IMMUNOTOSSINE + anticorpi monoclonali (+ ART, naturalmente)

Ricerca scientifica finalizzata all'eradicazione o al controllo dell'infezione.
Dora
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IMMUNOTOSSINE + anticorpi monoclonali (+ ART, naturalmente)

Messaggio da Dora » sabato 11 gennaio 2014, 10:44

È il momento degli anticorpi - e speriamo che non siano solo meteore, fuochi d'artificio o mode scientifiche, ma si rivelino invece una strada proficua verso la cura.
Su PLoS Pathogens è uscito l’altro giorno un articolo che ci riporta ai topi, ma che mi pare molto interessante, perché racconta di una ricerca per certi aspetti affine a quelle trattate nel thread Ruolo degli anticorpi monoclonali in una strategia di cura, ma con un elemento in più: un anticorpo monoclonale combinato con una tossina batterica per distruggere i reservoir di virus latente in persone con viremia soppressa dalla ART.
È una ricerca targata University of North Carolina, Chapel Hill e NIAID, cui hanno partecipato scienziati di gran nome, da Victor Garcia (uno dei padri dei topi umanizzati), al solito prezzemolino David Margolis.

Due ricercatori del NIAID che hanno firmato l’articolo, Ira Pastan e Edward Berger, sono gli autori di un lavoro, uscito sempre su PLoS Pathogens ma nel 2010, dedicato all’uso di immunotossine in persone in terapia antiretrovirale per contribuire alla deplezione del reservoir. Poiché quel lavoro è l’antecedente di questo, penso sia utile ricordarlo per sommi capi.

Le immunotossine sono proteine ricombinanti o bi-funzionali, che combinano insieme una proteina tossica e un anticorpo, costruito per legarsi a uno specifico target che verrà distrutto dalla tossina portata in loco dall’anticorpo.
L’idea esposta da Pastan e Berger in quell’articolo era che, dal momento che gli antiretrovirali bloccano specifici momenti del ciclo di replicazione del virus, impedendo l’infezione di nuove cellule, ma non sono capaci di distruggere le cellule già infettate, un’integrazione della ART con immunotossine potrebbe permettere di superare questo limite dei farmaci.

In particolare, Pastan e Berger proponevano di usare una tossina basata sull’esotossina A Pseudomonas aeruginosa (PE), che si lega direttamente alla sub unità gp120 della proteina Env dell’HIV e che è stata sviluppata proprio da loro al NIAID più di 20 anni fa. Quando l’esotossina fu testata su modelli cellulari, distrusse tutte le cellule che esprimevano la Env in modo dose-dipendente, lasciando inalterate le altre. Purtroppo però, quando venne testata in un trial clinico di era pre-ART alla massima dose tollerata, non ebbe effetti antivirali, né migliorò lo stato immunitario dei pazienti. In compenso in alcuni si rivelò epatotossica, confermando la pessima fama che stava cominciando a gravare sulle immunotossine. Il fallimento di quella che, in sostanza, era una monoterapia bloccò le sperimentazioni e di immunotossine per curare l’HIV per molti anni nessuno parlò più.

Ma con l’avvento di farmaci antiretrovirali che, combinati insieme, consentivano di abbattere la replicazione dell’HIV al di sotto di soglie via via più basse e, soprattutto, dopo l’”eradication summer” del 2009, quando pareva che l’eradicazione dovesse essere un obiettivo quasi a portata di mano, l’idea di usare qualche tossina batterica per arrivare dove la ART non riusciva a spingersi cominciò ad essere sempre più attraente, tanto più che questo tipo di immunoterapia stava dando ottimi risultati in campo oncologico.

Fu così che, avendo dal 1998 a disposizione una tossina PE del tutto rinnovata (3B3-PE), meno epatotossica e più efficace, Pastan e Berger la testarono su cellule e topi e videro che, se era incapace di distruggere una cellula infettata da poco, che ancora non esprimeva la proteina virale Env sulla propria superficie, e quindi non poteva servire a bloccare l’infezione prima che si diffondesse ovunque, in compenso sapeva lavorare bene insieme agli antiretrovirali: la ART bloccava la replicazione e la 3B3-PE uccideva tutte le cellule che costituivano un reservoir di virus, pronto a reinnescare nuovi cicli di infezione se la ART veniva sospesa.

