Dora
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2012 [ora 2013]_Il punto sulle staminali e l'HIV

Messaggio da Dora » lunedì 13 febbraio 2012, 19:33

È uscita su Cell Stem Cell del 3 febbraio una review di Hans-Peter Kiem, Keith Jerome, Steven Deeks e Joseph McCune, dedicata a fornire una sintesi molto chiara su dove siamo oggi con la modificazione delle cellule staminali ematopoietiche per rendere loro e la loro progenie resistenti all’HIV.
Come nel caso del thread Inizio 2012: il punto su reservoir, latenza ed eradicazione, per gli habitués di Verso una cura e della vecchia sezione Verso l’eradicazione di novità non ce ne erano molte, chi ha seguito le discussioni sui lavori di Sangamo ([STUDI] Sangamo: CD4 e staminali resi CCR5- mediante ZFN II; [STUDI]Cannon_trapianto staminali umane rese CCR5- in topi 2; [CROI 2011] Sangamo: CD4 e staminali resi CCR5- mediante ZFN; [CROI 2011] I giudizi di Tebas su "cura" e altro) forse troverà anche qui qualche ripetizione.
Ritengo, tuttavia, che i nuovi frequentatori del forum possano trovare questa review di qualche utilità, per districarsi nella complicatissima questione della modificazione genetica delle staminali.
Data la lunghezza dell’articolo, lo spezzerò in due messaggi successivi.


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Hematopoietic-Stem-Cell-Based Gene Therapy for HIV Disease


GLI ANTEFATTI

L’infezione dei CD4 da parte dell’HIV porta alla loro morte attraverso dei meccanismi che sono sia diretti (p.es. la citotossicità), sia indiretti (p.es. la morte della cellula causata dall’attivazione). Dopo anni di accresciuto turnover dei linfociti T, la capacità del sistema immunitario di mantenere una omeostasi normale si esaurisce e il paziente progredisce verso un’immunodeficienza avanzata. La morbilità e mortalità associate a un’infezione da HIV non trattata possono essere attribuite a un fallimento dell’immunità, con deficit nella maggior parte delle linee ematopoietiche connessi in modo causale alla malattia. Un’efficace soppressione della replicazione virale mediante la terapia antiretrovirale combinata riesce a invertire in modo sostanziale il processo di distruzione immunitaria e quasi sempre comporta anche una parziale ripresa della funzione immunitaria, un miglioramento dello stato di salute e un prolungamento della vita.


Anche se la HAART è senza dubbio un successo, essa ha dei limiti.
  • 1. La terapia non ricostituisce completamente lo stato di salute. L’infiammazione cronica e la disfunzione immunitaria sovente persistono durante il trattamento, e questi fattori sono associati con un aumento del rischio di morbilità e mortalità non-AIDS-correlata.
    2. La terapia antiretrovirale può non riuscire a sopprimere completamente la replicazione del virus. Abbiamo sempre più prove che una replicazione virale nascosta persista all’interno del sistema emato-linfatico, con possibili effetti sull’omeostasi e sul funzionamento dei linfociti T e delle cellule mieloidi.
    3. La terapia combinata richiede aderenza quotidiana a dei regimi che possono avere effetti collaterali e presentare interazioni complesse fra un farmaco e l’altro e molte persone fanno fatica ad aderire a tali regimi per periodi prolungati.
    4. La scarsità delle risorse nega la possibilità di una terapia a vita a molte persone che ne hanno bisogno. Anche con enormi investimenti globali nella cura dell’HIV, l’accesso a questi farmaci è destinato a rimanere parziale e l’epidemia a continuare a diffondersi.
Date le ben note limitazioni degli approcci terapeutici oggi disponibili, c’è un crescente interesse a sviluppare approcci potenzialmente curativi. Una cura ideale dovrebbe essere sicura, attuabile su larga scala, somministrata per un periodo di tempo limitato, capace di evitare l’infezione delle cellule suscettibili di essere infettate, comprese quelle nei tessuti, che vengono raggiunte con maggiore difficoltà dagli antiretrovirali.

Per raggiungere questo obiettivo, c’è chi ha ipotizzato che le cellule staminali ematopoietiche multilineari (HSC), che hanno una vita molto lunga e la capacità di auto-rinnovarsi, possano essere modificate in modo da rendere loro e la loro progenie resistenti all’infezione da HIV.
Dopo l’introduzione di queste staminali modificate, l’organismo potrebbe essere ripopolato da un sistema ematopoietico – in particolare da CD4 e da cellule mieloidi - resistente all’HIV. Se fosse possibile creare un sistema siffatto, si riuscirebbe a ottenere una cura.

Per realizzare l’obiettivo di una terapia genica per l’HIV basata sulle staminali, bisogna intraprendere i seguenti passi:

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  • • Le staminali devono essere identificate e purificate (e/o espanse) in numero sufficiente da riuscire a dare un beneficio sia in adulti sia in bambini.
    • Si devono trovare dei metodi per introdurre in modo stabile ed efficiente nuove funzioni geniche entro le staminali.
    • Si deve dimostrare che le funzioni geniche selezionate conferiscono resistenza contro l’HIV ai linfociti T e alle cellule mieloidi che discendono da quelle staminali.
    • Le cellule geneticamente modificate devono essere infuse nel paziente in modo sicuro ed efficiente.
    • Bisogna riuscire a impostare delle sperimentazioni cliniche che ne dimostrino l’efficacia in modo convincente.

