COVID-19: la ricerca di una cura

Ricerca scientifica finalizzata all'eradicazione o al controllo dell'infezione.
Dora
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Re: COVID-19: la ricerca di una cura

Messaggio da Dora » mercoledì 26 agosto 2020, 6:59

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Da https://c19study.com/


IDROSSICLOROCHINA: un aggiornamento

Come per il remdesivir, anche per l'idrossiclorochina qualche nodo comincia a venire al pettine e l'ultimo mese è stato ricco di pubblicazioni che sembrano in diversi modi legittimarne un ruolo nel trattamento del COVID-19. Quello che vorrei notare, a beneficio di coloro che hanno seguito sconcertati la guerra santa della primavera, è che, sarà senz'altro un caso, ma i lavori che riabilitano questo vecchio farmaco vengono da Paesi che dalla guerra santa si sono tenuti ai margini.

Anzitutto, ne abbiamo parlato quando era un pre-print, ma adesso è pubblicato sullo European Journal of drug metabolism and pharmacokinetics, quindi ricordo il modello di Savarino, che stabilisce che l'idrossiclorochina può avere un impatto sulla viremia di SARS-CoV-2, ma c'è una finestra temporale piuttosto ristretta per una sua somministrazione efficace - e cioè deve essere somministrata il prima possibile:

Pharmacokinetic Basis of the Hydroxychloroquine Response in COVID-19: Implications for Therapy and Prevention

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È poi uscito la settimana scorsa su LANCET Rheumatology un grande studio retrospettivo multinazionale su quasi un milione di pazienti con artrite reumatoide che mette una pietra tombale sul protocollo di Raoult di idrossiclorochina più azitromicina: mentre l'idrossiclorochina da sola somministrata per un periodo abbastanza breve non aumenta il rischio di mortalità cardiovascolare, la combinazione con azitromicina sì. Dal momento che i pazienti COVID rischiano di avere problemi cardiaci già solo a causa del virus, la somma delle tossicità cardiache dei due farmaci proprio è da evitare.

Risk of hydroxychloroquine alone and in combination with azithromycin in the treatment of rheumatoid arthritis: a multinational, retrospective study

Ieri, sull'International Journal of Antimicrobial Agents, un lavoro iraniano confermava che la combinazione di idrossiclorochina e azitromicina può causare aritmie ventricolari, ma se si valutano bene prima i rischi dei pazienti questi farmaci permettono di diminuire i tempi di ospedalizzazione:

NSafety and Effectiveness of Azithromycin in Patients with COVID-19: an open-label randomized trial


A fine luglio, sull'International Journal of Infectious Diseases, una Lettera al Direttore di Antonella D'Arminio Monforte e colleghi del San Paolo chiedeva se davvero con l'idrossiclorochina sia festa finita, perché nella coorte milanese di più di 500 pazienti COVID ospedalizzati (174 dei quali sono morti) di cui si sono occupati loro l'uso di idrossiclorochina più azitromicina si è associato a una riduzione del 66% del rischio di morte rispetto ai controlli e l'idrossiclorochina da sola è sembrata notevolmente efficace nei pazienti meno gravi (a conferma del modello di Savarino):

Effectiveness of hydroxychloroquine in COVID-19 disease: A done and dusted deal?

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L'altro ieri, sempre sull'International Journal of Antimicrobial Agents, il Belgian Collaborative Group on COVID-19 hospital surveillance ha pubblicato i risultati di uno studio osservazionale su più di 8000 pazienti, da cui emerge che, indipendentemente dalla durata dei sintomi, quelli trattati per soli 5 giorni con idrossiclorochina hanno avuto una mortalità più bassa rispetto a quelli trattati con le terapie di supporto:

Low-dose Hydroxychloroquine Therapy and Mortality in Hospitalized Patients with COVID-19: A Nationwide Observational Study of 8075 Participants

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Chiudo il post con un grande studio multicentrico italiano, osservazionale e retrospettivo, pubblicato ieri sullo European Journal of Internal Medicine - in quasi 3500 pazienti, ricoverati in 33 diversi ospedali fra metà febbraio e fine maggio, l'uso di idrossiclorochina si è associato a una diminuzione del 30% del rischio di morte:

Use of hydroxychloroquine in hospitalised COVID-19 patients is associated with reduced mortality: Findings from the observational multicentre Italian CORIST study

Our findings provide clinical evidence in support of guidelines by Italian and several international Societies suggesting to use HCQ therapy in patients with COVID-19.
[...] Our study, including a large real life sample of patients hospitalized with COVID-19 all over Italy, shows that HCQ use (200 mg twice/day) was associated with a 30% reduction of overall in-hospital mortality. In the absence of clear-cut results from controlled, randomized clinical trials, our data do not discourage the use of HCQ in inpatients with COVID-19.

