The RIVER Trial (CHERUB)

Ricerca scientifica finalizzata all'eradicazione o al controllo dell'infezione.
Dora
Messaggi: 7491
Iscritto il: martedì 7 luglio 2009, 10:48

The RIVER Trial (CHERUB)

Messaggio da Dora » martedì 26 novembre 2013, 15:30

Immagine

Una notizia è comparsa oggi sul Times: sta per partire nel Regno Unito un trial clinico - il RIVER Trial - che testerà su una cinquantina di pazienti una nuova strategia di cura, basata su
  • - sola ART precoce + placebo
    - oppure ART precoce + un breve trattamento con un HDACi + un vaccino terapeutico.

I responsabili del trial saranno John Frater, Oxford University, e Sarah Fidler, Imperial College di Londra, e l'obiettivo è quello di capire se, seguendo le due diverse vie, sia possibile ridurre le dimensioni dei reservoir di virus latente e quale fra le due vie sia quella più produttiva.

Il comunicato stampa dell'Imperial College dà qualche informazione in più: ci dice, infatti, che il trial è condotto dalla CHERUB (Collaborative HIV Eradication – a UK BRC Initiative) Collaboration, che è una alleanza di diversi ricercatori di diverse università inglesi, riccamente finanziata dal Medical Research Council allo scopo di trovare una cura per l'infezione da HIV (fra i membri di CHERUB figura anche Simon Collins e spero che attraverso il sito di i-base sia possibile ricevere più informazioni).

Quale sarà l'inibitore dell'iston-deacetilasi usato per stimolare la trascrizione dell'HIV latente? E quale sarà il vaccino terapeutico in grado di dare al sistema immunitario un forte stimolo per attaccare le cellule infette?

Per il momento, è un mistero. Tutto quel che riesco a capire è che pare una strategia per certi versi simile al "Kick, Kill & Boost" di Bionor, ma con in più l'inizio molto precoce della terapia antiretrovirale.

Nel sito di CHERUB sono elencati tre studi: 1) CHERUB 001 – Intravenous Ig in PHI; 2) CHERUB 003 – HIV and Chemotherapy e 3) RIVER Trial. Ma al momento nessun link sembra funzionare.
Appena scoprirò qualcosa di più su questo RIVER Trial, vi racconterò.



Dora
Messaggi: 7491
Iscritto il: martedì 7 luglio 2009, 10:48

Re: The RIVER Trial (CHERUB)

Messaggio da Dora » mercoledì 27 novembre 2013, 9:25

Ora il comunicato stampa nel sito di CHERUB è linkabile e l'unica cosa in più che si scopre sul trial in partenza è che
  • a latere dello studio, il gruppo di ricerca sta sviluppando un metodo per rilevare la latenza che sia migliore di quelli ora disponibili, per superare una delle difficoltà inerenti a questo tipo di approccio, che consiste proprio nel misurarne il successo terapeutico.
John Frater aggiunge che l'unico modo per sapere se una persona è stata davvero curata è sospendere la ART, ma loro non lo faranno. Testeranno, piuttosto, se è possibile ridurre il numero delle cellule infette e, se così sarà, lo considereranno una prova che questa strategia potrà portare a una cura, anche se magari ci vorranno ancora anni per migliorarla.

Il reclutamento dei pazienti è previsto da inizio 2014.



Dora
Messaggi: 7491
Iscritto il: martedì 7 luglio 2009, 10:48

Re: The RIVER Trial (CHERUB)

Messaggio da Dora » lunedì 20 ottobre 2014, 10:55

Dora ha scritto:a latere dello studio, il gruppo di ricerca sta sviluppando un metodo per rilevare la latenza che sia migliore di quelli ora disponibili, per superare una delle difficoltà inerenti a questo tipo di approccio, che consiste proprio nel misurarne il successo terapeutico.
Il trial RIVER del progetto CHERUB non è ancora iniziato e l'arruolamento dei pazienti è slittato di un anno - è infatti previsto per l'inizio del 2015.
Tuttavia è stato fatto un lavoro preliminare che mi sembra importante, perché potrebbe rivelarsi utile anche per tutte le altre sperimentazioni cliniche di ricerca di una cura.
Dallo studio SPARTAC, infatti, John Frater e colleghi sono riusciti a individuare un marker per valutare il reservoir latente e quindi stimare il tempo intercorrente fra la sospensione della ART e il momento del rebound della viremia.

