Interleuchina-2, capitolo 2: la vendetta dello zombie?

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Dora
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Interleuchina-2, capitolo 2: la vendetta dello zombie?

Messaggio da Dora » martedì 24 ottobre 2017, 8:39

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Interleuchina-2, capitolo 2: la vendetta dello zombie?

Come tutte le citochine, l'interleuchina-2 è una proteina, anzi una glicoproteina scoperta 40 anni fa, che svolge un ampio spettro di funzioni, tutte piuttosto complicate e in parte in contraddizione l’una con l’altra. È prodotta da diverse cellule del sistema immunitario (linfociti T attivati, soprattutto CD4, cellule NK ...) e la più importante fra le sue funzioni è la regolazione della risposta immune mediante l’attivazione immunitaria e l’omeostasi: infatti, l’IL-2 innesca il processo di proliferazione e differenziazione dei linfociti T che si trovano in fase quiescente. Inoltre, promuove la differenziazione dei linfociti T naive in effettori e cellule della memoria.
D’altra parte, l’attivazione promossa dall’IL-2 può indurre la morte dei linfociti T, quindi già da questo si capisce quanto sia difficile utilizzare questa citochina per scopi terapeutici.

In passato, sono stati fatti studi clinici su studi clinici con la speranza di sfruttare la capacità dell’IL-2 di promuovere un’espansione duratura dei CD4 nelle persone con infezione da HIV. Due grandi trial svolti in 25 Paesi su più di 5800 persone in terapia – ESPRIT, su persone con infezione recente e più di 300 CD4, e SILCAAT, su persone con infezione avanzata e CD4 fra 50 e 299 – con l’obiettivo di capire se la somministrazione di una versione sintetica dell’IL-2 insieme alla ART avesse una reale efficacia clinica, cioè fosse, sì, in grado di aumentare il numero di CD4, ma anche di assicurare un vantaggio in termini di maggior sopravvivenza e migliore qualità della vita rispetto a chi prendeva soltanto la ART.

I trial durarono a lungo, perché l’IL-2 fu somministrata in diversi cicli appunto a un numero enorme di persone. Nel 2009 però infine si conclusero e la risposta che ne uscì fu un chiaro e sonante: NO.
No, l’IL-2 non dava nessun beneficio clinico rispetto alla ART da sola. Faceva aumentare i CD4 (e li faceva aumentare soprattutto a chi già ne aveva molti), ma questo non si traduceva in una riduzione del rischio di malattie opportunistiche o di morte.
Insomma, tutti quei CD4 in più non servivano a nulla – forse quelli indotti dall’IL-2 erano CD4 sbagliati, incapaci di svolgere un ruolo nella difesa del loro ospite specificamente contro HIV; forse erano CD4 giusti, ma i loro effetti benefici erano stati neutralizzati, letteralmente spazzati via, dai danni causati dall’IL-2.
Quei danni, infatti, erano pesanti: effetti collaterali difficili da sopportare e tanti effetti avversi di grado 4, tanti di questi – ad esempio tronboembolie - anche addirittura due mesi dopo la fine dei trattamenti, e un dilagare dell’attivazione immunitaria, con l’innalzarsi di marker dell’infiammazione come l’IL-6 e il D-dimero, che sappiamo associati a un aumentato rischio di morte per qualsiasi causa nelle persone con HIV.
E c’era di più: come detto, chi partiva da CD4 più alti li vide alzarsi più di chi ne aveva una manciata. Ma vide anche alzarsi il rischio relativo di morte e tutto faceva pensare che l’IL-2 avesse un ruolo in questo disastro.

  • “Se questo risultato non è dovuto al caso – scrissero i membri del comitato scientifico dei due studi – suggerisce che possono esserci effetti clinicamente deleteri dell’interleuchina-2 che sono più pronunciati nei pazienti con numeri di partenza dei CD4 più alti o con aumenti dei CD4 maggiori dopo l’uso di interleuchina-2. I meccanismi dietro questi effetti deleteri restano poco chiari, ma potrebbero essere correlati agli effetti dei linfociti T regolatori, a maggiori effetti infiammatori dell’interleuchina-2 in pazienti con più alti numeri di CD4, o a entrambe le ragioni.”


Pareva che ESPRIT e SILCAAT avessero messo una pietra tombale sopra i tentativi di usare l’IL-2 nell’infezione da HIV. Ma, come uno zombie, questa citochina più difficile da usare di una lama affilata sta ritornando. Questa volta per dimostrarci di essere capace di fare qualcosa contro il reservoir latente, contro il quale già si era provato ad usarla fra fine anni '90 e inizio anni 2000 con risultati che definire pessimi è un eufemismo e con tossicità inaccettabili.