IDENTIFICAZIONE ED ESPANSIONE DELLE HSC

CARATTERIZZAZIONE DELLE HSC

Un ostacolo cruciale che si frapponeva all’identificazione delle staminali umane era l’assenza di test in grado di valutare la capacità delle cellule scelte di dare vita a diverse linee cellulari. Il metodo classico per identificare una staminale è un test in vivo in cui si riesce a dimostrare che una data cellula riesce a ripopolare l’intero sistema ematopoietico dopo una mieloablazione o un altro tipo di condizionamento distruttivo. È però ovvio che, per ragioni etiche, è impossibile utilizzare questo test in esseri umani.
Un progresso importante in questo campo è stato lo sviluppo di modelli di topi, che consentono l’attecchimento e la differenziazione delle diverse linee cellulari a partire da progenitrici ematopoietiche umane.
Un limite molto serio di questo approccio, tuttavia, è la sua incapacità di analizzare l’effetto dei regimi di condizionamento sull’attecchimento e di valutare la generazione di tutte le linee cellulari nel lungo periodo.
Di conseguenza, sono stati utilizzati modelli di animali più grandi (p.es. scimmie e cani) per studiare la biologia e il trapianto delle staminali, e degli studi fatti all’inizio degli anni ’90 hanno dimostrato che le cellule del midollo possono essere arricchite con delle sottopopolazioni che possiedono la capacità di ripopolare il midollo nel lungo periodo.

Questi studi usavano il marker CD34, che è usato tutt’oggi, quando si vogliono arricchire o selezionare le staminali nei pazienti, oppure distruggere i linfociti T.
Esistono molti altri marker, che consentono di ottenere popolazioni meglio purificate di staminali, ma le cellule così ottenute in genere sono troppo poche per attecchire rapidamente ed espandersi in vivo.

Oggi è opinione comune che le “vere” staminali ematopoietiche umane che si auto-rinnovano si trovino all’interno di una popolazione di CD34+ e che trasfondere un organismo opportunamente condizionato con un numero sufficiente di queste cellule consenta una ematopoiesi delle diverse linee cellulari nel lungo periodo. (…)


ESPANSIONE DELLE HSC

Negli ultimi vent’anni sono stati fatti molti tentativi per espandere le staminali in vitro, in modo da averle più facilmente accessibili per utilizzarle in vivo. (…)
Il reagente probabilmente di maggior successo nell’espandere le HSC è un derivato dalla purina, la SR1 (Stem-Regenin 1), che favorisce l’espansione ex vivo delle CD34+: ha comportato un aumento di 50 volte nel numero delle CD34+ ottenute in coltura e di 17 volte nel numero di cellule capaci di attecchire in topi umanizzati (topi NSG - NOD scid gamma). Non si conosce, tuttavia, la capacità di queste staminali di attecchire in esseri umani. (…)
L’espansione delle staminali ex vivo è particolarmente importante nel caso dell’infezione da HIV. Per ragioni che non sono ancora del tutto chiare, ma che probabilmente comprendono gli effetti mediati dall’HIV su importanti micro-ambienti emato-linfatici, può capitare che il numero di progenitrici ematopoietiche tratte da pazienti con HIV per sostenerne l’immuno-ricostituzione sia più basso rispetto al normale. Un lavoro recente ha anche dimostrato che le progenitrici CD34+ ottenute dal sangue periferico di pazienti con HIV avevano una capacità ridotta di generare linfociti T maturi.
Questo effetto dell’HIV sulla funzionalità delle staminali è paragonabile a quello osservato nell’età avanzata e sembra dovuto, almeno in parte, agli effetti indiretti dell’infiammazione cronica.


INTRODUZIONE DI FUNZIONI DE NOVO NELLE HSC

Anche immaginando di riuscire a ottenere un numero sufficiente di popolazioni di staminali, è necessario trovare dei modi per introdurre efficacemente e stabilmente delle nuove funzioni nei geni di queste cellule.
Esistono due approcci generali per raggiungere questo obiettivo: l’uso di sistemi di vettori che si integrano, consentendo l’introduzione di geni anti-HIV entro il genoma delle staminali; e quello di sistemi di vettori che non si integrano, ma introducono degli enzimi che modificano i geni, con l’effetto di distruggere dei geni o creare delle ricombinazioni omologhe.


SISTEMI DI VETTORI CHE SI INTEGRANO

Sono stati fatti grandi progressi nella ottimizzazione ex vivo della trasduzione e sono disponibili alcuni sistemi di vettori che consentono di portare dei geni entro le staminali in modo stabile ed efficiente. (…)
Alcuni protocolli recenti hanno utilizzato dei vettori lentivirali derivati dall’HIV e modificati in modo da renderli innocui: questo approccio permette di generare dei vettori ad alto titolo e un trasferimento efficiente di geni entro cellule staminali/progenitrici ematopoietiche. (…)
Poiché i sistemi di vettori possono associarsi a genotossicità, e dunque a rischio di cancro, nell’ottimizzazione dei vettori che si integrano l’attenzione è adesso rivolta alla sicurezza. Se non si effettua la distruzione o l’inserimento di un gene, è necessario che i vettori che si integrano al genoma si esprimano per tutta la vita dei costrutti anti-HIV. E dal momento che la maggior parte degli adulti con HIV hanno una buona prognosi (se possono avere accesso alla terapia), l’interesse per qualsiasi sistema di vettore che presenti un serio rischio di carcenogenesi è scarsissimo.
Così, per esempio, i gamma -vettori retrovirali è improbabile che vengano testati in grandi trial, perché in precedenti protocolli di trapianti si sono visti associati a un alto rischio di leucemia.
Fortunatamente, sono stati sviluppati e sperimentati dei sistemi migliori e i vettori basati su lentivirus e su spumavirus (foamy virus) sembrano presentare pochi rischi di trasformazione in senso neoplastico.
I vettori che si basano su lentivirus che si auto-inattivano (self-inactivating – SIN) e su spumavirus sono capaci di integrarsi nel genoma, ma hanno una sequenza ripetuta terminale (Long Terminal Repeat – LTR) che non funziona nel provirus integrato e si basano su un promoter più debole per l’espressione del transgene. (…)

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SISTEMI DI VETTORI CHE NON SI INTEGRANO, OVVERO TRASFEZIONE

Esiste un approccio di trasferimento dei geni alternativo: quello di utilizzare vettori che sono stati modificati in modo da non essere capaci di integrarsi nel genoma della cellula ospite. Un vantaggio importante, in questo caso, è che si evita il rischio di mutagenesi inserzionale e del cancro che ne può derivare. E lo si può fare in modo abbastanza efficiente usando come vettori dei lentivirus privi di integrasi oppure degli adenovirus. Questi sistemi di vettori che non si integrano sono particolarmente adatti a trasportare nucleasi a dita di zinco o altri enzimi che riscrivono il DNA, che possono causare la distruzione permanente di specifici loci genici, esprimendosi in modo soltanto transitorio.
Il problema è che, come per tutti i nuovi reagenti, servono più studi sulla sicurezza per confermare l’assenza di effetti off-target e di genotossicità.



