Ruolo degli anticorpi monoclonali in una strategia di cura

Ricerca scientifica finalizzata all'eradicazione o al controllo dell'infezione.
Blast
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Re: Ruolo degli anticorpi monoclonali in una strategia di cu

Messaggio da Blast » giovedì 18 agosto 2016, 17:08

Anche a me interessa molto (magari non ai livelli di Admeta) questa cosa degli anticorpi monoclonali, dopo aver letto la review che avevi linkato.


CIAO GIOIE

admeto
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Re: Ruolo degli anticorpi monoclonali in una strategia di cu

Messaggio da admeto » domenica 21 agosto 2016, 18:00

...Eh son qua... Che dire, provo davvero una grande gioia nel vedere quanto velocemente procede la ricerca sugli anticorponi.
Capisco molto bene l'altalena di emozioni che provano coloro che hanno appena ricevuto la diagnosi.
Io stesso mi sono affezionato a questi anticorpi perché tre anni fa, quando purtroppo ho iniziato a seguire la ricerca sull'HIV, la notizia dei loro prodigiosi effetti sulle scimmie aprì per me uno squarcio di speranza.
Poi ho cercato di studiare e approfondire e ho capito (molto vagamente, eh!! ;) ;) ) qual è la loro importanza: si tratta di un approccio "nuovo", che potrebbe costituire un tassello fondamentale nella ricerca della combinazione di farmaci che potrebbe portare un giorno all'eradicazione; combinazione che dovrà vedere affiancati agli antiretrovirali medicinali che svolgono una funzione diversa, ma complementare.
Ma, come ha già ricordato giustamente Dora, non dobbiamo crearci false illusioni: l'approccio anticorpale non è del tutto inedito, fu già provato anni fa e risultò inefficace. Si trattava però allora non di anticorponi come questi (che sono anticorpi altamente immunizzanti), ma di anticorpi, per così dire, "semplici". Stiamo quindi a vedere come si comporteranno queste nuove molecole.

Mi pare comunque molto, molto positivo l'andamento che la ricerca ha avuto sin qui: siamo sinceri, in quanti, nel 2013, si aspettavano che nel 2016 avremmo già avuto due sperimentazioni di combinazione sui BNABS?
Inoltre, mi sembra estremamente significativo che dietro la ricerca sugli anticorpi si profili una strategia molto strutturata: partono più o meno assieme sia un trial in cui l'anticorpo 3BNC117 viene testato assieme all'anticorpo 10-1074, sia un trial in cui lo stesso 3BNC117 viene messo alla prova assieme alla romidepsina. Entrambi i trial sono condotti dalla Rockefeller University e per entrambi si prevedono i risultati per la seconda metà del 2018.
Forse i tempi non saranno rispettati in modo rigorosissimo, ma credo che disporremo entro un termine ragionevole di moltissime informazioni sulle modalità di azione degli anticorpi e - SE QUESTE INFORMAZIONI SARANNO POSITIVE - potrebbe partire un altro trial, in cui magari entrambi gli anticorpi sono usati assieme alla romidepsina (ed eventualmente a qualche altra sostanza antilatenza)... e allora saremmo davvero un po' più vicini al grande traguardo...

In generale, spero anche che la speditezza con cui procede questa ricerca sia l'indice di un nuovo atteggiamento degli accademici; ne abbiamo già parlato tante volte, anche a livello scientifico è stata evidenziata, con grande autorevolezza, la necessità di accelerare finalmente i tempi delle sperimentazioni... insomma anche tra gli scienziati comincia ad avvertirsi il bisogno di darsi una mossa...

Che dire, la cura eradicante sarà un puzzle molto complicato, costituito da tante tessere... di queste tessere oggi non ne abbiamo praticamente nessuna... SE QUESTE SPERIMENTAZIONI ANDRANNO BENE, gli anticorpi altamente immunizzanti potrebbero rivelarsi fondamentali...

FORZA ANTICORPONI, FATEVI VALERE!!! :)



Dora
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Re: Ruolo degli anticorpi monoclonali in una strategia di cu

Messaggio da Dora » giovedì 10 novembre 2016, 17:00

Ieri è stato pubblicato sul New England Journal of Medicine un articolo di ricercatori del NIAID e della University of Pennsylvania, in cui si dà conto congiuntamente delle due sperimentazioni cliniche di fase I sull'anticorpo VRC01 in persone con viremia controllate dalla ART, i cui risultati erano già stati presentati al CROI lo scorso marzo. Per chi desidera leggerlo, l'articolo è open access:
Poiché ne avevo scritto diffusamente in occasione del CROI, non riscrivo le stesse cose e riprendo qui sotto la parte del post dedicato alla lezione di John Mascola del Vaccine Research Center, NIAID, in cui si parla del VRC01.

