ERADICAZIONE, CURA FUNZIONALE, PTC, ELITE: SOLO DEFINIZIONI?

Ricerca scientifica finalizzata all'eradicazione o al controllo dell'infezione.
admeto
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Re: ERADICAZIONE, CURA FUNZIONALE, PTC, ELITE: SOLO DEFINIZI

Messaggio da admeto » giovedì 21 gennaio 2016, 15:23

bugs ha scritto:Sembra un ottima notizia .

Significa che vogliono veramente accelerare la possibile risoluzione a questo incubo ...

Grazie Dora come sempre
Sì è davvero una buona notizia.
Grazie Dora per avercela comunicata.



Dora
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Re: ERADICAZIONE, CURA FUNZIONALE, PTC, ELITE: SOLO DEFINIZI

Messaggio da Dora » mercoledì 17 agosto 2016, 13:55

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Letture consigliate sotto l'ombrellone.

Michael Lederman, Case Western Reserve University School of Medicine, e Daniel Douek, Vaccine Research Center (NIH), hanno pubblicato sul I numero di Pathogens & Immunity, una nuova rivista della Divisione di Malattie Infettive della Case Western Reserve University, A Cure for HIV Infection: “Not in My Lifetime” or “Just Around the Corner”?
Si tratta di una serie di riflessioni sulla possibilità di arrivare a una cura dell'infezione da HIV e sul tipo di cura cui è presumibile si possa arrivare. Alle riflessioni più elaborate di Lederman e Douek seguono quelle più sintetiche di alcuni fra i principali scienziati che si occupano di ricerca di una cura.

Credo sia utile vedere questo articolo come complementare alla Strategia Scientifica Globale 2016 Verso una Cura dell'Infezione da HIV dell'International AIDS Society presentata a Durban il mese scorso e discussa nel thread [AIDS 2016] Durban, 18-22 luglio.





Gabriel81
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Re: ERADICAZIONE, CURA FUNZIONALE, PTC, ELITE: SOLO DEFINIZI

Messaggio da Gabriel81 » domenica 26 marzo 2017, 20:04

Dorà che dire...in questi due mesi post scoperta per me è tuttora di fondamentale importanza avere la possibilità di imparare e aggiornarmi sulle evoluzioni di maggior interesse ma anche sulle questioni più "filosofiche" se così possiamo definirle, per cui grazie!

Dal mio punto di vista naive, e di chi inizierà la cura settimana prossima a 5/6 mesi dal presumibile contagio con una sperimentazione di fase III sulle long acting, posso solo dire che se mi avessero proposto un trial più rischioso avrei accettato probabilmente molto volentieri e ti spiego anche il perché:
Da un lato possiamo parlare di altruismo legato alla sensazione di partecipare a qualcosa che possa portare ad un bene più alto e sociale, da un lato anche egoismo nel senso che il fatto di sentirmi "utile" mi permette di affrontare meglio la mia condizione è in qualche modo di dare un senso a quello che mi è successo.

Su cosa poi significhi possibilità di cura per me, probabilmente mi "accontenterei" di una modalità che mi permetta di tenere sotto controllo l'infezione autonomamente o con richiami poco frequenti, e che mi garantisca una qualità di vita assolutamente normale, per l'eradicazione...bhe sono realista :D

Aspetto filosofico: dal mio punto di vista, affrontare il tema cura globalmente significa impegnarsi a trovare una "cura" anche sociale e nella percezione di questa malattia e di chi ne è affetto. Possiamo parlare già di cura quando tutto è stabilmente controllato clinicamente ma soprattutto i sieropositivi possono sentirsi accettati e trattati alla stessa stregua dei sieronegativi. La cura dall'hiv deve essere anche e soprattutto cura sociale e non solo clinica.

Quando finalmente ci sarà questo senso di libertà le persone si sentiranno sicuramente più curate (o almeno io) e il tema dell'eradicazione definitiva diventerà solo un dettaglio clinico.

