Alternative ai vaccini terapeutici per la fase di "kill"

Ricerca scientifica finalizzata all'eradicazione o al controllo dell'infezione.
Dora
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Alternative ai vaccini terapeutici per la fase di "kill"

Messaggio da Dora » lunedì 5 ottobre 2015, 10:01

ALTERNATIVE AI VACCINI TERAPEUTICI PER LA FASE DI "KILL" DELLO “SHOCK AND KILL”


Per riuscire ad eliminare il reservoir latente di HIV, è stata disegnata una strategia – chiamata “shock and kill” – che nella sua versione 2.0 prevede, oltre all’uso di sostanze anti-latenza per stimolare la trascrizione del virus latente (fase di “shock”), anche il rafforzamento delle reazioni citolitiche dei linfociti T, indeboliti da anni di infezione e di antiretrovirali, per aiutarli a distruggere le cellule latentemente infette in cui il virus è stato riattivato. Infatti, da sole queste cellule ci mettono troppo tempo a morire e – nel frattempo – costituiscono una pericolosa fabbrica di virioni, oppure possono tornare completamente quiescenti e dare nuova linfa al reservoir (fase di “kill”).

Sì è infatti visto in questi anni che, da solo, il sistema immunitario è inefficiente nel riconoscere le rare cellule quiescenti che presentano sulla propria superficie livelli modesti di antigeni virali grazie alla riattivazione della trascrizione del virus, sia perché il reservoir latente contiene HIV che ha sovente sviluppato mutazioni che gli permettono di sfuggire dalla pressione dei CD8 HIV-specifici, sia perché nelle persone in terapia i CD8 HIV-specifici in circolazione sono molto pochi.

Ma distruggere il maggior numero possibile di cellule del reservoir è la premessa per arrivare a una cura, sia essa un controllo della viremia senza bisogno di farmaci, o una vera e propria eradicazione.

La prima via che è stata sperimentata per rinforzare le reazioni CTL è stata quella dei vaccini terapeutici.

Quello in fase più avanzata e che ha dato i risultati migliori è il Vacc-4x di Bionor, che è studiato anche in un importante trial in combinazione con romidepsina, per il quale stiamo aspettando a breve i risultati.
Si è visto che il Vacc-4x riusciva a migliorare le risposte all’HIV e a consentire un modestissimo controllo delle viremie durante brevi periodi di interruzione della ART. Ma quella sperimentazione non è stata in grado di dirci se il vaccino abbia ridotto il reservoir di cellule latentemente infette o se, addirittura, non l’abbia invece aumentato, stimolando la replicazione virale.

È di soli cinque giorni fa la pubblicazione su JAIDS dei risultati del trial canadese CTN 173 sugli effetti di un altro vaccino terapeutico – ALVAC-HIV – da solo o in combinazione con un altro candidato vaccino terapeutico – Remune - sulle dimensioni del reservoir: zero. Niente, nessuna influenza: ALVAC-HIV ± Remune ha causato un certo ritardo nel rebound delle viremie alla sospensione della ART, ma al reservoir non ha fatto nulla.

D’altra parte, che la poco gloriosa storia dei vaccini terapeutici contro HIV sia costellata di delusioni e sconfitte è cosa ben nota.

Ma fortunatamente le reazioni CTL possono essere stimolate anche seguendo vie diverse da quelle dei vaccini terapeutici.

Di alcune di queste vie – come ad esempio la molto promettente 3B3-PE38 composta da un’immunotossina e un anticorpo monoclonale, o la meno avanzata radio-immuno-terapia – è già capitato di parlare. Così come abbiamo a lungo parlato del ruolo degli anticorpi monoclonali e anche del possibile ruolo del GS-9620, l’agonista del Toll-Like Receptor-7 sperimentato da Gilead contro la latenza, nel favorire l’attivazione delle cellule NK e dei CD8.

E abbiamo visto l’IL-15 potenziata (ALT-803) stimolare le cellule NK nei topi a un punto tale da far loro sopprimere l’infezione in fase acuta e da spingere i ricercatori a pensare che, unendo ALT-803 a bNAbs, le NK stimolate potrebbero favorire quel meraviglioso meccanismo dell’immunità cellulare che è noto come citotossicità mediata da cellule dipendente da anticorpi (ADCC), che potrebbe portare alla distruzione delle cellule latentemente infette.
E poi abbiamo discusso della regolazione dell’interazione fra PD-1 e PD-L1 e sicuramente di molto altro ancora che adesso non mi viene in mente …

[E sì, certo, c’è anche la via di Savarino auranofin + butionina sulfossimina che potrebbe permettere di fare a meno dei vaccini terapeutici (anche se non vorrei ricordarla, perché ora arriverà qualcuno a chiedere che fine ha fatto quella sperimentazione e io dovrò dire che al momento tutto tace).]