Lo SPARTAC aveva l’obiettivo di capire se un breve corso di ART durante l’infezione acuta preservi la funzione immune ed eventualmente consenta ai pazienti di interrompere la terapia in tutta sicurezza. La sua conclusione fu che non è questo il caso e che, una volta iniziata, la ART non dovrebbe essere interrotta.

Per vedere in breve il razionale e i risultati dello studio SPARTAC, riprendo una parte di un post scritto nel gennaio 2013.

Dora ha scritto:
Dora ha scritto:Il New England Journal of Medicine inizia l’anno dedicando molta attenzione al trattamento dell’infezione da HIV durante la fase acuta e ai benefici che questo comporta sull’evoluzione della malattia.
Pubblica infatti in tutta evidenza ben due articoli – uno studio sulla miglior ripresa dei CD4 in caso di terapia precoce (CD4+ T-Cell Recovery with Earlier HIV-1 Antiretroviral Therapy) e uno che riporta i risultati dello studio SPARTAC sugli effetti di un breve corso di ART durante l’infezione primaria (Short-Course Antiretroviral Therapy in Primary HIV Infection) - e li fa accompagnare da un editoriale di Bruce Walker e Martin Hirsch (Antiretroviral Therapy in Early HIV Infection).
Ecco – in sintesi – che cosa dicono questi lavori.

Alcuni studi osservazionali hanno fatto ipotizzare che la ART somministrata durante l’infezione primaria possa dare benefici durevoli, limitando il danno immunologico causato dall’HIV.
Lo SPARTAC (Short Pulse Anti-Retroviral Therapy at Seroconversion), un trial in aperto condotto in Europa, Sud America, Australia e Africa, aveva l’obiettivo di stabilire l’efficacia della somministrazione di antiretrovirali per un breve periodo a partire dalla fase acuta dell’infezione.

Fra il 2003 e il 2007, i ricercatori hanno randomizzato 366 pazienti (il 60% uomini) in infezione primaria (variamente definita - “pragmaticamente”, dicono gli autori dell’articolo) da HIV-1 sottotipo B o C, in modo da somministrare loro 12 settimane di ART, 48 settimane di ART, oppure nessuna terapia (che è lo standard, al momento) e li hanno seguiti per una media di 4,2 anni.
L’end point primario era o il raggiungimento di un valore assoluto di 350 CD4, oppure l’ingresso in una terapia antiretrovirale di lunga durata.
Durante il follow-up, soltanto i pazienti del gruppo che ha ricevuto la ART per 48 settimane hanno dimostrato un ritardo nel raggiungere la soglia dei 350 CD4: solo il 29% di loro ha visto scendere i CD4 sotto i 350, mentre questo è accaduto al 40% di coloro che hanno ricevuto la ART per 12 settimane e a circa il 40% di chi la terapia non l’ha ricevuta.
La proporzione di coloro che sono infine entrati in terapia di lunga durata è stata simile nei diversi gruppi.
A 36 settimane dalla fine della breve terapia iniziale, le persone che avevano ricevuto la ART per 48 settimane avevano livelli di HIV RNA significativamente più bassi rispetto ai pazienti degli altri due gruppi (–0.44 log10 copie/mL).
Tuttavia, poiché le risposte immuni dei CD4 e CD8 HIV-specifici non sono risultate in correlazione con questi dati, Walker e Hirsch, nell’editoriale che accompagna questo articolo, si chiedono se questi risultati abbiano una qualche rilevanza clinica.

Il limite principale di questo studio è, anzitutto, il fatto che non era randomizzato. Ma anche la definizione di “infezione precoce”, che gli autori ritengono “pragmatica”, implica che sia stata arruolata una popolazione molto eterogenea di pazienti.