Ricordo che l'articolo è accompagnato da due comunicati stampa, uno della Perelman School of Medicine presso la University of Pennsylvania e uno del NIAID.
Credo che la sintesi fatta da Anthony Fauci sui risultati della sperimentazione dica a che punto siamo con questo specifico anticorpo. Quello che davvero si è imparato da questa sperimentazione è che gli anticorpi possono funzionare in una strategia di cura, ma uno da solo non basta. Come per la terapia antiretrovirale (cART), come per la (futura) terapia anti-latenza (cALT), anche qui servirà una terapia combinata - forse potremmo chiamarla cAbT.

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Dora ha scritto:ANTICORPI NEUTRALIZZANTI IN FUNZIONE TERAPEUTICA AL CROI 2016

[...] VRC01 è un anticorpo che impedisce al virus di entrare nella cellula bloccando il recettore CD4, è in grado di neutralizzare fra l’80 e il 90% dei ceppi virali ed è abbastanza potente da poter funzionare a livelli terapeutici. È dunque considerato relativamente potente e ad ampio spettro. Se ne sta studiando una versione “potenziata”, ma questa non è ancora pronta per essere sperimentata in un trial clinico.

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È stato studiato in trial di fase I su adulti HIV negativi, cui ne è stata somministrata una sola infusione per valutarne la sicurezza e la farmacocinetica ed è stato ben tollerato, rimanendo rilevabile nel sangue per un paio di mesi.
Ora è sia studiato in funzione preventiva, sia in sperimentazione su persone con infezione cronica.

Nel trial su 8 persone con HIV non in terapia, si è vista crollare la viremia con una sola infusione, con una diminuzione maggiore se la viremia era bassa, mentre se era alta la diminuzione è stata più transitoria.

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Osservando l’andamento delle viremie in scala logaritmica, si vedono in azione tre modelli diversi: se la viremia è soppressa, l’effetto dell’anticorpo è minimo; se la viremia è alta, si ha una rapida selezione: il virus ritorna, ma si tratta di varianti resistenti; infine, ci sono casi in cui la persona non risponde affatto.

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Grazie a questo trial si è capito che le persone che non hanno risposto fin dall’inizio ospitavano delle varianti di virus resistenti. Con questo si dovrà fare i conti: alcuni virus sono resistenti ad alcuni anticorpi, quindi serviranno combinazioni di anticorpi.

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Due studi sul modello animale hanno fornito una proof of concept del fatto che se si usa una combinazione di anticorpi si ottiene una soppressione delle viremie molto consistente. Quindi i prossimi trial saranno fatti mettendo insieme anticorpi diversi.

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Mascola conclude la sua lezione ricordando che esistono altre possibilità di usare gli anticorpi in funzione terapeutica: anticorpi bi-funzionali, che ad esempio si legano da una parte alle cellule infette, dall’altra ai CD8 che le devono uccidere. Fino ad ora gli studi su HIV sono in vitro, ma nel cancro questi tipi di anticorpo sono già sperimentati nella clinica, quindi non ci vorrà molto perché comincino dei trial anche per trattare l’infezione da HIV [ricordo che di DART e del VRC07-αCD3 studiato proprio da Mascola abbiamo parlato nel thread Alternative ai vaccini terapeutici per la fase di "kill"].

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Per concludere, Mascola ricorda alcune delle lezioni apprese dai modelli animali e dagli studi di fase I:

  • - Gli anticorpi monoclonali contro HIV sono biologicamente attivi – un singolo mAb può ridurre di 1-2 log la viremia nel plasma.
    - In una situazione di soppressione della viremia incompleta, la selezione di ceppi resistenti può verificarsi rapidamente.
    - È verosimile che per una efficace soppressione della viremia servano combinazioni di mAbs (oppure mAbs + ARV).
    - Per avere un impatto sul reservoir virale saranno probabilmente necessari tempi di somministrazione più lunghi, forse anche insieme a sostanze anti-latenza, e serviranno quindi studi clinici prospettici.



Ora passiamo rapidamente alle due presentazioni orali su VRC01, lo studio ACTG 5340 sugli effetti dell’anticorpo sulla cinetica virale dopo l’interruzione della ART e lo studio HVTN 104 sulla sicurezza e la farmacocinetica di due diversi tipi di somministrazione dell’anticorpo, intravenosa e sottocutanea.

Nella presentazione ACTG 5340:The Effect of VRC01 on Viral Kinetics After Analytic Treatment Interruption, Katharine Bar della University of Pennsylvania ha raccontato che gli obiettivi dello studio in aperto erano valutare se la somministrazione di VRC01 durante un’interruzione della ART

  • - sia sicura e ben tollerata;
    - consenta di mantenere alti livelli dell’anticorpo nel plasma;
    - rimandi o impedisca il rebound della viremia;
    - riduca le dimensioni del reservoir latente o direttamente, via distruzione delle cellule mediata dall’anticorpo (ADCC – antibody-dependent cell mediated cytotoxicity), o attraverso altri meccanismi immuni.


