Ingenol B: un derivato dall'Euphorbia contro la latenza

Ricerca scientifica finalizzata all'eradicazione o al controllo dell'infezione.
uffa2
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Re: Ingenol B: un derivato dall'Euphorbia contro la latenza

Messaggio da uffa2 » lunedì 30 marzo 2015, 13:09

Passeggiando su Pubmed ho incrociato l’abstract di questo articolo:
  • Brew BJ et al. J Neurovirol. 2015 Mar 7. [Epub ahead of print]
    HIV eradication symposium: will the brain be left behind?
Visto che il tema è stato toccato proprio pochi giorni fa in questo thread, ho pensato di tradurre un po’ alla buona l’abstract, vi segnalo che l’articolo integrale può essere scaricato liberamente qui: http://download.springer.com/static/pdf ... 2&ext=.pdf
  • Il 18 luglio 2014, il National Institute of Mental Health in collaborazione con ViiV Health Care e Boehringer Ingelheim ha condotto un simposio sulla eradicazione dell'HIV e cosa significasse per il cervello. Il simposio è stato un evento affiliato alla ventesima Conferenza Internazionale sull'AIDS tenuta a Melbourne, in Australia, e ha riunito ricercatori attualmente impegnati sull’eradicazione dell'HIV insieme con gli investigatori che stanno lavorando sulle complicanze neurologiche dell’HIV… I risultati del simposio erano che ci sono prove sostanziali ma non definitive che indicano il cervello come un serbatoio per l’HIV e che ciò sarà una sfida per l'eradicazione. In secondo luogo, sembrerebbe che il cervello non sia necessariamente un serbatoio clinicamente significativo in tutti i pazienti. Di conseguenza, vi è un urgente bisogno di sviluppare biomarcatori per identificare e quantificare i serbatoi di HIV nel cervello. Infine, durante la progettazione e lo sviluppo di strategie di eradicazione, è fondamentale che siano inclusi approcci indirizzati al cervello.


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Keanu
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Re: Ingenol B: un derivato dall'Euphorbia contro la latenza

Messaggio da Keanu » lunedì 30 marzo 2015, 22:26

Non solo il cervello.Anche se l'articolo è pubblicato su focus.it, anziché su una rivista scientifica autorevole, credo che le immagini che riporta parlano da sole:
http://www.focus.it/scienza/salute/hiv- ... empo-reale

La presenza del virus (in giallo) in una scimmia infetta (a sinistra) diminuisce dopo l'assunzione di antiretrovirali.
Immagine



Dora
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Re: Ingenol B: un derivato dall'Euphorbia contro la latenza

Messaggio da Dora » martedì 31 marzo 2015, 2:07

Keanu ha scritto:Non solo il cervello.Anche se l'articolo è pubblicato su focus.it, anziché su una rivista scientifica autorevole, credo che le immagini che riporta parlano da sole:
http://www.focus.it/scienza/salute/hiv- ... empo-reale
C'è un intero thread dedicato a queste cose (reservoir attivi, e non latenti, di HIV):

http://hivforum.info/forum/viewtopic.php?p=49890#p49890

Forse questo possiamo lasciarlo alla ricerca sull'Ingenol?



Keanu
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Re: Ingenol B: un derivato dall'Euphorbia contro la latenza

Messaggio da Keanu » martedì 31 marzo 2015, 22:38

Dora ha scritto:C'è un intero thread dedicato a queste cose (reservoir attivi, e non latenti, di HIV):

http://hivforum.info/forum/viewtopic.php?p=49890#p49890

Forse questo possiamo lasciarlo alla ricerca sull'Ingenol?
Ah non avevo letto la continuazione di quel thread,avevo letto solo il tuo primo post del 9 Marzo! Bravissima Dora,sei sempre un passo avanti a tutti noi!