La conclusione dei ricercatori dello SPARTAC è comunque che l’inizio precoce della terapia e il suo prolungarsi per 48 settimane ha comportato un beneficio maggiore per i pazienti. [...]
A settembre, John Frater e colleghi hanno pubblicato su eLife HIV-1 DNA predicts disease progression and post-treatment virological control.
Mi era sfuggito, ma la pubblicazione - sempre su eLife – la settimana scorsa di un commento di Steven Deeks e Leslie Cockerham (Biomarker reveals HIV's hidden reservoir) me lo ha ricordato. E dal commento di Deeks ho riadattato la figura che segue, in cui si introduce il lavoro di Frater:

Immagine

Per eradicare le cellule latentemente infette, dunque, dobbiamo anzitutto essere capaci di sapere quante ce ne sono. La maggior parte delle persone in terapia da lungo tempo hanno fra le 10 e le 1000 copie di HIV DNA per milione di CD4. Ma la gran parte di questo DNA virale è difettivo, quindi non potrà mai dare inizio a nuovi cicli di infezione. Quello che davvero serve è pertanto capire quante sono quelle rare cellule che contengono HIV DNA intatto e che può essere indotto a produrre nuovi virus.
Per arrivare a questo serve un marker biologico, cioè una specifica molecola, che distingua le cellule del reservoir latente dalle altre cellule infette.
In assenza di questo marker, l’unico modo per sapere se un intervento terapeutico ha effettivamente curato un paziente, riducendo o addirittura eliminando il reservoir, è l’interruzione della ART e l’attesa del rebound virale, con i rischi che questo comporta sia per il paziente, sia per i suoi partner.

Esistono diversi metodi per misurare il reservoir di HIV, che vanno dalla semplice stima di DNA virale associato alle cellule mediante PCR quantitativa (qPCR) fino ai molto più complessi Viral Outgrowth Assay (VOA) di Siliciano, che sono considerati il gold standard, ma sono costosissimi e richiedono tempi molto lunghi, passando per la misura dell’HIV RNA intracellulare, che riflette in modo più accurato l’effettiva capacità di una cellula infetta di produrre nuovi virioni.

Indipendentemente dal tipo di test usato, mentre la misurazione della viremia plasmatica e del numero dei CD4 sono buoni marker surrogati della progressione clinica dell’infezione, l’utilità clinica di misurare il reservoir non è ben chiara. Dal momento, però, che il DNA virale associato alle cellule precede la viremia plasmatica durante il ciclo vitale del virus, è logico chiedersi se la misura dell’HIV DNA (come surrogato delle dimensioni del reservoir) possa avere una rilevanza clinica. Inoltre, avere un marker surrogato del reservoir può servire nelle sperimentazioni cliniche per arrivare a una cura per valutare l’efficacia degli interventi terapeutici.

Quello che Frater e colleghi dello studio SPARTAC hanno dunque fatto è stato di misurare la frequenza di CD4 del sangue periferico contenenti HIV DNA (cioè l’HIV DNA totale) in tutti i partecipanti all’inizio dello studio, ipotizzando che, anche se la maggior parte di questo DNA virale è difettivo e dunque incapace di replicazione, il DNA totale nell’infezione da HIV iniziale e non ancora trattata con antiretrovirali possa predire il modo in cui la malattia progredirà.

  • E in effetti, come ci si aspettava, il DNA totale è diminuito di molte volte durante il trattamento con la ART. Inoltre, il DNA totale misurato subito prima di interrompere la ART ha predetto sia quanto rapidamente il numero dei CD4 sarebbe diminuito, sia quanto rapidamente si sarebbe verificato il rebound della viremia.
    Chi aveva alti livelli di DNA totale ha avuto un tasso più che doppio di rebound virale rispetto a chi aveva bassi livelli di DNA totale.


Il livello di HIV DNA totale può dunque predire quanto a lungo un paziente può rimanere in sospensione terapeutica senza avere problemi e può essere usato per identificare i pazienti che sono a maggiore rischio di rapido rebound ed è improbabile che possano avere benefici da un’interruzione della ART.

Ci sono in programma degli studi per confermare quanto osservato da Frater e colleghi. Se questo marker verrà validato, l’HIV DNA totale potrà essere usato per monitorare i prossimi tentativi di arrivare a una cura.



uffa2
Amministratore
Messaggi: 6752
Iscritto il: lunedì 26 novembre 2007, 0:07

Re: The RIVER Trial (CHERUB)

Messaggio da uffa2 » lunedì 20 ottobre 2014, 12:59

È sicuramente importante averne la prova, ma direi che, il sospetto che più il virus è rilevabile durante la HAART, più si è a rischio di rebound, tutto sommato era abbastanza “naturale” (se ho capito il tutto)… oggi sono in modalità depressa… :?


