Il reservoir nel cervello: un ostacolo all'eradicazione? – 2

Ricerca scientifica finalizzata all'eradicazione o al controllo dell'infezione.
Dora
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Il reservoir nel cervello: un ostacolo all'eradicazione? – 2

Messaggio da Dora » martedì 22 novembre 2011, 10:06

Questo thread è la continuazione di Il reservoir nel cervello: un ostacolo all'eradicazione?

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Esce sul numero del 15 dicembre del Journal of Infectious Diseases un lavoro congiunto del Karolinska Institutet svedese e della University of California, San Francisco, a firma di Viktor Dahl e Richard Price: Raltegravir Treatment Intensification Does Not Alter Cerebrospinal Fluid HIV-1 Infection or Immunoactivation in Subjects on Suppressive Therapy.
Anche se non vi si tratta specificamente del reservoir cerebrale e del modo per eradicarlo, ma solo dell’infezione attiva in persone con viremia soppressa dalla HAART, mi pare valga la pena parlarne qui, perché questo studio randomizzato costituisce un altro passo sia nella comprensione di quel che accade dell’infezione a livello cerebrale, sia nello smantellamento dell’idea che intensificare la HAART possa portare all’eradicazione o almeno a diminuire il livello di attivazione immunitaria.

Si sa che, anche se l’RNA virale viene soppresso dalla HAART nel sangue a livelli clinicamente non rilevabili, l’infezione e la connessa attivazione immunitaria possono persistere nel sistema nervoso centrale (CNS).

L’infezione del CNS in genere risponde bene alla HAART e infatti, quando i livelli di HIV RNA nel sangue diventano non rilevabili con i test standard (<50 copie/ml), lo stesso vale per lo più nel liquido cerebrospinale. Tuttavia, mentre la terapia combinata previene in larga misura la demenza HIV-correlata, dei deficit neurologici meno gravi rimangono abbastanza comuni fra le persone in terapia ed è possibile che il danno al sistema nervoso centrale continui nonostante la HAART. La patogenesi di questo danno cronico è ancora meno chiara della patogenesi della demenza HIV-correlata, ma si ritiene che lo stato di attivazione persistente vi abbia un ruolo rilevante.

Una spiegazione possibile di questa situazione è che nel cervello sia presente un “santuario” in cui la replicazione virale, nonostante non venga rilevata dai test normalmente in uso, continua a livelli bassi, ma sufficienti a causare attivazione immunitaria e quindi danno cerebrale.

L’ipotesi da cui sono partiti Dahl e Price è stata che, intensificando la terapia, sia possibile diminuire sia l’infezione sia l’attivazione immunitaria nel fluido cerebrospinale (CSF).

Per testare questa ipotesi ed eventualmente stabilire una via per trattare il problema, hanno fatto una sperimentazione clinica pilota, randomizzata 1:1, in aperto, aggiungendo l’inibitore dell’integrasi raltegravir (mai assunto in precedenza da nessuno dei partecipanti) a diversi regimi di HAART soppressiva e
  • 1. andando poi a misurare nel fluido cerebrospinale la riduzione della neopterina, una sostanza prodotta dai macrofagi attivati che aumenta con l’aumentare dell’attivazione e che funge quindi da indicatore di attivazione della risposta immunitaria.
    2. Hanno inoltre misurato i livelli di HIV RNA nel CSF mediante “single-copy assay” (SCA): questo, per la sua precisione, è divenuto lo standard quando si studiano gli effetti dell’intensificazione, ma non era mai stato usato prima su campioni di fluido cerebrospinale.
    3. Infine, hanno misurato i marker di attivazione sulla superficie dei CD4 e dei CD8, sia nel sangue sia nel CSF.

Riporto le caratteristiche dei pazienti e i risultati delle 12 settimane di sperimentazione mediante la sintesi esposta nelle tabelle e nelle figure. A seguire, la discussione.


Tabella 1: caratteristiche dei pazienti all’inizio della sperimentazione

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Tabella 2: livelli di HIV RNA rilevati mediante “single-copy assay “ nel liquido cerebrospinale e nel sangue periferico dopo 12 settimane di intensificazione con raltegravir

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Figura 1: cambiamenti dei livelli di neopterina e di altre variabili non virologiche nel liquido cerebrospinale

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Figura 2: cambiamenti dei livelli dei marker di attivazione nei linfociti T del CSF e del sangue dopo intensificazione

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Tabella 3: sintesi dei cambiamenti dopo 12 settimane di intensificazione

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L’idea di Dahl e Price era che, intensificando la HAART con un antiretrovirale che ha un meccanismo di azione diverso rispetto agli altri – appunto un inibitore dell’integrasi – fosse possibile ridurre i marker di attivazione immunitaria e l’HIV RNA nel liquido cerebrospinale. Si auguravano che il raltegravir fosse in grado di inibire i bassi livelli di replicazione virale nel CSF, e dunque di ridurre l’attivazione immunitaria intracranica, in persone con viremia soppressa dalla HAART.
I risultati raccolti dopo 12 settimane di intensificazione hanno smentito questa ipotesi: nessuno dei valori misurati è migliorato. E questo è coerente con l’assenza di effetti sistemici sulla viremia plasmatica e sui marker di attivazione immunitaria nel sangue fatti in altri e più ampi studi (tranne il solito di Buzon del 2010, che però a questo punto sembra l’eccezione a una regola).
Anzi, gli unici cambiamenti che si sono constatati nell’attivazione dei linfociti T sono stati un LEGGERISSIMO AUMENTO NELL’ATTIVAZIONE, invece che una diminuzione, nel gruppo che ha ricevuto il raltegravir + la HAART.