Dora
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Re: 2012 [ora 2013]_Il punto sulle staminali e l'HIV

Messaggio da Dora » lunedì 13 febbraio 2012, 19:35

SELEZIONE DI FUNZIONI GENICHE CHE CONFERISCONO RESISTENZA ALL’HIV

Gli approcci volti a modificare le staminali per trattare l’infezione da HIV possono essere raggruppati in due filoni principali: la distruzione di geni coinvolti nell'ingresso dell’HIV all’interno della cellula, per esempio il corecettore CCR5, e l’introduzione di geni che interferiscono con la replicazione dell’HIV, come gli inibitori della fusione o i fattori di restrizione dell’ospite.

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DISTRUZIONE O ELIMINAZIONE DI UN DETERMINATO GENE

Il CCR5 è un recettore delle chemochine che fa parte della famiglia dei GPCR (G-Protein Coupled Receptors – recettori accoppiati a proteine G), che funziona anche come corecettore cruciale per l’entrata di varianti di HIV dette R5-tropiche. Esiste in abbondanza in tutto il sistema immunitario, ma non è strettamente necessario per il normale funzionamento immunitario e alcuni individui perfettamente sani sono portatori di una mutazione nel gene CCR5, che impedisce l’espressione di una proteina funzionante. Questa mutazione CCR5Delta32 (Delta32) è presente nel 5-14% di persone di origine europea, ma è rara in persone di origine africana o asiatica.
L’infezione da HIV progredisce più lentamente in chi ha una singola copia della mutazione Delta32, mentre gli omozigoti sono per lo più resistenti al virus.
È per questo che il CCR5 è stato considerato un obiettivo interessante contro il virus e lo sviluppo del maraviroc, un inibitore del CCR5, ha dimostrato che l’inibizione di questo recettore effettivamente impedisce la replicazione dell’HIV in modo sicuro e durevole.
A causa della sua dimostrata importanza clinica, il CCR5 è stato molto studiato come target delle terapie basate sulle staminali. Si sono tentati diversi approcci per inibirne l’espressione funzionale (…).

La possibile efficacia di un’eliminazione permanente del CCR5 è stata clamorosamente portata alla ribalta dalla vicenda del “paziente tedesco”, l’unico caso documentato di probabile cura dell’infezione da HIV.
In questo caso, un paziente HIV positivo con una leucemia mieloide acuta ha ricevuto un trapianto allogenico di staminali da parte di un donatore omozigote per la mutazione CCR5Delta32. Nel paziente, le cellule CCR5 negative hanno attecchito e a 5 anni di distanza il paziente rimane libero da virus circolante, pur in assenza di terapia antiretrovirale.

Sfortunatamente, al trapianto di staminali allogenico si associano morbilità significative, che limitano un’applicazione di questo approccio su larga scala, al di là di pazienti con tumori HIV-correlati.
Inoltre, poiché i donatori CCR5-/- sono rari (soprattutto presso i gruppi etnici non-europei), e per di più devono essere HLA-compatibili con i riceventi, meno dell’1% dei pazienti con HIV potrebbe beneficiare di questo trattamento.
È dunque fondamentale trovare una strategia che permetta di creare staminali autologhe CCR5-/-, evitando tutti questi problemi.

La scoperta recente di proteine capaci di reiscrivere il DNA, fra cui le nucleasi a dita di zinco e le endonucleasi di inserimento, ha creato la possibilità di disattivare in modo specifico e permanente qualsiasi locus genico.
Questo approccio può essere applicato al CCR5 in qualsiasi tipo di cellula, comprese le staminali ematopoietiche prelevate dal paziente stesso.
Studi iniziali hanno usato le nucleasi a dita di zinco per distruggere il CCR5 nei linfociti T primari umani. In seguito, sono state usate per distruggere il CCR5 nelle staminali umane, testandole in un modello di infezione da HIV di topi umanizzati.
La distruzione si è verificata nel 17% degli alleli CCR5 e ha prodotto staminali con distruzione sia eterozigote, sia omozigote. Le staminali modificate sono state capaci di supportare l’ematopoiesi delle diverse linee cellulari nei topi. Dopo essere state attaccate con l’HIV, le cellule figlie con il CCR5 distrutto hanno presentato un vantaggio selettivo rispetto alle cellule non modificate.
Confrontandoli con degli animali di controllo, i topi che avevano ricevuto le cellule modificate presentavano viremie più basse e più alto numero di cellule umane.
Sulla base di questi interessanti risultati, sono attualmente in corso delle sperimentazioni cliniche in cui con le nucleasi a dita di zinco si distrugge il CCR5 su linfociti T periferici.

Una preoccupazione che riguarda le terapie volte a distruggere il CCR5 consiste nel fatto che esse possano portare a selezionare dei virus X4-tropici, che utilizzano il CXCR4, l’altro corecettore delle chemochine utilizzato dall’HIV per legarsi ed entrare nelle cellule-target.
Anche se c’è chi pensa di distruggere simultaneamente il CXCR4 e il CCR5, il CXCR4 è espresso da una gran varietà di cellule in tutto il corpo ed è fondamentale per diversi processi fisiologici, fra cui lo sviluppo dei linfociti B, del sistema cardiovascolare e del sistema cerebellare. Pertanto, il CXCR4 potrebbe non essere un buon obiettivo da distruggere nelle staminali pluripotenti.
D’altra parte, dei topi privi di CXCR4 presentano un normale sviluppo dei linfociti T, ed è possibile limitare la distruzione del CXCR4 alle sole progenitrici della linea T.
Uno studio sulla distruzione del CXCR4 mediante nucleasi a dita di zinco in un modello di infezione da HIV in topi umanizzati ha mostrato che questo approccio è stato ben tollerato e ha dato resistenza contro il virus X4-tropico.
Ciò nondimeno, la sicurezza della distruzione del CXCR4 negli esseri umani costituisce ancora una grande preoccupazione.