In breve, lo studio descritto nella slide qui sotto ha arruolato 14 persone con infezione cronica, in terapia con regimi basati su inibitori dell’integrasi o inibitori della proteasi, con viremia soppressa da più di 6 mesi, più di 400 CD4 e nadir superiore a 200.
Erano tutti uomini, con età mediana 38 anni (24-52), metà afroamericani, metà caucasici. La mediana dei CD4 era 896 cellule/mL (470-1586), la mediana degli anni di terapia era 4,7 (2,7-14,5), per circa il 70% erano in un regime basato su INSTI.
Sono stati loro somministrati 40 mg/kg di VRC01 una volta ogni 3 settimane e 1 settimana dopo l’inizio della terapia con l’anticorpo la ART è stata sospesa. Il rebound è stato monitorato ogni settimana e, appena si è verificato, la ART è stata ripresa appena la viremia è arrivata a più di 1000 copie.
Uno dei partecipanti ha sospeso la ART prima dell’anticorpo, quindi è uscito dallo studio.

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Le infusioni si sono dimostrate sicure e ben tollerate, senza eventi avversi di grado superiore all’1.
Sono passati una mediana di 7 giorni (0-9) fra il rebound della viremia e la ripresa della ART. 12 pazienti hanno soppresso la viremia subito (2 hanno ricominciato la ART solo di recente).

L’anticorpo si è mantenuto nel plasma a livelli terapeutici per più di 8 settimane dopo la sospensione della ART.
Sfortunatamente, nonostante gli alti livelli di anticorpo nel plasma, la grande maggioranza dei partecipanti ha avuto un rebound della viremia entro la 5° settimana dalla sospensione della ART, mentre soltanto due hanno avuto il rebound all’8° e all’11° settimana.
Quel che si è osservato è che il tempo di rebound non è stato associato né ai livelli di VRC01, né all’età dei partecipanti o al nadir dei CD4 o alla durata della ART.
In particolare, 12 partecipanti su 13 hanno avuto il rebound della viremia quando l’anticorpo era ancora a livelli terapeutici.

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Quando però sono stati confrontati i tempi di rebound delle viremie sopra le 200 copie con dei controlli storici di persone che avevano fatto sospensioni della ART in qualche trial ACTG, si è osservato che nel gruppo che ha ricevuto l’anticorpo più persone hanno mantenuto la viremia soppressa a 4 e a 8 settimane dalla interruzione della ART rispetto ai controlli. Dopo 8 settimane non c’erano più differenze.

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Per capire meglio il meccanismo sottostante all’attività del VRC01, è stata fatta un’analisi delle sequenze del virus prima dell’inizio della ART e dopo il rebound. Si voleva capire il tipo di pressione selettiva che l’anticorpo aveva esercitato sulle popolazioni virali e anche stabilire il grado e la frequenza delle resistenze all’anticorpo presenti nei virus prima della ART e in quelli dopo il rebound.

Nella slide qui sotto si vede l’esempio di un paziente, che ha avuto il rebound della viremia a 4 settimane, quando ancora i livelli dell’anticorpo erano alti: il virus era policlonale, cioè non veniva da un unico virione, ma da diverse popolazioni fra quelle presenti prima della ART, e non c’era alcuna prova che l’anticorpo avesse causato una selezione dei virus.

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Nella slide qui sotto, invece, si vede l’esempio di un paziente che ha avuto il rebound soltanto 2 settimane dopo la sospensione della ART, con alti livelli di anticorpo nel sangue. Nel suo caso, una singola cellula infetta ha presumibilmente reinnescato l’infezione e questo fa pensare che la pressione selettiva dell’anticorpo abbia influito sul rebound virale, limitandolo.

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Nell’ultimo esempio mostrato, di un paziente che ha avuto il rebound 2 settimane dopo aver sospeso la ART quando aveva alti livelli di VRC01 nel sangue, si vede infine che l’anticorpo ha selezionato dei virus resistenti, che erano presenti già da prima dell’inizio della ART.

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Una situazione così variegata delle risposte nella costanza di rapidi rebound delle viremie ha imposto ai ricercatori di chiedersi perché il VRC01, pur presente ad alte concentrazioni nel sangue, non sia riuscito a impedire il ritorno del virus a livelli rilevabili. Le spiegazioni possibili sono tre:

  • - Un effetto antivirale subottimale (giustificato dalla presenza in certi casi di selezione; si è però anche visto un singolo partecipante, che ha interrotto la ART presto, avere una diminuzione di 2 log nella viremia[da 50.000 a 500 copie], come si è visto in pazienti viremici cui è stato dato un simile anticorpo, il VRC601).
    - Una resistenza che neutralizza VRC01 (o preesistente alla somministrazione dell’anticorpo, o acquisita molto in fretta).
    - Una attività di VRC01 diversa in vivo rispetto a quella che si è vista in vitro (è possibile che il modo in cui si misura la neutralizzazione in vitro non riesca a predire correttamente lo spettro di attività antivirale che serve per inibire il virus in vivo).


In conclusione:

  • 1. La somministrazione passiva di VRC01
    • - è stata sicura e ben tollerata;
      - ha rimandato in modo modesto il ritorno della viremia quando messa a confronto con controlli storici;
      - non ha permesso di mantenere la soppressione virologica nella maggior parte dei pazienti.