Secondo Dahl e Price ci sono tre spiegazioni possibili:
  • 1. Forse il raltegravir non inibisce in modo consistente l’infezione a livello cerebrale: tuttavia, benché non ci siano molte ricerche che documentino l’efficacia del raltegravir da solo nel sistema nervoso centrale, alcuni studi di farmacocinetica hanno mostrato che questo farmaco comunque arriva nel fluido cerebrospinale, anche se a livelli inferiori rispetto a quelli raggiunti nel sangue. È quindi possibile che il periodo di trattamento sia stato troppo breve.

    2. Forse l’ipotesi di partenza è sbagliata: potrebbe esserci una replicazione virale minima e/o discontinua nel cervello e questa potrebbe non causare l’immunoattivazione persistente nel fluido cerebrospinale. Questa spiegazione si compone di due parti: a) la replicazione virale residua in corso nel sistema nervoso centrale e b) il meccanismo di immunoattivazione persistente nel cervello. Per la prima volta, in questo studio è stato utilizzato un test molto sensibile per valutare l’HIV RNA residuo nel fluido cerebrospinale in pazienti con viremia soppressa (SCA) e si è visto che, in effetti, anche prima dell’intensificazione i livelli di virus presenti nel liquido erano davvero minimi. Questo, unito all’assenza di ulteriore riduzione dopo l’intensificazione, suggerisce che ci fosse una replicazione virale attiva bassissima nel cervello. Bisogna però tener conto del fatto che il “single-copy assay” applicato al fluido cerebrospinale potrebbe non riuscire a rilevare un’infezione di basso livello nel cervello. Per capire da dove questa si origini nel caso di pazienti con viremia irrilevabile grazie alla HAART, bisogna prima capire le origini del virus trovato nel liquido cerebrospinale di questi pazienti: viene da replicazione residua nel sangue? Da CD4 memoria? Da cellule cerebrali, quali quelle della microglia o gli astrociti?

    3. Forse la risposta che si è trovata non era quella alla domanda (ipotesi) fatta, a causa delle caratteristiche particolari dei pazienti arruolati nella sperimentazione: persone con viremia così ben soppressa, e dunque con infezione e immunoattivazione così basse a livello cerebrale, da rendere impossibile valutare eventuali effetti terapeutici dell’intensificazione della HAART.
Conclusione: “nonostante il raltegravir presenti caratteristiche favorevoli per trattare il sistema nervoso centrale, non abbiamo trovato nessuna prova che l’intensificazione abbia ridotto l’immunoattivazione intracranica o l’HIV-1 RNA nel liquido cerebrospinale dei soggetti del nostro studio. Questo è coerente non solo con studi precedenti sul CSF, ma anche con gli effetti sistemici dell’intensificazione della terapia. Un aspetto importante dei nostri risultati è stata la bassa quantità di RNA virale e i bassi livelli di neopterina trovati nel liquido cerebrospinale dei nostri pazienti. Questo ci spinge a ipotizzare che la terapia sia realmente efficace nel ridurre la carica virale nel cervello e l'attivazione immunitaria intracranica. Rimane da capire se questo avvenga comunemente o se i nostri pazienti abbiano costituito un gruppo con caratteristiche insolite”.



Dora
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Re: Il reservoir nel cervello: un ostacolo all'eradicazione?

Messaggio da Dora » mercoledì 14 dicembre 2011, 15:18

Riporto l'abstract di un lavoro presentato da Janice Clements a St Martin, cui ha partecipato anche Siliciano. Si tratta di una ricerca sulla persistenza del virus e dell'infiammazione a livello di sistema nervoso centrale in un modello animale - macachi SIV+ in terapia antiretrovirale e con viremia soppressa - il cui obiettivo ultimo è capire quali elementi costituiscono un ostacolo all'eradicazione.


ABSTRACT 07

SIV/Macaque Model of Highly Active Antiretroviral Therapy: Viral Persistence and Ongoing CNS Inflammation

MC Zink, JL Mankowski, J Dinoso, DR Graham, L Gama, RF Siliciano, and JE Clements
Johns Hopkins Medicine, Baltimore, MD, USA


BACKGROUND: Treatment of HIV-1 infection with highly active antiretroviral therapy (HAART) suppresses viremia below the clinical limit of detection (50 HIV-1 RNA copies/mL), but latently infected resting CD4+ T cells serve as reservoirs, and low-level viremia can be detected with special assays. Tissue macrophages may provide an additional source of low-level replication and transmission of virus to adjacent cells, particularly in the brain, where penetration of antiretroviral drugs may be limited. An SIV/macaque model is ideal to identify all of the sources of residual virus that could represent barriers to eradication.

METHODS: We used an SIV model system where pigtailed macaques develop AIDS and 90% develop CNS disease by three months postinoculation (p.i.) to develop a model of HAART in which animals were treated with a regimen of PMPA, saquinavir, atazanavir, and an integrase inhibitor starting at 12 days and euthanized at ~175 days p.i.