INTRODUZIONE DI GENI CHE INTERFERISCONO CON L’INFEZIONE E LA REPLICAZIONE DELL’HIV

Una strategia alternativa di modificazione delle staminali per la terapia dell’HIV consiste nell’inserimento di nuovi elementi genici in grado di inibire dei processi fondamentali, quali l’ingresso del virus nella cellula o la sua replicazione.

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Per esempio, un peptide derivato dalla gp-41 (C46), che è simile dal punto di vista strutturale all’enfuvirtide, l’inibitore della fusione approvato dall’FDA, può effettivamente impedire l’ingresso dell’HIV.
Un trial clinico su linfociti T autologhi, modificati in 10 pazienti in modo da esprimere il C46, ha dimostrato che la terapia è stata ben tollerata. L’aggiunta del C46 entro le staminali è stata studiata in un modello di infezione da HIV nei macachi: è stato trasmesso al 4-7% di linfociti T maturi e queste cellule modificate sono risultate protette quando sono state attaccate dal virus. Da notare che la resistenza all’enfuvirtide si verifica rapidamente, se questo farmaco viene usato in assenza di un regime antiretrovirale che sopprime completamente la viremia: questo fa ipotizzare che una terapia di staminali basata sul C46 potrebbe associarsi allo sviluppo di resistenze. Tuttavia, è possibile che la barriera genetica a sviluppare resistenze al C46 sia più alta rispetto a quella delle resistenze all’enfuvirtide. Per dare una risposta a questa domanda, saranno necessarie delle sperimentazioni in vivo.

Si possono utilizzare anche degli elementi esogeni per interferire con altri processi virali essenziali. Nelle staminali, una proteina chiave per l’HIV – la Rev – è stata colpita usando delle forme mutanti di Rev. Analogo discorso per la Tat. (…)

Infine, perfino il DNA virale integrato è stato colpito direttamente, mediante ricombinasi o endonucleasi di inserimento: introdurre geni che codificano per queste proteine potrebbe proteggere le staminali dall’infezione e dalla replicazione del virus. (…)

Nonostante una serie di risultati incoraggianti, l’aggiunta di elementi genici anti-HIV esogeni entro le staminali desta molte preoccupazioni: l’inserimento di geni, con i loro promoter, può generare anche dopo molto tempo rischi di espressione o di attivazione inserzionale in geni che si trovano nelle vicinanze. Le proteine espresse, inoltre, potrebbero essere immunogeniche nella persona che le riceve, limitando l’espansione o la durata della vita delle cellule modificate.

Invece, la distruzione permanente del CCR5 dovrebbe essere possibile usando metodi per portare gli enzimi all’interno delle cellule senza che i vettori si integrino nel genoma della cellula ospite. È quindi probabile che questa strategia sia la più sicura in ambito clinico.


LA TERAPIA COMBINATA SARÀ NECESSARIA?

Una volta che l’infezione da HIV ha raggiunto la fase cronica, l’insieme delle quasispecie virali all’interno di una persona è molto diversificato. Inoltre, possono preesistere delle varianti che sono naturalmente resistenti a qualsiasi farmaco antivirale e questo spiega perché degli antiretrovirali anche molto potenti possono sovente avere un effetto soltanto transitorio sulla replicazione del virus, se dati in monoterapia.
Se si fa riferimento alla grande esperienza fatta con le piccole molecole dei farmaci antiretrovirali standard, l’intervento ideale basato sulle staminali dovrebbe richiedere che il virus sviluppi molte mutazioni, prima di diventare resistente.
Per esempio, una combinazione di due o più geni antivirali applicati simultaneamente potrebbe fornire una barriera genetica sufficiente ad evitare l’emergere di resistenze. (…)

Una questione che differenzia la terapia genica dalla terapia antiretrovirale standard riguarda il possibile ruolo della soppressione virale parziale durante le fasi inziali del trattamento. Se si utilizza un regime di condizionamento solo parzialmente mieloablativo, allora – per definizione – dopo il trapianto rimarranno ancora dei linfociti T e delle cellule mieloidi suscettibili di essere infettate.
In assenza di terapia antivirale, il virus potrebbe replicarsi, per quanto con meno facilità di prima.
Ci si può attendere che la selezione naturale dovuta alla morte delle cellule-target causata dall’HIV comporti uno slittamento da una popolazione di CD4 suscettibili all’HIV al predominio di una popolazione di CD4 resistenti al virus.
Tuttavia, durante questo processo, potrebbe emergere una popolazione virale resistente alle funzioni geniche inserite nelle staminali, facendo così fallire la terapia.
È dunque importante stabilire se un periodo di soppressione antivirale durante la fase dell’attecchimento delle staminali modificate possa essere vantaggioso e, se sì, capire la durata ottimale della terapia.