Dora
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Re: Ingenol B: un derivato dall'Euphorbia contro la latenza

Messaggio da Dora » sabato 19 dicembre 2015, 8:19

Immagine


Derivati ingenol al workshop sui reservoir di Miami


Il workshop sulla persistenza di HIV di Miami è stato molto generoso di relazioni su argomenti di scienza di base, molto meno invece su ricerche che siano in fase clinica o almeno vi si avvicinino.
In diversi momenti si è però parlato di ingenoli, sia Ing B, sia altri derivati ingenol, quindi ho pensato di raccogliere qualche informazione per aggiornare questo thread, rimasto fermo alle non bellissime notizie del CROI 2015.

Gli abstract cui farò riferimento (# OP 5.2, OP 6.2, OP 10.2 e PP 2.5) possono essere letti nel [divbox]Libro degli Abstract, scaricabile qui[/divbox].

Molto in breve, in un lavoro della University of North Carolina Chapel Hill condotto da David Margolis sugli effetti che diverse sostanze anti-latenza hanno in vitro sul fenotipo e la funzionalità dei linfociti T (OP 5.2), si è visto che

  • - fra gli HDACi, il vorinostat non ha influito sullo stato di attivazione delle cellule, mentre panobinostat e romidepsina hanno aumentato l’espressione del CD69 (un marker di attivazione) sia sui CD4, sia sui CD8;
    - fra i modulatori della PKC, tutti (cioè prostratina, briostatina e ingenol dibenzoato) hanno fatto aumentare l’espressione di marker di attivazione, anche in modo duraturo (quella del CD69 si è protratta per le 72 ore dell’esperimento);
    - mentre vorinostat e romidepsina non hanno avuto un impatto evidente sulla specificità delle risposte dei CD8, il panobinostat sì; i modulatori della PKC hanno tutti indotto una produzione non specifica di citochine.


Da un lavoro del Gladstone Institute che aveva lo scopo di confermare l’ipotesi di Warner Greene, secondo cui invece di valutare l’impatto delle sostanze anti-latenza sui CD4 circolanti nel sangue, si dovrebbero indagare i CD4 nei tessuti linfatici, perché lì la risposta al tentativo di riattivare la trascrizione del virus latente è più forte (OP 6.2), è emerso che l’attivazione è un pochino (modestly) maggiore quando agli HDACi e al JQ1 (un inibitore del bromodominio BET) si aggiunge l’Ingenol B, però è molto più debole rispetto alle risposte che si ottengono usando anticorpi anti-CD3/CD28.

Un lavoro della University of Utah (PP 2.5) si è preoccupato di valutare la capacità di riattivazione dell’HIV latente di diversi derivati ingenol (Ingenol dibenzoato, Ingenol mebutato e Ingenol B), testati su un modello di latenza basato su linfociti T primari (cioè non su linee cellulari, perpetuate in laboratorio): a differenza di quanto visto da Greene e colleghi, Bosque e Planelles – che stanno anche lavorando alla creazione di nuovi derivati Ingenol - hanno visto che tutti i derivati Ingenol hanno funzionato a dei livelli comparabili a quelli degli anticorpi anti-CD3/CD28 - chissà se queste persone si parlano, fra un laboratorio e un altro?
Tutti i derivati ingenol hanno indotto nelle cellule una produzione di citochine in misura variabile fra un donatore e l’altro, ma nessuno ha avuto effetti citotossici sulle cellule primarie.

