[II] A. SAVARINO: dai macachi ai trial clinici sugli uomini

Ricerca scientifica finalizzata all'eradicazione o al controllo dell'infezione.
Taurus
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Re: [II] A. SAVARINO: dai macachi ai trial clinici sugli uomini

Messaggio da Taurus » giovedì 4 marzo 2021, 18:45

Ma che palle, non se ne esce.... Ci speravo tanto in loro :(



Dora
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Re: [II] A. SAVARINO: dai macachi ai trial clinici sugli uomini

Messaggio da Dora » venerdì 12 marzo 2021, 15:31

Dora ha scritto:
giovedì 4 marzo 2021, 9:39
vCROI 2021

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Un titolo che non promette nulla di buono ...
L'abstract:

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Datex
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Re: [II] A. SAVARINO: dai macachi ai trial clinici sugli uomini

Messaggio da Datex » venerdì 12 marzo 2021, 17:46

io non lo vedo come un fallimento completo. il caso rimane interessante perché qualcosa, sebbene non di definitivo, è successo. oltretutto l'ultima frase non esclude che il tizio si sia infettato di nuovo con un altro ceppo. sicuramente apre nuovi orizzonti e possibilità.



Dora
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Re: [II] A. SAVARINO: dai macachi ai trial clinici sugli uomini

Messaggio da Dora » martedì 3 agosto 2021, 5:51

Dora ha scritto:
venerdì 12 marzo 2021, 15:31
Dora ha scritto:
giovedì 4 marzo 2021, 9:39
vCROI 2021

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Un titolo che non promette nulla di buono ...
L'abstract:

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Dallo scorso marzo sono in attesa di leggere il lavoro di Savarino, Diaz e colleghi che spieghi se il virus ricomparso nel São Paulo Patient sia un rebound del vecchio virus, che sancisce la fine del controllo virale ottenuto grazie ad auranofin e nicotinamide, oppure una nuova infezione, infelicemente e inopinatamente occorsa in una persona che era davvero guarita.
Questo articolo ancora non è uscito, quindi tocca continuare ad attendere.
In compenso, dal Brasile arriva la notizia che entro la fine di quest'anno la sperimentazione, interrotta causa Covid, è pronta a ricominciare.
Come spesso accade con la stampa - brasiliana, ma non solo - l'articolo si dimentica di dire che il Paziente di San Paolo non è più il terzo uomo guarito dall'HIV dopo il Paziente di Berlino e quello di Londra. Si vede che l'impressione generale della Grande Sperimentazione Nazionale di una cura dell'HIV sarebbe risultata meno favorevole. Ma è un dettaglio, quel che conta è la notizia: ci sono i fondi, si deve essere trovato il modo di non mettere a rischio Covid i partecipanti, e il trial può ricominciare su 70 nuovi volontari - 60 riceveranno il trattamento, 10 faranno da gruppo di controllo.
In bocca al lupo!



Dora
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Re: [II] A. SAVARINO: dai macachi ai trial clinici sugli uomini

Messaggio da Dora » domenica 16 gennaio 2022, 10:15

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CELLULE DENDRITICHE AUTOLOGHE ADDESTRATE CON PEPTIDI DI GAG A RICONOSCERE HIV: UN VACCINO TERAPEUTICO PERSONALIZZATO.


Della nuova sperimentazione brasiliana sul protocollo con auranofin e nicotinamide non so ancora nulla, così come non trovo alcuna pubblicazione del gruppo di Ricardo Diaz in cui si faccia un'analisi del virus di rebound del paziente, che prima pareva guarito e poi invece no: è stato, come ci si potrebbe legittimamente attendere, un normale rebound del vecchio virus, per quanto molto ritardato rispetto alla media a indicazione comunque di una certa efficacia dell'intervento effettuato? O quella viremia è dovuta a un virus nuovo, una nuova infezione, come adombrato da Diaz durante la sua presentazione al CROI? Non è chiaro, ma un chiarimento è dovuto e spero arrivi presto.