ATTECCHIMENTO IN VIVO DELLE HSC TRASDOTTE

Il lavoro di Paula Cannon ha dimostrato la possibilità di colpire il locus del CCR5 in cellule infuse in topi umanizzati. Questa ricerca ha dimostrato il successo nell’attecchimento di cellule CD34+ modificate in un modello di topi NSG (NOD scid gamma) e la successiva protezione di questi topi dall’infezione da HIV.
La frequenza media di distruzione del CCR5 è stata del 17%, con una modificazione biallelica stimata intorno al 5-7%.
Dopo aver irradiato i topi con 150 cGy, circa il 40% di cellule CD45 hanno attecchito. E si è visto anche che queste cellule attecchivano se trapiantate in altri topi, con un livello di cellule modificate paragonabile.
Anche se questi dati sono molto interessanti, bisogna tener conto che questi animali prima hanno ricevuto le cellule modificate, e soltanto dopo sono stati infettati: questo costituisce una situazione molto diversa da quanto potrebbe accadere in esseri umani.
Il tasso con cui le cellule resistenti all’HIV sono state selezionate è impressionante: in questo modello, l’infezione con HIV ha portato a una rapida distruzione dei CD4 e, entro la 12° settimana, l’attecchimento delle cellule CCR5-/- era completo.
Data la rapidità con cui la malattia progredisce negli esseri umani se l’HIV non viene trattato (un ordine di anni, piuttosto che di settimane come nei topi), è improbabile che una sostituzione così rapida possa accadere anche negli uomini. Ma un trial clinico darà una risposta a questo interrogativo.



REGIMI DI CONDIZIONAMENTO PRE-TRAPIANTO

Anche se gli studi animali dimostrano la praticabilità e l’efficacia del trapianto di staminali resistenti all’HIV, rimane aperta una questione fondamentale: come è possibile ottenere un simile attecchimento in persone infette da HIV?
Dagli studi animali sappiamo che è molto probabile che l’attecchimento delle staminali SENZA prima fare un condizionamento è molto basso, soprattutto perché il numero di cellule che possono essere trapiantate in esseri umani o animali di grandi dimensioni è limitato.

Nei modelli di primati non umani sono stati sperimentati molti diversi approcci di condizionamento: dall’uso di ciclofosfamide all’irradiazione ad alte dosi.
Un altro vantaggio offerto dai modelli scimmieschi è la possibilità di analizzare in modo completo i reservoir di virus latente, valutando i prodotti di aferesi del sangue periferico, le biopsie del tessuto linfatico gastrointestinale, e perfino il fluido spinale, per cercare la presenza di SIV o SHIV; in più c’è la possibilità di studiare l’uso di farmaci immunosoppressori, quali la globulina antitimocitaria, simili a quelli usati nel caso del “paziente tedesco”.
Infine, si possono usare molti regimi di HAART nelle scimmie e quindi sperimentare interruzioni di trattamento strutturate.
Quindi, mentre il modello di topi umanizzati permette di valutare in modo rapido ed efficiente il funzionamento di cellule geneticamente modificate, i modelli scimmieschi sono utili per stabilire le condizioni necessarie per ottenere un attecchimento sufficiente per una protezione prolungata.

Se si riesce ad espandere ex vivo le staminali, si può pensare di usare regimi di condizionamento alternativi e meglio tollerati, o anche di non usarli per niente. (…)


IMPOSTAZIONE DI SPERIMENTAZIONI CLINICHE SU ESSERI UMANI DI TERAPIE GENICHE BASATE SULLE HSC

In base all’approccio terapeutico, si possono perseguire diverse strategie di sviluppo clinico. Almeno nel futuro più prossimo, è probabile che tutti gli studi “proof of principle” per capire come “creare spazio” per staminali esogene saranno condotti su pazienti con linfoma HIV-correlato o altre patologie che richiedano come terapia standard una chemioterapia. Eccezione a questa regola potrebbe essere il trapianto di cellule più mature, quali dei linfociti T o delle cellule mieloidi modificati, un approccio che si potrebbe attuare con un condizionamento minimo, o anche senza condizionamento. (…)

Da un punto di vista etico, un altro approccio possibile consiste nel fare trapianti in pazienti per i quali gli antiretrovirali standard non costituiscono un’opzione accettabile: per esempio, coloro che hanno multiresistenze, anche se oggi sono rari e per lo più in stadio molto avanzato della malattia. In questo caso, potrebbero non avere un numero sufficiente di staminali da trasdurre, oppure potrebbe mancare loro l’infrastruttura linfoide necessaria per supportare la ricostituzione immunitaria.
Un altro gruppo di pazienti potrebbe includere coloro che hanno scelto di non prendere la HAART o che non riescono ad avere una buona aderenza. Ma in genere questi pazienti non sono i partecipanti ideali di sperimentazioni cliniche.

La vera popolazione di pazienti cui ci si dovrà rivolgere è quella di persone in buona salute, in cui la HAART funziona bene e che riceveranno un trapianto rimanendo in terapia: in questo caso, infatti, si potrebbero ottenere in fretta molti degli obiettivi primari della sperimentazione, dalla riduzione della dimensione del reservoir virale, all’assenza di rebound del virus durante l’interruzione della terapia, alla ricostituzione di un sistema immunitario più efficiente. (…)



Dora
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Re: 2012 [ora 2013]_Il punto sulle staminali e l'HIV

Messaggio da Dora » mercoledì 11 settembre 2013, 8:39

È appena uscito su Blood un articolo, scritto in cooperazione fra gli NIH (National Heart, Lung, and Blood Institute), che hanno creato un gruppo di lavoro per studiare le anemie e i trapianti di staminali – “wild type” o geneticamente modificate - nelle persone con HIV, e Daniel Kuritzkes che, come ricorderete, è il medico che ha ottenuto il successo dei due "Pazienti Bostoniani” (vedere NHLBI AIDS Working Group: Advancing HIV/AIDS Research in Heart, Lung, and Blood Diseases).

I partecipanti al gruppo di lavoro hanno identificato tre questioni chiave su cui lavorare:

  • 1. L’anemia si presenta con maggior frequenza fra persone con HIV in terapia che funziona e ha impatto sulla morbilità e la mortalità?
    2. Qual è la patogenesi della citopenia HIV-correlata?
    3. Quale ruolo svolgono le cellule staminali/progenitrici ematopoietiche e la nicchia delle staminali come possibile reservoir e/o cura nell’infezione da HIV?