Scrivevano nel 2010 Pastan e Berger:

  • Il possibile impatto di un’integrazione [della ART] con l’immunotossina è particolarmente interessante nel caso dell’ipotesi che la viremia residua possa derivare prevalentemente da un tipo di cellule che non conosciamo e che sono in grado di proliferare e di rilasciare continuamente del virus; un trattamento con immunotossina potrebbe essere particolarmente adatto a colpire queste cellule che producono virus. Tuttavia, il fatto che l’attività dell’immunotossina sia ristretta a cellule che sulla superficie esprimono la Env quasi certamente può compromettere la sua efficacia ultima nel contesto di reservoir persistenti di linfociti T CD4+ latentemente infetti. [Si potrebbe costruire un’immunotossina che colpisca la Gag, che oggi sappiamo essere espressa anche da una consistente porzione di cellule latentemente infette. Ma questo sarà l’oggetto di un prossimo post.]
    Ne segue che, per avere un beneficio che duri nel tempo, potrebbe essere necessario un attacco in tre fasi: e cioè combinando la ART più l’immunotossina con un trattamento che sia finalizzato a innescare l’espressione dell’HIV dai genomi provirali latenti


Letto oggi, dopo aver appreso la lezione di Siliciano del 2012, tutto questo sembra avere ancora più senso, vero? Serve qualcosa per distruggere le cellule latentemente infette riattivate: le immunotossine potrebbero offrirci una via.

E così arriviamo all’articolo di Denton, Garcia e colleghi e ad una delle ormai molte declinazioni della strategia di eradicazione “Kick (o shock) and Kill” – sul sempre più importante versante del “kill”.
L’idea di questo lavoro è stata quella da cui erano partiti gli scienziati del NIAID: combinare insieme l’immunotossina PE38 con l’anticorpo monoclonale 3B3 e ipotizzare che l’anticorpo avrebbe riconosciuto le cellule infette che esprimevano sulla superficie la Env dell’HIV, si sarebbe attaccato alla proteina e avrebbe così permesso alla tossina di entrare nella cellula e ucciderla.

La competenza di Victor Garcia nel creare modelli di topi umanizzati ha fatto il resto: sono stati fatti nascere 40 topi privi di sistema immunitario e, poco dopo la nascita, sono stati dotati di un sistema immunitario umano (impiantando midollo osseo, fegato e timo – modello murino BLT, un fenotipo in cui la disseminazione delle cellule ematopoietiche umane in tutto l’organismo del topo facilita l’analisi di tanti tessuti diversi).
Poi i topi sono stati infettati con HIV e trattati con ART finché hanno raggiunto viremie irrilevabili. Sono poi stati trattati per 2 settimane con 3B3-PE38 e questo ha causato un’ulteriore diminuzione di quasi 2 log dei livelli di HIV RNA, sia nelle cellule, sia nei tessuti (polmoni, fegato, milza – tipiche indagini estremamente invasive, che negli esseri umani non si possono fare).

Dal momento che questa immunoterapia colpisce una proteina dell’HIV espressa sulle cellule produttivamente infette, perché sia efficace è necessaria una attiva trascrizione del virus. Per questa ragione, in questo studio non è stato misurato il reservoir latente e le conclusioni tratte dai ricercatori si basano sulla misurazione dell’RNA virale associato alle cellule e del numero di cellule che attivamente producono virus.

Quello che questo studio ha dimostrato è che la 3B3-PE38 uccide le cellule che producono RNA virale in ogni comparto dell’organismo, così che la riduzione dei livelli di HIV RNA durante questa terapia combinata è maggiore di quella ottenuta con la sola ART.