Naturalmente gli autori riconoscono che l'impostazione osservazionale dello studio richiede che i risultati ottenuti siano confermati da trial randomizzati e controllati, però la riduzione della mortalità che hanno osservato loro non può essere messa da parte come una anomalia statistica o un pio desiderio. Bisogna solo esercitare cautela quando si passa alla pratica clinica.

Given the observational design of our study, however, these results should be transferred with caution to clinical practice.



***********************

Questi sono solo alcuni studi scelti tra un numero impressionante di altri. È molto facile cadere nel cherry picking e andarsi a scegliere quelli che confermano i propri pregiudizi. Esiste però una specie di database non ufficiale, anzi sicuramente gestito dal clorochina fan's club, e tuttavia utile e liberamente consultabile, di studi pubblicati sull'idrossiclorochina nei malati COVID e lo si trova qui:

Global HCQ studies.
PrEP, PEP, and early treatment studies show efficacy, while late treatment shows mixed results.



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Re: COVID-19: la ricerca di una cura

Messaggio da Dora » mercoledì 26 agosto 2020, 8:03

ADDENDUM

Circa un mese fa, l'AIFA ha presentato il proprio Rapporto sull'uso dei farmaci durante l'epidemia COVID-19.
Da questo rapporto si evince che l'idrossiclorochina è il farmaco che più è stato usato in Italia per trattare i malati di COVID-19:

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Ne deduco che si sappia con una certa precisione chi è stato trattato e con quali farmaci.

Poiché si sta vedendo che un numero molto consistente di persone che hanno avuto l'infezione in forma lieve sta avendo una lunga coda di sintomi (longCOVID), talvolta anche molto invalidanti, nonostante da mesi il tampone si sia negativizzato, e poiché una delle ipotesi avanzate è che questo prolungarsi dei sintomi dipenda dall'infiammazione causata dalla risposta immune, sarebbe bello capire se l'idrossiclorochina, che ha un confermato effetto anti-infiammatorio, ha evitato a chi l'ha presa questa lunga coda di problemi.
Basterebbe ricontattare le persone che sono state seguite a domicilio e vedere come stanno a distanza di mesi.
Normale follow up.
Lo staranno facendo?



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Re: COVID-19: la ricerca di una cura

Messaggio da Dora » martedì 1 settembre 2020, 14:55

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Tempi duri per gli inibitori dell'IL-6 da usarsi nella cura del COVID: dopo le disavventure del Tocilizumab affossato dalla Roche, oggi Sanofi e Regeneron comunicano che Kevzara (sarilumab), anche questo un anticorpo monoclonale che agisce contro il recettore dell'interleuchina-6, la cui indicazione originaria è contro l'artrite reumatoide, ha fallito sia l'obiettivo primario, sia il principale obiettivo secondario del trial di fase III su 420 pazienti con COVID-19 in situazione grave o critica.

Poiché questo fallimento - farmaco non migliore del placebo - segue quello di un altro trial di fase III in pazienti in ventilazione meccanica, l'avventura del Kevzara contro il COVID si chiude qui.
Seguiranno più dettagli in un articolo peer reviewed.

Solo 2 settimane fa, invece, Paolo Ascierto aveva pubblicato un lavoro in cui sosteneva che in 10 pazienti su 15 c'erano stati dei miglioramenti, specie se i pazienti non erano intubati.
Ne aveva approfittato per fare qualche pernacchia al Tocilizumab e adesso le pernacchie gli tornano indietro.

In che tempi interessanti viviamo.