    2. Le analisi del rebound delle viremie suggeriscono che VRC01 possa restringere la clonalità del virus che riemerge e selezionare virus resistenti all’anticorpo che erano archiviati nel reservoir.
    3. Gli studi futuri dovranno testare l’efficacia di combinazioni di bNAbs, la resistenza ai bNAbs e i meccanismi di azione dei bNAbs in vivo.



Nell’ultima presentazione che esaminerò oggi, Kenneth Mayer del Fenway Institute di Harvard ha parlato di Clinical Safety and Pharmacokinetics of IV and SC VRC01, a Broadly Neutralizing mAb.
Si tratta del trial di fase I HVTN 104, i cui obiettivi erano

  • - valutare sicurezza e farmacocinetica di diversi dosaggi e tempi di somministrazione di VRC01;
    - fornire dati sulla somministrazione passiva di anticorpi per futuri trial sulla prevenzione;
    - riuscire a correlare i livelli di VRC01 con altre attività anti-HIV, ad esempio l’attività neutralizzante e meccanismi come l’ADCC;
    - dare delle idee su come impostare dei regimi vaccinali.


L’impostazione del trial era piuttosto complicata e la vedete schematizzata qui sotto, così come nella slide successiva trovate le caratteristiche dei partecipanti:

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Nel corso dello studio sono state somministrate 249 infusioni e 208 iniezioni, che hanno causato reazioni locali e sistemiche modeste (fra quelle sistemiche, le più comuni sono state fatigue e mal di testa).
Il 78% dei partecipanti ha lamentato eventi avversi, nel 73% dei casi lievi (si sono avuti due casi di aumento lieve e transitorio delle transaminasi, 1 della creatinina e 2 di neutropenia).
In conclusione, l’anticorpo è stato ben tollerato sia quando è stato somministrato in infusione, sia in iniezioni sottocutanee e gli effetti avversi sono stati lievi e temporanei.
La concentrazione più alta dell’anticorpo è stata raggiunta nel gruppo che ha ricevuto 40 mg/kg intravena ogni 8 settimane e si è visto che nel regime a 8 settimane il farmaco tende ad accumularsi.

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Le prossime fasi del trial dovranno studiare le attività funzionali di VRC01, ma già si sa che si può passare a trial di fase IIb che ne valutino l’efficacia, perché si è visto che ai dosaggi testati l’anticorpo riesce a neutralizzare la maggior parte di ceppi di HIV-1 B e C.



Dora
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Re: Ruolo degli anticorpi monoclonali in una strategia di cu

Messaggio da Dora » giovedì 17 novembre 2016, 7:50

Due notizie veloci:

1. N6 - un nuovo bNAb

Gli scienziati del NIAID hanno identificato N6, un nuovo anticorpo che si lega al CD4 e ha enorme potenza ed ampiezza di neutralizzazione: addirittura fino al 98% di varianti di HIV contro le quali è stato testato, compresi 16 ceppi su 20 che erano resistenti ad altri anticorpi della medesima classe (quella del VCR01 di cui si parla nel post sopra a questo).

2. Inizia il trial clinico sul PGT121

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Admeto, ci siamo - il tuo bimbo preferito comincia la scuola! ;)

È stato iscritto in ClinicalTrials.gov a metà ottobre e non ha ancora iniziato il reclutamento dei partecipanti, ma mi sembra che il trial sul PGT121 sia una sperimentazione in grande stile, impostata per ottenere il massimo di informazioni con il minimo sforzo:
La sperimentazione è sponsorizzata da IAVI (International AIDS Vaccine Initiative) e diretta da Kathryn Stephenson, Beth Israel Deaconess Medical Center, Center for Virology and Vaccine Research.
È un trial di fase I, ma non soltanto sulla sicurezza dell'anticorpo, bensì anche sulla sua efficacia. È un trial interventistico, randomizzato, in doppio cieco, con placebo e l'obiettivo primario sarà quello di valutare se PGT121 potrà essere usato in qualche strategia preventiva. Ma poiché sarà testato su persone sia HIV negative, sia HIV positive (sia in trattamento soppressivo, sia con viremie di diversa entità), si otterranno importanti informazioni anche per un eventuale uso terapeutico.
Del PGT121, infatti, saranno valutate sicurezza, tollerabilità, farmacocinetica ed efficacia antivirale.

Il numero complessivo previsto di persone arruolate è 63 e il trial dovrebbe concludersi nel marzo 2018.