Passiamo quindi alla notizia di oggi: la pubblicazione su AIDS Research and Therapy di una interessantissima analisi su un aspetto che finora abbiamo trascurato della sperimentazione brasiliana, quello del "vaccino terapeutico" personalizzato, che è stato somministrato in due bracci del trial clinico, il 5 e il 6, con e senza regime di condizionamento con auranofin e nicotinamide (i 5 partecipanti del braccio 5 hanno ricevuto solo la cART intensificata e il vaccino terapeutico, mentre i 5 del gruppo 6 hanno ricevuto il protocollo completo):

Immunogenicity of personalized dendritic-cell therapy in HIV-1 infected individuals under suppressive antiretroviral treatment: interim analysis from a phase II clinical trial

Prima di entrare nel vivo dell'articolo, A Personalized Approach to HIV, un post scritto venerdì scorso da Andrea Savarino nel blog On Health di BMC (BioMed Central), ci aiuta a capire gli antefatti grazie alla grande semplicità con cui è scritto (complimenti, una bella lezione ai tanti colleghi che si improvvisano divulgatori).

[...] Nel 2013, i miei collaboratori ed io cominciammo a raccogliere i primi risultati in vivo derivanti da una strategia sperimentale, che era volta ad eradicare HIV e a colpire i reservoir di HIV-1. Questo reservoir è formato da cellule infette che contengono provirus integrato in una forma latente per un periodo di tempo prolungato e sono responsabili della persistenza di HIV nonostante terapie antiretrovirali efficaci (ART). La loro riattivazione reinnesca l'infezione nel caso in cui la ART a vita sia sospesa. Tuttavia, in questo caso, dei macachi cronicamente infetti con il virus delle scimmie omologo ad HIV, SIVmac251, erano stati sottoposti a una terapia volta specificamente all'eliminazione del reservoir virale prima che la ART fosse sospesa (più informazioni qui).

Il risultato fu, a mio avviso, rilevante: benché si siano misurati rialzi periodici delle viremie, i macachi furono in grado di "schiacciare" di nuovo il virus a livelli irrilevabili in modo consistente, mantenendo infine un'accettabile conta dei CD4 (un importante marker prognostico nelle infezioni retrovirali), così come buone condizioni di salute per l'intera durata del follow up (più di 2 anni).

Colpire le regioni conservate di HIV

Inaspettatamente, il mio allora studente di PhD Iart Luca Shytaj (*), scoprì che il risultato ottenuto era non solo collegato al restringimento del reservoir, ma anche alla generazione di una immunità specifica diretta contro la proteina Gag del capside. Decidemmo dunque di analizzare ulteriormente queste inattese risposte immuni. Scoprimmo che le risposte immuni erano dirette verso quelle porzioni della proteina Gag di HIV che era meno probabile che mutassero, cioè le porzioni responsabili della multimerizzazione [multimerization] della Gag e la formazione dello "scheletro" delle particelle virali. Se queste porzioni della proteina Gag mutassero molto, l'architettura generale dei virioni ne sarebbe compromessa e il virus diventerebbe non infettivo.

Queste risposte appartenevano al tipo chiamato "risposte cellulo-mediate" che, a differenza delle risposte mediate dagli anticorpi, non sono rivolte alla neutralizzazione del patogeno, ma alla distruzione della sua fonte, cioè le cellule infette in grado di produrre una nuova progenie virale.

Alcuni anni dopo, il gruppo di Ricardo Sobhie Diaz alla Università Federale di San Paolo (UNIFESP), in Brasile, ritenne che gli approcci correnti a un vaccino contro HIV richiedessero un mutamento radicale e decise di rivolgere l'immunità specificamente verso le porzioni di Gag altamente conservate di cui ho parlato.

Un approccio personalizzato

Nel nostro articolo appena pubblicato in AIDS Research and Therapy, abbiamo sequenziato i virus che infettavano ciascun partecipante al trial clinico. Abbiamo poi caratterizzato le molecole HLA di ciascun partecipante, che hanno grande variabilità nella popolazione e possono presentare gli epitopi virali alle cellule del sistema immunitario chiamate linfociti T CD8, che possono così acquisire la capacità di eliminare le cellule infette. Grazie a tecniche bioinformatiche, abbiamo identificato le porzioni del virus di ciascun partecipante al trial che potevano meglio legarsi alle loro personali molecole HLA. I peptidi virali così identificati sono stati assorbiti entro le molecole HLA di cellule immuni chiamate cellule dendritiche ed estratte dal sangue dei partecipanti al trial. Le cellule sono poi state re-inoculate nei medesimi donatori.