Insomma, non di soli vaccini terapeutici vive la speranza di arrivare a rendere il sistema immunitario un killer spietato del reservoir latente di HIV.

In questo periodo, mi è capitato di leggere diversi lavori sulle alternative ai vaccini per la fase di “kill”. Ho quindi pensato di raccontarne qualcuno in un thread appositamente dedicato.

Cominciamo con le DART.


******************

PROTEINE DART® (Dual-Affinity Re-Targeting) PER MEDIARE LA DISTRUZIONE DA PARTE DEI CD8 DEI CD4 LATENTEMENTE INFETTI

Le DART® sono delle molecole bi-specifiche prodotte da MacroGenics mettendo insieme delle proteine (degli anticorpi) in modo da renderle capaci di colpire – con una sola molecola – bersagli multipli.

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Sono una tecnologia molto flessibile, che può essere utilizzata per indirizzare le cellule killer del sistema immunitario contro tumori solidi o del sangue, oppure per modulare il segnale dei linfociti B e bloccare la produzione di citochine nelle malattie auto-immuni, o anche – ed è qui che diventano interessanti per noi – per colpire epitopi virali, magari in futuro anche coniugandole con immunotossine (cioè proteine bifunzionali, che – come la 3P3-PE38 cui ho fatto cenno sopra - sono formate da un anticorpo e da una tossina).

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Altro pregio delle DART è di essere molecole piccole, che penetrano facilmente nei tessuti e nei tumori. La loro struttura è compatta e le rende particolarmente adatte a formare dei contatti stabili fra cellula target e cellula effettore.
Nella loro versione iniziale, queste proteine avevano il difetto di un’emivita nel siero molto breve, quindi richiedevano una scomodissima infusione continua. Ora sono state modificate e rimangono in circolazione per il tempo che serve per una somministrazione più comoda ed efficace.

Questa classe di molecole bispecifiche è già stata studiata in vivo in diversi trial su diverse neoplasie e si è visto sia che è efficace a dosaggi molto più bassi rispetto a quelli usati in genere per i mABs, sia che ha un profilo di sicurezza accettabile.

Grazie alla collaborazione fra Duke University (Barton Haynes) e University of North Carolina, Chapel Hill (David Margolis), è stata sviluppata HIVxCD3 DART. Si tratta di una proteina DART che combina due anticorpi non neutralizzanti – A32 e 7B2 – che si legano rispettivamente alle parti più conservate della proteina Env di HIV, gp120 e gp41, stimolando la citotossicità mediata da cellule dipendente da anticorpi (ADCC) per distruggere le cellule infettate da diversi sottotipi di HIV, con hXR32, un anticorpo anti-CD3 che dirige la DART verso i linfociti T (genericamente - i CD3), reindirizzandoli contro le cellule che esprimono anche bassissimi livelli di Env sulla loro superficie.


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Il lavoro da cui sto traendo queste informazioni è stato pubblicato a fine settembre sul Journal of Clinical Investigation: Dual-Affinity Re-Targeting proteins direct T cell–mediated cytolysis of latently HIV-infected cells.
Qui Margolis, Haynes e colleghi hanno dimostrato la capacità delle HIVxCD3 DART di riconoscere i CD4 che esprimevano la Env di HIV e reindirizzare i CD8 contro i CD4 infetti per distruggerli.

Sono stati fatti diversi esperimenti, in cui sono state usate linee cellulari, ma sono anche stati prelevati i linfociti T a persone sieronegative e a persone con HIV in terapia e poi i CD4 sono stati (re)infettati sia con diversi sottotipi di HIV, sia con virus riattivato dal reservoir latente di ciascun paziente.
In tutti gli esperimenti, le DART hanno reindirizzato i CD8 a distruggere le cellule infette. Non solo, ma dal momento che le DART esprimono genericamente il CD3, anche i CD4 sono stati stimolati a svolgere il loro ruolo citotossico (questo fenomeno sarà da approfondire per capire se può verificarsi anche in vivo).
In sintesi, questa attività citolitica genericamente dei linfociti T mediata dalle DART si è rivolta sia contro linee cellulari di CD4 che esprimevano la Env di HIV, sia contro CD4 attivati di persone HIV negative infettati in vitro con diversi tipi di HIV, sia contro i CD4 attivati di persone HIV+ in ART reinfettati in vitro, sia – infine – contro i CD4 quiescenti di persone con HIV in terapia, esposti ex vivo all’azione anti-latenza del vorinostat.