Bacio
Gabriel


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Re: ERADICAZIONE, CURA FUNZIONALE, PTC, ELITE: SOLO DEFINIZI

Messaggio da Dora » lunedì 27 marzo 2017, 7:55

Gabriel81 ha scritto:Dorà che dire...in questi due mesi post scoperta per me è tuttora di fondamentale importanza avere la possibilità di imparare e aggiornarmi sulle evoluzioni di maggior interesse ma anche sulle questioni più "filosofiche" se così possiamo definirle, per cui grazie!
Mi fa piacere che tu sia interessato a capire anche gli aspetti più filosofici, perché penso siano quelli alla base, da cui tutto il resto deriva, quindi capirli e discuterli permette di avere una visione più profonda di una questione che è estremamente complessa.
Sai che forse sei il primo a dirmelo in tanti anni di forum?
Dal mio punto di vista naive, e di chi inizierà la cura settimana prossima a 5/6 mesi dal presumibile contagio con una sperimentazione di fase III sulle long acting, posso solo dire che se mi avessero proposto un trial più rischioso avrei accettato probabilmente molto volentieri e ti spiego anche il perché:
Da un lato possiamo parlare di altruismo legato alla sensazione di partecipare a qualcosa che possa portare ad un bene più alto e sociale, da un lato anche egoismo nel senso che il fatto di sentirmi "utile" mi permette di affrontare meglio la mia condizione è in qualche modo di dare un senso a quello che mi è successo.
Sì, sono d'accordissimo! L'altruismo era riferito principalmente al fatto che è poco realistico attendersi un beneficio clinico diretto dalla partecipazione a queste sperimentazioni, che sono tutte - quale più, quale meno - sperimentazioni pilota. Ma che ci possano essere una serie di altri benefici è innegabile, dal piacere dell'altruismo, al sentirsi utili dando il proprio contributo alla ricerca e forse un giorno anche alle sue ricadute cliniche, al sentirsi meglio seguiti e quindi più curati indipendentemente da quello che definiamo *cura*, fino al sentire che non si vive nel vuoto, ma si è parte di qualcosa di molto più grande del singolo. Ci può anche essere un senso di gratitudine nei confronti delle migliaia di persone che hanno partecipato in passato ai trial per cercare farmaci. Però bisogna avere una certa predisposizione alla riflessione su questioni complesse per cogliere tutto questo e non credo sia da tutti.
Su cosa poi significhi possibilità di cura per me, probabilmente mi "accontenterei" di una modalità che mi permetta di tenere sotto controllo l'infezione autonomamente o con richiami poco frequenti, e che mi garantisca una qualità di vita assolutamente normale, per l'eradicazione...bhe sono realista :D
In questi anni, ho osservato una grande variabilità nella definizione che ciascuno dà di *cura*, sempre in correlazione con il carattere di chi definiva la cura e con la durata e lo stato attuale dell'infezione. Direi che il tuo approccio "realista" è una posizione di grande equilibrio e ti mette nella condizione migliore per stare a vedere che cosa accadrà, senza farti illusioni ogni volta (circa una volta alla settimana) che sui giornali vengono sparati titoloni su studi fatti in vitro, ma anche senza vedere tutto nero a priori. Non è facile mantenersi in una posizione così razionale, perché gli alti e bassi emotivi sono per lo più la norma quando si è avuta la diagnosi da poco. Ma questa stessa razionalità è lo strumento che si può usare per recuperare ogni volta l'equilibrio. Quindi ... tienitela cara!
Aspetto filosofico: dal mio punto di vista, affrontare il tema cura globalmente significa impegnarsi a trovare una "cura" anche sociale e nella percezione di questa malattia e di chi ne è affetto. Possiamo parlare già di cura quando tutto è stabilmente controllato clinicamente ma soprattutto i sieropositivi possono sentirsi accettati e trattati alla stessa stregua dei sieronegativi. La cura dall'hiv deve essere anche e soprattutto cura sociale e non solo clinica.