RESULTS: Treatment led to a biphasic decay in viremia and in CSF viral load and a significant rise in levels of circulating CD4+ T cells. At terminal infection, the frequency of circulating resting CD4+ T cells harboring replicationcompetent virus was reduced to a low steady-state level similar to that observed for HIV-infected patients on HAART. The frequencies of resting CD4+ T cells harboring replication-competent virus in head lymph nodes, gut lymph nodes, spleen, and peripheral blood were reduced relative to those for untreated SIV-infected animals.
Brain viral RNA in treated macaques was undetectable at necropsy but viral DNA levels were not different from untreated SIV-infected macaques. CNS inflammation was significantly reduced in most animals, with decreased brain expression of MHC Class II and GFAP and reduced CSF CCL2 and IL-6. Brain from treated macaques had significantly lower IFNβ, MxA, and IDO mRNA suggesting suppressed immune hyperactivation, and fewer CD4+ and CD8+ T cells, suggesting reduced trafficking of T cells from peripheral blood. Brain levels of CD68 protein and TNFα and IFNγ RNA, while reduced, were not significantly lower, indicating continued CNS inflammation in at least some animals.

CONCLUSION: These observations closely parallel findings for HIV-infected humans on suppressive HAART and demonstrate the value of this animal model to identify and characterize viral reservoirs persisting in the setting of suppressive antiretroviral drugs.



Dora
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Re: Il reservoir nel cervello: un ostacolo all'eradicazione?

Messaggio da Dora » martedì 10 luglio 2012, 16:31

Premessa: non sono riuscita a saperne granché di più rispetto a quanto è scritto in un comunicato stampa, quindi non ho idea se la tecnologia di cui si parla sia una cosa seria o una porcheria. Quel che so è che le nanotecnologie per il trasporto dei farmaci vanno di gran moda.
Riporto la notizia, come l'ho trovata.


Una società di biotecnologie con base a New York, la Lauren Sciences LLC (sito in costruzione: http://www.laurensciences.com/), sta collaborando con l'università Ben Gurion in Israele per lo sviluppo e la commercializzazione di una nanotecnologia inventata da una compagnia della Ben Gurion, la BGN Technologies. Si tratta della V-Smart™ Platform, delle nanovescicole che servono a trasportare farmaci e sono in grado di passare la barriera emato-encefalica.
Le V-Smart sono già state brevettate per trattare altre patologie del sistema nervoso centrale, in particolare il Parkinson e l'Alzheimer.

La Campbell Foundation ha appena stanziato un finanziamento per studiare il modo di trasportare il tenofovir nel sistema nervoso centrale grazie a queste nanovescicole V-Smart. Poiché il tenofovir da solo non è in grado di arrivare fino al cervello perché non passa la barriera fra sangue ed encefalo, l'idea è quella di portarcelo attraverso queste nanovescicole, che rispetto ad altre nanotecnologie - i liposomi, per esempio - hanno dimostrato in studi pre-clinici di avere maggiore stabilità e maggiore capacità di incapsulare il farmaco da trasportare (possono essere molecole di piccole dimensioni, peptidi, proteine, acidi nucleici), e di "aprirsi" poi al momento giusto, rilasciandolo proprio dove serve.
L'idea è quella di far arrivare il tenofovir in aree del cervello dove si annida l'HIV e ridurre così la viremia, rendendo in questo modo più efficace la HAART e, se possibile, contribuendo a qualche strategia di eradicazione.

Sono previsti studi di efficacia prima su modelli di neuro-HIV e poi in studi clinici.





Comunicato stampa: Lauren Sciences LLC's research team at Ben-Gurion University awarded Campbell Foundation grant to develop a V-Smart therapeutic for neuro-HIV



Dora
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Re: Il reservoir nel cervello: un ostacolo all'eradicazione?

Messaggio da Dora » mercoledì 1 agosto 2012, 6:32

Ad AIDS 2012 è stato presentato un lavoro di David Margolis e altri della North Carolina, Chapel Hill dedicato al trasporto di raltegravir al sistema nervoso centrale mediante nanoparticelle d'oro. Obiettivo: colpire i reservoir cerebrali.
Dal report di Jules Levin per Natap
:

Gold nanoparticles to improve drug delivery to the CNS: Targeting HIV reservoirs in the brain (raltegravir)

C. Garrido1, N. Dahl1, CA. Simpson3, J. Bresee3, D. Feldheim3, C. Melander2 and DM. Margolis1

1UNC Chapel Hill, NC; 2NC State University, Raleigh, NC; 3University Boulder, Boulder, CO, USA.



L’introduzione della ART ha comportato un’enorme diminuzione della demenza HIV-correlata, ma l’ingresso degli antiretrovirali nel sistema nervoso centrale può essere subottimale, a causa della difficoltà per i farmaci di penetrare la barriera emato-encefalica; e questo può dare luogo alla creazione di reservoir virali.
Di qui l’idea di utilizzare nanoparticelle d’oro per trasportare i farmaci nel cervello. Quelle create da Margolis e colleghi sono cristalli inorganici che possono formare legami covalenti con centinaia di molecole di farmaci. Inoltre, questi nanocristalli possono essere costruiti insieme a molecole-target, in modo da permettere un trasporto selettivo dei farmaci verso specifici santuari anatomici.

L’obiettivo dello studio era dimostrare che queste nanoparticelle riescono a penetrare in diversi tipi di cellule e ad esercitare un’attività antiretrovirale quando congiunte ad ARV.