Tra i risultati di questo trial, due pazienti hanno avuto DNA virale (cioè la forma sotto la quale il virus permane silente nel corpo) irrilevabile alla fine di un protocollo terapeutico sperimentale, in particolare - e questo è notevole - in biopsie rettali (il retto è un luogo in cui HIV si nasconde durante la ART standard). [...]





(*) Una cosa che ho sempre apprezzato di Savarino è l'onestà con cui riconosce pubblicamente i meriti dei suoi collaboratori - una caratteristica assai rara nel mondo della ricerca.

(Trad.it. di Dora)

Ora abbiamo gli strumenti per iniziare a capire in che cosa consiste il "vaccino terapeutico" usato nel trial brasiliano - quello che nell'articolo su AIDS Research and Therapy viene chiamato Monocyte-Derived Dendritic-cell Therapy (MDDCT).
Senza entrare in dettagli tecnici, ai 10 partecipanti (braccio 5+6) sono state prelevate le PBMC (cellule mononucleate del sangue periferico), da questo pool di cellule sono stati selezionati i monociti e questi sono stati fatti differenziare in cellule dendritiche (DC).
Parallelamente, sono state sequenziate le proteine Gag dei virus dei 10 partecipanti, sono stati determinati i loro profili HLA, sono stati selezionati i peptidi delle Gag in base alla loro prevista immunogenicità individuale. Questi peptidi sono stati poi utilizzati per "addestrare" le cellule dendritiche a riconoscere i virus presenti specificamente nel loro ospite.
Il vaccino così costruito è stato somministrato ad ogni partecipante tre volte, una ogni 15 giorni e dopo avere o non avere trattato i pazienti in cART intensificata con dolutegravir con auranofin + nicotinamide. Il razionale del sottoporre i pazienti del gruppo 6 a questa sorta di "condizionamento" con auranofin (che ha la capacità di diminuire il numero di CD4 della memoria centrale, che costituiscono il maggiore e più resistente serbatoio di HIV latente) e nicotinamide (che è un inibitore dell'iston deacetilasi con una certa capacità anti-latenza), era quello di dare un aiuto ai CD8 nel riconoscimento del virus stimolato dalle cellule dendritiche addestrate dai peptidi di Gag.

Tutti i partecipanti poi, come sappiamo, hanno sospeso ogni trattamento.

La sostanza dell'articolo pubblicato adesso ci dice che, quando sono state esaminate in vitro le risposte dei linfociti T (prelevandoli dopo ogni somministrazione della MDDCT e anche a 120 giorni dall'ultima somministrazione), si è visto che il vaccino personalizzato non era solo fattibile, ma era stato efficace nello stimolare risposte contro il virus, senza per altro avere effetti avversi di grado superiore a 1.
Le risposte immuni nei due gruppi di pazienti sono state abbastanza simili, ma chi ha ricevuto il protocollo completo ha anche avuto livelli di DNA provirale più bassi. Questo è coerente con quanto Savarino ha visto nella sperimentazione con i macachi: il virus non è stato eradicato, ma, alla sospensione di ogni terapia, il controllo della viremia associato alla immunità cellulo-mediata anti-Gag è stato prolungato.

Naturalmente, il piccolo numero di partecipanti a questo trial pilota dà senz'altro una proof of concept al protocollo creato da Savarino, ma non offre una grande solidità a questi risultati. Per questo serve una sperimentazione più ampia, e Diaz e colleghi la annunciano anche nelle conclusioni dell'articolo.

Per concludere, lascio ancora la parola ad Andrea Savarino:

Implicazioni per il futuro

Questa ricerca offre una proof of concept dell'immunogenicità e della parziale efficacia dell'immunizzazione personalizzata mediante cellule dendritiche autologhe "addestrate" con peptidi da regioni altamente conservate della proteina Gag del capside di HIV. Diversi ostacoli devono ancora essere superati prima che questa sia una potenziale nuova terapia volta all'eradicazione di HIV. L'efficacia è ancora parziale, il metodo necessita ancora di essere migliorato, per esempio con farmaci che specificamente colpiscano il reservoir di HIV. Il processo è ancora troppo complesso per diventare scalabile. Servirà una completa automatizzazione delle tecniche più avanzate per diminuire i costi e il personale necessari a livello industriale.