L’ultima ricerca su Ing B portata a Miami è un lavoro brasiliano sulle scimmie (OP 10.2 - The effects of combination of ingenol-B and ART to SIV251 infected rhesus monkeys).
Qui ricercatori della Università di Rio De Janeiro – partendo da uno studio precedente in cui si era visto che l’Ing B aveva aumentato i livelli di SIV RNA, di SIV DNA e di diversità virale quando era stato somministrato a scimmie con infezione cronica e non trattate con antiretrovirali - hanno infettato 6 macachi, dopo 6 settimane hanno cominciato a trattarli con ART e sono andati avanti per 6 mesi. Poi 2 scimmie le hanno tenute come controlli mentre alle altre 4 hanno somministrato 2 cicli di 4 settimane di Ing B, continuando anche a somministrare la ART.
Poi hanno sospeso tutti i farmaci e hanno confrontato i livelli raggiunti dalle viremie prima della ART e dopo il rebound a seguito della sospensione terapeutica. Il gruppo di controllo ha avuto livelli di viremia simili, con un abbassamento del set point di non più di 3 volte. Invece, nelle scimmie che hanno ricevuto l’Ing B si è vista una diminuzione del set point delle viremie fino a 5 volte (un macaco è addirittura passato da 1 milione a 400 copie/mL).
Quanto alla diversità virale, il gruppo di controllo presentava una maggiore diversità prima della ART che al rebound dopo l’interruzione. Invece, delle 4 scimmie trattate con Ing B, 2 hanno avuto un aumento della diversità virale, 1 ha avuto diversità virale simile a prima della ART e dopo il trattamento con Ingenol, 1 ha avuto una leggera diminuzione. L’analisi filogenetica delle sottopopolazioni virali ha mostrato che le scimmie usate come controlli hanno avuto le stesse sottopopolazioni durante tutto il trial, mentre 3 scimmie sulle 4 trattate con Ing B hanno presentato nuove sottopopolazioni. Questo potrebbe indicare che l’Ingenol B ha mantenuto la diversità virale nel plasma andando a riattivare delle varianti di virus che se ne stavano latenti nei reservoir.
Se questa interpretazione è corretta, l’Ing B potrebbe aiutare a far diminuire le dimensioni dei reservoir.



Dora
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Re: Ingenol B: un derivato dall'Euphorbia contro la latenza

Messaggio da Dora » mercoledì 7 dicembre 2016, 7:18

Marzo 2015 (le slides sono nel post originale):
Dora ha scritto:INGENOL B AL CROI 2015: UN'ENCEFALITE CHE PROPRIO NON CI VOLEVA.

Ho letto soltanto ora il poster di Lucio Gama e colleghi al CROI - Latency Reversing Agents Activate Latent Reservoirs in the Brain of SIV-Infected Macaques.

Devo dire che c'è qualcosa che non mi torna. Vediamo il lavoro.

I dati preliminari avevano mostrato che il trattamento con Ing-B aveva causato un aumento – temporaneo ma significativo – della viremia plasmatica in 2 macachi con SIVmac251 soppresso dalla ART. Quando tutti i trattamenti (ART + Ing-B) sono stati interrotti, la viremia è rimasta irrilevabile per 45 giorni, poi si è avuto un rebound ai livelli del set point prima dell’inizio della ART.
Il lavoro portato al CROI riguarda il trattamento di tre macachi con SIVΔB670 e SIV/17E-Fr, trattati durante l’infezione primaria con un regime di ART che ha un buon grado di penetrazione nel sistema nervoso centrale.

Gama e colleghi hanno aspettato di raggiungere 500 giorni di soppressione della viremia, poi hanno tenuto un macaco come controllo e agli altri due hanno fatto per 10 giorni 4 iniezioni al giorno di [divbox]Ing-B + vorinostat[/divbox], mantenendoli sotto ART fino a quando non li hanno soppressi.

[...] Di queste scimmie hanno studiato l’SIV RNA nel plasma e nel liquido cerebrospinale e l’SIV DNA nei tessuti (cervello e linfonodi mesenterici). I CD4 memoria sono stati analizzati (mediante viral outgrowth assay) prima e dopo il trattamento con Ing-B + vorinostat.

In uno dei due macachi trattati non è successo nulla. Nell’altro, invece, si è osservato un aumento significativo della viremia sia nel plasma, sia nel liquido cerebrospinale. In quest’ultimo la viremia era di 10 volte maggiore che nel plasma e la scimmia ha dovuto essere soppressa a causa dei sintomi di un’encefalite. L’RNA virale è stato rilevato nella corteccia occipitale, nonostante il fatto che i livelli di DNA fossero irrilevabili.
In entrambe le scimmie si è osservata una riduzione dei CD4 quiescenti infetti rispetto alla scimmia di controllo.