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Re: COVID-19: la ricerca di una cura

Messaggio da Dora » mercoledì 2 settembre 2020, 15:59

CORTICOSTEROIDI - finalmente qualcosa che funziona nei pazienti gravi

Quattro articoli oggi su JAMA:
e un editoriale:
per dire quello che dai vari comunicati stampa delle settimane scorse ormai tutti ci aspettavamo:

i corticosteroidi - e nello specifico il desametasone - migliorano la sopravvivenza delle persone con COVID-19 in condizioni critiche.

Grazie al trial REMAP-CAP (Randomized Embedded Multifactorial Adaptive Platform-Community Acquired Pneumonia), una sperimentazione randomizzata e controllata sui corticosteroidi (e su molto altro), che si è svolta in 121 ospedali in 8 diversi Paesi, sono confermati i dati sul desametasone raccolti dal trial inglese RECOVERY: mentre l'idrocortisone non è risultato granché migliore del placebo, si è visto che lo steroide desametasone riduce di quasi il 30% la mortalità nei pazienti con COVID-19 in respirazione assistita.

L'OMS sta adattando le proprie linee guida per raccomandare l'uso sistemico di corticosteroidi per trattare pazienti in situazione grave o critica: 6 mg di desametasone per via orale o intravenosa al giorno o 50 mg di idrocortisone per via intravenosa ogni 8 ore per 7-10 giorni nei malati più gravi.
Suggerisce invece di evitare di usare i corticosteroidi nei pazienti meno gravi, perché possono aumentare il rischio di mortalità diminuendo la risposta immunitaria che, in questi casi, è appropriata e non eccessiva.

Dalla meta-analisi del WHO Rapid Evidence Appraisal for COVID-19 Therapies (REACT) Working Group su 7 trial randomizzati e 1703 pazienti (di cui 647 deceduti):

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Re: COVID-19: la ricerca di una cura

Messaggio da Dora » venerdì 18 settembre 2020, 14:33

Dora ha scritto:
giovedì 16 aprile 2020, 6:36
EIDD-2801: UN ANTIVIRALE CHE SFRUTTA LA MUTAGENESI LETALE

Non risveglia ricordi gioiosi, la mutagenesi letale, in chi ha seguito le vicende di Koronis Pharma e il suo KP-1461 contro HIV. Ma è una carta che viene giocata spesso quando non si sa bene come aggredire un virus e si cerca di rivolgergli contro la sua capacità di mutare verso versioni di sé progressivamente meno virulente. Infatti, all'inizio dell'epidemia di nuovo coronavirus è stata subito proposta l'opzione della ribavirina, un farmaco usato nelle vecchie terapie contro HCV, noto proprio per la sua capacità di accelerare il tasso di mutazioni dei virus. Non mi pare abbia avuto successo, ma oggi è il momento di parlare di EIDD-2801, un antivirale nuovo, uscito dai laboratori dell'Emory Institute for Drug Development (EIDD) di Atlanta e della University of North Carolina at Chapel Hill.

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Su Science Translational Medicine, il 6 aprile scorso, è uscito

An orally bioavailable broad-spectrum antiviral inhibits SARS-CoV-2 in human airway epithelial cell cultures and multiple coronaviruses in mice

In questo lavoro, l'epidemiologo della University of North Carolina Ralph Baric e colleghi descrivono l'inibizione di SARS-CoV-2 in cellule umane, e di coronavirus affini come SARS- e MERS-CoV in topi, da parte di un nuovo antivirale ad ampio spettro studiato inizialmente contro l'influenza: l'analogo ribonucleosidico EIDD-1931 (β-D-N4-idrossicitidina, un profarmaco dell'NHC - N-idrossicitidina), di cui esiste una versione, l'EIDD-2801, che può comodamente essere somministrata per bocca, a differenza ad esempio del remdesivir che deve essere iniettato.

EIDD-2801, e in generale l'NHC, ha un meccanismo d'azione che si basa sul concetto di mutagenesi letale: durante il processo di replicazione del codice genetico virale, l'NHC si inserisce al posto della citosina o dell'uracile, causando in questo modo un progressivo accumularsi di errori nell'RNA virale, che esitano nell'impossibilità per il virus di replicarsi.

I ricercatori della Emory, insieme a colleghi della University of North Carolina, Chapel Hill, hanno studiato l'attività antivirale e il meccanismo d'azione dell'NHC contro diversi tipi di coronavirus e hanno visto che è in grado di inibirne la replicazione sia in diversi modelli cellulari, sia in vivo nei topi infettati con SARS-CoV-1 e MERS-CoV.
Hanno inoltre confermato che l'attività antivirale di questa molecola in vitro si associa a un aumento del tasso di mutazione virale.