Conclusioni:

  • - le nanoparticelle d’oro riescono ad entrare in linfociti, macrofagi, astrociti e HBMEC [Human Brain Microvascular Endothelial Cells], e riescono ad attraversare la barriera emato-encefalica sia in vitro, sia in vivo. Tuttavia, la penetrazione nel cervello deve essere migliorata; pertanto, il prossimo passo sarà l'unione simultanea di diverse molecole entro le nanoparticelle d'oro;

    - i farmaci congiunti alle nanoparticelle hanno dimostrato di esercitare attività antivirale all'interno delle cellule;

    - altri esperimenti, che sono ancora in corso, includono la valutazione dell'attività antivirale delle nanoparticelle congiunte ad antiretrovirali in un "transwell system"
    [più o meno: assemblate in co-coltura e filtrate].
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nordsud
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Re: Il reservoir nel cervello: un ostacolo all'eradicazione?

Messaggio da nordsud » giovedì 2 agosto 2012, 16:43

Recentemente sempre più studi confermano che la haart durante la fase acuta ha qualche possibilità di diventare una cura funzionale.
Per anni ci hanno detto che la haart presa prima della sieroconversione non serviva a nulla se non ridurre di un qualcosa certi reservoirs. La prep "funziona" entro le prime 48-72 ore dal presunto contagio.
Per me le persone che hanno buttato nel cesso i farmaci sono molte di più.
http://www.aidsmeds.com/articles/hiv_co ... 2772.shtml

Se non ricordo male in Francia ci sono delle persone che sono senza viremia da anni dopo l'interruzione della haart che avevano iniziato non in fase acuta. Mi sbaglio ?



Dora
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Re: Il reservoir nel cervello: un ostacolo all'eradicazione?

Messaggio da Dora » giovedì 2 agosto 2012, 20:03

nordsud ha scritto:Se non ricordo male in Francia ci sono delle persone che sono senza viremia da anni dopo l'interruzione della haart che avevano iniziato non in fase acuta. Mi sbaglio ?
Sì, sì. Anzi, se ricordo bene, eri stato proprio tu a parlarci dello studio di Hocqueloux (appena riavremo l'archivio, potremo rivedere quel lungo thread, con tutte le discussioni che facemmo allora e anche tutte le smentite da parte di Chun, con quei suoi disgraziatissimi pazienti. Rammenti?).

Si tratta della coorte VISCONTI e questi sono i link:
***************

[Aggiunta del 6 agosto 2012]

A smorzare non poco gli entusiasmi, questo commento ai risultati della coorte VISCONTI scritto da David Margolis per Natap mi ha fatto tornare in mente tante delle osservazioni che facemmo riguardo al lavoro di Hocqueloux un paio d'anni fa:
  • Charline Bacchus [...] presented findings from the French VISCONTI cohort. The Virological and Immunological Studies in CONtrollers after Treatment Interruption (VISCONTI) examined patients who started ART within 10 weeks of HIV infection (average 40 days), and then controlled viremia after ART interruption, following several years of suppressive therapy. Bacchus reported studies on a 12 patient subset of this group, who had controlled HIV with RNA <50 c/ml after ART interruption for a median of 76 [IQR: 67.5-84.5] months after 3 [IQR: 1.7-5.9].

    There was a lot of interest and excitement around the Visconti cohort. I personally feel that this is due to an unrealistic hope that achieving a functional cure might be simpler than it seems. The reason that these patients were able to control viremia after ART interruption is unclear. In fact, the cohort confounded all expectations. It was stated that elite controllers have a low peak viremia in AHI, but the Visconti cohort post-ART controllers did not. HLA B35 was over-represented in the Visconti cohort, not the expected protective allelles HLA B27 or B57. Prior controllers cohorts have high interferon gamma elispot responses to HIV antigens, but the Visconti cohort did not. Cell activation as measured by CD38+DR+ has been high in controllers but was lower in Visconti. Bacchus and Saez-Cirion suggested that at least 12 months of ART post-AHI would control viremia for at least 2 years in 5-15% of patients.

    In my opinion many of these patient appeared to be treated in early, not acute infection. And in our experience in Chapel Hill, it is rare to observe elite control as observed in Visconti post ART in AHI, but perhaps 5% is rare. I understand that the Visconti cohort was founded by patients with symptoms of acute HIV infection (a minority of all those with AHI) who brought themselves to treaters in France requesting ART, and were enrolled. About 750 patient were enrolled, and the controller cohort numbers only 14. I think it remains to be demonstrated that this is a new phenomenon, how durable this control really is over longer periods of time, and that ART is increasing the frequency of elite control, rather than a chance observation.

***************

[Aggiunta del 16 agosto 2012]

La relazione di Richard Jefferys sulla coorte VISCONTI: i dubbi aumentano sempre di più.

The VISCONTI Cohort
  • Among the most publicized data presented at the IAS symposium related to a French cohort (dubbed the VISCONTI cohort) comprising 14 individuals treated within 10 weeks of infection who, after an average of around three years on ART, interrupted treatment and have subsequently maintained control of viral load to less than 50 copies/mL for an extended period (a median of 6.6 years, range 4-9.5 years). This study was the focus of an overview talk by Asier Saéz-Cirión and an abstract presentation by his colleague Christine Bacchus (the latter was repeated at AIDS 2012 and a webcast was briefly available, regrettably it now seems to have been removed). Preliminary results have been published and presented before: in a letter to the journal AIDS in 2010, five cohort members controlling viral load off ART for a median 6.25 years—designated post-treatment controllers (PTC)—were described (out of a total of 32). At CROI in 2011, a poster presentation reported that the number of PTC had increased to 10 (median duration of control: 6 years) and, notably, five of these individuals were also showing a diminution of HIV reservoirs over time (as measured by HIV DNA levels).

