Ruolo degli anticorpi monoclonali in una strategia di cura

Ricerca scientifica finalizzata all'eradicazione o al controllo dell'infezione.
Dora
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Re: Ruolo degli anticorpi monoclonali in una strategia di cu

Messaggio da Dora » domenica 17 agosto 2014, 8:39

Vorrei riparlare di topi.
Sì, so che sembra di tornare indietro rispetto alla sperimentazione clinica del 3BNC117 di cui parlavamo pochi giorni fa e perfino rispetto alle scimmie di Barouch di fine anno scorso. Ma l’articolo di Michael Nussenzweig e colleghi della Rockefeller University uscito un paio di giorni fa su CellBroadly Neutralizing Antibodies and Viral Inducers Decrease Rebound from HIV-1 Latent Reservoirs in Humanized Mice – è precisamente la continuazione di quei lavori su topi e scimmie dell’anno scorso e dovrebbe far drizzare le antenne a tutti quelli che stanno seguendo questo thread sul possibile uso di bNAbs in una strategia di cura dell’infezione da HIV.
Vi viene infatti descritta una serie di esperimenti sulla combinazione di anticorpi + sostanze antilatenza per arrivare a intaccare il reservoir di HIV in un modello di topi umanizzati.

Dai lavori raccontati l’anno scorso, abbiamo visto che la combinazione di anticorpi ampiamente neutralizzanti aveva avuto sia nei topi, sia nelle scimmie, lo stesso effetto della ART di sopprimere completamente la viremia. Ma si era anche visto che, quando il trattamento con ART o bNAbs era stato sospeso, c’era stato un rebound della viremia, a indicare la persistenza di serbatoi di cellule quiescenti che ospitavano virus capace di replicazione.
Ma gli anticorpi, a differenza della ART, possono impegnare il sistema immunitario mediante la loro regione FC e così sia accelerare la distruzione del virus che circola libero da cellule, sia indurre citotossicità per uccidere le cellule infette
(gli anticorpi hanno due regioni specializzate: la regione Fab per legare l’antigene e la regione Fc [=frammento cristallizzabile] per l’azione effettrice, per legarsi ai tessuti dell’ospite e alle varie cellule del sistema immunitario. Il recettore FC è una proteina che si trova sulla superficie di diverse cellule del sistema immunitario, dai linfociti B alle NK, ai macrofagi, ai neutrofili etc. e che lega il complesso antigene-anticorpo: i recettori FC si legano agli anticorpi che si attaccano alle cellule infette o ai patogeni, e così stimolano le cellule fagocitiche e citotossiche a distruggere i microbi e le cellule infette).

In questo lavoro, Nussenzweig e colleghi hanno indagato gli effetti dei bNAbs sulla formazione del reservoir e sul suo mantenimento in presenza di quelle che noi siamo abituati a chiamare sostanze antilatenza e che loro chiamano “induttori” della trascrizione virale e hanno scoperto che, in effetti, questi anticorpi, quando somministrati come PEP (profilassi post esposizione) a topi appena infettati, possono interferire con la formazione del reservoir attraverso un meccanismo che dipende proprio dalla loro capacità di legarsi ai recettori FC.
Questo già di per sé è interessante, perché potrebbe portare a modificare i protocolli della PEP per gli uomini.

Ma la cosa più interessante che hanno scoperto – in vista di una cura dell’infezione – è che quando hanno somministrato bNAbs + una combinazione di sostanze antilatenza a topi che avevano un’infezione cronica controllata dalla ART, e poi hanno sospeso la ART, si è vista un’enorme riduzione del rebound della viremia.
Nussenzweig e colleghi hanno fatto svariati esperimenti, provando con singoli anticorpi, con singole sostanze antilatenza e con combinazioni diverse. Ma quello che ha funzionato è stata la combinazione di tre anticorpi (tri-mix: 3BNC117 [quello già in fase clinica], 10-1074, e PG16) e di tre “induttori” scelti per la loro provata capacità di indurre la trascrizione dell’HIV in vitro, per la loro sicurezza e perché se ne conoscono le proprietà farmacocinetiche nei topi (il vorinostat, che ben conosciamo, e che è l’unica sostanza fra le tre ad essere già stata testata sull’uomo, l’I-BET151, che è un inibitore della proteina BET, e il CTLA, che regola l’attivazione dei linfociti T).