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Nei modelli in vivo, benché modelli murini con SARS-CoV-2 ancora non esistano e quindi gli esperimenti siano stati fatti con topi infettati con SARS-CoV-1 e con MERS-CoV, si è visto che la massima efficacia terapeutica si ottiene quando il farmaco è somministrato presto e diminuisce con l'aumentare della viremia e il progredire dell'infezione. Una caratteristica che ritroviamo ogni volta che si deve curare un'infezione virale.
Qui si è osservato che, se sommnistrato nelle prime 12-24 ore dopo l'infezione (ma sono topi, per l'uomo la finestra di opportunità è senz'altro più ampia), l'EIDD-2801 riesce a ridurre sia il danno polmonare, sia la perdita di peso.
Si potrebbe quindi anche pensare a un uso profilattico del farmaco, soprattutto in contesti ad alto rischio, ad esempio per gli operatori sanitari.

Un aspetto particolarmente interessante di questo lavoro è la dimostrazione che l'NHC è efficace contro diversi coronavirus che hanno sviluppato mutazioni resistenti al remdesivir.

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È in uscita proprio in questi giorni sul Journal of Transitional Medicine un affascinante lavoro italiano, fatto in collaborazione con niente di meno che Robert Gallo, che mostra la grande variabilità della RNA polimerasi RNA-dipendente (RdRp), una fondamentale proteina del SARS-CoV-2 contro cui dovrebbe agire il remdesivir, che è appunto un antivirale che ha per bersaglio la RNA-polimerasi. Il rischio che questo farmaco selezioni mutazioni resistenti è molto alto e questo lo si sta già osservando in Europa, quindi avere la possibilità di usarlo in combinazione con altri farmaci - in una terapia combinata come si fa contro HIV, non a caso un altro virus a RNA - diventa una priorità.

I dati esposti nel lavoro di Baric e colleghi supportano lo sviluppo clinico dell'EIDD-2801, quindi nel comunicato stampa si prevede l'inizio delle sperimentazioni sull'uomo per la tarda primavera.

Da EIDD-2801 a MK-4482 (il cugino bello del remdesivir cambia nome)

Non ho tempo di preparare un post sul cambiamento di nome dell'EIDD-2801, acquisito da Merck e diventato MK-4482 in attesa di ricevere un nome vero e proprio - ne scriverò uno quando usciranno i risultati della sperimentazione.
Intanto, qualcosa ha anticipato oggi su Facebook il Chimico Scettico:




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Re: COVID-19: la ricerca di una cura

Messaggio da Dora » mercoledì 4 novembre 2020, 8:25

Forse qualcuno nei giorni scorsi si è imbattuto in dichiarazioni enfatiche sull'arrivo della cavalleria degli anticorpi per la cura della COVID-19. Forse ha letto di truppe cammellate, di una soluzione quasi a portata di mano, della necessità di assicurarsi per tempo scorte di anticorpi per evitare i danni da lockdown.
Forse, però, ha anche letto che non uno, non due, ma ben tre trial sugli anticorpi, sempre nei giorni scorsi, per usare un eufemismo tanto bene non sono andati.
E magari si è spinto al punto di leggere che è uscito sul New England Journal of Medicine un primo articolo, che riportava un'analisi ad interim del trial clinico di fase II sull'anticorpo neutralizzante LY-CoV-555 di Eli Lilly e qualche perplessità gli è nata, vedendo dei risultati che non raggiungevano la significatività manco a tirarli da tutte le parti.

Ho pensato di raccogliere qui due brevi post su Facebook del prof. Alberto Beretta, immunologo che si è occupato di HIV/AIDS prima in giro fra Europa e Stati Uniti, poi al San Raffaele, ora presidente e direttore scientifico di SoLongevity. Vi segnalo anche che il prof. Beretta gestisce una bella pagina Facebook, in cui spiega e approfondisce tanti temi di immunologia: Immunologia Oggi - Dr. Alberto Beretta.






A chi pensa che il tono di questi post sia poco consono alla baldanza fiduciosa con cui dovremmo apprestarci ad affrontare i mesi invernali che ci attendono, suggerisco due post di persone assai diverse per provenienza accademica, stile e carattere.