Lasciando perdere le prime due questioni, l’articolo su Blood si concentra sulle possibili applicazioni terapeutiche delle terapie cellulari con staminali autologhe o allogeniche e con linfociti T e sul tentativo di comprendere quale meccanismo abbia portato alla cura del “Paziente Tedesco”.
Anzitutto, il gruppo di lavoro ha identificato la necessità di migliorare i processi di purificazione, produzione ed espansione, nonché di modificazione genetica delle staminali e dei linfociti T.
Si è poi sottolineata la necessità di valutare il ruolo dello sfasamento allogenico [la non perfetta compatibilità fra donatore e ricevente] e della reattività nella Graft versus Host Disease (GvHD) e degli effetti di Graft vs HIV, con l’obiettivo di utilizzare i trapianti per controllare o curare l’HIV nel caso di persone SENZA patologie oncoematologiche.
Il gruppo di lavoro ha poi raccomandato che si facciano studi sulla patogenesi in modelli animali, compresi xenotrapianti.
Per supportare le sue conclusioni, il gruppo di lavoro ha elaborato uno stato corrente della ricerca, compilando una review della letteratura sull’uso delle staminali ematopoietiche per curare l’infezione da HIV – e questa è la ragione per cui ne scrivo qui.


TRAPIANTO DI CELLULE STAMINALI/PROGENITRICI NATURALMENTE PRIVE DI CCR5

Come è avvenuto nel caso del “Paziente Tedesco”, potrebbe rappresentare una opzione per alcune persone con HIV. Il protocollo del Blood Marrow Transplant Clinical Trial Network (BMT CTN) per pazienti con patologie oncoematologiche sensibili alla chemioterapia e infezione da HIV suggerisce che, ove possibile, si identifichino dei donatori omozigoti per la mutazione Δ32 del CCR5
(http://clinicaltrials.gov/show/NCT01410344).

Tuttavia, la disponibilità molto limitata di omozigoti CCR5Δ32, unita alla necessità di una corrispondenza HLA quanto più è possibile perfetta, rende questo approccio difficilmente praticabile.

Dal momento che i trapianti con staminali prelevate dal cordone ombelicale richiedono una corrispondenza HLA meno stretta, si stanno raccogliendo unità di sangue dal cordone da donatori omozigoti Δ32. È stato fatto un trapianto con una di tali sacche, che è stata identificata come omozigote Δ32 solo dopo che il trapianto era avvenuto. Il ricevente era HIV negativo e gli studi in vitro post trapianto hanno dimostrato che le sue cellule mononucleate del sangue periferico erano diventate resistenti all’HIV.
Più di recente, un ragazzino di 12 anni nato con l’HIV e con una leucemia linfoblastica acuta è stato trapiantato con staminali tratte dal cordone omozigoti Δ32 alla University of Minnesota
(cfr. da qui in poi: http://www.hivforum.info/forum/viewtopi ... 415#p31415). L’idea era di sospendere temporaneamente gli antiretrovirali quando si fosse visto che l’HIV era irrilevabile sia nel sangue, sia nei tessuti, in modo da poter capire se si era arrivati a una cura del virus (http://www1.umn.edu/news/features/2013/ ... 40332.html). Sfortunatamente, però, il ragazzino è morto per delle complicazioni della GvHD prima che si potesse indagare se la cura era stata ottenuta (http://kstp.com/article/stories/s3095974.shtml, ultimo accesso 21 agosto 2013).

Oltre al rischio della GvHD che si associa ad ogni trapianto allogenico, talvolta è difficile ottenere dai cordoni un numero di staminali da trapiantare abbastanza alto (servono almeno 1,5 – 2,5 X 10^7/kg di cellule nucleate totali), al punto che molti centri usano due cordoni per avere abbastanza cellule. È chiaro dunque che sarebbe molto utile riuscire a sviluppare metodi per aumentare il numero di staminali resistenti all’HIV che si ottengono dai cordoni ombelicali, così come strategie per aumentarne l’efficienza dell’attecchimento.


TRAPIANTO AUTOLOGO O ALLOGENICO DI STAMINALI/PROGENITRICI O DI LINFOCITI T INGEGNERIZZATI

Si tratta di cellule in cui è stato distrutto il gene che codifica per il CCR5, oppure sono stati inseriti geni che contrastano il vario modo l’HIV.
Al momento, questi sono i trial attivi:

• uno studio clinico di fase I sul trasferimento di geni per indurre un effetto terapeutico contro l’HIV entro cellule progenitrici ematopoietiche
(Amado RG, Mitsuyasu RT, Rosenblatt JD, et al. Anti-human immunodeficiency virus hematopoietic progenitor cell-delivered ribozyme in a phase I study: myeloid and lymphoid reconstitution in human immunodeficiency virus type-1-infected patients. Hum Gene Ther 2004; 15(3):251-262);

• un trial di fase II con placebo sul transfer di un ribozima anti-HIV tat-vpr-specifico (OZ1) in cellule progenitrici ematopoietiche autologhe (Mitsuyasu RT, Merigan TC, Carr A, et al. Phase 2 gene therapy trial of an anti-HIV ribozyme in autologous CD34+ cells. Nat Med 2009; 15(3):285-292);

• uno studio sul trapianto di cellule progenitrici ematopoietiche esprimenti tre geni anti-HIV (DiGiusto DL, Krishnan A, Li L, et al. RNA-based gene therapy for HIV with lentiviral vector-modified CD34(+) cells in patients undergoing transplantation for AIDS-related lymphoma. Sci Transl Med 2010; 2(36):36ra43);

• uno studio di fase I sulla trasduzione di CD4 con ribozima anti HIV tat-specifico (Macpherson JL, Boyd MP, Arndt AJ, et al. Long-term survival and concomitant gene expression of ribozyme-transduced CD4+ T-lymphocytes in HIV-infected patients. J Gene Med 2005; 7(5):552-564);

