Re: [II] A. SAVARINO: dai macachi ai trial clinici sugli uomini
Inviato: giovedì 4 marzo 2021, 18:45
Ma che palle, non se ne esce.... Ci speravo tanto in loro
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L'abstract:Dora ha scritto: ↑giovedì 4 marzo 2021, 9:39vCROI 2021
Un titolo che non promette nulla di buono ...
Dallo scorso marzo sono in attesa di leggere il lavoro di Savarino, Diaz e colleghi che spieghi se il virus ricomparso nel São Paulo Patient sia un rebound del vecchio virus, che sancisce la fine del controllo virale ottenuto grazie ad auranofin e nicotinamide, oppure una nuova infezione, infelicemente e inopinatamente occorsa in una persona che era davvero guarita.
[...] Nel 2013, i miei collaboratori ed io cominciammo a raccogliere i primi risultati in vivo derivanti da una strategia sperimentale, che era volta ad eradicare HIV e a colpire i reservoir di HIV-1. Questo reservoir è formato da cellule infette che contengono provirus integrato in una forma latente per un periodo di tempo prolungato e sono responsabili della persistenza di HIV nonostante terapie antiretrovirali efficaci (ART). La loro riattivazione reinnesca l'infezione nel caso in cui la ART a vita sia sospesa. Tuttavia, in questo caso, dei macachi cronicamente infetti con il virus delle scimmie omologo ad HIV, SIVmac251, erano stati sottoposti a una terapia volta specificamente all'eliminazione del reservoir virale prima che la ART fosse sospesa (più informazioni qui).
Il risultato fu, a mio avviso, rilevante: benché si siano misurati rialzi periodici delle viremie, i macachi furono in grado di "schiacciare" di nuovo il virus a livelli irrilevabili in modo consistente, mantenendo infine un'accettabile conta dei CD4 (un importante marker prognostico nelle infezioni retrovirali), così come buone condizioni di salute per l'intera durata del follow up (più di 2 anni).
Colpire le regioni conservate di HIV
Inaspettatamente, il mio allora studente di PhD Iart Luca Shytaj (*), scoprì che il risultato ottenuto era non solo collegato al restringimento del reservoir, ma anche alla generazione di una immunità specifica diretta contro la proteina Gag del capside. Decidemmo dunque di analizzare ulteriormente queste inattese risposte immuni. Scoprimmo che le risposte immuni erano dirette verso quelle porzioni della proteina Gag di HIV che era meno probabile che mutassero, cioè le porzioni responsabili della multimerizzazione [multimerization] della Gag e la formazione dello "scheletro" delle particelle virali. Se queste porzioni della proteina Gag mutassero molto, l'architettura generale dei virioni ne sarebbe compromessa e il virus diventerebbe non infettivo.
Queste risposte appartenevano al tipo chiamato "risposte cellulo-mediate" che, a differenza delle risposte mediate dagli anticorpi, non sono rivolte alla neutralizzazione del patogeno, ma alla distruzione della sua fonte, cioè le cellule infette in grado di produrre una nuova progenie virale.
Alcuni anni dopo, il gruppo di Ricardo Sobhie Diaz alla Università Federale di San Paolo (UNIFESP), in Brasile, ritenne che gli approcci correnti a un vaccino contro HIV richiedessero un mutamento radicale e decise di rivolgere l'immunità specificamente verso le porzioni di Gag altamente conservate di cui ho parlato.
Un approccio personalizzato
Nel nostro articolo appena pubblicato in AIDS Research and Therapy, abbiamo sequenziato i virus che infettavano ciascun partecipante al trial clinico. Abbiamo poi caratterizzato le molecole HLA di ciascun partecipante, che hanno grande variabilità nella popolazione e possono presentare gli epitopi virali alle cellule del sistema immunitario chiamate linfociti T CD8, che possono così acquisire la capacità di eliminare le cellule infette. Grazie a tecniche bioinformatiche, abbiamo identificato le porzioni del virus di ciascun partecipante al trial che potevano meglio legarsi alle loro personali molecole HLA. I peptidi virali così identificati sono stati assorbiti entro le molecole HLA di cellule immuni chiamate cellule dendritiche ed estratte dal sangue dei partecipanti al trial. Le cellule sono poi state re-inoculate nei medesimi donatori.