È stato molto importante dimostrare che le DART stimolavano l’attività dei CD8 di persone da tempo in terapia. Ma l’esperimento più interessante è l’ultimo elencato, in cui si è riprodotta una situazione di “shock and kill”, perché si è visto che le HIVxCD3 DART potrebbero essere testate in vivo combinandole con qualche farmaco anti-latenza.




Per rimanere nella sfera di influenza di Margolis, la prossima puntata sarà dedicata agli HXTC.



Datex
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Re: Alternative ai vaccini terapeutici per la fase di "kill"

Messaggio da Datex » lunedì 5 ottobre 2015, 18:07

Dora ha scritto:ALTERNATIVE AI VACCINI TERAPEUTICI PER LA FASE DI "KILL" DELLO “SHOCK AND KILL”



È di soli cinque giorni fa la pubblicazione su JAIDS dei risultati del trial canadese CTN 173 sugli effetti di un altro vaccino terapeutico – ALVAC-HIV – da solo o in combinazione con un altro candidato vaccino terapeutico – Remune - sulle dimensioni del reservoir: zero. Niente, nessuna influenza: ALVAC-HIV ± Remune ha causato un certo ritardo nel rebound delle viremie alla sospensione della ART, ma al reservoir non ha fatto nulla.



dora, correggimi se sbaglio ma in questa sperimentazione non è stata usata alcuna sostanza antilatenza, giusto?



Dora
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Re: Alternative ai vaccini terapeutici per la fase di "kill"

Messaggio da Dora » lunedì 5 ottobre 2015, 20:07

Datex ha scritto:
Dora ha scritto:È di soli cinque giorni fa la pubblicazione su JAIDS dei risultati del trial canadese CTN 173 sugli effetti di un altro vaccino terapeutico – ALVAC-HIV – da solo o in combinazione con un altro candidato vaccino terapeutico – Remune - sulle dimensioni del reservoir: zero. Niente, nessuna influenza: ALVAC-HIV ± Remune ha causato un certo ritardo nel rebound delle viremie alla sospensione della ART, ma al reservoir non ha fatto nulla.
dora, correggimi se sbaglio ma in questa sperimentazione non è stata usata alcuna sostanza antilatenza, giusto?
Nessuna sostanza anti-latenza (in caso, ne avrei senz'altro parlato).
ALVAC è un vecchissimo candidato vaccino che aspirerebbe a migliorare le risposte dei CD8, così come è un vecchissimo candidato Remune, che dovrebbe sostenere i CD4. I canadesi hanno messo insieme queste due cariatidi, hanno tirato per le lunghe neanche stessero sperimentando il vaccino Tat (ma almeno loro, a differenza della Ensoli, un'interruzione terapeutica l'hanno fatta), hanno dimostrato fin da inizio 2000 che entrambi i candidati erano sicuri e immunogenici e quando hanno provato a misurare il reservoir in un sottogruppo di 16 persone (fra il 2004 e il 2006) ... sorpresa! - non ne è venuto nulla di buono. Chi l'avrebbe mai detto.



Dora
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Re: Alternative ai vaccini terapeutici per la fase di "kill"

Messaggio da Dora » giovedì 8 ottobre 2015, 7:46

HXTC (HIV-1 Antigen Expanded Specific T Cell Therapy): ESPANSIONE E STIMOLAZIONE DEI CD8 CON ANTIGENI DI HIV

Prima dell’avvento della terapia antiretrovirale combinata, sono stati fatti diversi tentativi di espandere le reazioni CTL, prelevando dalle persone con HIV i linfociti T, espandendo ex vivo quelli HIV-specifici fino ad aumentarli grandemente di numero e poi re-infondendoli nei pazienti. Mentre questo tipo di terapia si è dimostrato efficace nel cancro e contro virus come Epstein Barr, citomegalovirus o adenovirus, nell’infezione da HIV si è rivelato sicuro, ma incapace di garantire un controllo delle viremie in assenza di ART. La principale ragione di ciò – oltre alle alte viremie di persone che non erano trattate con ART - fu individuata nel fatto che i linfociti T che venivano sottoposti a un processo molto aggressivo di espansione in vitro erano cellule derivate da un unico clone e molto specializzate, perché erano addestrate a riconoscere singoli epitopi virali.