Immagine

I topi che hanno ricevuto anticorpi + vorinostat non hanno mostrato differenze significative nel rebound delle viremie rispetto ai topi trattati soltanto con gli anticorpi. E lo stesso si è visto nei topi trattati con anticorpi + I-BET151 o CTLA: sui 33 topi che hanno ricevuto il mix di anticorpi + un solo induttore, 31 hanno avuto un rebound virale. Più o meno la stessa cosa accaduta nei 25 topi trattati solo con gli anticorpi: 22 hanno avuto rebound delle viremie quando i livelli degli anticorpi sono scesi sotto la soglia terapeutica.
Qualcosa di analogo si è visto quando i topi sono stati trattati con la combinazione dei tre induttori, ma senza anticorpi.

Ma quando 23 topi con viremia soppressa dalla ART e trattati con il tri-mix di anticorpi hanno ricevuto la combinazione di vorinostat + I-BET151 + CTLA e poi tutti i farmaci sono stati interrotti e gli animali sono stati seguiti per un tempo abbastanza lungo per veder decadere i titoli degli anticorpi (62-105 giorni), soltanto 10 topi su 23 (il 43%) hanno avuto un rebound delle viremie. Cioè nel 57% dei topi non si è avuto un rebound di HIV RNA nel sangue neppure quando il livello degli anticorpi era ormai troppo basso per spiegare il controllo delle viremie; e ciò è stato confermato anche dai livelli non rilevabili di HIV RNA associato alle cellule e dalla non rilevabilità di DNA virale (che invece nei topi in cui c’è stato rebound era ben rilevabile).
Perché questo non abbia funzionato nel 43% dei topi, non si sa; né è ancora stato compreso il meccanismo che spieghi la differenza di effetto fra un singolo induttore e la combinazione dei tre, anche se diversi studi su linee cellulari hanno mostrato che si crea una sinergia fra inibitori della istone-deacetilasi e inibitori della BET nel forzare la trascrizione dell’HIV in vitro. E quanto si è visto adesso in vivo nei topi conferma gli studi sulle cellule.

La conclusione di Nussenzweig e colleghi è stata dunque che

  • [divbox]MENTRE LA SOMMINISTRAZIONE DI UN SINGOLO INDUTTORE NON HA DIMOSTRATO EFFETTI SIGNIFICATIVI SULLA CAPACITÀ DEL RESERVOIR VIRALE DI CAUSARE UN REBOUND DELLA VIREMIA, LA COMBINAZIONE DI VORINOSTAT, I-BET151 E CTLA CON UN’IMMUNOTERAPIA HA DIMINUITO LA FREQUENZA DEL REBOUND VIRALE NEI TOPI UMANIZZATI. SI PUÒ DUNQUE CONSIDERARE BEN FONDATA L’IDEA CHE IL RESERVOIR DELL’HIV POSSA ESSERE ALTERATO IN VIVO DA UNA TERAPIA CHE COMBINI ANTICORPI E SOSTANZE ANTILATENZA.[/divbox]


Funzionerà anche negli uomini una simile combinazione terapeutica?
I topi umanizzati costituiscono un modello molto preciso di quanto avviene nell’uomo, perché sono dotati di cellule umane e possono essere infettati direttamente con l’HIV. Inoltre, la cinetica del rebound virale nei topi umanizzati dopo l’interruzione di una ART che aveva soppresso la viremia corrisponde a quella umana. Tuttavia, nei topi la ricostituzione ematopoietica umana è incompleta, il che significa che possono mancare in loro alcuni elementi cellulari che formano il reservoir di HIV latente negli uomini.
Quindi per sapere se i risultati ottenuti in questa ricerca possano essere replicati negli esseri umani bisognerà fare degli studi clinici.



admeto
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Re: R: Ruolo degli anticorpi monoclonali in una strategia di

Messaggio da admeto » lunedì 18 agosto 2014, 16:50

È incoraggiante vedere che la ricerca sugli anticorpi monoclonali procede abbastanza speditamente. Chissà, forse un giorno potrebbero avere davvero un ruolo chiave nella cura dell'Hiv... Io comunque aspetto sempre che entri in campo la Gilead con il suo anticorpo, che - se non sbaglio - sulle scimmie si è finora rivelato il più potente di tutti. Una domanda, la cui risposta probabilmente é già scontata in quello che Dora ci ha spiegato, ma vorrei essere sicuro di aver capito bene: tutti i topi erano in terapia, giusto? Se ho ben capito, quindi, sulla base di questi risultati si potrebbe già escludere che una terapia ART+anticorpi possa da sola costituire un passo avanti verso una possibile terapia funzionale o eradicante.