Tra i risultati di questo trial, due pazienti hanno avuto DNA virale (cioè la forma sotto la quale il virus permane silente nel corpo) irrilevabile alla fine di un protocollo terapeutico sperimentale, in particolare - e questo è notevole - in biopsie rettali (il retto è un luogo in cui HIV si nasconde durante la ART standard). [...]
(*) Una cosa che ho sempre apprezzato di Savarino è l'onestà con cui riconosce pubblicamente i meriti dei suoi collaboratori - una caratteristica assai rara nel mondo della ricerca.
(Trad.it. di Dora)
Implicazioni per il futuro
Questa ricerca offre una proof of concept dell'immunogenicità e della parziale efficacia dell'immunizzazione personalizzata mediante cellule dendritiche autologhe "addestrate" con peptidi da regioni altamente conservate della proteina Gag del capside di HIV. Diversi ostacoli devono ancora essere superati prima che questa sia una potenziale nuova terapia volta all'eradicazione di HIV. L'efficacia è ancora parziale, il metodo necessita ancora di essere migliorato, per esempio con farmaci che specificamente colpiscano il reservoir di HIV. Il processo è ancora troppo complesso per diventare scalabile. Servirà una completa automatizzazione delle tecniche più avanzate per diminuire i costi e il personale necessari a livello industriale.
Come non condividere...
Dunque il Paziente di San Paolo non è stato così avventato o disgraziato da reinfettarsi, dopo tutto.one exceptional participant (São Paulo Patient) rebounded at 511 days
Però non ho idea se delle analisi epigenetiche come quelle fatte in una ricerca si possano fare agevolmente in un contesto clinico. Vedere la sensibilità a un anticorpo, come ormai mi pare si debba fare ogni volta che si pensa di trattare qualcuno con qualche bNAb, è semplice; individuare il profilo di chi potrebbe avere un rebound più dilazionato nel tempo (e di quanto?) mi pare ben altra cosa. In ogni caso, un passetto avanti come dici tu.
Insomma, magari non si riesce ancora a curare, ma almeno con questi interventi non si fanno invecchiare anzitempo i volontari dei trial.Findings suggest that multimodal curative interventions involving ART intensification and immune-based approaches in PLWH do not increase/accelerate epigenetic biomarkers of aging, mortality risk, and pace of aging.
L'Ospedale Generale dell'Università di São Paulo sta iniziando una sperimentazione clinica di fase I, diretta dal professor Alberto José da Silva Duarte, su un vaccino terapeutico basato su cellule dendritiche (pulsate o non-pulsate con peptidi di HIV) nel controllo della viremia in persone che sospendono la cART:Dora ha scritto: ↑domenica 16 gennaio 2022, 10:15
CELLULE DENDRITICHE AUTOLOGHE ADDESTRATE CON PEPTIDI DI GAG A RICONOSCERE HIV: UN VACCINO TERAPEUTICO PERSONALIZZATO.
Della nuova sperimentazione brasiliana sul protocollo con auranofin e nicotinamide non so ancora nulla, così come non trovo alcuna pubblicazione del gruppo di Ricardo Diaz in cui si faccia un'analisi del virus di rebound del paziente, che prima pareva guarito e poi invece no: è stato, come ci si potrebbe legittimamente attendere, un normale rebound del vecchio virus, per quanto molto ritardato rispetto alla media a indicazione comunque di una certa efficacia dell'intervento effettuato? O quella viremia è dovuta a un virus nuovo, una nuova infezione, come adombrato da Diaz durante la sua presentazione al CROI? Non è chiaro, ma un chiarimento è dovuto e spero arrivi presto.
Passiamo quindi alla notizia di oggi: la pubblicazione su AIDS Research and Therapy di una interessantissima analisi su un aspetto che finora abbiamo trascurato della sperimentazione brasiliana, quello del "vaccino terapeutico" personalizzato, che è stato somministrato in due bracci del trial clinico, il 5 e il 6, con e senza regime di condizionamento con auranofin e nicotinamide (i 5 partecipanti del braccio 5 hanno ricevuto solo la cART intensificata e il vaccino terapeutico, mentre i 5 del gruppo 6 hanno ricevuto il protocollo completo):
Immunogenicity of personalized dendritic-cell therapy in HIV-1 infected individuals under suppressive antiretroviral treatment: interim analysis from a phase II clinical trial
Prima di entrare nel vivo dell'articolo, A Personalized Approach to HIV, un post scritto venerdì scorso da Andrea Savarino nel blog On Health di BMC (BioMed Central), ci aiuta a capire gli antefatti grazie alla grande semplicità con cui è scritto (complimenti, una bella lezione ai tanti colleghi che si improvvisano divulgatori).