Quando finalmente ci sarà questo senso di libertà le persone si sentiranno sicuramente più curate (o almeno io) e il tema dell'eradicazione definitiva diventerà solo un dettaglio clinico.
Io oscillo spesso su questo. In genere tendo ad avere un atteggiamento riduzionista e a pensare che sarà la cura in senso clinico a spazzare via lo stigma, come è accaduto per altre infezioni nel passato, soprattutto la sifilide. D'altra parte, finché una cura per tutti non c'è, è vitale continuare a lavorare sulla narrativa che ancora domina in larghe fette della nostra società ed è obsoleta, stigmatizzante e impedisce di vedere gli enormi cambiamenti fatti in questi 30 anni. Qui ci proviamo, ma è un lavoro enorme.
Bacio
Gabriel
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Gabriel81
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Re: ERADICAZIONE, CURA FUNZIONALE, PTC, ELITE: SOLO DEFINIZI

Messaggio da Gabriel81 » lunedì 27 marzo 2017, 11:05

Adoro essere il primo :D effettivamente ho una curiosità morbosa verso la storia della malattia, dei farmaci e delle testimonianze del passato, probabilmente come sottolinei tu è per gratitudine verso chi ci permette di gestire questa malattia ad oggi quasi più come un problema psicologico!

Per adesso in due mesi ho già atterrato due psicologi comunque Ahahahah

Grazie davvero di ❤️ Per quello che fai, è importantissimo!!!


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Re: ERADICAZIONE, CURA FUNZIONALE, PTC, ELITE: SOLO DEFINIZI

Messaggio da Dora » domenica 18 giugno 2017, 7:46

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DUE SPERIMENTAZIONI MOLTO SIMILI SULL'INTERRUZIONE STRUTTURATA DELLA TERAPIA SOLLEVANO QUALCHE DUBBIO ETICO. O almeno dovrebbero.

In realtà, i due protocolli sono stati presentati e sponsorizzati da persone e istituzioni di primo livello, da anni coinvolte nella ricerca di una cura, e sono stati approvati da dei comitati etici, quindi forse le perplessità sono state superate e le tutele per i pazienti definite in modo inequivocabile.
Tuttavia ritengo utile parlarne, perché qui la questione dell'eticità delle interruzioni strutturate della ART emerge in modo particolarmente chiaro.
Ne abbiamo già accennato diverse volte e alcuni riferimenti bibliografici si possono trovare, oltre che sparsi in questo stesso thread, anche nelle *Letture per il weekend* (27 gennaio 2017, 3 febbraio 2017 e per l'interruzione della ART soprattutto 28 aprile 2017).

Vediamo prima i protocolli.

1. Predictors of Time to Viremia With an Analytic Treatment Interruption - è un trial del Clinical and Translational Science Institute della University of Minnesota, è diretto da Timothy Schacker e co-diretto da Steven Deeks e Mike McCune. Si svolge infatti presso la University of Minnesota, Minneapolis e la University of California, San Francisco.
Prevede di creare una coorte osservazionale arruolando 30 persone che stanno bene, senza coinfezioni o altri disturbi, che hanno iniziato la ART in fase cronica e sono state in terapia soppressiva per almeno 2 anni, con almeno 300 CD4. Si farà loro sospendere la ART per poter indagare, mediante analisi sul sangue e biopsie ai linfonodi inguinali e al tessuto gastrointestinale (fatte prima e dopo l'interruzione terapeutica)

  • - quanto tempo ci vuole prima che la viremia torni rilevabile nel sangue;
    - quali mutamenti si verificano nell'RNA e nel DNA virale associati alle cellule;
    - che cosa accade ai marker di attivazione immunitaria (IL1B, TNF, IL4, IL13, IL17, IL21,IL22, IL6, IL10);
    - come cambiano i CD4 e il rapporto CD4/CD8.


Questo servirà a identificare dei fattori che predicano il tempo di rebound delle viremie.

Naturalmente, alle prime avvisaglie di un ritorno della viremia i partecipanti riprenderanno subito le terapie. E, naturalmente, raccogliere le informazioni che saranno raccolte durante il trial è utile e importante, perché in assenza di test che ci dicano in modo affidabile che un intervento di cura ha funzionato riducendo il reservoir di virus latente, per il momento le interruzioni della ART sono l'unico strumento disponibile per valutare l'efficacia degli interventi sperimentati.
D'altra parte, l'interruzione della ART in sé, se è fondamentale negli studi sul controllo delle viremie, è meno facile da interpretare quando si studiano le dinamiche del reservoir. Esistono modelli matematici (ad esempio quello di Hill et al) che stimano che una riduzione del reservoir di almeno 10.000 volte sia necessaria per impedire il rebound delle viremie, ma nessuno studio ha ancora validato questa ipotesi. Inoltre, il tempo di rebound è sicuramente un fenomeno complesso, che riflette non solo la quantità di virus capace di replicarsi presente nel reservoir, ma anche diversi fattori dell'ospite - dallo stato di infiammazione alla risposta immune. Quindi non è detto che una simile riduzione del reservoir comporti simili tempi di rebound in persone diverse.