Per ricordare che cosa fa di specifico questo anticorpo: Jean-Philippe Julien, et al. - Broadly Neutralizing Antibody PGT121 Allosterically Modulates CD4 Binding via Recognition of the HIV-1 gp120 V3 Base and Multiple Surrounding Glycans.



admeto
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Re: Ruolo degli anticorpi monoclonali in una strategia di cu

Messaggio da admeto » lunedì 21 novembre 2016, 16:16

Dora ha scritto: Admeto, ci siamo - il tuo bimbo preferito comincia la scuola! ;)
Dora grazie, che bella notizia!!! Sono davvero emozionato come un papà al primo giorno di scuola del suo pargoletto...
Il PGT 121 nelle sperimentazioni sulle scimmie si era dimostrato di gran lunga il più potente fra gli anticorponi.
Sono contento che questo esperimento sia così a 360°, perché dell'efficacia di questi anticorpi non sappiamo ancora nulla di preciso: saranno un'alternativa alla ART? Saranno di aiuto nell'eliminazione dei reservoir? Saranno adatti alla PREP? In questa prospettiva, mi fa molto piacere che si faccia subito un test su soggetti HIV+. Immagino che serva a misurarne gli effetti sulle dimensioni del reservoir o sull'immunoattivazione.
Ricordiamoci che un altro anticorpo è oggetto di altre due sperimentazioni: una in combinazione con un terzo anticorpo e una con una sostanza antilatenza... tra un paio d'anni sapremo se i miei piccoli sono ragazzi in gamba o degli sfaccendati cazzari...



Dora
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Re: Ruolo degli anticorpi monoclonali in una strategia di cu

Messaggio da Dora » domenica 22 gennaio 2017, 8:04

Buoni risultati dalla sperimentazione di fase I sull'anticorpo 10-1074


Vi ricordo che:



Oggi parliamo di 10-1074 perché, in un lavoro congiunto fra Michel Nussenzweig e collaboratori della Rockefeller University e diversi ricercatori tedeschi guidati da Florian Klein, Università di Cologna, sono stati pubblicati su Nature Medicine i risultati della fase I, che indagava il profilo di sicurezza e di attività dell'anticorpo in persone HIV negative e positive: Antibody 10-1074 suppresses viremia in HIV-1-infected individuals.

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3BNC117 e VRC01 sono due anticorpi monoclonali che si legano al CD4. Sono stati entrambi ben tollerati nelle sperimentazioni fatte finora e capaci di far decrescere i livelli di HIV RNA nel plasma e di impedire per qualche tempo il rebound delle viremie quando la ART è stata sospesa. Hanno potenze ed emivite diverse, con il primo che si è osservato più potente e con un'emivita più lunga del secondo.

A differenza dei primi due, e similmente invece a PGT121, 10-1074 è un anticorpo monoclonale che si attacca a un sito chiamato V3 sulla proteina Env di HIV ed è fra gli anticorpi neutralizzanti più potenti isolati finora. Lo studio di fase I pubblicato adesso doveva valutarne il profilo di sicurezza in 33 persone, che hanno ricevuto una singola infusione. Poiché dei 33 partecipanti, 14 erano HIV negativi, ma 19 erano HIV positivi e 16 di questi NON erano in terapia, è stato possibile anche studiare l'attività antivirale dell'anticorpo.
Quel che si è osservato è che

  • - l'anticorpo è stato ben tollerato;
    - la sua emivita è stata di 24 giorni nelle persone HIV- e di 12,8 giorni nelle persone HIV+;
    - 13 dei partecipanti HIV+ hanno ricevuto il dosaggio più alto di 30 mg/kg e 11 di loro si sono dimostrati sensibili all'anticorpo e hanno avuto una rapida diminuzione delle viremie di 1,52 log in media (0,9 - 2,6 log);
    - l'analisi delle popolazioni virali fatta sul rebound delle viremie nelle prime settimane dopo l'infusione ha mostrato l'emergere di molteplici varianti di escape, cioè virus resistenti all'anticorpo - poteva trattarsi di virus pre-esistenti all'infusione, ma anche di virus che si erano generati molto in fretta dopo (i ricercatori hanno concluso che le varianti pre-esistenti che portano mutazioni resistenti a 10-1074 possono essere rilevate a frequenze molto basse nelle persone considerate sensibili all'anticorpo e che la resistenza si è originata da molteplici varianti virali);
    - questi virus erano resistenti anche a PGT121, l'altro anticorpo che si lega alla V3 sulla envelope, mentre rimanevano sensibili a 3BNC117 e VRC01, che invece si legano al CD4;
    - 10-1074 è più potente dei due anticorpi che si legano al CD4, e ha un'emivita comparabile, però ha uno spettro di attività più ristretto; i suoi effetti sulla viremia sono simili a quelli di 3BNC117, ma le varianti di escape del tutto resistenti ad esso sono di più rispetto a quelle emerse studiando gli altri due anticorpi.


La conclusione tratta da Nussenzweig, Klein e colleghi è che, dal momento che 10-1074 ha un buon profilo di sicurezza e di farmacocinetica e si è dimostrato efficace nel controllare la viremia, sarebbe una buona idea provare ad usarlo insieme ad altri anticorpi con caratteristiche diverse in una immunoterapia di combinazione mediata da anticorpi.