[...] Nel 2013, i miei collaboratori ed io cominciammo a raccogliere i primi risultati in vivo derivanti da una strategia sperimentale, che era volta ad eradicare HIV e a colpire i reservoir di HIV-1. Questo reservoir è formato da cellule infette che contengono provirus integrato in una forma latente per un periodo di tempo prolungato e sono responsabili della persistenza di HIV nonostante terapie antiretrovirali efficaci (ART). La loro riattivazione reinnesca l'infezione nel caso in cui la ART a vita sia sospesa. Tuttavia, in questo caso, dei macachi cronicamente infetti con il virus delle scimmie omologo ad HIV, SIVmac251, erano stati sottoposti a una terapia volta specificamente all'eliminazione del reservoir virale prima che la ART fosse sospesa (più informazioni qui).
Il risultato fu, a mio avviso, rilevante: benché si siano misurati rialzi periodici delle viremie, i macachi furono in grado di "schiacciare" di nuovo il virus a livelli irrilevabili in modo consistente, mantenendo infine un'accettabile conta dei CD4 (un importante marker prognostico nelle infezioni retrovirali), così come buone condizioni di salute per l'intera durata del follow up (più di 2 anni).
Colpire le regioni conservate di HIV
Inaspettatamente, il mio allora studente di PhD Iart Luca Shytaj (*), scoprì che il risultato ottenuto era non solo collegato al restringimento del reservoir, ma anche alla generazione di una immunità specifica diretta contro la proteina Gag del capside. Decidemmo dunque di analizzare ulteriormente queste inattese risposte immuni. Scoprimmo che le risposte immuni erano dirette verso quelle porzioni della proteina Gag di HIV che era meno probabile che mutassero, cioè le porzioni responsabili della multimerizzazione [multimerization] della Gag e la formazione dello "scheletro" delle particelle virali. Se queste porzioni della proteina Gag mutassero molto, l'architettura generale dei virioni ne sarebbe compromessa e il virus diventerebbe non infettivo.
Queste risposte appartenevano al tipo chiamato "risposte cellulo-mediate" che, a differenza delle risposte mediate dagli anticorpi, non sono rivolte alla neutralizzazione del patogeno, ma alla distruzione della sua fonte, cioè le cellule infette in grado di produrre una nuova progenie virale.
Alcuni anni dopo, il gruppo di Ricardo Sobhie Diaz alla Università Federale di San Paolo (UNIFESP), in Brasile, ritenne che gli approcci correnti a un vaccino contro HIV richiedessero un mutamento radicale e decise di rivolgere l'immunità specificamente verso le porzioni di Gag altamente conservate di cui ho parlato.
Un approccio personalizzato
Nel nostro articolo appena pubblicato in AIDS Research and Therapy, abbiamo sequenziato i virus che infettavano ciascun partecipante al trial clinico. Abbiamo poi caratterizzato le molecole HLA di ciascun partecipante, che hanno grande variabilità nella popolazione e possono presentare gli epitopi virali alle cellule del sistema immunitario chiamate linfociti T CD8, che possono così acquisire la capacità di eliminare le cellule infette. Grazie a tecniche bioinformatiche, abbiamo identificato le porzioni del virus di ciascun partecipante al trial che potevano meglio legarsi alle loro personali molecole HLA. I peptidi virali così identificati sono stati assorbiti entro le molecole HLA di cellule immuni chiamate cellule dendritiche ed estratte dal sangue dei partecipanti al trial. Le cellule sono poi state re-inoculate nei medesimi donatori.
Tra i risultati di questo trial, due pazienti hanno avuto DNA virale (cioè la forma sotto la quale il virus permane silente nel corpo) irrilevabile alla fine di un protocollo terapeutico sperimentale, in particolare - e questo è notevole - in biopsie rettali (il retto è un luogo in cui HIV si nasconde durante la ART standard). [...]