[...] Le conclusioni di Gama e colleghi sono state che il trattamento con Ing-B + vorinostat ha comportato una riduzione del reservoir latente nelle scimmie. Ma il fatto che il trattamento abbia attivato dei genomi virali nel cervello di una delle due, che hanno portato a encefalite, ci dice che il cervello ospita del virus latente e “dovrebbe essere tenuto seriamente in considerazione quando si progettano delle nuove strategie kick and kill per l’eradicazione dell’HIV”.


Leggo le conclusioni di Gama e colleghi e trasecolo. È da anni che si parla del reservoir cerebrale (basti pensare che il thread Il reservoir nel cervello: un ostacolo all'eradicazione? – 2 è la continuazione di uno cui avevo dato inizio nel vecchio forum e che ho smesso di aggiornarlo non perché non siano usciti nuovi lavori in questi ultimi anni, ma perché quei lavori continuavano a ribadire sempre le stesse cose).
Ed è da almeno il 2009, se non prima, che persone del calibro di Janice Clements segnalano i rischi che la riattivazione massiccia del reservoir latente presente nel cervello possa causare danni imprevedibili. Non a caso, il thread qui che parla del vorinostat porta un titolo che può parere astruso, ma non lo è affatto per chi conosce le accese discussioni che precedettero la prima sperimentazione di Margolis sul vorinostat: Trial su HDACi per eradicazione_Lewin/Margolis vs Clements 2.
Ora Gama, che mescola gli effetti di Ing-B e vorinostat impedendoci così di capire quale dei due possa aver causato l’encefalite in quella povera scimmia, arriva fresco fresco a dirci che dobbiamo stare attenti a riattivare l’HIV latente nel cervello?!
Roba da matti.
Ci sarà da vedere, adesso, se l’Ing-B arriverà mai in fase clinica.
INGENOL B + VORINOSTAT E UNA SCIMMIA SU DUE SVILUPPA ENCEFALITE. IL RESERVOIR CEREBRALE COME CONVITATO DI PIETRA DEGLI STUDI SULL'ERADICAZIONE


È finalmente uscito su AIDS un articolo relativo alla ricerca della Johns Hopkins University anticipata al CROI 2015 e gli aspetti che non ero riuscita a capire dal poster ora mi sembrano più chiari, perché collocano questo studio proprio nella scia dei ripetuti allarmi lanciati da Janice Clements sulla necessità di stare attenti al reservoir cerebrale quando si sta sperimentando una qualsiasi strategia di tipo "shock and kill".
Vediamoli molto in breve e cerchiamo di capire perché questi risultati sono importanti.

L'obiettivo non era genericamente iniziare a lavorare su una terapia anti-latenza combinata che agisse sul reservoir dei CD4 quiescenti nel sangue periferico, ma capire se l'uso di sostanze anti-latenza - da sole o in combinazione - perturba in qualche modo il reservoir cerebrale e insieme valutare il contributo di quel reservoir nella latenza di HIV e nella sua riattivazione.

Anzitutto, Gama e colleghi si sono messi nella situazione "migliore possibile" per far emergere danni cerebrali - se ce ne dovevano essere. Infatti:

  • - hanno usato un modello di infezione da SIV "costruito" apposta per creare problemi a livello cerebrale, in cui le scimmie sviluppano HAND (HIV-associated neurocognitive disorder) e neuro-AIDS nel giro di 90 giorni dall'infezione;
    - hanno infettato le scimmie e le hanno messe in terapia in fase acuta, dopo soli 12 giorni, quindi con reservoir presumibilmente molto piccoli;
    - le hanno trattate con un regime di antiretrovirali che hanno alta penetrazione cerebrale (tenofovir, darunavir/ritonavir, L-870812, che è un inibitore dell'integrasi);
    - le hanno trattate a lungo, per più di 500 giorni, e solo dopo 400 giorni di soppressione della viremia sotto le 30 copie/mL, quindi quando la soppressione virologica era ben stabile, hanno iniziato i trattamenti anti-latenza.