Dora
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Re: Ruolo degli anticorpi monoclonali in una strategia di cu

Messaggio da Dora » sabato 4 marzo 2017, 7:45

In agosto 2016 è iniziato il trial ROADMAP (romidepsina + 3BNC117) della Rockefeller University. Ora anche i danesi della University of Aarhus hanno aperto un trial su romidepsina e 3BNC117.
Rivediamo prima il trial americano:
Dora ha scritto:IN PARTENZA IL TRIAL ROADMAP (romidepsina + 3BNC117)

Nei mesi scorsi era stato progettato e ne avevamo avuto notizia lo scorso marzo:
Dora ha scritto:Ho trovato interessante il progetto del trial proof of concept ROADMAP (cioè romidepsina + 3BNC117) su 30 persone con infezione cronica e in ART:

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Ora il trial Romidepsin Plus 3BNC117 Phase 2a Study (ROADMAP) della Rockefeller University in collaborazione con l'Ospedale Universitario di Cologna e l'Ospedale Universitario di Aarhus, è pronto a partire: è stato iscritto in ClinicalTrials.gov, anche se non ha ancora iniziato il reclutamento.

È uno studio di fase IIa, randomizzato, in aperto, che prevede la somministrazione a circa 30 partecipanti con viremia controllata dalla ART dell'HDACi romidepsina con o senza l'anticorpo 3BNC117 per valutarne gli effetti sul reservoir di HIV.
È prevista un'interruzione terapeutica alla 24° settimana e fino alla 36°. I risultati sono attesi nella seconda metà del 2018.

Obiettivo primario: tempo di rebound durante l'interruzione della ART [rebound definito come HIV-1 RNA ≥ 200 copie/mL in due misurazioni successive].

Obiettivi secondari: eventi avversi; dimensione del reservoir latente funzionale [questo è la prima volta che lo vedo ed è molto interessante: sarà valutato come numero di unità infettive per 1 milione di CD4 memoria e sarà misurato tramite viral outgrowth assay prima e dopo la terapia]; dimensione del reservoir provirale [valutata determinando l'HIV DNA e i circoli 2-LTR nei CD4 del sangue all'ingresso nel trial e dopo ogni ciclo di romidepsina, alla 24° settimana quando inizia l'interruzione terapeutica e alla fine dello studio (alla 48° settimana)]; HIV RNA nel plasma [come analisi di routine].

Verranno poi studiati alcuni parametri importanti: l'attività di trascrizione di HIV nei CD4 circolanti, la comparazione filogenetica dei virus prima e dopo il rebound, i livelli delle citochine e dei marker di infiammazione, l'attività e la funzionalità delle NK e dei CD8 e la loro capacità di inibire ex vivo l'infezione.
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IN PARTENZA IL TRIAL eCLEAR (romidepsina + 3BNC117 + ART) in pazienti naive

Ole Søgaard all'ospedale universitario di Aarhus, in collaborazione con gli ospedali di Cologna, Hvidovre e Odense, sta reclutando 60 persone con HIV che non abbiano ancora mai fatto terapia e abbiano almeno 200 CD4 per un trial randomizzato di fase II di somministrazione precoce di un HDACi e un bNAB per vedere se si riesce a limitare la formazione del reservoir in persone che stanno iniziando la ART.

Ci sono 4 bracci:
  • 1. quello della ART standard + placebo;
    2. quello di ART standard + romidepsina (5mg/m2 intravena nei giorni 10, 17 e 24 dopo l'inizio della ART)
    3. quello di ART standard + 3BNC117 (30 mg/kg intravena nei giorni 7 e 21 dopo l'inizio della ART)
    4. quello di ART standard + romidepsina + 3BNC117 (stessi dosaggi e posologia dei gruppi 2 e 3)
Obiettivi primari:
  • - la cinetica dell'RNA virale nel plasma nei primi 3 mesi e il tempo in cui si raggiunge la irrilevabilità (soglia: 20 copie/mL);
    - la misurazione delle dimensioni del reservoir provirale dopo 1 anno (copie di HIV DNA totale su 1 milione di cellule)
Obiettivi secondari:
  • - sicurezza e tollerabilità del trattamento;
    - quantificazione del DNA virale integrato;
    - quantificazione del provirus capace di replicazione;
    - ricostituzione immunitaria a 1 anno (CD4 e CD8);
    - interruzione della ART a 64 settimane e valutazione del tempo di rebound delle viremie (HIV RNA > 1000 copie/mL in due prelievi successivi);
    - livelli dei marker di attivazione immunitaria (IL-6, sCD14, sCD163).
La conclusione del trial è prevista per metà 2019.

A me pare che, dopo i bei risultati del piccolo studio spagnolo, in cui la romidepsina data insieme a un vaccino terapeutico e alla ART a persone che hanno iniziato i trattamenti durante le fasi iniziali dell'infezione ha permesso di controllare le viremie in circa il 40% dei partecipanti, vedere come si comporterà la romidepsina insieme a un anticorpo in persone che invece iniziano la ART in fase cronica sia molto interessante.