HIVforum ha bisogno anche di te!
se vuoi offrire le tue conoscenze tecniche o linguistiche (c'è tanto da tradurre) o sostenere i costi per mantenere e sviluppare HIVforum, contatta con un PM stealthy e uffa2, oppure scrivi a staff@hivforum.info

Dora
Messaggi: 7491
Iscritto il: martedì 7 luglio 2009, 10:48

Re: The RIVER Trial (CHERUB)

Messaggio da Dora » lunedì 20 ottobre 2014, 16:44

uffa2 ha scritto:È sicuramente importante averne la prova, ma direi che, il sospetto che più il virus è rilevabile durante la HAART, più si è a rischio di rebound, tutto sommato era abbastanza “naturale” (se ho capito il tutto)…
Mah ... non so ... è vero che si sapeva che i livelli di DNA diminuiscono durante la terapia (pur senza sparire e senza dare alcuna garanzia di controllo dell'infezione una volta sospesi i farmaci - ricordi il *paziente sfigato di Chun*, con quel reservoir in pratica inesistente, ma che ha reinnescato immediatamente l'infezione?) e aumentano quando questa viene interrotta. Ma era una cosa un po' aneddotica e l'averla studiata in un trial ampio, per quanto non randomizzato, le dà uno spessore ben diverso.
Poi c'era la questione (incombente!) del non avere per nulla chiara la rilevanza biologica di quella parte di HIV DNA danneggiata e dunque apparentemente incapace di replicazione, che si fa fatica a capire a quanto davvero ammonti, perché i diversi test finiscono o con il sottostimarla (i VOA) o con il sopravvalutarla (la PCR quantitativa) - e per di più nessuno di questi test è standardizzato per la pratica clinica. Frater è riuscito a determinare quanto bene l'HIV DNA totale (per il DNA integrato non si sono avuti risultati utili) si correla con dei marker surrogati di progressione della malattia di uso quotidiano quali VL e CD4, e questo mi pare un bel passo avanti.

Avere un test che misura in modo facile, a basso costo e con un'alta attendibilità il rischio di rebound in caso di interruzione della ART (cioè quanto tempo presumibilmente passerà fra quando si sospendono i farmaci e quando il virus torna rilevabile) a me pare una cosa comunque utile. Ben al di là dei trial sulla cura, intendo, in cui sarà fondamentale - non foss'altro che per decidere chi può partecipare e chi è proprio meglio di no.
Pensa solo a quelle persone che desiderano per ragioni loro farsi una vacanza terapeutica. Prima di interrompere la terapia misurano il DNA virale totale e il risultato del test può fornire delle indicazioni per il sì o per il no. Magari arriva una probabilità dell'85% di rebound nel giro di una settimana e uno decide che non vale la pena sospendere i farmaci per doverli subito riprendere. Oppure interrompe la ART, ma si guarda bene dal fare sesso non protetto. Insomma, mi sembra che se questo marker verrà confermato da altri studi potrebbe essere applicato in tante situazioni di vita reale, aiutando a prendere decisioni sempre più informate.
oggi sono in modalità depressa… :?
Come ti capisco ... :(



sun
Messaggi: 53
Iscritto il: sabato 16 agosto 2014, 22:26

Re: The RIVER Trial (CHERUB)

Messaggio da sun » lunedì 20 ottobre 2014, 23:08

Forse è un importante passo in avanti perchè si va verso una quantificazione, quindi una misurazione!!!
Oppure ho frainteso?



Dora
Messaggi: 7491
Iscritto il: martedì 7 luglio 2009, 10:48

Re: The RIVER Trial (CHERUB)

Messaggio da Dora » martedì 21 ottobre 2014, 8:25

sun ha scritto:Forse è un importante passo in avanti perchè si va verso una quantificazione, quindi una misurazione!!!
Oppure ho frainteso?
Penso anch'io che questo studio sia interessante. Tanto più se aiuta a fare luce sul ruolo del DNA virale in persone con viremia soppressa dalla ART, che è questione assai controversa perché se da un lato abbiamo i pazienti della VISCONTI, che controllano la viremia in assenza di ART e con DNA quasi sempre rilevabile, dall'altro abbiamo invece il *paziente sfigato di Chun*, i Boston Patients, la Mississippi Baby - tutte persone in cui l'HIV DNA sembrava quasi sparito, ma che o subito, o nel giro di qualche mese, oppure dopo un paio d'anni dall'interruzione delle terapie hanno avuto un maledetto rebound della viremia.