L’idea di Margolis e colleghi è stata di sviluppare ed espandere dei linfociti T HIV-specifici derivati da tanti cloni diversi e capaci di riconoscere un più ampio spettro di antigeni virali con l’obiettivo di dirigerli, prima in vitro e poi eventualmente in vivo, contro cellule latentemente infette in cui la trascrizione di HIV veniva riattivata mediante sostanze anti-latenza. E questo sotto continua somministrazione di antiretrovirali per evitare la formazione e diffusione di virus capaci di sfuggire alla pressione dei CTL.

Hanno quindi sviluppato una nuova tecnologia di espansione di linfociti T citotossici policlonali e capaci di colpire diversi antigeni di HIV: gli HIV-1 Antigen Expanded Specific T Cells – HXTC.

Per far questo, hanno prelevato a 7 persone con viremia soppressa dalla ART e con caratteristiche tali da renderle molto diverse per capacità di controllo delle viremie, per momento di inizio della terapia e per prognosi della malattia, le cellule mononucleate del sangue periferico (PBMC). Hanno poi separato i monociti generando cellule dendritiche, che hanno messo in contatto in vitro, insieme a diverse citochine (IL-7, IL-15 e IL-12) che stimolano la proliferazione cellulare, con PepMix™, una miscela di 150 peptidi selezionati in modo da addestrare i linfociti a riconoscere le proteine Gag, Pol e Nef di HIV. Queste sono state scelte perché permettono di colpire antigeni sia precoci, sia tardivi di HIV e quindi danno agli HXTC la capacità di distruggere cellule infette a differenti stadi di infezione. Inoltre, questi antigeni sono correlati al controllo delle viremie.

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L’espansione media degli HXTC è stata molto consistente, di quasi 146 volte (37-287), tale da raggiungere la quantità di cellule necessaria per uso clinico. Inoltre è stato possibile espandere gli HXTC di tutti e 7 i pazienti, indipendentemente dalla loro storia clinica, dimostrando così l’applicabilità di questo approccio terapeutico a qualsiasi tipo di paziente.
Le cellule espanse erano soprattutto CD8, con anche però una certa proporzione di CD4. Erano prevalentemente linfociti T con un fenotipo di memoria effettori, anche se erano presenti anche CD8 e CD4 memoria centrali, erano policlonali e polifunzionali. E soprattutto erano capaci di riconoscere i tre antigeni virali.
Quel che più conta è che, quando queste cellule sono state messe a confronto con CD8 non espansi, si è visto che erano molto più efficienti nel distruggere le cellule infette.

Il passo successivo di questa ricerca è stato quello di indagare la capacità degli HXTC derivati da 6 persone con storie cliniche diverse, ma tutte con viremia stabilmente soppressa dalla ART, di distruggere ex vivo il reservoir latente.

Sono dunque stati scelti 6 volontari che avevano partecipato a uno dei trial di Margolis sul vorinostat (3 dosi di 400 mg) e 6 ore dopo la terza dose sono state prelevate loro le PBMC.
2 di queste persone avevano iniziato la ART durante la fase acuta, 4 durante la fase cronica. Erano inoltre presenti persone con HLA associati a rapida progressione ed altre con HLA associati a controllo immune.

Al termine del processo di preparazione degli HXTC si è visto che i linfociti T erano prevalentemente CD8 (mediana 89,1%), con una piccola presenza di CD4 (mediana 7,4%). I linfociti della memoria erano prevalentemente effettori (mediana 87,2%), mentre la sottopopolazione dei memoria centrali aveva un valore mediano di quasi il 5%.
Si è riusciti a ottenere un’espansione delle cellule da 40 volte per un paziente fino a più di 200 per altri due.

Una volta espansi i linfociti T e visto che erano capaci di distruggere dei CD4 produttivamente infetti, si è passati a testarli contro cellule del reservoir latente prelevate dai pazienti dopo che il trattamento con vorinostat aveva stimolato le cellule a esprimere il virus latente.