Rob_Rob
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Re: Ruolo degli anticorpi monoclonali in una strategia di cu

Messaggio da Rob_Rob » sabato 4 marzo 2017, 7:58

Dora ha scritto:In agosto 2016 è iniziato il trial ROADMAP (romidepsina + 3BNC117) della Rockefeller University. Ora anche i danesi della University of Aarhus hanno aperto un trial su romidepsina e 3BNC117.
Rivediamo prima il trial americano:
Dora ha scritto:IN PARTENZA IL TRIAL ROADMAP (romidepsina + 3BNC117)

Nei mesi scorsi era stato progettato e ne avevamo avuto notizia lo scorso marzo:
Dora ha scritto:Ho trovato interessante il progetto del trial proof of concept ROADMAP (cioè romidepsina + 3BNC117) su 30 persone con infezione cronica e in ART:

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Ora il trial Romidepsin Plus 3BNC117 Phase 2a Study (ROADMAP) della Rockefeller University in collaborazione con l'Ospedale Universitario di Cologna e l'Ospedale Universitario di Aarhus, è pronto a partire: è stato iscritto in ClinicalTrials.gov, anche se non ha ancora iniziato il reclutamento.

È uno studio di fase IIa, randomizzato, in aperto, che prevede la somministrazione a circa 30 partecipanti con viremia controllata dalla ART dell'HDACi romidepsina con o senza l'anticorpo 3BNC117 per valutarne gli effetti sul reservoir di HIV.
È prevista un'interruzione terapeutica alla 24° settimana e fino alla 36°. I risultati sono attesi nella seconda metà del 2018.

Obiettivo primario: tempo di rebound durante l'interruzione della ART [rebound definito come HIV-1 RNA ≥ 200 copie/mL in due misurazioni successive].

Obiettivi secondari: eventi avversi; dimensione del reservoir latente funzionale [questo è la prima volta che lo vedo ed è molto interessante: sarà valutato come numero di unità infettive per 1 milione di CD4 memoria e sarà misurato tramite viral outgrowth assay prima e dopo la terapia]; dimensione del reservoir provirale [valutata determinando l'HIV DNA e i circoli 2-LTR nei CD4 del sangue all'ingresso nel trial e dopo ogni ciclo di romidepsina, alla 24° settimana quando inizia l'interruzione terapeutica e alla fine dello studio (alla 48° settimana)]; HIV RNA nel plasma [come analisi di routine].

Verranno poi studiati alcuni parametri importanti: l'attività di trascrizione di HIV nei CD4 circolanti, la comparazione filogenetica dei virus prima e dopo il rebound, i livelli delle citochine e dei marker di infiammazione, l'attività e la funzionalità delle NK e dei CD8 e la loro capacità di inibire ex vivo l'infezione.
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IN PARTENZA IL TRIAL eCLEAR (romidepsina + 3BNC117 + ART) in pazienti naive

Ole Søgaard all'ospedale universitario di Aarhus, in collaborazione con gli ospedali di Cologna, Hvidovre e Odense, sta reclutando 60 persone con HIV che non abbiano ancora mai fatto terapia e abbiano almeno 200 CD4 per un trial randomizzato di fase II di somministrazione precoce di un HDACi e un bNAB per vedere se si riesce a limitare la formazione del reservoir in persone che stanno iniziando la ART.

Ci sono 4 bracci:
  • 1. quello della ART standard + placebo;
    2. quello di ART standard + romidepsina (5mg/m2 intravena nei giorni 10, 17 e 24 dopo l'inizio della ART)
    3. quello di ART standard + 3BNC117 (30 mg/kg intravena nei giorni 7 e 21 dopo l'inizio della ART)
    4. quello di ART standard + romidepsina + 3BNC117 (stessi dosaggi e posologia dei gruppi 2 e 3)
Obiettivi primari:
  • - la cinetica dell'RNA virale nel plasma nei primi 3 mesi e il tempo in cui si raggiunge la irrilevabilità (soglia: 20 copie/mL);
    - la misurazione delle dimensioni del reservoir provirale dopo 1 anno (copie di HIV DNA totale su 1 milione di cellule)
Obiettivi secondari:
  • - sicurezza e tollerabilità del trattamento;
    - quantificazione del DNA virale integrato;
    - quantificazione del provirus capace di replicazione;
    - ricostituzione immunitaria a 1 anno (CD4 e CD8);
    - interruzione della ART a 64 settimane e valutazione del tempo di rebound delle viremie (HIV RNA > 1000 copie/mL in due prelievi successivi);
    - livelli dei marker di attivazione immunitaria (IL-6, sCD14, sCD163).
La conclusione del trial è prevista per metà 2019.

A me pare che, dopo i bei risultati del piccolo studio spagnolo, in cui la romidepsina data insieme a un vaccino terapeutico e alla ART a persone che hanno iniziato i trattamenti durante le fasi iniziali dell'infezione ha permesso di controllare le viremie in circa il 40% dei partecipanti, vedere come si comporterà la romidepsina insieme a un anticorpo in persone che invece iniziano la ART in fase cronica sia molto interessante.
Grazie Dora
Infezione cronica significa pazienti non in infezione acuta? Quindi tutti quelli in terapia art e negativizzati come noi?
O da molti anni in art?