Quindi avere dimostrato (o confermato) in uno studio con un numero consistente di pazienti
  • - che i livelli di HIV DNA prima della ART si associano a VL e a CD4, i tipici marker di progressione,
    - che l'HIV DNA predice la progressione nei pazienti non trattati,
    - che l'HIV DNA declina durante la ART,
    - che l'HIV DNA valutato nel momento in cui si interrompe la ART predice la progressione clinica,
    - che l'HIV DNA aumenta da quando si interrompe la ART,
    - che l'HIV DNA misurato nel momento in cui si interrompe la ART predice il momento del rebound della viremia nel plasma ...

    - ... e che tutto questo accade indipendentemente dalla presenza di quantità non definite di DNA virale difettivo,
direi che dà un gran numero di informazioni utili per capire il ruolo dell'HIV DNA.

Per quanto poi riguarda l'uso dell'HIV DNA totale come marker di rebound alla sospensione della ART, immagino che un buon test di validazione potrà venire quando finalmente partirà il trial RIVER, che prevede
  • - sola ART precoce + placebo
    - oppure ART precoce + un breve trattamento con un HDACi + un vaccino terapeutico.
Quali saranno l'HDACi e il vaccino terapeutico ancora Sarah Fidler e John Frater non ce l'hanno detto, ma sapremo tutto prima che la sperimentazione parta ufficialmente.



Dora
Messaggi: 7491
Iscritto il: martedì 7 luglio 2009, 10:48

Re: The RIVER Trial (CHERUB)

Messaggio da Dora » domenica 14 dicembre 2014, 11:16

Dora ha scritto:Quale sarà l'inibitore dell'iston-deacetilasi usato per stimolare la trascrizione dell'HIV latente? E quale sarà il vaccino terapeutico in grado di dare al sistema immunitario un forte stimolo per attaccare le cellule infette?

Per il momento, è un mistero. Tutto quel che riesco a capire è che pare una strategia per certi versi simile al "Kick, Kill & Boost" di Bionor, ma con in più l'inizio molto precoce della terapia antiretrovirale.
John Frater, Sarah Fidler e John Thornhill hanno appena pubblicato una tipica review di fine anno su Current Opinion in Infectious Diseases - Advancing the HIV cure agenda: the next 5 years - in cui, oltre ad esporre la loro visione su quale deve essere l’agenda della ricerca di una cura per i prossimi 5 anni e a sottolineare in particolare gli aspetti etici implicati nelle sperimentazioni cliniche rivolte alla cura dell’HIV, rivelano pubblicamente quali saranno i farmaci sperimentati nel RIVER trial, che quest'estate era dato in partenza a inizio 2015.

Ci sarà un vaccino terapeutico – ChAdV63.HIVconsv + MVA.HIVconsv – del quale loro stessi, insieme agli spagnoli dell’IrsiCaixa, stanno studiando sicurezza e immunogenicità in persone con infezione recente, in un trial di fase I che risulta ancora in corso (Safety and Immunogenicity of ChAdV63.HIVconsv and MVA.HIVconsv Candidate HIV-1 Vaccines in Recently HIV-1 Infected Individuals), e che si basa sul “prime-boost”, constando di due fasi: una prima fase di immunizzazione con ChAdV63.HIVconsv, seguita da un richiamo con MVA.HIVconsv.
Questo vaccino terapeutico utilizza come vettori due virus non in grado di replicarsi: un adenovirus attenuato degli scimpanzè (l’AdV63) e un virus Ankara modificato (l’MVA). E in questi inserisce il gene HIVconsv, costruito assemblando in una proteina chimera le 14 regioni meglio conservate del proteoma dell’HIV-1.

Un particolare che non si può non notare: l’efficacia di questo candidato vaccino terapeutico è ignota, letteralmente non è ancora stata né studiata, né dimostrata e ci vorrà almeno una fase II fatta bene perché si possa sostenere che questo vaccino “funziona”.
Altro piccolissimo particolare: i dati su sicurezza e immunogenicità non sono ancora stati pubblicati.

Passiamo al secondo farmaco che verrà sperimentato nel RIVER trial, quello che forma la spina dorsale del razionale: il farmaco scelto come sostanza anti-latenza è .... il vorinostat!