    Asier Saéz-Cirión updated these results with the information that a total of 14 PTC have now been identified. The number of individuals experiencing declines in HIV DNA levels has dropped from five to four since the CROI report. Saéz-Cirión highlighted a number of unusual features of this cohort that sets them apart from elite controllers. Most importantly, they lack the favorable HLA genes that are consistently associated with elite control, HLA B*57 and B*27. Instead, around half the PTC possess HLA B*35, which in untreated HIV infection is associated with a significantly increased risk of rapid disease progression. In addition, HIV-specific CD8 T cell responses are of lower magnitude than those typically seen in elite controllers, and levels of immune activation and HIV DNA are also low. Data on HIV-specific CD4 T cell responses is not yet available.

    Saéz-Cirión attempted to assess how frequently the PTC phenomenon occurs after primary infection treatment. In a preliminary look at the French Hospital Database, 756 individuals were identified who started ART within 6 months of infection, and continued for at least a year. A subset of 74 eventually interrupted ART and, of these, 15.7% maintained undetectable viral load for a minimum of two years. Saéz-Cirión also cited a study by Cécile Goujard and colleagues that was published shortly after the meeting in the journal Antiviral Therapy; in this case, out of 164 participants, 8.5% maintained viral loads below detection for two years after interruption, and 7.2% at three years. In contrast, Saéz-Cirión noted that an analysis of 34,317 HIV-positive individuals in France only identified 81 elite controllers, putting the estimated proportion of individuals likely to attain control of viral load in the absence of any ART at around 0.24%.

    The duration of viral load control in the VISCONTI cohort clearly makes them unusual, and they are understandably receiving attention as a possible model of a “functional cure” in which HIV is suppressed without treatment rather than eradicated. But there are many unanswered questions and apparent contradictions with other studies that need to be addressed and resolved. Saéz-Cirión noted that all but one of the 14 individuals had symptomatic primary infection, high viral loads and low CD4 counts at the time of initiating ART—as he put it, their primary infection appeared “tougher” than is typical. Yet in the Goujard study he cited, the factors associated with becoming a PTC were opposite: high CD4 counts and low viral loads (in addition to female sex). An independent analysis of the frequency of PTC—which the authors acknowledge was prompted by the VISCONTI data—was published online in the Archives of Internal Medicine on July 23. A total of 259 individuals from the multi-country CASCADE cohort were identified who received ART within three months of infection. The probability of maintaining PTC status 24 months after ART interruption in this analysis was 5.5%, and the characteristics of these 11 individuals did not differ from the overall study population. Saéz-Cirión was questioned at the symposium regarding levels of inflammatory biomarkers and any clinical events in the VISCONTI cohort PTC; he responded that these analyses are ongoing and not yet complete. In terms of CD4 counts Saéz-Cirión stated that only one of the 14 is showing a decline over time. The reason for the apparent over-representation of HLA B*35 is as yet unclear, when quizzed on the issue Saéz-Cirión suggested that possession of this allele may have explained the high prevalence of symptoms in the cohort which, in turn, prompted them to start ART early. However, published studies do not appear to have found an association between HLA B*35 and primary infection symptoms. Further complicating the question is the fact that there are HLA B*35 subsets named Px and Py, and only people possessing HLA B*35 Px have been reported to experience rapid HIV disease progression: the distribution of Px vs. Py in the VISCONTI cohort PTC is not yet known.


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La discussione sulla ART in fase acuta continua nel thread ARV in fase acuta: cura funzionale? diminuisce il reservoir?



Dora
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Re: Il reservoir nel cervello: un ostacolo all'eradicazione?

Messaggio da Dora » domenica 24 febbraio 2013, 12:09

Fra pochi giorni al CROI si parlerà di nuovo moltissimo di sistema nervoso centrale e del modo per raggiungerlo o non danneggiarlo quando si tenta di eradicare l'HIV. Per esempio, Margolis porterà gli aggiornamenti della ricerca sulle nanoparticelle d'oro di cui abbiamo parlato in questo stesso thread; altri discuteranno di disturbi neurocognitivi (cfr. la sezione 7 Neurocognitive Disorders: New Developments and Therapies, la sezione di poster 86 ART, Neurocognitive Outcomes, and New Central Nervous System-­targeted Therapies, la sezione 88 Central Nervous System Inflammation and Biomarkers of HIV-­associated Neurocognitive Disorders), di neuropatogenesi (sezione 88 Neuropathogenesis Mechanisms), di invecchiamento (sezioni 44 e 90 Aging and Neurocognitive Function in HIV Infection).

Ho pensato quindi di riprendere l'argomento con una review scritta da Melissa Churchill, del Burnet Institute di Melbourne, e Avindra Nath, degli NIH, e appena pubblicata su Current Opinion in HIV/AIDS.
Mi rendo conto che il quadro è dipinto a tinte assai fosche, ma penso che ci serva avere davanti una sintesi della situazione, perché al CROI sarà uno degli argomenti dominanti.