I CD8 e CD4 espansi dovevano dimostrare di essere in grado di riconoscere epitopi virali che potevano essere anche molto diversi da quelli dei virioni attivamente replicanti (vedere uno degli ultimi lavori di Siliciano, raccontato nel post ”CONOSCI IL TUO NEMICO”. “EVITA CIÒ CHE È FORTE E COLPISCI CIÒ CHE È DEBOLE”, in cui si dimostra che la maggioranza dei virus presenti nel reservoir latente portano delle mutazioni di escape che rendono le cellule riattivate parzialmente resistenti all’eliminazione da parte delle reazioni CTL immunodominanti).

E così è stato.

Anche quando la quantità di HXTC scatenati contro le cellule latentemente infette era modesta (rapporto ET – effettore : target – 1 : 10 e non 1 : 1), l’effetto antivirale degli HXTC è stato superiore a quello dei CD8 non espansi. Inoltre, questo si è verificato per tutti, anche per le persone che avevano iniziato la terapia in fase cronica e avevano alleli associati a una rapida progressione.

Dopo la dimostrazione che gli HXTC riescono a inibire l’infezione produttiva con virus proveniente dai reservoir dei pazienti e a ridurre la viremia dopo che l’infezione latente è stata riattivata grazie al vorinostat, l’ultima questione affrontata nel secondo degli articoli di cui sto parlando può sembrare estrinseca rispetto alle capacità degli HXTC, ma serve a dare qualche rassicurazione sugli effetti che si teme che gli HDACi possano avere sulla funzionalità dei CD8.
Infatti, da lavori in vitro ed ex vivo si è visto che sia il vorinostat, sia ancor di più il panobinostat, sia soprattutto la romidepsina causano delle tossicità che danneggiano gravemente la capacità dei CD8 di uccidere le cellule infette in cui l’HIV è stato riattivato. In particolare, tutti e tre portano a una rapida soppressione della produzione da parte dei CD8 di interferone-γ (IFN-γ), che è un mediatore chiave della reazione immune.

Margolis e colleghi sostengono però di avere usato dei campioni raccolti durante uno dei trial sul vorinostat e di non aver rilevato alcun indebolimento delle reazioni dei CTL esposti a dosi di vorinostat fisiologicamente rilevanti. Ammettono tuttavia che forse questo dipende dalla breve emivita del vorinostat, mentre altri HDACi che permangono in circolo più a lungo qualche danno ai CD8 potrebbero causarlo (ma i danesi che stanno sperimentando la romidepsina ci hanno appena detto che nel loro trial la funzionalità di CD4 e CD8 non sembra essere stata danneggiata).

Dopo tutto questo, rimaneva a Margolis soltanto di far passare i suoi linfociti T espansi alla fase clinica. Ed è quanto sta facendo in un trial di fase I, che ha l’obiettivo di valutare sia la sicurezza, sia le risposte immunologiche e virologiche degli HXTC in persone che hanno iniziato la ART sia durante l’infezione acuta, sia durante l’infezione cronica.
L’idea è che gli HXTC aumenteranno la risposta immune HIV-specifica e contribuiranno ad abbassare il livello della viremia residua. La speranza è, se tutto andrà come previsto, di poterli usare insieme a qualche sostanza anti-latenza per distruggere il reservoir.
Il trial ha iniziato a reclutare i 12 pazienti previsti e darà notizie di sé probabilmente non prima di un paio d’anni.





FONTI:



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Re: Alternative ai vaccini terapeutici per la fase di "kill"

Messaggio da uffa2 » giovedì 8 ottobre 2015, 9:19

che bella notizia, una nuova strada che sembra promettente... dopo lo shock forse si sta trovando pure il kill...


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Dora
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Re: Alternative ai vaccini terapeutici per la fase di "kill"

Messaggio da Dora » domenica 25 ottobre 2015, 16:18

VRC07-αCD3: UN ANTICORPO BISPECIFICO CHE ATTIVA L’ESPRESSIONE DELL’HIV LATENTE E INSIEME STIMOLA LA DISTRUZIONE DELLE CELLULE INFETTE

Un lavoro di John Mascola e colleghi del Vaccine Research Center del NIAID pubblicato nei giorni scorsi su Nature Communications è per molti aspetti affine al lavoro sulle DART, che ha dato inizio a questo thread: i ricercatori del NIAID hanno infatti creato un anticorpo bispecifico anti-HIV e anti-CD3, costruito in modo da legarsi da un lato alla proteina virale Env, dall’altro alla glicoproteina CD3 espressa sui linfociti T (sia CD4, sia CD8).