Ammetto di avere avuto un sobbalzo quando ho letto questa rivelazione – buttata lì con nonchalance da Frater e colleghi (*) – perché una parte piuttosto rilevante dell’articolo consiste in una discussione proprio sui rischi del vorinostat, che non vengono per nulla minimizzati, come invece fa Sharon Lewin.
Un capitolo della review è infatti dedicato a chiedersi se gli HDACi, testati finora con risultati a dir tanto modesti, debbano essere considerati delle semplici proof of concept della possibilità di riattivare farmacologicamente la trascrizione dell’HIV, oppure abbiano una qualche utilità clinica.
E, dopo aver ricordato che un intervento di riattivazione dalla latenza, per essere efficace, deve indurre

  • - la produzione di RNA virale,
    - la trascrizione di questo RNA in proteine virali
    - e il rilascio finale di nuovi virioni – possibilmente associato anche alla morte della cellula infetta,


Frater e colleghi ammettono che tutto questo con il vorinostat non si è visto, per quanto si sia vista una parziale riattivazione di virus latente.
Aggiungono anche di avere ben chiari gli aspetti pericolosi degli HDACi messi in evidenza nell’ultimo anno: sia la loro (pessima) tendenza a sopprimere le funzioni citotossiche dei CD8, che servirebbero invece ad uccidere le cellule infette, sia il loro (inquietante) associarsi con l’espressione non specifica di geni ben oltre il momento in cui vengono somministrati.

Tuttavia, concludono che gli HDACi rimangono pur sempre il meglio che al momento abbiamo e dunque coraggio … lanciamoci di nuovo a sperimentare il vorinostat!

Ma, se proprio un HDACi deve essere, perché proprio il vorinostat, che è il più debole dei tre e il più compromesso - almeno per quanto se ne sa adesso - con la sovraregolazione di geni che dovrebbero essere lasciati in pace? Non era meglio, allora, riprovare con la romidepsina? Tanto bene ai CD8 si è visto che non lo fa, ma almeno si è dimostrata più efficace nella riattivazione del virus latente.




(*) Ex-vivo data demonstrate that stimulating HIV-specific CTLs prior to reactivating latent HIV may be essential for successful eradication efforts. This strategy is currently under investigation in clinical trials. For example, the Medical Research Council and Research into Viral Eradication of HIV Reservoirs (MRC RIVER) trial in the UK which will evaluate the combination of the Vorinostat and vaccination (Prime: ChAd.V63.HIVconsv; boost:MVA.HIVconsv) [...]



P.S. Ecco il trial: Research In Viral Eradication of HIV Reservoirs (RIVER).



Dora
Messaggi: 7491
Iscritto il: martedì 7 luglio 2009, 10:48

Re: The RIVER Trial (CHERUB)

Messaggio da Dora » lunedì 7 dicembre 2015, 10:07

Con un certo ritardo rispetto agli annunci, il RIVER trial è finalmente partito, fonte MedicalXpress: Targeting HIV 'reservoir' could be first step to understanding how to cure the disease.
Poiché molto ho già scritto nel thread, mi limito a postare l'immagine che accompagna il comunicato stampa.

Immagine



Altri dettagli sul trial presso lo UK Clinical Research Network Study Portfolio.



Dora
Messaggi: 7491
Iscritto il: martedì 7 luglio 2009, 10:48

Re: The RIVER Trial (CHERUB)

Messaggio da Dora » lunedì 21 dicembre 2015, 9:03

Dora ha scritto:Ci sarà un vaccino terapeutico – ChAdV63.HIVconsv + MVA.HIVconsv – del quale loro stessi, insieme agli spagnoli dell’IrsiCaixa, stanno studiando sicurezza e immunogenicità in persone con infezione recente, in un trial di fase I che risulta ancora in corso (Safety and Immunogenicity of ChAdV63.HIVconsv and MVA.HIVconsv Candidate HIV-1 Vaccines in Recently HIV-1 Infected Individuals), e che si basa sul “prime-boost”, constando di due fasi: una prima fase di immunizzazione con ChAdV63.HIVconsv, seguita da un richiamo con MVA.HIVconsv.
Questo vaccino terapeutico utilizza come vettori due virus non in grado di replicarsi: un adenovirus attenuato degli scimpanzé (l’AdV63) e un virus Ankara modificato (l’MVA). E in questi inserisce il gene HIVconsv, costruito assemblando in una proteina chimera le 14 regioni meglio conservate del proteoma dell’HIV-1.