• due trial di fase I su CD4 autologhi modificati geneticamente per distruggere con nucleasi a dita di zinco il gene CCR5 (SB-728-T) (June C, Tebas P, Stein D, et al. Induction of Acquired CCR5 Deficiency with Zinc Finger Nuclease-modified Autologous CD4 T Cells (SB-728-T) Correlates with Increases in CD4 Count and Effects on Viral Load in HIV-infected Subjects. Paper #155, 19th Conference on Retroviruses and Opportunistic Infections, March 5-8, 2012, Seattle, WA). Dei due trial di Sangamo si sa anche che l’aumento di CD4 a seguito di infusione di SB-728-T può essere dovuto alla durevole persistenza dei CD4 memoria centrale (Tcm) con il CCR5 modificato, che potrebbero aver migliorato la sopravvivenza dei Tcm endogeni, un marker surrogato di progressione lenta della malattia (Zeidan J, Lee G, Lalezari J, et al. Central Memory T Cell Is the Critical Component for Sustained CD4 Reconstitution in HIV Subjects Receiving ZFN CCR5 Modified CD4 T Cells (SB-728-T). Paper #126, 20th Conference on Retroviruses and Opportunistic Infections, March 3-6, 2013, Atlanta, GA);

• uno studio per determinare sicurezza e fattibilità del trattamento di linfomi AIDS-correlati con cellule progenitrici ematopoietiche in cui è stato distrutto il gene CCR5 mediante un vettore lentivirale (http://clinicaltrials.gov/show/NCT00569985);

• un trial in cui le staminali del sangue periferico geneticamente modificate sono usate per curare linfomi di Hodgkin e linfomi non-Hodgkin HIV-correlati (http://clinicaltrials.gov/show/NCT01769911);

• uno studio – per ora ancora in fase di progettazione – in cui i pazienti verranno trattati con cellule CD34+ autologhe trasdotte con un vettore antivirale (M87o) che codifica per il peptide C46, un inibitore dell’ingresso dell’HIV (http://clinicaltrials.gov/show/NCT00858793);

• uno studio pilota, che sta esplorando se il transfer del gene LVsh5/C46 (noto anche come Cal-1) sia sicuro e se possa proteggere il sistema immunitario dagli effetti dell’HIV senza bisogno di antiretrovirali (http://clinicaltrials.gov/ct2/show/NCT01734850).



Insomma, di ricerche di terapia genica in fase clinica ce ne sono già una decina.
In una review che è stata pubblicata l’anno scorso
(Kiem HP, Jerome KR, Deeks SG, McCune JM. Hematopoietic-stem-cell-based gene therapy for HIV disease. Cell Stem Cell 2012; 10(2):137-147) e che trovate tradotta nei primi due post di questo stesso thread sono stati così riassunti i passi ritenuti necessari per realizzare l’obiettivo di una terapia genica basata sulle staminali:
  • 1. le staminali devono essere identificate e purificate (e/o espanse) in numero sufficiente;
    2. bisogna trovare un modo efficiente e stabile di introdurre nuove funzioni geniche entro le staminali;
    3. le funzioni geniche selezionate devono dimostrare di saper conferire resistenza all’HIV alle cellule figlie (linfociti T e cellule mieloidi);
    4. le cellule geneticamente modificate devono poter essere introdotte nei pazienti in modo sicuro ed efficace;
    5. si devono poter impostare dei trial clinici che dimostrino l’efficacia in modo convincente.



TRAPIANTO ALLOGENICO DI STAMINALI/PROGENITRICI EMATOPOIETICHE SENZA TRANSFER GENETICO, MA CON cART

È un altro possibile approccio alla cura. Henrich e Kuritzkes hanno riferito della riduzione a lungo termine dei reservoir dll’HIV-1 nel sangue periferico a seguito di un condizionamento di intensità ridotta (RIC) e di un trapianto di staminali allogeniche in due persone HIV positive, entrambe eterozigoti per la mutazione Δ32 del CCR5. Analisi approfondite delle dimensioni del reservoir dell’HIV nel sangue periferico, dell’uso del corecettore e di risposte anticorpali specifiche in campioni ottenuti prima e fino a 3,5 anni dopo il trapianto hanno mostrato che, anche se l’HIV DNA era rilevabile nelle cellule mononucleate del sangue periferico (PBMC) prima e 2-3 mesi dopo il trapianto, il DNA e l’RNA virale sono divenuti irrilevabili nelle PBMC, nei CD4 e nel plasma fino a 21 e 42 mesi dopo il trapianto. La perdita di HIV rilevabile ha mostrato una correlazione temporale con il chimerismo del donatore, lo sviluppo di Graft vs Hos Disease e la diminuzione dei livelli degli anticorpi HIV-specifici. La capacità delle cellule del donatore di attecchire senza evidenza di infezione attiva suggerisce che la replicazione dell’HIV possa essere stata completamente soppressa durante la cART e non contribuisca al mantenimento dei reservoir virali nel sangue periferico dei pazienti. Le staminali CCR5+ dei donatori possono portare a una sostenuta riduzione del reservoir del sangue periferico.
Secondo Henrich e Kuritzkes, la somministrazione continua di ART ha protetto dall’infezione le cellule del donatore nel momento in cui queste hanno eliminato e sostituito le cellule immunitarie del paziente
(http://www.aids2012.org/Default.aspx?pageId=384).

Secondo una recente review (Durand CM, Ambinder RF. Hematopoietic stem cell transplantation in HIV-1-infected individuals: clinical challenges and the potential for viral eradication. Curr Opin Oncol 2013; 25(2):180-186), questo conferma l’ipotesi che il trapianto allogenico di staminali e la ART possano curare l’infezione da HIV.
All’ultimo IAS, Henrich e Kuritzkes hanno raccontato che i pazienti hanno sospeso i farmaci antiretrovirali e sono comunque rimasti liberi dal virus, rispettivamente per 2 e 4 mesi.
(http://www.ias2013.org/Default.aspx?pageId=635; http://www.nature.com/news/stem-celltra ... iv-1.13297) (per la discussione qui, vedere il thread Boston Patients: successo in riduzione del reservoir nei CD4)


LA cART PUÒ IMPEDIRE ALL’HIV DI FORMARE UN RESERVOIR

Una bambina di 2 anni, nata con l’infezione da HIV e trattata con antiretrovirali fin dai primissimi giorni di vita ha perso ogni evidenza di livelli di virus rilevabili con i test standard, nonostante abbia sospeso i farmaci per 10 mesi.
Un editoriale del BMJ ha avvertito che molti esperti non sono sicuri che la bambina fosse davvero infetta, perché potrebbe trattarsi di un caso di prevenzione della trasmissione, piuttosto che di cura.