Il trattamento con le sostanze anti-latenza non è stato, come mi era parso di capire dal poster presentato al CROI, contemporaneo. Prima hanno dato alle scimmie l'ingenol-B, e l'hanno somministrato non prendendo per buoni gli studi in vitro di chi li aveva preceduti, ma solo dopo aver testato le capacità di questo farmaco di riattivare la trascrizione di HIV in un modello cellulare, di cellule prelevate da persone con HIV controllato dalla ART, e poi su CD4 quiescenti prelevati a macachi con viremia di SIV anche loro ben controllata. Finché hanno lavorato sulle cellule, tutto bene.

Ma quando hanno somministrato l'ing-B alle scimmie per ben 30 giorni, non è successo proprio niente: niente di brutto, perché le scimmie non hanno avuto effetti collaterali; ma neanche niente di bello, perché non si è visto nessun aumento delle viremie nel plasma. Allora hanno aumentato la dose e somministrato l'ing-B per altri 10 giorni. Ancora niente, né durante il trattamento, né nelle due settimane successive alla sospensione.

Solo a quel punto Gama e colleghi hanno aggiunto il vorinostat all'ing-B (e alla ART) per 10 giorni e solo allora in uno dei due macachi i livelli di viremia nel sangue si sono fatti rilevabili e sono andanti avanti a crescere per diversi giorni dopo la sospensione di vorinostat + ingenol-B.
All'altro macaco non è successo niente.

Tutto bene, la cALT ha funzionato? NO, perché mentre nel macaco aumentava la viremia nel sangue, aumentava anche la viremia nel liquido cerebrospinale, aumentavano i marker di attivazione immunitari specifici del cervello (CCL2 e neopterina) e si osservava danno neuronale. Quando la viremia nel liquido cerebrospinale è arrivata ad essere 10 volte più alta di quella del sangue (nonostante il regime di ART fatto apposta per penetrare bene nel cervello), la scimmia ha dato segni di danno neurologico (letargia e mancanza di appetito): aveva sviluppato un'encefalite e ha dovuto essere soppressa.

Fatte tutte le analisi genotipiche sul virus rilevato nel liquido cerebrospinale e sui campioni di diverse regioni cerebrali, che erano tutti "puliti" tranne una piccolissima regione nella corteccia occipitale, si è visto che quel virus veniva dal reservoir cerebrale e non aveva nulla a che fare con i campioni di DNA virale isolati dalla cellule del sangue e dei tessuti periferici.
Che la ART abbia funzionato bene nel cervello è provato dal fatto che nel cervello non si è verificato contagio da una cellula all'altra durante la somministrazione delle sostanze anti-latenza. Quindi l'encefalite è stata causata proprio dalla riattivazione del reservoir cerebrale.

Conclusione di Gama e colleghi: Janice Clements aveva ragione, la ricerca fatta oggi conferma le sue ipotesi.
Quindi, quando si testano dei farmaci anti-latenza, bisogna sempre avere a mente che il sistema nervoso centrale può contenere dei genomi virali in grado di riattivarsi. Inoltre, se aumenta l'attivazione immunitaria nel cervello, a sua volta questa può portare alla riattivazione di reservoir latenti e questo a sua volta può peggiorare la risposta infiammatoria anche in presenza di ART, con conseguenze che possono essere assai serie.
Poiché il sistema nervoso centrale può ospitare dei macrofagi latentemente infettati da un virus non difettivo, ma capace, se riattivato, di replicarsi, chi testerà lo "shock and kill" su esseri umani dovrà tenere monitorato il liquido cerebrospinale per vedere se si ha riattivazione del virus o si trova della viremia residua.