Where does HIV hide? A focus on the central nervous system

INTRODUZIONE

Si sa che la compartimentalizzazione dell’HIV si verifica nel cervello, nel liquido cerebrospinale, nel tratto genitale, anche se la compartimentalizzazione virale si può avere anche nell’intestino, nei polmoni, nel fegato, nei reni e nel latte materno.
Benché si sia riconosciuto rapidamente dopo la scoperta del virus che l’HIV stabilisce un reservoir nel cervello e causa disfunzione neurocognitiva, ci si è preoccupati soprattutto di determinare i meccanismi del danno neuronale e sono stati sviluppati diversi approcci per proteggere i neuroni. Tuttavia, gli studi clinici con sostanze neuroprotettive hanno comportato pochi benefici clinici. Anche se la ART ha avuto un grande impatto nel diminuire la severità del danno neuronale, un certo grado di indebolimento neurocognitivo, più leggero ma significativo dal punto di vista clinico, persiste nonostante un trattamento antiretrovirale ottimale. In queste persone le cellule del liquido cerebrospinale mostrano prove di attivazione immunitaria. È possibile che il reservoir virale nel cervello non sia controllato completamente; tuttavia, l’intensificazione della ART non sembra avere impatto sulla produzione virale di basso livello.
Per queste ragioni, una migliore comprensione dei reservoir virali nel cervello è una questione cruciale per poter sviluppare nuovi approcci per controllare l’infezione.
Di recente, si è diffuso un grande entusiasmo per la possibilità di sviluppare una cura per l’infezione da HIV. Il successo nell’eradicare il virus in almeno una persona che, trattata per una leucemia, ha ricevuto chemioterapia, radiazioni e un trapianto di cellule staminali da un donatore con una mutazione del CCR5, ha suggerito la possibilità di sviluppare almeno un approccio che liberi completamente il corpo dal virus.
Tale approccio, però, impone una nota di cautela, poiché molte fra le strategie proposte potrebbero avere un effetto devastante sul cervello. Perché tali strategie abbiano successo, è necessario avere una comprensione completa del momento in cu l’HIV entra nel cervello e dei tipi di cellule che infetta, e il tasso di ricambio delle cellule infette è importante per poter costruire un approccio personalizzato al controllo virale o all’eradicazione.

IL MOMENTO DELL’ENTRATA DEL VIRUS NEL CERVELLO

In assenza di una tecnologia che consenta di fare delle immagini dei reservoir dell’HIV, estrapolazioni dell’ingresso del virus nel sistema nervoso centrale sono state fatte rilevando l’HIV nel liquido cerebrospinale. Uno studio recente ha dimostrato che l’HIV RNA ha potuto essere rilevato nel liquido cerebrospinale di 15 su 18 pazienti circa 8 giorni dopo il presunto momento di trasmissione del virus. In media, il livello di HIV RNA nel liquor era di 2,42 log(10) copie/ml più basso rispetto a quello nel plasma e non ci sono stati casi in cui era più alto.
Tuttavia, la presenta del virus nel liquido cerebrospinale non significa necessariamente che è riuscito a formare un reservoir nel cervello. Infatti, in alcuni pazienti non si è trovata prova neppure durante l’autopsia di un’infezione virale produttiva o di altri cambiamenti neuropatologici, e questo perfino in era pre-ART.
Questo fa pensare che il momento dell’ingresso del virus nel cervello possa essere variabile e che potrebbe esistere una finestra di opportunità per distruggere il virus nella periferia prima che entri nel cervello, almeno per alcune persone.

L’INFEZIONE DEI MACROFAGI E DELLE MICROGLIA

La nostra conoscenza dell’infezione del cervello da parte dell’HIV in vivo è limitata allo studio di fasi terminali della malattia, per cui la disponibilità di tessuti cerebrali è quasi esclusivamente limitata a campioni autoptici.
Si sa ormai che i macrofagi e le cellule microglia sono un reservoir cruciale dell’HIV nel cervello e che la maggior parte delle infezioni produttive avvengono in queste cellule.
Dal momento che non ci sono linfociti risiedenti nel cervello, non sorprende che il virus lì si adatti e si evolva per infettare in modo efficiente questi tipi di cellule.
I macrofagi infetti da HIV mostrano di preferire determinate regioni del cervello. Nelle persone con demenza HIV-correlata (HAD), i macrofagi infetti si localizzano prevalentemente lungo le strutture della linea mediana del cervello (talamo, bulbo, ippocampo, cervelletto, gangli basali e ponte) e il lobo temporale mediano. Inoltre, in casi in cui è stato possibile individuare dei macrofagi infetti, il putamen e il talamo erano sempre coinvolti. Le ragioni di questa preferenza regionale non sono note.
Uno studio fatto di recente dimostra che le Envelope dell’HIV derivate dal cervello hanno una migliore capacità di interagire con i CD4 rispetto a quelle derivate dai linfonodi e così permettono l’ingresso dell’HIV in cellule come i macrofagi, che esprimono bassi livelli di CD4. Queste Envelope derivate dal cervello adottano conformazioni particolari, che interagiscono insieme con il CD4 e con il dominio N-terminale del CCR5, facilitando l’ingresso del virus.
Solo da poco si è capito che c’è una ricca collezione di macrofagi nelle meningi entro lo spazio subaracnoidale. Anche questi vengono infettati e possono costituire un importante reservoir dell’HIV.

