Ruolo degli anticorpi monoclonali in una strategia di cura

Ricerca scientifica finalizzata all'eradicazione o al controllo dell'infezione.
alfaa
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Re: Ruolo degli anticorpi monoclonali in una strategia di cu

Messaggio da alfaa » venerdì 7 febbraio 2014, 2:16

Piu che altro mi domando io invece : ma proprio la gilead investe su questo anticorpo? è vero che non si tratterebbe comunque di eradicazione(temo...) ma comunque credo che si tratterebbe di una cura che fatta 1 volta ogni tot che renderebbe molto meno in termini di soldi alla gilead rispetto alle varie pillole giornaliere. Come dice uffa la ruota gira e devono trovare sempre cose migliori,però mi stupisce che proprio la gilead investa per questa cosa,credo sia la casa farmaceutica con piu interesse a farci rimanere quanto piu a lungo possibile con i farmaci da prendere ogni giorno....Non è un discorso complottistico(lungi da me! ) però credevo che i finanziamenti per questo tipo di ricerche provenissero da case farmaceutiche alternative a quelle che producono haart



uffa2
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Re: Ruolo degli anticorpi monoclonali in una strategia di cu

Messaggio da uffa2 » venerdì 7 febbraio 2014, 8:57

rifletti su questo: è più probabile che un libro su Mustafa Kemal Atatürk lo scriva un turco o uno svedese?
fuor di metafora: è più probabile che si occupi di HIV un'azienda farmaceutica che ha già competenze e ricercatori impegnati in questo settore, o una che deve partire da zero?
;)


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stealthy
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Re: Ruolo degli anticorpi monoclonali in una strategia di cu

Messaggio da stealthy » venerdì 7 febbraio 2014, 9:51

uffa2 ha scritto:rifletti su questo: è più probabile che un libro su Mustafa Kemal Atatürk lo scriva un turco o uno svedese?
fuor di metafora: è più probabile che si occupi di HIV un'azienda farmaceutica che ha già competenze e ricercatori impegnati in questo settore, o una che deve partire da zero?
;)
Uffa i tuoi esempi sono disarmanti! Mi strappano sempre un sorriso! :-)



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Re: Ruolo degli anticorpi monoclonali in una strategia di cu

Messaggio da uffa2 » venerdì 7 febbraio 2014, 9:52

stealthy ha scritto:Uffa i tuoi esempi sono disarmanti! Mi strappano sempre un sorriso! :-)
che sorrisi e sorrisi: mani in alto e caccia la grana :mrgreen:


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alfaa
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Re: Ruolo degli anticorpi monoclonali in una strategia di cu

Messaggio da alfaa » venerdì 7 febbraio 2014, 16:52

uffa2 ha scritto:rifletti su questo: è più probabile che un libro su Mustafa Kemal Atatürk lo scriva un turco o uno svedese?
fuor di metafora: è più probabile che si occupi di HIV un'azienda farmaceutica che ha già competenze e ricercatori impegnati in questo settore, o una che deve partire da zero?
;)

Non so uffa...ma proprio la gilead non credo abbia l'intenzione di trovare qualcosa di ,se non definitivo,quasi definitivo.A meno che non le faccia guadagnare di piu dell'attuale cura. Penso io almeno...Parlo della gilead ovviamente,non del fatto che non si ha interesse in generale a trovare una cura, questo non credo sia possibile .L'unica cosa che mi fa sperare che queste case farmaceutiche possano trovare la cura è soltanto la concorrenza ovvero" oh cazzo,ci sono altre case farmaceutiche che potrebbero trovarla prima di me,quindi la ricerco prima io cosi sarò il primo a brevettarla" :D



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Re: Ruolo degli anticorpi monoclonali in una strategia di cu

Messaggio da uffa2 » venerdì 7 febbraio 2014, 18:18

I brevetti di Gilead scadranno come gli altri, e la strada verso l’eradicazione è oramai tracciata: l’HIV non è il cancro, in cui sciaguratamente ci si arrabatta ancora per conquistare qualche mese in più di sopravvivenza, qui la sopravvivenza è oramai garantita, e per quella il mercato è quasi maturo.
Certo la HAART continuerà ad avanzare, anche perché troppi ricercatori ci hanno lavorato in questi anni e quindi è credibile che molte ricerche siano ancora in corso, ma a meno di nuove classi di farmaci non sono credibili grosse novità, al massimo qualche me too migliorativo.