2. Biomarkers to Predict Time to Plasma HIV RNA Rebound - è un trial ACTG (AIDS Clinical Trials Group) in collaborazione con il National Institute of Allergy and Infectious Diseases (NIAID), che si svolgerà fra California, Massachussetts, North Carolina, Tennessee e Porto Rico. Le 2 coorti osservazionali e prospettiche (una di chi ha iniziato la ART in fase acuta e una di chi l'ha iniziata in fase cronica) prevedono di arruolare in tutto 66 partecipanti in condizioni simili a quelle dei partecipanti all'altro trial: in buone condizioni, senza coinfezioni, in terapia soppressiva da almeno 2 anni, con più di 500 CD4 e nadir non inferiore a 200. Costoro verranno strettamente monitorati per vedere

  • - quanto tempo passa fra sospensione della ART e rebound delle viremie sopra le 1000 copie;
    - qual è la frequenza di post treatment controllers fra le persone della coorte che ha iniziato la ART in fase precoce o cronica;
    - l'associazione fra l'RNA virale associato alle cellule prima dell'interruzione terapeutica e il tempo di rebound della viremia.


In questo protocollo non sono previste pratiche invasive come le biopsie, ma solo ripetuti e ravvicinati prelievi di sangue e almeno una procedura di leucaferesi. È però previsto un sotto-studio di questo studio A5345 (A5345s) durante il quale saranno raccolti mediante biopsia campioni da diversi comparti anatomici prima e durante l'interruzione della terapia per

  • - studiare la localizzazione e le dimensioni dei reservoir latenti;
    - capire il modo migliore per misurarli;
    - indagare se la quantità di HIV presente in un reservoir ci dice qualcosa sulla quantità di HIV presente negli altri;
    - valutare se è possibile predire quello che accadrà quando una persona sospende la ART.


L'utilità delle informazioni cercate in questi trial credo sia fuori discussione. Sapere nei dettagli che cosa ci dobbiamo aspettare quando la ART viene sospesa e magari riuscire anche a trovare e validare dei marker che ci dicano quanto tempo passerà prima del rebound delle viremie e se ha senso o meno sospendere la terapia in un singolo paziente potrà permettere di impostare in modo migliore i futuri trial di ricerca di una cura, ad esempio risparmiando interruzioni terapeutiche a persone in cui si potrà valutare prima che avrebbero un rebound immediato.

Tuttavia, dal punto di vista etico non è tutto semplice come appare e gli aspetti utilitaristici di queste sperimentazioni non devono mettere in ombra il fatto che i partecipanti avranno soltanto danni e nessun beneficio diretto dalla loro partecipazione ai due trial.
Qui non siamo nella situazione classica dei trial sulla cura che abbiamo visto fino ad oggi: non c'è alcun intervento che potrebbe essere rischioso, ma potrebbe anche riuscire ad incidere sulle dimensioni del reservoir. Quindi a chi si presta a partecipare deve essere spiegato al di là di ogni dubbio che lo fa per puro altruismo, per il bene della scienza e di altre persone che verranno dopo di lui/lei, e che i rischi di interrompere la ART non sono compensati da alcun possibile beneficio per la sua salute personale.

I rischi stessi sono difficili da quantificare, proprio perché l'assenza di un test affidabile che misuri le dimensioni del reservoir capace di replicazione rende anche impossibile valutare il possibile impatto di un'interruzione terapeutica su un singolo paziente.
D'altra parte, conosciamo i rischi teorici:

- sappiamo che c'è la possibilità che la sospensione della ART permetta al reservoir di espandersi;
- sappiamo che c'è la possibilità che diminuisca la capacità di risposta a futuri interventi terapeutici;
- sappiamo che c'è la possibilità che i livelli di infiammazione aumentino anche ricominciando molto in fretta la terapia;
- sappiamo che il rebound della viremia può comportare livelli di viremia molto alti, con non solo il ripresentarsi dei sintomi di una fase acuta, ma anche il rischio di infettare il partner.