Un particolare che non si può non notare: l’efficacia di questo candidato vaccino terapeutico è ignota, letteralmente non è ancora stata né studiata, né dimostrata e ci vorrà almeno una fase II fatta bene perché si possa sostenere che questo vaccino “funziona”.
Altro piccolissimo particolare: i dati su sicurezza e immunogenicità non sono ancora stati pubblicati.
Al workshop sui reservoir di Miami è stata portata qualche informazione sul vaccino terapeutico ChAdV63.HIVconsv + MVA.HIVconsv, che verrà dato in combinazione con ART e vorinostat a persone con infezione recente.

Nell'abstract 9.3 HIV conserved region vaccine in early cART-treated subjects (BCN01): impact on immunogenicity and the latent reservoir, gli spagnoli del BCN01 Study Group (che fa riferimento al trial NCT01712425) anticipano i primi risultati del trial sul vaccino.

L’idea era quella di stimolare una prima reazione immune usando un adenovirus degli scimpanzé incapace di replicarsi per evitare reazioni come quelle che si sono viste usando come vettore l’Ad5 umano che, invece di impedirle, ha portato a un aumento delle infezioni (vedere vaccino Merck + vaccino NIAID). A questo è stato aggiunto un immunogeno – l’HIVconsv – che codificava le 14 regioni più conservate delle proteine Gag, Pol, Vif e Env di diversi ceppi di HIV-1. Poi è stato fatto un richiamo con lo stesso immunogeno ma cambiando vettore, con un virus Ankara modificato.

Per noi che siamo abituati ai passi da lumaca del Grande Vaccino Italiano può sembrare fantascienza, ma in questo trial sono stati valutati insieme sia la sicurezza e l’immunogenicità dei due vaccini, sia il loro effetto sul reservoir di HIV e sulla riattivazione del virus nei partecipanti che, lo ricordo, erano persone che avevano iniziato la ART (tenofovir, emtricitabina e raltegravir) durante una fase precoce dell’infezione (meno di 6 mesi dal contagio).

Il trial era comunque di fase I, non randomizzato e si è svolto su poche persone – 48, di cui 24 sono state vaccinate (12 hanno ricevuto la seconda parte del vaccino 8 settimane dopo la prima, 12 l’hanno ricevuta 24 settimane dopo) e 24 sono state usate come controlli per confrontare il decadimento del reservoir durante il primo anno di ART precoce.

  • 1. Il vaccino si è confermato sicuro e immunogenico in tutte le persone vaccinate.

    2. I livelli e il decadimento del reservoir di DNA provirale non sono risultati associati con l’immunogenicità indotta dal vaccino e sono stati simili a quelli delle persone non vaccinate.

    3. Non si è vista riattivazione del virus durante le vaccinazioni.

    4. In sostanza, quello che questo vaccino terapeutico è riuscito a fare è stato di reindirizzare la risposta immune verso regioni altamente conservate del virus, senza con questo indurre una riattivazione del virus latente o avere un impatto sulle dimensioni del reservoir.
    È però la prima volta che si vede un vaccino terapeutico riuscire a modificare il pattern di immunodominanza delle reazioni CTL. In modo “naturale”, queste si dirigono verso regioni non specifiche del virus e questo è quel che le rende inefficaci. Invece il vaccino le ha indirizzate verso regioni di HIV-1 che si mantengono conservate fra una variante virale e l’altra, quindi i ricercatori ne hanno tratto la speranza che – usando il vaccino insieme a qualche strategia anti-latenza – si riesca a facilitare la distruzione del reservoir mediata dai CD8.


Dall’abstract questo è tutto quello che sono riuscita a capire e senza vedere dei numeri rimane tutto piuttosto vago. Però mi pare un risultato molto interessante, tenendo conto che quello dell’immunodominanza degli epitopi è il vero grande problema che i vaccini terapeutici ancora non sono riusciti a risolvere (vedere il post ”CONOSCI IL TUO NEMICO”. “EVITA CIÒ CHE È FORTE E COLPISCI CIÒ CHE È DEBOLE” nel thread dedicato a Siliciano).



Rispondi