Dora
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Re: R: Ruolo degli anticorpi monoclonali in una strategia di

Messaggio da Dora » martedì 19 agosto 2014, 8:18

admeto ha scritto:Io comunque aspetto sempre che entri in campo la Gilead con il suo anticorpo, che - se non sbaglio - sulle scimmie si è finora rivelato il più potente di tutti.
Le ultime notizie che ho del PGT121 risalgono a marzo scorso, quando Geleziunas disse al CROI che stavano appunto lavorando a una serie di esperimenti con il PGT121, in uno dei quali in tutte e 21 le scimmie il virus era divenuto transitoriamente irrilevabile e in 3 - quelle che avevano la viremia iniziale più bassa - non era tornato, tanto che ritenevano che quelle scimmie potessero essere considerate funzionalmente curate.
E l'altra cosa per me molto intrigante che Geleziunas disse allora era che Gilead ritiene che per far funzionare un vaccino terapeutico potrebbe essere utile mettergli dentro un qualche anticorpo ampiamente neutralizzante.
tutti i topi erano in terapia, giusto? Se ho ben capito, quindi, sulla base di questi risultati si potrebbe già escludere che una terapia ART+anticorpi possa da sola costituire un passo avanti verso una possibile terapia funzionale o eradicante.
Sì, tutti i topi sono stati trattati con ART + qualcosa.
Quello che a me è parso più interessante in quest'ultimo lavoro di Nussenzweig e colleghi è che è la prima volta che vedo all'opera l'idea di Siliciano di una versione completa dello shock and kill: ART + qualcosa che rafforzi la reazione immune (in questo caso i bNAbs) + cALT (terapia antilatenza combinata). E in più della metà dei topi pare proprio aver funzionato.
ART da sola fa moltissimo per tenere in vita, ma poco per guarire; bNAbs da soli non fanno abbastanza; sostanze antilatenza da sole a stento scalfiscono il reservoir latente. Ma quando si è attaccato il reservoir con un (enorme) sforzo combinato ... finalmente qualcosa si è visto.
Quando l'articolo su Cell è uscito, le reazioni di ferragosto sono state ‘Shock and kill’ approach cures mice of HIV in world first. Io preferisco sempre tenere un profilo più basso, ma quel lavoro l'ho trovato appassionante.
È la strada (o almeno una strada) giusta?
È una strada praticabile?
Io questo non lo so.
Però mi pare proprio una strada da seguire.
E speriamo - in quest'anno di batoste senza pari - che ci porti in qualche luogo interessante.



cesar78
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Re: Ruolo degli anticorpi monoclonali in una strategia di cu

Messaggio da cesar78 » venerdì 29 agosto 2014, 17:54

Pochi giorni fa è uscita la nuova pubblicazione del dott. Chun su questa "immunoterapia passiva con anticorpi monoclonali" (abstract qui)

"Anche se gli anticorpi neutralizzanti si sono dimostrati efficaci nel bloccare l'infezione da vari ceppi di HIV in laboratorio, il loro effetto su HIV negli esseri umani, e in particolare sulle particelle di virus latenti, è ancora sconosciuta.[...] I ricercatori concludono che l'immunoterapia passiva che coinvolge gli anticorpi neutralizzanti singolarmente o in combinazione (PGT121, VRC01 e VRC03) può controllare l'HIV in assenza di terapia antiretrovirale. Un certo numero di studi clinici sono già in corso o in programma per testare questa ipotesi."

Vorrei capire se questa nuova ricerca di Chun è valida o se porterà nuovamente sfiga (ai pazienti di Chun ovviamente :? ).



Dora
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Re: Ruolo degli anticorpi monoclonali in una strategia di cu

Messaggio da Dora » sabato 30 agosto 2014, 7:28

cesar78 ha scritto:Vorrei capire se questa nuova ricerca di Chun è valida o se porterà nuovamente sfiga (ai pazienti di Chun ovviamente :? ).
:lol:

Guarda un po', ti basta avere un paziente sfigato (ma quanto?!) e per tutto il resto della tua carriera ti rimane appiccicato addosso ... Speriamo che la potenza del PGT121 tanto amato da Admeto sia tale da ripulire Chun dalla sua brutta fama.