L’INFEZIONE DEGLI ASTROCITI

Mentre è assodato che i macrofagi e le microglia sono i maggiori siti di replicazione dell’HIV-1 nel sistema nervoso centrale, con antigeni HIV-1-specifici che si co-localizzano con le microglia, le cellule giganti multinucleate e i macrofagi perivascolari nelle lesioni HIV-1-specifiche del sistema nervoso centrale, il ruolo degli astrociti nei disturbi neurocognitivi associati all’HIV e come possibile reservoir virale è più controverso.
Gli astrociti sono cellule neurogliali che nascono dal neuroectoderma durante lo sviluppo e sono la popolazione cellulare più abbondante nel sistema nervoso centrale. Hanno diverse funzioni biologiche, fra cui il supporto biochimico delle cellule endoteliali del cervello, essenziali per il mantenimento della barriera emato-encefalica, la produzione di fattori neurotrofici immuno-modulanti, l’omeostasi neuronale e la riparazione delle cicatrici derivate dai traumi.
La presenza di una astrocitosi reattiva è un elemento patologico importante durante la demenza HIV-correlata. Tuttavia, dal momento che l’infezione degli astrociti sembra non-produttiva, i modelli in vitro della neuropatogenesi del HAD non supportano un ruolo rilevante degli astrociti.
La stimolazione degli astrociti con citochine i cui livelli si possono trovare aumentati durante le fasi più avanzate della malattia può comportare l’attivazione del virus negli astrociti infetti in vivo, quindi la possibilità che venga dato inizio a nuovi cicli di infezione.
Inoltre, una sottopopolazione di astrociti latentemente infetti subisce apoptosi in vivo, in correlazione con la severità del HAD.

La modalità e l’estensione dell’infezione degli astrociti rimangono controverse, perché è stato dimostrato che queste cellule presentano solo tracce del recettore CD4 sulla loro superficie. Sono stati segnalati casi di assorbimento endocitico di virioni dell’HIV e di conseguente trasmissione del virus da parte degli astrociti a cellule che possono essere infettate. D’altra parte, gli astrociti possono facilmente essere infettati mediante contatto fra un cellula e l’altra con linfociti infetti da HIV. Questo può avvenire nei vasi cerebrali, dove gli astrociti possono trovarsi in contatto con linfociti circolanti, oppure nel contesto di una sindrome infiammatoria da ricostituzione immunitaria, nel caso ci sia infiltrazione di linfociti entro il parenchima del cervello.
È stato dimostrato che gli astrociti contengono HIV integrato in vivo; tuttavia, la bassa frequenza dell’infezione degli astrociti in vivo rilevata nei primi studi che sono stati fatti utilizzando la PCR in-situ hanno messo in discussione la loro importanza nell’infezione del sistema nervoso centrale. Studi più recenti, che hanno utilizzato tecniche molecolari più sensibili, hanno dimostrato che la frequenza di infezione degli astrociti può arrivare fino al 20% e che la frequenza dell’infezione si correla sia con la severità dell’encefalite da HIV, sia con la vicinanza ai macrofagi peri-vascolari e alle cellule multinucleate giganti.
Inoltre, è stata documentata in vivo l’infezione persistente di astrociti anche con bassi livelli di produzione virale.

Che le cellule o i tessuti possano contribuire al reservoir virale dipende sostanzialmente dalla loro capacità di ospitare genomi virali integrati, che possono essere riattivati e produrre virus infettivo, in grado di reinnescare l’infezione.
Mentre alcuni studi hanno dimostrato che gli astrociti, in numero significativo, contengono in effetti dei genomi integrati, la riattivazione e la produzione del virus in queste cellule restano poco chiare. Tuttavia, è stato provato che queste cellule sono in grado di trasmettere del virus infettivo, facendo da tramite con cellule che possono essere infettate, quali i macrofagi e le microglia, così contribuendo alla diffusione dell’infezione nel cervello.
Inoltre, anche se non ci sono prove sicure a sostegno della produzione di virus da parte degli astrociti, è assodato che gli astrociti sono in grado di produrre la Tat, una proteina regolatoria dell’HIV: dell’mRNA che codifica per la Tat è infatti stato scoperto nel sistema nervoso centrale di persone HIV+ sia con, sia senza demenza HIV-correlata. La proteina Tat è stata trovata nei macrofagi peri-vascolari del cervello di pazienti in AIDS e si è visto che gli astrociti latentemente infetti secernono Tat dell’HIV-1.
Non sappiamo quali fattori cellulari presenti negli astrociti impediscano la replicazione virale nonostante venga prodotta la Tat. Tuttavia, la Tat è anche una potente neurotossina ed è stato dimostrato che causa danno neuronale in sistemi sperimentali sia in vitro, sia in vivo.
Ne segue che le strategie volte a riattivare il virus latente nelle cellule latentemente infette possono avere la capacità di attivare la trascrizione dell’HIV-1 negli astrociti e, mentre ci sono poche prove a favore della produzione di virioni infettivi, la produzione di Tat potrebbe però potenziare nel paziente le complicazioni neurologiche.