Il primo è di Paul Sax, che certamente tutti conoscete non solo perché è stato citato in questo forum decine di volte, ma soprattutto perché è un grande clinico e ricercatore nel campo HIV/AIDS. Nel blog che tiene nel Journal Watch del NEJM:

A Series of Disappointing Results of Immune-Based Therapies for COVID-19

Il secondo è del chimico Derek Lowe, nel blog IN THE PIPELINE che tiene su Science Translational Medicine, in cui segue e analizza le vicende di farmaci e industria farmaceutica:

The Latest Antibody Data From Lilly and From Regeneron



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Re: COVID-19: la ricerca di una cura

Messaggio da Dora » mercoledì 4 novembre 2020, 8:37

Dopo gli anticorpi, veniamo all'unico antivirale approvato da FDA per la cura del SARS-CoV-2: il remdesivir.
Poiché ne ho scritto ad nauseam, lascio la parola ad altri e vi propongo tre post pubblicati in questi giorni sulla pagina del gruppo Facebook L'influenza, questa sconosciuta dal prof. Gabriele Costantino, Direttore del Dipartimento di Scienze degli Alimenti e del Farmaco dell'Università di Parma. Dice molto meglio di me cose che chi ha seguito questo thread ha già in parte letto nel corso dei mesi passati, ma che è utile rivedere oggi, che affrontiamo la seconda ondata di un virus che nell'estate ci era stato descritto come clinicamente morto.

A TALE OF A WANNABE GAME CHANGER – BREVE STORIA DEL PRIMO FARMACO REGISTRATO ANTI-COVID

Parte I- Antivirali



Parte II – La traversata della valle della morte



Parte III -SDDD: Stock-driven drug design - E’ il mercato, bellezza!





Qui Jon Cohen e Kai Kupferschmidt sul magazine di Science:

The ‘very, very bad look’ of remdesivir, the first FDA-approved COVID-19 drug

E questa è la campana di Paul Sax:

Does Remdesivir Actually Work?
Quick answer — it’s complicated.



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Re: COVID-19: la ricerca di una cura

Messaggio da Dora » martedì 10 novembre 2020, 7:52

Dora ha scritto:
mercoledì 4 novembre 2020, 8:25
Forse qualcuno nei giorni scorsi si è imbattuto in dichiarazioni enfatiche sull'arrivo della cavalleria degli anticorpi per la cura della COVID-19. Forse ha letto di truppe cammellate, di una soluzione quasi a portata di mano, della necessità di assicurarsi per tempo scorte di anticorpi per evitare i danni da lockdown.
Forse, però, ha anche letto che non uno, non due, ma ben tre trial sugli anticorpi, sempre nei giorni scorsi, per usare un eufemismo tanto bene non sono andati.
E magari si è spinto al punto di leggere che è uscito sul New England Journal of Medicine un primo articolo, che riportava un'analisi ad interim del trial clinico di fase II sull'anticorpo neutralizzante LY-CoV-555 di Eli Lilly e qualche perplessità gli è nata, vedendo dei risultati che non raggiungevano la significatività manco a tirarli da tutte le parti.

Ho pensato di raccogliere qui due brevi post su Facebook del prof. Alberto Beretta, immunologo che si è occupato di HIV/AIDS prima in giro fra Europa e Stati Uniti, poi al San Raffaele, ora presidente e direttore scientifico di SoLongevity. Vi segnalo anche che il prof. Beretta gestisce una bella pagina Facebook, in cui spiega e approfondisce tanti temi di immunologia: Immunologia Oggi - Dr. Alberto Beretta.






A chi pensa che il tono di questi post sia poco consono alla baldanza fiduciosa con cui dovremmo apprestarci ad affrontare i mesi invernali che ci attendono, suggerisco due post di persone assai diverse per provenienza accademica, stile e carattere.