Per adesso Chun, Fauci e ricercatori vari del NIAID hanno lavorato su cellule e l'obiettivo del lavoro era piuttosto modesto: capire se qualcuno dei potenti anticorponi neutralizzanti anti-HIV scoperti di recente è capace di bloccare l'ingresso nei CD4 non di un HIV qualsiasi, ma di virus proveniente dal reservoir latente di persone che controllavano bene la viremia con la ART. L'idea era che, se si trova qualche anticorpo di questo tipo, allora un'immunizzazione passiva potrebbe impedire il rebound della viremia una volta che si sospende la ART e quindi consentire una più o meno lunga vacanza terapeutica, o anche una "remissione virologica sostenuta" - nella terminologia ripresa dal mondo dell'HCV (o del cancro), che si sta diffondendo per parlare di "cura funzionale"dell'infezione da HIV.

Già sappiamo che ci sono dei bNAbs capaci di sopprimere la viremia in topi e scimmie e di inibire in vitro la trasmissione da cellula a cellula. I trial clinici in atto o in programma ci dovranno dire se qualcuno di questi bNAbs riesce a impedire che le persone si infettino o, una volta infettate, riescano a controllare l'HIV in vivo.

Chun, Fauci e colleghi hanno quindi studiato come alcuni bNAbs si legano ai virioni liberi fuoriusciti dal reservoir latente e se, appunto, siano in grado di bloccare l'ingresso di questi virioni nei CD4. E poi hanno studiato l'effetto ex vivo di questi bNAbs sulla replicazione dell'HIV nei CD4 estratti ai medesimi pazienti in ART dai quali era stato ricavato l'HIV del reservoir.
Quel che hanno osservato è che alcuni bNAbs meglio di altri sono riusciti a legarsi ai virioni indotti ad uscire dal reservoir latente; e che alcuni bNAbs hanno bloccato l'ingresso di questi virioni sia nei CD4 estratti da persone HIV negative, sia nei CD4 delle persone dal cui reservoir era stato estratto il virus.

Per la gioia di Admeto, PGT121 (insieme a VRC01 e VRC03) si è dimostrato anche in questo caso il campione dei bNAbs ad oggi conosciuti.

La conclusione del lavoro è che, mettendo insieme questi 3 anticorpi così potenti (magari anche modificandoli un po' da un punto di vista biochimico, così da allungare la loro emivita nel plasma) e prevedendo di somministrarli con una frequenza relativamente bassa, si potrebbe anche riuscire a favorire una "remissione virologica sostenuta" in persone che sospendono la ART.

Non resta che passare a qualche sperimentazione clinica - con l'augurio a Chun di liberarsi in fretta e per sempre dalla sua sinistra nomea ;).




Fonte PNAS: Broadly neutralizing antibodies suppress HIV in the persistent viral reservoir



cesar78
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Re: Ruolo degli anticorpi monoclonali in una strategia di cu

Messaggio da cesar78 » sabato 30 agosto 2014, 11:21

Dora ha scritto:Non resta che passare a qualche sperimentazione clinica - con l'augurio a Chun di liberarsi in fretta e per sempre dalla sua sinistra nomea
Grazie Dora. In fondo ha una faccia pressoché bonaria. :lol:

Immagine



admeto
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Re: Ruolo degli anticorpi monoclonali in una strategia di cu

Messaggio da admeto » lunedì 1 settembre 2014, 19:07

Dora ha scritto:
cesar78 ha scritto: Per la gioia di Admeto, PGT121 (insieme a VRC01 e VRC03) si è dimostrato anche in questo caso il campione dei bNAbs ad oggi conosciuti.
Grazie Dora, il PGT121 l'ho quasi adottato, come un figliolo :) Speriamo che mi dia delle soddisfazioni...
... Credo però che ci vorrà un bel po' per sapere se funziona così bene anche sugli esseri umani: se deve essere usato in combinazione con gli altri due bNAbs e se ciascuno dei tre deve prima essere - giustamente - testato separatamente...



zimar
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Re: Ruolo degli anticorpi monoclonali in una strategia di cu

Messaggio da zimar » mercoledì 3 settembre 2014, 10:56

Mi aggiunto anche io ai ringraziamenti per il magnifico lavoro che state facendo su questo forum, in particolar modo al lavoro che porta avanti Dora.