(*) Una cosa che ho sempre apprezzato di Savarino è l'onestà con cui riconosce pubblicamente i meriti dei suoi collaboratori - una caratteristica assai rara nel mondo della ricerca.
(Trad.it. di Dora)
Ora abbiamo gli strumenti per iniziare a capire in che cosa consiste il "vaccino terapeutico" usato nel trial brasiliano - quello che nell'articolo su AIDS Research and Therapy viene chiamato Monocyte-Derived Dendritic-cell Therapy (MDDCT).
Senza entrare in dettagli tecnici, ai 10 partecipanti (braccio 5+6) sono state prelevate le PBMC (cellule mononucleate del sangue periferico), da questo pool di cellule sono stati selezionati i monociti e questi sono stati fatti differenziare in cellule dendritiche (DC).
Parallelamente, sono state sequenziate le proteine Gag dei virus dei 10 partecipanti, sono stati determinati i loro profili HLA, sono stati selezionati i peptidi delle Gag in base alla loro prevista immunogenicità individuale. Questi peptidi sono stati poi utilizzati per "addestrare" le cellule dendritiche a riconoscere i virus presenti specificamente nel loro ospite.
Il vaccino così costruito è stato somministrato ad ogni partecipante tre volte, una ogni 15 giorni e dopo avere o non avere trattato i pazienti in cART intensificata con dolutegravir con auranofin + nicotinamide. Il razionale del sottoporre i pazienti del gruppo 6 a questa sorta di "condizionamento" con auranofin (che ha la capacità di diminuire il numero di CD4 della memoria centrale, che costituiscono il maggiore e più resistente serbatoio di HIV latente) e nicotinamide (che è un inibitore dell'iston deacetilasi con una certa capacità anti-latenza), era quello di dare un aiuto ai CD8 nel riconoscimento del virus stimolato dalle cellule dendritiche addestrate dai peptidi di Gag.
Tutti i partecipanti poi, come sappiamo, hanno sospeso ogni trattamento.
La sostanza dell'articolo pubblicato adesso ci dice che, quando sono state esaminate in vitro le risposte dei linfociti T (prelevandoli dopo ogni somministrazione della MDDCT e anche a 120 giorni dall'ultima somministrazione), si è visto che il vaccino personalizzato non era solo fattibile, ma era stato efficace nello stimolare risposte contro il virus, senza per altro avere effetti avversi di grado superiore a 1.
Le risposte immuni nei due gruppi di pazienti sono state abbastanza simili, ma chi ha ricevuto il protocollo completo ha anche avuto livelli di DNA provirale più bassi. Questo è coerente con quanto Savarino ha visto nella sperimentazione con i macachi: il virus non è stato eradicato, ma, alla sospensione di ogni terapia, il controllo della viremia associato alla immunità cellulo-mediata anti-Gag è stato prolungato.
Naturalmente, il piccolo numero di partecipanti a questo trial pilota dà senz'altro una proof of concept al protocollo creato da Savarino, ma non offre una grande solidità a questi risultati. Per questo serve una sperimentazione più ampia, e Diaz e colleghi la annunciano anche nelle conclusioni dell'articolo.
Per concludere, lascio ancora la parola ad Andrea Savarino:
Implicazioni per il futuro
Questa ricerca offre una proof of concept dell'immunogenicità e della parziale efficacia dell'immunizzazione personalizzata mediante cellule dendritiche autologhe "addestrate" con peptidi da regioni altamente conservate della proteina Gag del capside di HIV. Diversi ostacoli devono ancora essere superati prima che questa sia una potenziale nuova terapia volta all'eradicazione di HIV. L'efficacia è ancora parziale, il metodo necessita ancora di essere migliorato, per esempio con farmaci che specificamente colpiscano il reservoir di HIV. Il processo è ancora troppo complesso per diventare scalabile. Servirà una completa automatizzazione delle tecniche più avanzate per diminuire i costi e il personale necessari a livello industriale.
Il post di Savarino si ferma qui. Forse è saltata un'ultima frase che dica all'incirca così: Ma le ricerche continuano e noi confidiamo di avere presto nuovi risultati interessanti.
O forse non serviva, perché si capisce che questa ricerca dovrà senz'altro continuare.