Gli anticorpi bispecifici stanno iniziando a funzionare nell’immunoterapia del cancro, mentre i progressi contro l’HIV sono stati stentati (di due BibNAbs creati da David Ho parlammo un paio d’anni fa: in vitro funzionavano, poi non ne ho saputo più niente). La scarsa efficacia dei tentativi fatti finora è da attribuirsi – secondo Mascola e colleghi – al fatto che quelle proteine bispecifiche mancavano sia della specificità, sia della potenza di riattivazione, necessarie per riattivare e re-direzionare i linfociti T killer (i CD8).

La proteina creata dal NIAID, invece, ha dimostrato sia in vitro, sia in un modello animale, di riuscire a fare contemporaneamente due cose:

  • 1. riattivare i CD4 quiescenti latentemente infetti in modo da far loro esprimere sulla superficie la proteina Env di una grande quantità di ceppi virali differenti;
    2. riattivare i CD8 in modo che riconoscano la Env espressa sui CD4 e distruggano i CD4 medesimi.


Per arrivare a questo, è stato necessario generare un anticorpo con doppia specificità, che gli derivano una da un potente anticorpo ampiamente neutralizzante – VRC07 - che si dirige verso una regione altamente conservata della proteina Env, l’altra da un anticorpo anti-CD3 - αCD3 - che riconosce la proteina CD3, che è espressa sui linfociti T.

Gli studi in vitro sono serviti a dimostrare che la proteina VRC07- αCD3 è capace di attivare i CD4 latentemente infetti legandosi al CD3 e così segnalando al CD4 infetto quiescente che deve iniziare a dividersi. Nel momento in cui il CD4 si attiva e comincia a dividersi, l’HIV latente si sveglia e comincia a produrre proteine – nella fattispecie la Env – che affiorano alla superficie della cellula. Ma VRC07- αCD3 è, come abbiamo detto, bi-specifico: ciò significa che, parallelamente, legandosi al CD3, ha anche stimolato i CD8: questi riconoscono la Env affiorata sui CD4, si legano ai CD4 e li distruggono mediante lisi.

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Mascola e colleghi hanno anche fatto uno studio in vivo per testare la sicurezza e l’efficacia della loro proteina immunomodulante. Hanno costruito un analogo dell’anticorpo VRC07 contro un virus chimera SHIV e l’hanno unito a un anticorpo anti-CD3 dei macachi (VRC07- α-rhesusCD3); ne hanno somministrato 6 dosi a distanza di 3-4 giorni a 5 macachi infettati da SHIV e in terapia soppressiva da almeno tre settimane, mentre ad altri 4 macachi di controllo hanno somministrato un placebo. Poi, per studiare gli effetti biologici dell’anticorpo, hanno misurato la frequenza dei CD3 sulle PBMC e le concentrazioni nel plasma di diverse citochine infiammatorie.

In nessuno degli animali si sono riscontrati eventi avversi clinicamente osservabili e l’anticorpo ha attivato i linfociti T come desiderato. Inoltre non si sono visti aumenti della replicazione virale in presenza della ART.
Tuttavia, a indicare che una certa tossicità c’è stata, i livelli di citochine sono aumentati, anche se in modo decrescente nelle dosi successive e anche se, terminata la somministrazione di VRC07- α-rhesusCD3, sono rientrati nella normalità.

Il maggior problema di questo anticorpo è di riuscire a bilanciare correttamente la sua capacità di attivare i linfociti T perché, come sappiamo, se questi vengono attivati in massa scatenano una reazione infiammatoria che comporta una tossicità anche molto seria, che può danneggiare gli organi e perfino causare la morte.

Dal momento però che nelle scimmie non si è vista nessuna tempesta di citochine, l’idea di Mascola e colleghi è comunque quella di arrivare a sperimentare il VRC07- αCD3 in esseri umani con viremia di HIV soppressa dalla ART, per vedere se è in grado di attivare ed eliminare le cellule latentemente infette e così ridurre il reservoir di DNA provirale.
Se si dovesse dimostrare efficace, allora questo anticorpo bispecifico (o uno simile, ma capace di dirigersi anche verso altre regioni altamente conservate della ENV e magari anche di modulare meglio l’affinità con il CD3) potrebbe essere usato in combinazione con qualche sostanza anti-latenza per migliorare la distruzione del reservoir.