Per i pazienti di oggi e di domani le medicine esistenti non bastano ma fanno molto, e nel giro di pochi anni i blockbuster diventeranno generici, a quel punto o si gratta il fondo del barile (e spero si faccia pure questo, perché ci sono tanti pazienti multi resistenti), oppure si cambia mèta e si va a caccia di qualcosa di nuovo.

Ci sono una trentina di milioni di malati nel mondo.
Per essere spietati però, ci sono “solo” tre milioni di potenziali consumatori per l’eradicazione nei paesi ricchi: quanto si può fatturare con quei tre milioni?
Se l’eradicazione costasse “solo” 30.000€ a paziente (una miseria di fronte ai costi delle terapie per l’Epatite C) sarebbero 90 miliardi di euro, solo dai “pazienti ricchi”.
Che dici? È un business interessante?
Poi ci sono centinaia di milioni (miliardi?) di potenziali consumatori per il vaccino preventivo: quanto si può lucrare in relativamente pochi anni?


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Re: Ruolo degli anticorpi monoclonali in una strategia di cu

Messaggio da alfaa » sabato 8 febbraio 2014, 1:43

Certo i ricavi sarebbero altissimi,però ovviamente meno alti rispetto ad una haart fatta tutta la vita da sempre piu persone(è vero che i brevetti scadranno però stanno uscendo sempre nuovi farmaci,mo eviplera poi dolutegravir e poi i prossimi) è solo questo che mi lascia perplesso .Però ripeto, mi lascia perplesso che QUESTI soggetti troveranno mai una cura nel vero senso della parola, non che la cura possa essere trovata.Su quest'ultima cosa io non ho dubbi



Dora
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Re: Ruolo degli anticorpi monoclonali in una strategia di cu

Messaggio da Dora » domenica 10 agosto 2014, 6:23

Dora ha scritto:
Dora ha scritto:escono in contemporanea su Nature due articoli di due gruppi di ricerca diversi, ma in entrambi i quali ritroviamo il nome di Michel Nussenzweig a fare da trait d’union (e da ispiratore delle ricerche). Parlerò soprattutto del primo - quello di Barouch, Barton e collaboratori (Harvard)- e al secondo – quello di Martin, Shingai et al. (NIH) – dedicherò solo poche parole, perché mi pare in sostanza una conferma della validità della prima ricerca. (...)
  • • Nello studio di Martin e degli NIH, invece, è stata somministrata una combinazione di altri due anticorpi a dei macachi che erano in una fase meno avanzata dell’infezione e si è visto che i livelli di SHIV sono crollati sotto la soglia di rilevabilità in una decina di giorni, mentre nei macachi che erano in una fase più avanzata gli effetti sono stati meno spettacolari.
(...)
Secondo dichiarazioni rilasciate sia da Barouch, sia da Martin, l'obiettivo è di passare al più presto a una sperimentazione clinica.
È consolante quando dalle dichiarazioni raccolte dagli scienziati che hanno appena pubblicato un lavoro si passa con rapidità ai fatti. E questo è uno di quei casi fortunati, in cui l'attesa è davvero breve.
Sta infatti cominciando la sperimentazione di uno degli anticorpi monoclonali che hanno dato inizio a questo thread: si tratta del 3BNC117, che i ricercatori della Rockefeller University hanno testato insieme al 10-1074 nei macachi infetti da SIV e con bassi CD4, scoprendo che un singolo trattamento con i due anticorpi insieme riusciva a sopprimere la viremia per 3-5 settimane.

Il trial - A Phase 1, Open Label, Dose-escalation Study of the Safety, Pharmacokinetics and Antiretroviral Activity of 3BNC117 Monoclonal Antibody in HIV-infected and HIV-uninfected Volunteers - non è ancora aperto al reclutamento dei volontari, ma è stato pubblicato a dicembre su ClinicalTrials.

Si tratta di uno studio interventional, non randomizzato, in cui verrà somministrato l'anticorpo a circa 60 persone sia con HIV, sia volontari sani, per valutare:
  • 1. obiettivo primario: sicurezza e tollerabilità di una singola infusione intravenosa del 3BNC117 a 3 dosaggi via via maggiori;
    2. obiettivo secondario: il profilo farmacocinetico di una singola somministrazione del 3BNC117;
    3. nei partecipanti HIV+ sarà valutata anche la capacità antivirale del mAb.
Lo studio, che è sponsorizzato e condotto interamente dalla Rockefeller University, comincia adesso e si prevede che verrà completato fra due anni.
Come segnalato da Admeto (grazie!!), lo studio sull'anticorpo monoclonale 3BNC117 sta reclutando partecipanti.