L’EVOLUZIONE VIRALE NEL CERVELLO

Studi che dimostrano che le sequenze dell’HIV nel cervello si raggruppano [si clusterizzano] separatamente rispetto a quelle ottenute da altri organi, danno un forte sostegno all’ipotesi che il cervello costituisca un reservoir unico dell’HIV.
L’osservata compartimentalizzazione fa pensare che il virus nel cervello si evolva nel tempo e acquisisca così delle proprietà uniche. Come si è detto prima, la proteina Envelope si evolve per diventare più macrofago-tropica; inoltre sono state identificate delle mutazioni specifiche del cervello.
Alcune di queste proprietà mostrano che i ceppi “macrofago-tropici” dell’HIV nel cervello hanno caratteristiche funzionali diverse dai ceppi “macrofago-tropici” dell’HIV derivati dal sistema immunitario.
Similmente, anche la proteina Tat dell’HIV si evolve nel cervello: mantiene le proprie proprietà di attivazione del virus, ma le differenze nelle sequenze della Tat ricavate dal cervello possono variare nel loro potenziale neurotossico.
Un altro studio recente ha esaminato delle sequenze di Nef dell’HIV derivate dal cervello e ha scoperto che avevano caratteristiche diverse nei pazienti con demenza e in quelli senza. (…)
Sequenze virali derivate da macrofagi del cervello e astrociti mostrano una compartimentalizzazione, che fa ipotizzare che nel cervello si verifichi un’evoluzione del virus cellulo-specifica. Le sequenze virali mostrano che il tessuto che più degli altri ospita virus proveniente sia dal cervello, sia da tessuti periferici, sono le meningi; e ciò consente di pensare che l’HIV-1 sia capace di migrare fuori dal cervello e che siano proprio le meningi a trasportarlo. (…)

L’effetto della ART sull’evoluzione dell’HIV nel cervello non è ben compreso. Poiché la penetrazione degli antiretrovirali è limitata dalla barriera emato-encefalica, ci si potrebbe aspettare che delle sequenze resistenti agli antiretrovirali siano meno frequenti nel cervello e quindi che questi farmaci favoriscano la compartimentalizzazione dell’HIV nel cervello. La ART combinata impone una pressione evolutiva sul virus tale che esso si evolve e, se prima usava solo il co-recettore CCR5, impara ad usare il CXCR4. Questo cambiamento può apparire più tardi nel sistema nervoso centrale, se confrontato alla periferia.
Inoltre, in pazienti in terapia, l’analisi delle sequenze della Nef, della gp120 e della gp41 ha dimostrato la massima evoluzione virale entro i tessuti cerebrali di individui con HAD, rispetto a persone senza HAD.

CONCLUSIONI

Il cervello è un importante reservoir dell’HIV. il virus risiede nei macrofagi cerebrali o nelle cellule della microglia e negli astrociti, che possono essere fra le cellule del corpo che vivono più a lungo. Qui il virus può sfuggire sia al sistema immunitario, sia agli antiretrovirali.
La persistenza dell’HIV nel cervello ha conseguenze rilevanti. Un aspetto che desta preoccupazione è il fatto che sotto l’influenza degli antiretrovirali l’HIV nel cervello potrebbe evolversi, divenendo più adattabile al cervello e più virulento. Il virus che si è evoluto può essere rilasciato in circolo e così diffondersi in altri tessuti. Questo è particolarmente importante oggi, che si stanno prendendo in considerazione diverse strategie per eradicare il virus dalla periferia. Se questi tentativi avranno successo nel far uscire il virus dai reservoir immunitari ma non dal cervello, si rischia non solo che il virus neurotropico colonizzi la periferia, ma anche che il sistema immunitario diventi capace di riconoscerlo e cerchi di distruggere il virus nel cervello, causando un’encefalite devastante chiamata sindrome infiammatoria da ricostituzione immunitaria cerebrale.
Ecco perché è necessario concentrare gli sforzi sia nell’impedire al virus di entrare nel cervello, sia nello sviluppo di strategie che mantengano il virus nel cervello in uno stato di latenza, dal momento che distruggere il virus nel cervello potrebbe non essere possibile con le strategie oggi disponibili.



eremita
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Re: Il reservoir nel cervello: un ostacolo all'eradicazione?

Messaggio da eremita » venerdì 1 marzo 2013, 11:52

Un post davvero utile e interessante-Mi an scoperto encefalopatia multifocale nel 2008-Dicono che prima dell'avvento dell'HAART..quando ti era diagnosticata..ti restava poco da vivere-Oggi,queste terapie prolungano l'aspettativa di vita-Io spero evitino anche le crisi che provoca ( quì dicono crisi comiziali) perchè ne ho già passate 2 ed è la cosa più brutta che abbia mai provato-Anche perche resti,in parte,lucido e capisci che non cè anima,spirito,aura che tenga,quando il corpo cede-Da ciò mi son fatto l'idea che il padrone di noi..non è l'anima ma il corpo-saluti-


La mia libertà,finisce dove inizia la tua-

Dora
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Re: Il reservoir nel cervello: un ostacolo all'eradicazione?

Messaggio da Dora » venerdì 1 marzo 2013, 14:31

eremita ha scritto:Un post davvero utile e interessante
Ti ringrazio tanto. Mi fa piacere che tu trovi utile il mio lavoro (e mi dispiace moltissimo per le sofferenze che ti ha causato l'encefalopatia).



eremita
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Re: Il reservoir nel cervello: un ostacolo all'eradicazione?

Messaggio da eremita » domenica 3 marzo 2013, 0:49

Dora ha scritto:
eremita ha scritto:Un post davvero utile e interessante
Ti ringrazio tanto. Mi fa piacere che tu trovi utile il mio lavoro (e mi dispiace moltissimo per le sofferenze che ti ha causato l'encefalopatia).
Utilissimo..ma anche questo forum (non x fare sviolinate) è di una serietà unica-Sono felice di averlo trovato-Non nego di conoscerne altri ,tuttavia ne ribadisco la serietà,che nei nostri casi ha un valore importante -Perseverate..ciao Dora :)


La mia libertà,finisce dove inizia la tua-

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