Quando a gennaio ho letto che Gilead aveva stanziato un ricco finanziamento di 2,5 milioni perché Michael Lederman, professore di medicina alla Case Western Reserve University, studiasse la riduzione del reservoir mediante interleuchina-2, mi sono venuti in mente i risultati non esattamente incoraggianti del 2009 e ho trasecolato. Poi ho pensato ai disastri dell’interleuchina-7, che è più potente della 2 nello stimolare la proliferazione omeostatica dei CD4, ma più o meno fa la stessa cosa, e non solo non è riuscita a riattivare il reservoir, ma l'ha fatto aumentare, invece che diminuire.
Studi fatti in vitro hanno mostrato una certa capacità anti-latenza sia della IL-7, sia della 2, mediante l'induzione dell'NF-kB, ma poi alla prova dei fatti la 7 si è rivelata un disastro. Ci si può davvero onestamente aspettare che con l'IL-2 le cose vadano diversamente?

Aggiungiamo a questo che Lederman, sì, proprio lui insieme a José Alcamí e Monsef Benkirane, ha pubblicato l'anno scorso un articolo sui Cell Reports in cui studiano il ruolo di IL-2 e IL-7 nella formazione del reservoir e mostrano come queste due interleuchine favoriscano la formazione del reservoir non soltanto stimolando la proliferazione omeostatica, ma anche aumentando la suscettibilità dei CD4 ad essere infettati (perché inattivano SAMHD1, che è un fattore di protezione che blocca la replicazione di HIV nelle cellule dendritiche e nei monociti-macrofagi).
Inoltre, Lederman e colleghi, proprio loro, hanno dimostrato che in vitro l'IL-2 e la 7 inducono trascrizione inversa e integrazione del provirus di HIV nei CD4, cioè favoriscono lo stabilirsi della latenza. Non proprio una cosa rassicurante, mi pare.

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Insomma, il mio stupore a vedere che si vuole usare l'IL-2 per ridurre il reservoir è pari solo alla mia sconfinata ignoranza del magico e contradditorio mondo delle citochine, che da un lato tolgono e dall'altro danno - a saperci giocare bene insieme, però.

A gennaio, Lederman era tutto contento per il grant ricevuto e in un comunicato stampa della sua università spiegava che "somministrati da soli, IL-2 e certi anticorpi monoclonali possono ridurre - ma non necessariamente eliminare - la presenza di HIV nel corpo. Il nostro studio andrà un passo oltre e li useremo insieme. Vogliamo vedere se a usarli in tandem danno una bella botta, più che quando sono somministrati individualmente".
Il comunicato stampa forniva anche diversi dettagli sul futuro trial clinico, che doveva confermare una certa riduzione del reservoir vista in uno studio retrospettivo fatto in passato sull'IL-2. Il trial sarebbe durato 64 settimane e avrebbe avuto due gruppi di partecipanti, 16 persone in tutto: a un gruppo si sarebbe data l'IL-2, all'altro l'IL-2 più un anticorpo neutralizzante che non veniva specificato. La speranza era che in entrambi i gruppi si potesse misurare una riduzione del reservoir, ma nel gruppo IL-2 + bNAb si vedesse una diminuzione maggiore.

Qualcosa dall'inizio dell'anno ad oggi deve essere cambiato, perché è ora in partenza un trial clinico diretto sì da Lederman insieme al collega Benigno Rodriguez, ma soltanto sull'IL-2. Il bNAb deve essersi perso per strada.
Lo studio s'intitola HIV Reservoir Reduction With Interleukin-2 (IL2).
Prevede di arruolare 20 persone con HIV stabilmente soppresso dalla ART, almeno 350 CD4 e sostanzialmente in buona salute.
Costoro riceveranno 5 MIU (milioni di unità internazionali) di interleuchina-2 ricombinante (rIL2) in iniezioni sottocutanee, 2 volte al giorno per 5 giorni consecutivi, ogni 8 settimane e per 8 settimane. Il dosaggio è di poco superiore a quello dello studio SILCAAT (4,5 MIU), mentre nell'ESPRIT era più alto - da 6 fino a 7,5 MIU.
L'obiettivo principale sono i cambiamenti del reservoir misurati mediante qVOA; gli obiettivi secondari sono la caratterizzazione del reservoir, l'induzione dell'espressione di HIV in vivo, la viremia plasmatica nel periodo di esposizione all'IL-2, il fenotipo delle cellule NK.

Sicurezza e tossicità non rientrano negli end point dello studio. Tanto le conosciamo già.

Durata del trial: 1 anno.


  • Buon Halloween a tutti!

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