E' la prima volta che scrivo su questo forum o forse la seconda, sono rimasto molto appassionato da questo thread, premetto che sono molto ignorante in materia, ma cerco di impegnarmi per capire il più possibile quello che scrivete.

Ho una domanda che mi piacerebbe porvi :

1)Da quello che ho capito possiamo dire che la terapia ART in unione ai bnabs ci potrebbe permette di identificare e di uccidere parecchie cellule che altrimenti continuerebbero a sfornare virus ed a replicarsi corretto? inoltre grazie alla ART si manterrebbe sotto controllo la viremia, ma la mia domanda e' la seguente, la continua mutazione del virus permetterebbe anche con questa terapia la permanenza da qualche parte di cellule che non vengono identificate come infette e quindi attaccate ed eliminate è corretto? cioè con questa terapia sammo in grado di identificare tutte le cellule patogene o le mutazioni ci potrebbero far tornare da punto a capo?


Saluti



Dora
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Re: Ruolo degli anticorpi monoclonali in una strategia di cu

Messaggio da Dora » mercoledì 3 settembre 2014, 15:18

zimar ha scritto:Ho una domanda che mi piacerebbe porvi :

1)Da quello che ho capito possiamo dire che la terapia ART in unione ai bnabs ci potrebbe permette di identificare e di uccidere parecchie cellule che altrimenti continuerebbero a sfornare virus ed a replicarsi corretto? inoltre grazie alla ART si manterrebbe sotto controllo la viremia, ma la mia domanda e' la seguente, la continua mutazione del virus permetterebbe anche con questa terapia la permanenza da qualche parte di cellule che non vengono identificate come infette e quindi attaccate ed eliminate è corretto? cioè con questa terapia sammo in grado di identificare tutte le cellule patogene o le mutazioni ci potrebbero far tornare da punto a capo?
Sono tante domande!!
Provo a ragionare solo sull'ultima anche se non sono sicurissima di avere capito quello che stai chiedendo.
Devo ricordarti che per adesso non abbiamo ancora visto degli anticorpi attaccare il reservoir latente di HIV - anzi, non so immaginare come potrebbero attaccarlo, visto che sono cellule infette ma che all'esterno appaiono sane.

Nell'ultimo lavoro di Nussenzweig di cui abbiamo parlato qui, prima il virus latente veniva risvegliato con l'attacco combinato di tre diverse sostanze antilatenza e solo dopo entravano in gioco gli anticorpi, riuscendo in circa la metà dei topi a fare in modo che - alla sospensione della ART - la viremia rimanesse sotto controllo.

I tristi casi di rebound della viremia nei Boston Patients e nella Mississippi Baby, che fino a pochi mesi fa sembravano aver raggiunto la cura, ci hanno insegnato al di là di ogni dubbio che bastano pochissime cellule latentemente infette per reinnescare l'infezione. Quindi, se si sospende la ART e il reservoir non è stato distrutto completamente, resta la possibilità che anche a distanza di molti mesi o addirittura anni la viremia ricompaia.

In tutto questo discorso, non abbiamo parlato di mutazioni del virus, perché il virus latente nel reservoir non si trascrive, quindi di mutazioni non ne produce.
Il problema è che, restandosene latente, non dà segnali della sua presenza, quindi il sistema immunitario non è in grado di distinguere le cellule latentemente infette da quelle sane e le lascia lì indisturbate, finché per qualche ragione non si risvegliano e cominciano a produrre virus. A quel punto, interviene la ART e blocca il virus che ha ricominciato a replicarsi.

Spero di non avere aumentato la confusione. :?



nordsud
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Re: Ruolo degli anticorpi monoclonali in una strategia di cu

Messaggio da nordsud » giovedì 4 settembre 2014, 7:04

Dora ha scritto:
I tristi casi di rebound della viremia nei Boston Patients e nella Mississippi Baby, che fino a pochi mesi fa sembravano aver raggiunto la cura, ci hanno insegnato al di là di ogni dubbio che bastano pochissime cellule latentemente infette per reinnescare l'infezione. Quindi, se si sospende la ART e il reservoir non è stato distrutto completamente, resta la possibilità che anche a distanza di molti mesi o addirittura anni la viremia ricompaia.

Prendendo per buono il fatto che le tecniche di conta del virus siano così sofisticate e precise da togliere ogni dubbio. Cosa che ultimamente sembra cominci vacillare.
I due sfigati di Boston e la bambina non credo fossero diventati sieronegativi come lo è diventato il Timothy.



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