Fonti:



admeto
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Re: Alternative ai vaccini terapeutici per la fase di "kill"

Messaggio da admeto » domenica 25 ottobre 2015, 16:44

Ehmm, scusate se abbasso il livello con una domanda veramente, ma veramente basica... Ma potresti spiegarmi che cosa si intende esattamente per riattivazione della cellula e per riattivazione del virus? Sono due anni che leggo di ricerca sull'HIV, ma questo passaggio ancora non l'ho compreso. Mi sembra di capire che quando si riattiva il virus, significa che la cellula latente diventa produttiva di nuovi virioni, ma non capisco cosa significa invece "riattivazione della cellula", pensavo che fosse la stessa cosa della riattivazione del virus, ma intuisco che non è così...
Danke!



Dora
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Re: Alternative ai vaccini terapeutici per la fase di "kill"

Messaggio da Dora » lunedì 26 ottobre 2015, 7:59

admeto ha scritto:potresti spiegarmi che cosa si intende esattamente per riattivazione della cellula e per riattivazione del virus?
Quando una cellula che era in stato di quiescenza si attiva, dà inizio al processo di replicazione del DNA, che porta alla divisione in due della cellula e quindi alla produzione di una cellula nuova.
Se quella cellula che da quiescente diventa attiva contiene del virus latente, cioè del DNA virale integrato entro un suo cromosoma, quando si attiva e duplica il proprio DNA, anche l'HIV si riattiva, cioè comincia a trascriversi e a produrre nuovi virioni, che poi fuoriescono dalla cellula e vanno ad infettarne altre.

Quando si è scoperto che l'HIV può entrare in latenza, formando dei reservoir in cellule quiescenti, che non riescono ad essere distrutti dalla ART, né sono in alcun modo riconoscibili al sistema immunitario, all'inizio si è pensato che la cosa più semplice e diretta da fare fosse riattivare le cellule, cioè spingerle a dividersi, in modo che anche l'HIV integrato nel loro genoma cominciasse a trascriversi, rendendosi "visibile" al sistema immunitario, che l'avrebbe distrutto e, insieme alla ART, l'avrebbe infine eradicato.

Esistono diverse sostanze - per esempio degli anticorpi anti-CD3 sul genere di quello di cui parlavamo ieri - che permettono di riattivare in massa i CD4 quiescenti in vitro, ma quando si è tentato di darle in vivo a degli esseri umani è stato un disastro: le tante cellule riattivate tutte insieme hanno scatenato un'enorme produzione di citochine infiammatorie, che hanno causato danni a non finire.
Jon Cohen ha scritto un articolo su Science News l'altro giorno per recensire il lavoro di Mascola e colleghi e ha intervistato Steven Deeks, che ha ricordato un rovinoso trial fatto a fine anni '90, in cui si sono dati un anti-CD3 e dell'IL-2 a 3 persone in ART per riattivare il loro reservoir: febbre, nausea, mal di testa, diarrea, insufficienza renale, convulsioni ... una tossicità inaccettabile.

Così è nata l'idea di dover trovare delle sostanze che spingessero il virus latente a svegliarsi, ma senza attivare i CD4: era lo shock and kill nella sua versione più ingenua, che riteneva che bastasse indurre la trascrizione di un po' di virus latente perché gli effetti tossici del virus sulle cellule portassero alla loro distruzione e la sola espressione di qualche antigene virale sulla superficie dei CD4 fosse sufficiente a dare una sveglia ai CD8, alle natural killer etc, perché il sistema immunitario completasse il lavoro.

Il resto lo sai. Immagine



admeto
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Re: Alternative ai vaccini terapeutici per la fase di "kill"

Messaggio da admeto » lunedì 26 ottobre 2015, 19:42

Grazie Dora, adesso ho recuperato anche le puntate precedenti ;) ;) ;)



Dora
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Re: Alternative ai vaccini terapeutici per la fase di "kill"

Messaggio da Dora » lunedì 26 ottobre 2015, 19:47

admeto ha scritto:Grazie Dora, adesso ho recuperato anche le puntate precedenti ;) ;) ;)
Di nulla, caro. :-D



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