(Per la discussione qui, vedere il thread cura precoce eradica hiv da neonata)

Un altro studio su 5 ragazzi (età mediana 16 anni), infettati alla nascita e che hanno iniziato la ART a un’età mediana di 2 mesi, spinge a ipotizzare che un controllo prolungato della replicazione dell’HIV grazie alla ART durante l’infanzia riduca i CD4 quiescenti che contengono DNA provirale, il virus capace di replicazione e la viremia plasmatica residua, con l’assenza o almeno la riduzione delle risposte immuni HIV-specifiche. Gli autori ipotizzano che il trattamento precoce di giovani infettati alla nascita riduca drasticamente il reservoir, rendendoli eccellenti candidati per interventi che si propongano di ottenere una cura funzionale o l’eradicazione.
Benché incoraggianti, servono periodi di follow up più lunghi e altri studi per verificare questi risultati.

(Cfr. il thread ARV in fase acuta: cura funzionale? diminuisce il reservoir?)


LA PROTEZIONE DEI LINFOCITI T MEMORIA CENTRALE (Tcm) PUÒ CHIARIRE IL MECCANISMO SOTTOSTANTE LA CURA DLL’HIV

Nuove scoperte sul modo in cui un sottoinsieme di CD4 invasi dall’HIV possono controllare il decorso della malattia probabilmente avranno un grande impatto sulla ricerca in questo campo. Queste cellule “memoria centrale” potrebbero anche aiutare a spiegare il meccanismo che ha consentito la “cura” della bambina di cui si parlava prima.
Uno studio condotto in Thailandia ha identificato delle persone appena infettate e le ha incoraggiate ad iniziare subito la terapia. Si è così visto che il trattamento precoce ha impedito il formarsi di reservoir latenti in linfociti T memoria centrale molto longevi.
Un altro studio ha esaminato degli “elite controller”, che meglio di altri controllano naturalmente l’HIV e riescono a proteggere i loro Tcm senza l’aiuto degli antiretrovirali, e si è visto che i loro Tcm sotto-regolano l’espressione del co-recettore CCR5 e sono dunque meno facilmente infettabili. All’opposto, le persone il cui sistema immunitario non si riprende nonostante gli antiretrovirali controllino l’infezione hanno dei Tcm che funzionano meno bene.
Come si è visto, da un trial sull’SB-728-T è emerso che i Tcm potrebbero essere la componente cruciale per una ripresa sostenuta dei CD4.
Questi studi sottolineano il ruolo delle cellule memoria centrale in una cura dell’HIV e suggeriscono che proteggere queste cellule dal virus potrebbe essere un fattore decisivo di una cura funzionale.


LE CELLULE EMATOPOIETICHE E I RESERVOIR DELL’HIV

Le staminali/progenitrici potrebbero rivelarsi centrali in ogni strategia di cura. Le prove oggi disponibili fanno pensare che la ART riesca effettivamente a bloccare la replicazione attiva e che la viremia residua abbia piuttosto origine da reservoir stabili. È questo che spinge a tentare di eradicare i reservoir. C’è consenso – al momento – sull’idea che l’HIV persista solo in cellule di origine ematopoietica e i CD4 quiescenti latentemente infetti sono chiaramente riconosciuti come reservoir.
In effetti, Durand – Siliciano hanno trovato DNA virale nel midollo, in popolazioni di cellule che contenevano dei CD4, ma non nelle progenitrici CD34+, una volta purificate, nella maggior parte di pazienti in ART con viremia irrilevabile.
(Durand CM, Ghiaur G, Siliciano JD, et al. HIV-1 DNA is detected in bone marrow populations containing CD4+ T cells but is not found in purified CD34+ hematopoietic progenitor cells in most patients on antiretroviral therapy. J Infect Dis 2012; 205(6):1014-1018). E un altro studio recente ha mostrato che le cellule progenitrici ematopoietiche di persone da molto tempo in ART soppressiva non contenevano HIV DNA (Josefsson L, Eriksson S, Sinclair E, et al. Hematopoietic precursor cells isolated from patients on long-term suppressive HIV therapy did not contain HIV-1 DNA. J Infect Dis 2012; 206(1):28-34).

Invece, Carter – Collins sostengono che l’HIV infetta le progenitrici multipotenti causandone la morte e formando dei reservoir cellulari latenti. Inoltre, hanno dimostrato che l’HIV utilizza il CXCR4 per infettare le staminali/progenitrici ematopoietiche. E nel loro ultimo lavoro hanno mostrato che l’HIV può stabilire un’infezione latente in tutti i sottogruppi di progenitrici ematopoietiche che hanno analizzato, comprese le più immature. (Carter CC, Onafuwa-Nuga A, McNamara LA, et al. HIV-1 infects multipotent progenitor cells causing cell death and establishing latent cellular reservoirs. Nat Med 2010;16(4):446-451; Carter CC, McNamara LA, Onafuwa-Nuga A, et al. HIV-1 utilizes the CXCR4 chemokine receptor to infect multipotent hematopoietic stem and progenitor cells. Cell Host Microbe 2011; 9(3):223-234; McNamara LA, Ganesh JA, Collins KL. Latent HIV-1 infection occurs in multiple subsets of hematopoietic progenitor cells and is reversed by NF-κB activation. J Virol 2012; 86(17):9337-9350)
(Cfr. il thread K.Collins_Staminali come reservoir, APOBEC3G e altro ancora.)






Fonte: Hematopoietic Cell Transplantation and HIV Cure: Where We Are and What Next?



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