Il post di Savarino si ferma qui. Forse è saltata un'ultima frase che dica all'incirca così: Ma le ricerche continuano e noi confidiamo di avere presto nuovi risultati interessanti.
O forse non serviva, perché si capisce che questa ricerca dovrà senz'altro continuare. Immagine



Blast
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Re: [II] A. SAVARINO: dai macachi ai trial clinici sugli uomini

Messaggio da Blast » domenica 16 gennaio 2022, 16:31

Dora ha scritto:
domenica 16 gennaio 2022, 10:15
(*) Una cosa che ho sempre apprezzato di Savarino è l'onestà con cui riconosce pubblicamente i meriti dei suoi collaboratori - una caratteristica assai rara nel mondo della ricerca.
Come non condividere...

Mi piace questo approccio di terapia personalizzata che da un po' di anni è sempre più in voga (e finanziata).
Certo è vero che come dice lui, allo stato dell'arte, la vedo un po' dura costituire team di bioinformatici, specialisti di HLA, e tutto il resto, per ciascun paziente HIV sparso nel mondo, ma chissà che non si riesca velocizzare il tutto con le nuove tecnologie (la bioinformatica prima tra tutte).


CIAO GIOIE

Dora
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Re: [II] A. SAVARINO: dai macachi ai trial clinici sugli uomini

Messaggio da Dora » giovedì 16 marzo 2023, 11:41

Da molto tempo mancavano aggiornamenti relativamente al trial brasiliano su auranofin etc.
Savarino, Diaz e colleghi hanno portato un poster al CROI 2023, che non ci dice molto sulle prospettive future dell'auranofin come parte di una cura funzionale di HIV, ma contribuisce con dettagli- troppo tecnici perché abbia senso discuterli qui - al lavoro di cesello che tanti gruppi di ricerca stanno facendo in questi anni per permetterci di capire le dinamiche del rebound delle viremie una volta che si sospenda la cART:

#383 - PREEXISTING HOST EPIGENETIC STATES ASSOCIATED WITH HIV REBOUND KINETICS

Immagine

Per chi lo vuole, qui c'è il poster.

Per chi, come me, ha atteso molto a lungo una parola sulle stupefacenti (e offensive) dichiarazioni di Ricardo Diaz, secondo cui il paziente che aveva tanto bene controllato la viremia da far pensare fosse guarito, ma poi aveva visto un ritorno del virus forse perché si era re-infettato, una frase toglie ogni dubbio:
one exceptional participant (São Paulo Patient) rebounded at 511 days
Dunque il Paziente di San Paolo non è stato così avventato o disgraziato da reinfettarsi, dopo tutto.



uffa2
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Re: [II] A. SAVARINO: dai macachi ai trial clinici sugli uomini

Messaggio da uffa2 » giovedì 16 marzo 2023, 15:53

quindi il poster suggerisce un percorso di "medicina di precisione", cioè "ti somministro il farmaco perché il tuo profilo ci dice che con te potrebbe funzionare", se è vero e non un auspicio, comunque è un passetto in avanti...


HIVforum ha bisogno anche di te!
se vuoi offrire le tue conoscenze tecniche o linguistiche (c'è tanto da tradurre) o sostenere i costi per mantenere e sviluppare HIVforum, contatta con un PM stealthy e uffa2, oppure scrivi a staff@hivforum.info

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Re: [II] A. SAVARINO: dai macachi ai trial clinici sugli uomini

Messaggio da Dora » giovedì 16 marzo 2023, 16:18

uffa2 ha scritto:
giovedì 16 marzo 2023, 15:53
quindi il poster suggerisce un percorso di "medicina di precisione", cioè "ti somministro il farmaco perché il tuo profilo ci dice che con te potrebbe funzionare", se è vero e non un auspicio, comunque è un passetto in avanti...
Però non ho idea se delle analisi epigenetiche come quelle fatte in una ricerca si possano fare agevolmente in un contesto clinico. Vedere la sensibilità a un anticorpo, come ormai mi pare si debba fare ogni volta che si pensa di trattare qualcuno con qualche bNAb, è semplice; individuare il profilo di chi potrebbe avere un rebound più dilazionato nel tempo (e di quanto?) mi pare ben altra cosa. In ogni caso, un passetto avanti come dici tu.