Immagine

Non è ancora il “Kick & Kill”, perché manca la parte del risveglio del virus latente nel reservoir, ma è un bel passo oltre la sola ART, che questo studio proof of concept dimostra poter essere notevolmente migliorata mediante l’integrazione con immunotossine.

Garcia e colleghi ritengono che, oltre alla 3B3-PE38, si potrebbero utilizzare altre immunotossine, che colpiscano target differenti. Infatti, è probabile che serviranno diversi interventi citotossici per eradicare completamente l’HIV, dal momento che

  • 1. le immunotossine sono immunogeniche, cioè inducono una risposta immunitaria che porta alla produzione di anticorpi contro le tossine stesse, quindi non possono essere usate per periodi prolungati;
    2. è necessario arrivare a colpire diversi tipi di cellule produttivamente infette;
    3. è possibile che si arrivi alla selezione di quasispecie virali resistenti alle singole immunotossine utilizzate.





FONTI:



uffa2
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Re: IMMUNOTOSSINE + anticorpi monoclonali (+ ART, naturalmen

Messaggio da uffa2 » sabato 11 gennaio 2014, 13:35

che bel lavoro, il tuo intendo... sono riuscito a capirlo persino io...
mi pare che sia una strada interessante, ma accidentata, giusto?


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Dora
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Iscritto il: martedì 7 luglio 2009, 10:48

Re: IMMUNOTOSSINE + anticorpi monoclonali (+ ART, naturalmen

Messaggio da Dora » domenica 12 gennaio 2014, 11:14

uffa2 ha scritto:che bel lavoro, il tuo intendo... sono riuscito a capirlo persino io...

Grazie!

mi pare che sia una strada interessante, ma accidentata, giusto?
Che in questa storia non ci siano pasti gratis purtroppo lo sappiamo. Quelle stesse immunotossine che in vitro e nei modelli animali danno buoni risultati potrebbero poi risultare troppo immunogeniche quando si passa alla sperimentazione sull'uomo e questo aspetto è adombrato nella preoccupazione di Garcia di non poter usare la 3B3-PE38 per un tempo sufficientemente lungo e quindi di dover usare più immunotossine diverse. E anche Pastan e Berger nell'articolo del 2010 prevedevano un trattamento con la loro immunotossina per brevi periodi, analogamente ai protocolli seguiti in oncologia: 3 iniezioni a settimana, per 1-2 settimane, proprio perché è probabile che vengano stimolati anticorpi contro la tossina PE, che è altamente immunogenica.

Inoltre, c'è da tener conto che - in generale - la specificità di bersaglio delle immunotossine può non essere perfetta e possono causare tossicità in cellule che invece si devono assolutamente preservare.
Ora, Garcia e colleghi non ci parlano di effetti off-target, mentre Berger e Pastan raccontano di aver testato la specificità della loro immunotossina nel colpire solo le cellule Env+ in sistemi cellulari diversi (e anche su monociti/macrofagi, che presentano livelli di Env molto bassi sulla loro superficie) e di aver riscontrato che soltanto quelle cellule venivano distrutte.
Per di più, dosi altissime di 3B3-PE38 iniettate in vena in alcuni macachi rhesus non hanno causato alcuna tossicità epatica e questo li ha portati a ritenere che, sia per la potenza citotossica, sia per il buon profilo a livello di epatotossicità, la 3B3-PE38 sia un buon candidato da testare su esseri umani.

Questo approccio con le immunotossine è abbastanza simile a quello di radioimmunoterapia di cui abbiamo parlato un mese fa nel thread Radio Immuno Terapia (RIT). E infatti Berger e Pastan concludevano il loro articolo dicendo che, se la 3B3-PE38 dovesse funzionare su esseri umani, il problema dell'immunogenicità potrebbe essere aggirato (come sostengono anche Garcia e colleghi) passando ad altre citotossine specificamente anti-Env, basate su altri batteri o su tossine di origine vegetale, oppure anche utilizzando radionuclidi che svolgano la stessa funzione della PE nel distruggere le cellule infette.



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