Gama e colleghi non fanno ulteriori considerazioni sui farmaci che hanno usato per riattivare l'SIV latente nelle loro scimmie.
Io invece credo ci sarebbe da fare qualche riflessione sia sul vorinostat, che grazie a questo lavoro ai miei occhi peggiora la sua fama già assai sinistra, sia sul fatto che l'ingenol-B, che sulle cellule sembrava riattivare bene il virus dalla latenza, in vivo non sembra proprio funzionare.
È stato il vorinostat a causare l'encefalite a quel povero macaco? Però finora, grazie al cielo, nessuno degli esseri umani che hanno partecipato alle sperimentazioni sul vorinostat ha avuto di questi problemi.
È stata la sinergia dei due farmaci? Questo che cosa potrebbe significare per il futuro delle terapie anti-latenza combinate?
Se si testassero combinazioni di farmaci anti-latenza su persone entrate in ART in fase cronica il rischio di danni cerebrali sarebbe probabilmente più alto. Questo porterà a fare sperimentazioni cliniche solo su persone che abbiano iniziato la ART in fase acuta? E come potrebbe, allora, lo "shock and kill" essere utile come strategia di cura?
Questa ricerca di Gama e colleghi apre queste e tante altre domande. Speriamo che arrivino presto altri scienziati a spiegare che cosa si potrà fare dello "shock and kill" per evitare di trovarsi persone con danni cerebrali che, a questo punto, nessuno potrebbe dire che non erano prevedibili.


Immagine



FONTI:
Edit: ho aggiunto il titolo del post e la figura 2 dall'articolo di Gama et al.
Ultima modifica di Dora il mercoledì 7 dicembre 2016, 8:40, modificato 1 volta in totale.



skydrake
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Re: Ingenol B: un derivato dall'Euphorbia contro la latenza

Messaggio da skydrake » mercoledì 7 dicembre 2016, 7:40

Deprimente.
Semplicemente deprimente.



Dora
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Re: Ingenol B: un derivato dall'Euphorbia contro la latenza

Messaggio da Dora » mercoledì 7 dicembre 2016, 8:25

skydrake ha scritto:Deprimente.
Semplicemente deprimente.
Sì, non è un fulmine a ciel sereno, perché dei risultati di questa ricerca sapevamo da quasi due anni. Però, anche se è vero che Gama & co. hanno fatto proprio di tutto per averli, i problemi a livello cerebrale, e le scimmie trattate con vor+ing B in fondo erano soltanto due, non è oggettivamente una bella notizia.
Inoltre mi dà molto da pensare che ancora una volta una sostanza, che sembrava andare bene in vitro, poi quando si è passati a sperimentarla in vivo non abbia fatto niente. Continua la serie delle dimostrazioni che i modelli di latenza, che siano basati su linee cellulari o su cellule prelevate da persone con viremia soppressa dalla ART, hanno grossi problemi a ricapitolare lo stato di latenza come si verifica in vivo.
Speriamo che ne arrivino presto di migliori, perché altrimenti continueremo a vedere fallimenti dei trial di "shock and kill" e certo non potremo dire che non fossero fallimenti annunciati.



Blast
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Re: Ingenol B: un derivato dall'Euphorbia contro la latenza

Messaggio da Blast » mercoledì 7 dicembre 2016, 8:46

Prendiamo il lato positivo, quantomeno adesso si hanno conoscenze maggiori su quello che può provocare questa strategia. Non potranno che derivarne miglioramenti nel tipo di approccio


CIAO GIOIE

Dora
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Re: Ingenol B: un derivato dall'Euphorbia contro la latenza

Messaggio da Dora » mercoledì 7 dicembre 2016, 9:09

Blast ha scritto:Prendiamo il lato positivo, quantomeno adesso si hanno conoscenze maggiori su quello che può provocare questa strategia. Non potranno che derivarne miglioramenti nel tipo di approccio
Senz'altro!
E io ne vedo almeno un altro di lato positivo: nessuno potrà nascondersi dietro giustificazioni di ignoranza se ci saranno danni cerebrali a partecipanti ai trial di shock and kill. La solita manfrina del "non sapevamo" da adesso in poi non se la berrà nessuno.
Se poi inizieranno tutti a dare ascolto a quanto Janice Clements va dicendo da anni, vedremo controllare la viremia del liquor in tutti i protocolli di shock and kill e magari anche qualche cautela in più.



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