Mi è parso molto interessante l'ultimo punto delle conclusioni del poster:
Findings suggest that multimodal curative interventions involving ART intensification and immune-based approaches in PLWH do not increase/accelerate epigenetic biomarkers of aging, mortality risk, and pace of aging.
Insomma, magari non si riesce ancora a curare, ma almeno con questi interventi non si fanno invecchiare anzitempo i volontari dei trial. ;)

Peccato che un lavoro così non abbia dato modo a Savarino, Diaz e colleghi di dire se continueranno le sperimentazioni cliniche o se l'auranofin si ferma qui.



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Re: [II] A. SAVARINO: dai macachi ai trial clinici sugli uomini

Messaggio da Dora » martedì 18 aprile 2023, 6:47

Dora ha scritto:
domenica 16 gennaio 2022, 10:15
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CELLULE DENDRITICHE AUTOLOGHE ADDESTRATE CON PEPTIDI DI GAG A RICONOSCERE HIV: UN VACCINO TERAPEUTICO PERSONALIZZATO.


Della nuova sperimentazione brasiliana sul protocollo con auranofin e nicotinamide non so ancora nulla, così come non trovo alcuna pubblicazione del gruppo di Ricardo Diaz in cui si faccia un'analisi del virus di rebound del paziente, che prima pareva guarito e poi invece no: è stato, come ci si potrebbe legittimamente attendere, un normale rebound del vecchio virus, per quanto molto ritardato rispetto alla media a indicazione comunque di una certa efficacia dell'intervento effettuato? O quella viremia è dovuta a un virus nuovo, una nuova infezione, come adombrato da Diaz durante la sua presentazione al CROI? Non è chiaro, ma un chiarimento è dovuto e spero arrivi presto.

Passiamo quindi alla notizia di oggi: la pubblicazione su AIDS Research and Therapy di una interessantissima analisi su un aspetto che finora abbiamo trascurato della sperimentazione brasiliana, quello del "vaccino terapeutico" personalizzato, che è stato somministrato in due bracci del trial clinico, il 5 e il 6, con e senza regime di condizionamento con auranofin e nicotinamide (i 5 partecipanti del braccio 5 hanno ricevuto solo la cART intensificata e il vaccino terapeutico, mentre i 5 del gruppo 6 hanno ricevuto il protocollo completo):

Immunogenicity of personalized dendritic-cell therapy in HIV-1 infected individuals under suppressive antiretroviral treatment: interim analysis from a phase II clinical trial

Prima di entrare nel vivo dell'articolo, A Personalized Approach to HIV, un post scritto venerdì scorso da Andrea Savarino nel blog On Health di BMC (BioMed Central), ci aiuta a capire gli antefatti grazie alla grande semplicità con cui è scritto (complimenti, una bella lezione ai tanti colleghi che si improvvisano divulgatori).

[...] Nel 2013, i miei collaboratori ed io cominciammo a raccogliere i primi risultati in vivo derivanti da una strategia sperimentale, che era volta ad eradicare HIV e a colpire i reservoir di HIV-1. Questo reservoir è formato da cellule infette che contengono provirus integrato in una forma latente per un periodo di tempo prolungato e sono responsabili della persistenza di HIV nonostante terapie antiretrovirali efficaci (ART). La loro riattivazione reinnesca l'infezione nel caso in cui la ART a vita sia sospesa. Tuttavia, in questo caso, dei macachi cronicamente infetti con il virus delle scimmie omologo ad HIV, SIVmac251, erano stati sottoposti a una terapia volta specificamente all'eliminazione del reservoir virale prima che la ART fosse sospesa (più informazioni qui).

Il risultato fu, a mio avviso, rilevante: benché si siano misurati rialzi periodici delle viremie, i macachi furono in grado di "schiacciare" di nuovo il virus a livelli irrilevabili in modo consistente, mantenendo infine un'accettabile conta dei CD4 (un importante marker prognostico nelle infezioni retrovirali), così come buone condizioni di salute per l'intera durata del follow up (più di 2 anni).