A fine giugno - nel thread ERADICAZIONE, CURA FUNZIONALE, PTC, ELITE: SOLO DEFINIZIONI? - abbiamo discusso a lungo sul valore di questo tipo di sperimentazioni cliniche pilota e sui benefici e i danni che possono causare ai volontari che vi partecipano. Dal seminario organizzato a giugno dal Forum for Collaborative HIV Research, insieme agli NIH e alla FDA, che aveva visto la partecipazione di tanti scienziati e attivisti impegnati nella ricerca di una cura, era emersa chiarissima la necessità di spiegare senza mezzi termini a chi partecipa a questi trial che lo fa per il bene della scienza e dell'umanità e che la probabilità che ne ottenga un beneficio diretto e immediato è assai ridotta.

Ecco infatti che la Rockefeller University, arruolando pazienti per il trial sull'anticorpo 3BNC117, da un lato scrive:
  • Potential Benefits.....
    You are unlikely to have any direct benefits from participating in this study. It is possible that the 3BNC117 will lead to better control of HIV infection, and it may improve the treatment of patients with HIV in the future.
e dall'altro promette un compenso.

Mi sembra che questa precisazione risponda anche ad alcune perplessità emerse in questo thread.



alfaa
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Re: Ruolo degli anticorpi monoclonali in una strategia di cu

Messaggio da alfaa » domenica 10 agosto 2014, 17:04

Capisco l'improbabilità di un beneficio immediato, ma non l'improbabilità di un beneficio diretto. Ma mettiamo pure 20- 30 anni, il povero cristo che ha partecipato al trial fruirà pure lui del risultato a meno che non fallisca, suppongo almeno andando x logica



Dora
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Re: Ruolo degli anticorpi monoclonali in una strategia di cu

Messaggio da Dora » domenica 10 agosto 2014, 17:52

alfaa ha scritto:Capisco l'improbabilità di un beneficio immediato, ma non l'improbabilità di un beneficio diretto. Ma mettiamo pure 20- 30 anni, il povero cristo che ha partecipato al trial fruirà pure lui del risultato a meno che non fallisca, suppongo almeno andando x logica
Sì, se la persona che ha partecipato al trial dopo 20-30 anni avrà ancora lo stesso problema e rientrerà fra coloro che possono beneficiare di quel trattamento (o della sua evoluzione, perché pensare che fra 20 anni sarà ancora la stessa cosa è davvero poco realistico), allora quella persona potrà dire di aver ricevuto un beneficio diretto dalla partecipazione a quel trial. Ma è una questione puramente astratta e accademica: fra 20 anni quella persona non sarà la stessa persona di oggi, la sua situazione si sarà evoluta in un modo che oggi non possiamo prevedere. E anche il trattamento non sarà lo stesso trattamento sperimentato oggi e tutto il contesto sarà differente. Quindi che senso ha chiedersi se avrà un beneficio così lontano nel tempo?

Alfaa, per non farla troppo lunga ti rispondo come ti ho già risposto l'ultima volta che ne abbiamo parlato:
Dora ha scritto:
alfaa ha scritto:Ovviamente parliamo sempre di cose teoriche : ma se una sperimentazione durasse 10-15 anni e andasse a buon fine , perchè la persona che ha partecipato al trial e quindi tutti noi, non dovrebbe beneficiarne?
Sì, se qualcuna di queste sperimentazioni andrà bene, potrebbe portare vantaggi anche alle persone che hanno partecipato alle fasi iniziali. Dal momento, però, che questi sono vantaggi teorici, rientrano nei benefici generali che un atto di altruismo comporta per chi lo commette, quelli che Uffa definiva "il bene della scienza", o dell'umanità, o del progresso delle conoscenze.
Quando a una persona si fa firmare un consenso informato, i benefici individuali cui si fa riferimento sono quelli che potrebbe ricavare in modo diretto: riceve un trattamento e questo ha un effetto benefico su di lei. Il resto va nei benefici per la scienza/umanità.



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