Tutto questo rende almeno discutibile l'eticità dei trial in cui l'unica cosa testata sia un'interruzione della ART. Mi auguro dunque che la selezione dei partecipanti sia fatta con scrupolo estremo e che con ancora maggiore scrupolo chi partecipa sia informato di quello che rischia e degli zero benefici per la sua salute personale che può ricavare dal partecipare.



Per approfondire, un articolo di K. Dube et al appena pubblicato su AIDS Research and Human Retroviruses: ‘We Need to Deploy Them Very Thoughtfully and Carefully’: Perceptions of Analytical Treatment Interruptions in HIV Cure Research in the United States – A Qualitative Inquiry.



Gabriel81
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Re: ERADICAZIONE, CURA FUNZIONALE, PTC, ELITE: SOLO DEFINIZI

Messaggio da Gabriel81 » domenica 18 giugno 2017, 16:34

Molto interessanti grazie Dora! Io credo (ovviamente opinione puramente personale) che, laddove di fronte a tutti queste possibili complicazioni che possono scaturire dall'interruzione della Art, se espresse in modo chiaro e con un altrettanto chiaro consenso da parte di chi accetta, siamo nell'ambito de libero arbitrio ed il problema etico non si ponga più di tanto in confronto alla libert personale di scegliere di aiutare la ricerca (e se stessi) in questo modo. Mi rendo conto però di quanto possa essere un sentiero spinoso da discutere...


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Re: ERADICAZIONE, CURA FUNZIONALE, PTC, ELITE: SOLO DEFINIZI

Messaggio da Blast » domenica 18 giugno 2017, 16:51

Almeno gli americani il limite etico se lo pongono, e affrontano un comitato etico. In Italia, patria del moralismo, se ne sbattono altamente il cazz0 dell'etica (vedi Vito83, o tutte le semplificazioni fatte a caso per i vari utenti del forum)


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rosso80
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Re: ERADICAZIONE, CURA FUNZIONALE, PTC, ELITE: SOLO DEFINIZI

Messaggio da rosso80 » domenica 18 giugno 2017, 17:13

Io non credo proprio che chi si fa fare l'interruzione della HAART lo faccia per amore della ricerca.
Secondo me sono solo persone che sono stanche di prendere medicine e farebbero di tutto per interromperla.
Insomma sperano che su di loro la cosa funzioni. Tutto qui.


Don't give up!

Dora
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Re: ERADICAZIONE, CURA FUNZIONALE, PTC, ELITE: SOLO DEFINIZI

Messaggio da Dora » domenica 18 giugno 2017, 18:32

Gabriel81 ha scritto:Io credo (ovviamente opinione puramente personale) che, laddove di fronte a tutti queste possibili complicazioni che possono scaturire dall'interruzione della Art, se espresse in modo chiaro e con un altrettanto chiaro consenso da parte di chi accetta, siamo nell'ambito de libero arbitrio ed il problema etico non si ponga più di tanto in confronto alla libert personale di scegliere di aiutare la ricerca (e se stessi) in questo modo. Mi rendo conto però di quanto possa essere un sentiero spinoso da discutere...
Sì, credo anch'io (non solo io, ovviamente: lo dicono tutti quelli che si occupano del problema) che il grosso delle perplessità etiche possa essere affrontato mediante un consenso informato che sia davvero tale. Bisogna che chi arruola i partecipanti sia capace di spiegare benissimo le finalità dello studio, i suoi rischi (che non sono solo quelli della sospensione terapeutica, ma anche quelli delle biopsie) e il fatto che di benefici non se ne devono attendere.
rosso80 ha scritto:Io non credo proprio che chi si fa fare l'interruzione della HAART lo faccia per amore della ricerca.
Secondo me sono solo persone che sono stanche di prendere medicine e farebbero di tutto per interromperla.
Insomma sperano che su di loro la cosa funzioni. Tutto qui.
Non mi è molto chiaro in che senso possa "funzionare la cosa". No, credo che chi è stanco dei farmaci e desidera una vacanza terapeutica difficilmente si imbarcherebbe in una sperimentazione in cui deve farsi prelevare il sangue un paio di volte a settimana e in cui deve sottoporsi a diverse biopsie. Mi pare abbia poco senso, tanto più che il periodo di "vacanza" dai farmaci che ci si può attendere è in media di 14 giorni e non varrebbe la fatica.
Infatti, i partecipanti all'indagine di cui si racconta in ‘We Need to Deploy Them Very Thoughtfully and Carefully’: Perceptions of Analytical Treatment Interruptions in HIV Cure Research in the United States – A Qualitative Inquiry, che rispondevano a diverso titolo a domande sulle interruzioni della ART all'interno di sperimentazioni sulla cura, se sono persone con HIV sono mossi da motivazioni prevalentemente altruistiche:
  • Motivations for Undergoing or Conducting Analytical Treatment Interruptions