Il primo è di Paul Sax, che certamente tutti conoscete non solo perché è stato citato in questo forum decine di volte, ma soprattutto perché è un grande clinico e ricercatore nel campo HIV/AIDS. Nel blog che tiene nel Journal Watch del NEJM:

A Series of Disappointing Results of Immune-Based Therapies for COVID-19

Il secondo è del chimico Derek Lowe, nel blog IN THE PIPELINE che tiene su Science Translational Medicine, in cui segue e analizza le vicende di farmaci e industria farmaceutica:

The Latest Antibody Data From Lilly and From Regeneron



Coronavirus (COVID-19) Update: FDA Authorizes Monoclonal Antibody for Treatment of COVID-19

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Da Rai News



A che cosa porta la disperazione.



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Re: COVID-19: la ricerca di una cura

Messaggio da Dora » sabato 21 novembre 2020, 10:02

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BALLETTI IGNOBILI


Non vi è bastato l'ameno giochino a chi ha l'H-index più lungo alto con cui si sono sollazzate viro- e immuno-star italiane nei mesi scorsi? Ne volete di più? Eccovi accontentati.
E questa volta la contesa - ancor più testosteronica, non foss'altro che perché le star italiane all'estero se le filano poco e qui invece sono in campo i pesi massimi - è fra FDA e WHO e l'oggetto del contendere è il remdesivir: la FDA approva l'antivirale di Gilead come primo farmaco efficace contro SARS-CoV-2 proprio quando trapelano i dati negativi del trial SOLIDARITY della WHO.
Di rimando la WHO pubblica quei dati negativi e contestualmente sconsiglia l'uso del remdesivir, che a questo punto rischia di morire in fretta. [*]
La FDA rilancia approvando l'uso in emergenza di baricitinib, un JAK inibitore, in combinazione con remdesivir per pazienti, adulti e pediatrici, ospedalizzati con COVID-19 (i costi della cura lievitano, lievitano...).
L'EMA sta confrontando i dati del produttore con quelli della WHO, mentre l'AIFA sta per accodarsi alla WHO e rivaluterà il remdesivir nella terapia anti Covid-19.

E no, niente, se non viaggiassimo sui 700 morti al giorno ci sarebbe da fare scorta di popcorn.





[*] Di "nuovo Tamiflu" parlavo a inizio maggio. E non certo perché io sia particolarmente sveglia. Era nell'aria, bastava annusare.



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Re: COVID-19: la ricerca di una cura

Messaggio da Dora » venerdì 27 novembre 2020, 12:30

Dora ha scritto:
sabato 21 novembre 2020, 10:02
mentre l'AIFA sta per accodarsi alla WHO e rivaluterà il remdesivir nella terapia anti Covid-19.
AIFA limita l’uso di remdesivir in casi selezionati e consente idrossiclorochina solo in studi clinici randomizzati a domicilio

La decisione dell'AIFA è stata resa pubblica ieri:
L'Agenzia Italiana del Farmaco ha pubblicato il 26 novembre 2020, sulla base dei più recenti studi, un aggiornamento delle schede relative all’utilizzo di idrossiclorochina, remdesivir e eparina per la terapia dei pazienti affetti da COVID-19.

Per quanto riguarda il remdesivir, l’Agenzia stabilisce che, alla luce delle nuove evidenze disponibili, anche nell’ambito della popolazione ammessa alla rimborsabilità (soggetti con polmonite da COVID-19 in ossigenoterapia che non richiedono ossigeno ad alti flussi o ventilazione meccanica o ECMO e con insorgenza dei sintomi da meno di 10 giorni), l’utilizzo potrà essere considerato esclusivamente in casi selezionati, dopo una accurata valutazione del rapporto benefici/rischi.

AIFA conferma la sospensione dell’autorizzazione all’utilizzo off-label dell'idrossiclorochina sia per l’uso terapeutico (ospedaliero e territoriale) sia per l’uso profilattico, sulla base delle evidenze che si sono progressivamente accumulate e che dimostrano la completa mancanza di efficacia a fronte di un aumento di eventi avversi, seppur non gravi. L’utilizzo nei pazienti non gravi e nelle fasi iniziali della malattia può essere consentito solo nell’ambito di studi clinici randomizzati, in quanto al momento le evidenze, seppur tendenzialmente negative, sono ancora limitate.

Quanto all’utilizzo delle eparine, la scheda è aggiornata con una revisione critica delle ultime evidenze di letteratura e riporta in modo chiaro le prove di efficacia e sicurezza disponibili sia relativamente al dosaggio profilattico, sia al dosaggio intermedio/alto.



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