Colpire le regioni conservate di HIV

Inaspettatamente, il mio allora studente di PhD Iart Luca Shytaj (*), scoprì che il risultato ottenuto era non solo collegato al restringimento del reservoir, ma anche alla generazione di una immunità specifica diretta contro la proteina Gag del capside. Decidemmo dunque di analizzare ulteriormente queste inattese risposte immuni. Scoprimmo che le risposte immuni erano dirette verso quelle porzioni della proteina Gag di HIV che era meno probabile che mutassero, cioè le porzioni responsabili della multimerizzazione [multimerization] della Gag e la formazione dello "scheletro" delle particelle virali. Se queste porzioni della proteina Gag mutassero molto, l'architettura generale dei virioni ne sarebbe compromessa e il virus diventerebbe non infettivo.

Queste risposte appartenevano al tipo chiamato "risposte cellulo-mediate" che, a differenza delle risposte mediate dagli anticorpi, non sono rivolte alla neutralizzazione del patogeno, ma alla distruzione della sua fonte, cioè le cellule infette in grado di produrre una nuova progenie virale.

Alcuni anni dopo, il gruppo di Ricardo Sobhie Diaz alla Università Federale di San Paolo (UNIFESP), in Brasile, ritenne che gli approcci correnti a un vaccino contro HIV richiedessero un mutamento radicale e decise di rivolgere l'immunità specificamente verso le porzioni di Gag altamente conservate di cui ho parlato.

Un approccio personalizzato

Nel nostro articolo appena pubblicato in AIDS Research and Therapy, abbiamo sequenziato i virus che infettavano ciascun partecipante al trial clinico. Abbiamo poi caratterizzato le molecole HLA di ciascun partecipante, che hanno grande variabilità nella popolazione e possono presentare gli epitopi virali alle cellule del sistema immunitario chiamate linfociti T CD8, che possono così acquisire la capacità di eliminare le cellule infette. Grazie a tecniche bioinformatiche, abbiamo identificato le porzioni del virus di ciascun partecipante al trial che potevano meglio legarsi alle loro personali molecole HLA. I peptidi virali così identificati sono stati assorbiti entro le molecole HLA di cellule immuni chiamate cellule dendritiche ed estratte dal sangue dei partecipanti al trial. Le cellule sono poi state re-inoculate nei medesimi donatori.

Tra i risultati di questo trial, due pazienti hanno avuto DNA virale (cioè la forma sotto la quale il virus permane silente nel corpo) irrilevabile alla fine di un protocollo terapeutico sperimentale, in particolare - e questo è notevole - in biopsie rettali (il retto è un luogo in cui HIV si nasconde durante la ART standard). [...]





(*) Una cosa che ho sempre apprezzato di Savarino è l'onestà con cui riconosce pubblicamente i meriti dei suoi collaboratori - una caratteristica assai rara nel mondo della ricerca.

(Trad.it. di Dora)

Ora abbiamo gli strumenti per iniziare a capire in che cosa consiste il "vaccino terapeutico" usato nel trial brasiliano - quello che nell'articolo su AIDS Research and Therapy viene chiamato Monocyte-Derived Dendritic-cell Therapy (MDDCT).
Senza entrare in dettagli tecnici, ai 10 partecipanti (braccio 5+6) sono state prelevate le PBMC (cellule mononucleate del sangue periferico), da questo pool di cellule sono stati selezionati i monociti e questi sono stati fatti differenziare in cellule dendritiche (DC).
Parallelamente, sono state sequenziate le proteine Gag dei virus dei 10 partecipanti, sono stati determinati i loro profili HLA, sono stati selezionati i peptidi delle Gag in base alla loro prevista immunogenicità individuale. Questi peptidi sono stati poi utilizzati per "addestrare" le cellule dendritiche a riconoscere i virus presenti specificamente nel loro ospite.
Il vaccino così costruito è stato somministrato ad ogni partecipante tre volte, una ogni 15 giorni e dopo avere o non avere trattato i pazienti in cART intensificata con dolutegravir con auranofin + nicotinamide. Il razionale del sottoporre i pazienti del gruppo 6 a questa sorta di "condizionamento" con auranofin (che ha la capacità di diminuire il numero di CD4 della memoria centrale, che costituiscono il maggiore e più resistente serbatoio di HIV latente) e nicotinamide (che è un inibitore dell'iston deacetilasi con una certa capacità anti-latenza), era quello di dare un aiuto ai CD8 nel riconoscimento del virus stimolato dalle cellule dendritiche addestrate dai peptidi di Gag.