    Advancing scientific progress and contributing to science and society emerged as the most frequently cited perceived hypothetical motivators for undergoing or conducting ATIs in HIV cure research across all three stakeholder groups. Scientific progress was a strong motivator for undergoing or conducting ATIs. A clinician‐researcher expressed that, if a clinical protocol requires ATIs, “we need to make sure that we are going to learn something.” A policy‐maker/bioethicist mentioned that ATIs would become more relevant when there are major breakthroughs in science, such as a proof‐of‐concepts established in animal models. As the potential for direct clinical benefits or efficacy increases (e.g. HIV reservoir reduction), he explained, so would the appeal for implementing ATIs. The topic of drug holidays and treatment fatigue as motivating factors to undergo ATIs also emerged in some of the interviews. A policy‐maker/bioethicist explained:
    • “[Some] people have different reservations about taking drugs. For example, in the START trial, when they started enrolling, patients [participants] did not have trouble being randomized to delaying treatment. They found more people who wanted to delay treatment. My caution would be that we should not presume that all patients are really excited about being on treatment all the time. Some people may be glad to be off the drug for some time … People have different attitudes.”– Policy‐Maker/Bioethicist
    A PLWHIV explained that s/he went off treatment because it was mandated by the stem cell transplant HIV cure research protocol in which s/he participated. He would not have been able to join the study if he had refused to be off treatment. In this case, there was a desire to comply with the study requirements and to help science. Other PLWHIV interviewed mentioned that helping society and generating scientific evidence would be the most important motivators for them. For example, a PLWHIV said, “the motivational thing would be to help find a cure.” Another PLWHIV would be motivated by the scientific evidence and high prospect of cure: “If I saw the evidence that it [a cure] is likely, it would persuade me..” Yet another PLWHIV stated:
    • “If you are healthy and you are virally suppressed, seeing how the immune system will attack that HIV and not increase would be a great thing. [It] would be an interesting thing to see that they are other things that I can do to stay virally suppressed other than take medications.” – Patient‐Participant
    A PLWHIV explained her prior experience with treatment interruptions outside of the clinical research context. Because she previously maintained a stable CD4+ count off treatment and became rapidly undetectable after resuming treatment, she would not be afraid to go off treatment again:
    • “[T]hey took me off the medications for three years. And for three years, my CD4+ count never dropped below 550. So for me, including my story, that would be something that I would be willing to do because I know what it looks like to be off medication for three years.” – Patient‐Participant
    Some PLWHIV also mentioned that financial incentives motivated participation in ATI‐related studies. A couple PLWHIV mentioned monetary compensation as a motivator for joining HIV cure studies involving ATIs. A patient‐participant stated: “One motivator would be money. It would be less expensive not having to take meds for 6 months.”

    Another patient‐participant was motivated by the opportunity of having a safer form of treatment interruption given his/her life circumstances:
    • “You had mentioned something about the burden of having to go without your medication for a certain time, to be in certain studies and… the only way I would consider that, and this is honest with my life, there was a period of time when I did not have a job, and I did not have insurance. …
      So, I was like, if at least I’m not gonna have the ability to access medication, let me be in a study that monitors me while I’m off medication and that’s when I found this study … [at the] NIH where they were actually studying people who were off their medication, and that’s pretty much the only circumstance that I can think of, unless I know I only got a certain number of months to live or something anyway…” – Patient‐Participant



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