Tutti i partecipanti poi, come sappiamo, hanno sospeso ogni trattamento.

La sostanza dell'articolo pubblicato adesso ci dice che, quando sono state esaminate in vitro le risposte dei linfociti T (prelevandoli dopo ogni somministrazione della MDDCT e anche a 120 giorni dall'ultima somministrazione), si è visto che il vaccino personalizzato non era solo fattibile, ma era stato efficace nello stimolare risposte contro il virus, senza per altro avere effetti avversi di grado superiore a 1.
Le risposte immuni nei due gruppi di pazienti sono state abbastanza simili, ma chi ha ricevuto il protocollo completo ha anche avuto livelli di DNA provirale più bassi. Questo è coerente con quanto Savarino ha visto nella sperimentazione con i macachi: il virus non è stato eradicato, ma, alla sospensione di ogni terapia, il controllo della viremia associato alla immunità cellulo-mediata anti-Gag è stato prolungato.

Naturalmente, il piccolo numero di partecipanti a questo trial pilota dà senz'altro una proof of concept al protocollo creato da Savarino, ma non offre una grande solidità a questi risultati. Per questo serve una sperimentazione più ampia, e Diaz e colleghi la annunciano anche nelle conclusioni dell'articolo.

Per concludere, lascio ancora la parola ad Andrea Savarino:

Implicazioni per il futuro

Questa ricerca offre una proof of concept dell'immunogenicità e della parziale efficacia dell'immunizzazione personalizzata mediante cellule dendritiche autologhe "addestrate" con peptidi da regioni altamente conservate della proteina Gag del capside di HIV. Diversi ostacoli devono ancora essere superati prima che questa sia una potenziale nuova terapia volta all'eradicazione di HIV. L'efficacia è ancora parziale, il metodo necessita ancora di essere migliorato, per esempio con farmaci che specificamente colpiscano il reservoir di HIV. Il processo è ancora troppo complesso per diventare scalabile. Servirà una completa automatizzazione delle tecniche più avanzate per diminuire i costi e il personale necessari a livello industriale.


Il post di Savarino si ferma qui. Forse è saltata un'ultima frase che dica all'incirca così: Ma le ricerche continuano e noi confidiamo di avere presto nuovi risultati interessanti.
O forse non serviva, perché si capisce che questa ricerca dovrà senz'altro continuare. Immagine
L'Ospedale Generale dell'Università di São Paulo sta iniziando una sperimentazione clinica di fase I, diretta dal professor Alberto José da Silva Duarte, su un vaccino terapeutico basato su cellule dendritiche (pulsate o non-pulsate con peptidi di HIV) nel controllo della viremia in persone che sospendono la cART:

Therapeutic Vaccine Based on aDC1 Dendritic Cells for the Control of Viremia After ATI in HIV Infected Individuals

Pare un trial molto ben impostato: su 30 persone con viremia ben controllata e buona situazione immunologica, randomizzato, in doppio cieco, con i partecipanti divisi in tre gruppi - placebo; immunizzazione con Alpha-type-1 Polarizing Dendritic Cells (aDC1); immunizzazione con aDC1 e sospensione della cART.
3 dosi di vaccino a un intervallo di 4 settimane.
3 settimane dopo la terza inoculazione, i partecipanti sono seguiti per 6 mesi, con prelievi di sangue e biopsie per valutare l'attivazione immunitaria, l'immunogenicità del vaccino, la risposta umorale, l'immunità cellulare nelle mucose, il reservoir virale.

Se non è il vaccino di Savarino, gli assomiglia molto. (*)


EDIT: (*) - Deve essere proprio quel vaccino o una sua evoluzione, perché Alberto José da Silva Duarte è uno degli autori dell'articolo su AIDS Research and Therapy di cui si parla nel post citato sopra. Inoltre, l'aDC1 è stato presentato a un congresso sui vaccini organizzato lo scorso ottobre dalla rivista Vaccine (quella affiliata a Science e da non confondersi con Vaccines dell'editore predone MDPI). Questo l'abstract:

Effects of Storage Solutions on the Profile of Monocyte-Derived Dendritic Cells to Be Used in a Clinical Trial for a Therapeutic Anti-Hiv-1 Vaccine



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