Comunque , ammiro chi partecipa .... l'obiettivo primario mette un po' paura..... tempo che intercorre fra interruzione e rebound virale ....... sperando che nessuno dei partecipanti lo abbia.....

Ma quando c'è un rebound virale il virus riprende forza ? Forse no perché questi saranno pazienti senza trattamento.



Dora
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Re: Ruolo degli anticorpi monoclonali in una strategia di cu

Messaggio da Dora » sabato 4 marzo 2017, 8:13

Rob_Rob ha scritto:Grazie Dora
Infezione cronica significa pazienti non in infezione acuta?
Sì.
Quindi tutti quelli in terapia art e negativizzati come noi?
O da molti anni in art?
Nei due trial di cui ho parlato, entrambi i gruppi di partecipanti con HIV hanno infezioni croniche. Ma mentre nel trial ROADMAP vengono arruolate persone che sono stabilmente in ART da tempo, nel trial eCLAIR vengono arruolati pazienti naive, che non hanno mai preso antiretrovirali. A questi si dà la ART e, secondo lo schema descritto nel mio post, dopo 1 settimana gli si fa la prima infusione dell'anticorpo, dopo 10 giorni la prima dell'HDACi.
Comunque , ammiro chi partecipa .... l'obiettivo primario mette un po' paura..... tempo che intercorre fra interruzione e rebound virale ....... sperando che nessuno dei partecipanti lo abbia.....
Non è l'obiettivo primario, ma quello secondario. Tutti i trial su interventi di cura non possono esimersi dal provare a interrompere tutti i trattamenti, ART compresa, per vedere se il virus ritorna rilevabile, dopo quanto tempo e a quali livelli (il nuovo set point deve essere confrontato con il set point raggiunto prima di iniziare la ART). Al momento, questo è l'unico modo per capire se si è ottenuto qualche effetto sul reservoir e misurare l'eventuale effetto ottenuto.
Ma quando c'è un rebound virale il virus riprende forza ? Forse no perché questi saranno pazienti senza trattamento.
Non so bene che cosa tu intenda con il virus che riprende forza, perché il virus latente è archiviato nel reservoir e se ne sta lì, poi si riattiva e, se non c'è la ART o qualche altra cosa (tipo il sistema immunitario rafforzato da qualche intervento terapeutico) a controllarlo, innesca nuovi cicli di infezione.
Non è che il virus nel reservoir sia debole e poi quando riprende a trascriversi improvvisamente si trasformi in un superbug o cose del genere.
La preoccupazione, semmai, è che dal reservoir emerga un virus resistente alla vecchia terapia. In quel caso, bisogna avere a disposizione un regime alternativo di ART, esattamente come accade quando si ha un fallimento virologico durante il trattamento.

I controlli sono fatti con grande frequenza, quindi appena si vede un ritorno delle viremie le persone riprendono la ART. Di sperimentazioni con sospensione della ART ne sono ormai state fatte molte e problemi a controllare di nuovo le viremie non se ne sono visti. Quindi direi che, tutto sommato, la controllabilità del virus non è una grande preoccupazione in questi trial.
Invece, il rebound della viremia potrebbe manifestarsi con sintomi tipo quelli della sieroconversione, quindi chi lo sperimenta tanto bene potrebbe non sentirsi.
Ma è proprio per questo che le cose si fanno con controlli stretti.

Anch'io ammiro molto chi partecipa ai trial sulla cura. Non tanto perché rischino granché con le interruzioni della ART, quanto perché lo fanno per puro altruismo, per il bene della scienza e di chi verrà dopo di loro, sapendo che difficilmente ne avranno un beneficio diretto. Credo ci sia una forte componente etica nello spendersi per gli altri e nel mettere da parte il proprio desiderio di guarire e che questa non sia sufficientemente valorizzata presso la community.



Dora
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Re: Ruolo degli anticorpi monoclonali in una strategia di cu

Messaggio da Dora » mercoledì 15 marzo 2017, 8:28

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3BNC117 e 10-1074


3BNC117 E 10-1074 INDUCONO UN BUON CONTROLLO DELLE VIREMIE IN SCIMMIE CON SHIV TRATTATE SUBITO DOPO L'INFEZIONE


Michel Nussenzweig ha tenuto il mese scorso al CROI una lezione, che invito tutti a guardare perché molto chiara e molto bella e perché sono sicura che farà innamorare degli anticorpi chi ancora non se ne fosse lasciato sedurre: CLINICAL STUDIES WITH BROADLY NEUTRALIZING ANTIBODIES.

Durante quella lezione, ha anticipato i risultati di una sperimentazione su scimmie fatta dalla Rockefeller Universitiy e dal NIAID di Fauci, che sono stati pubblicati lunedì come lettera a Nature: Early antibody therapy can induce long-lasting immunity to SHIV.

Li racconto qui in breve, perché mi sembrano di buon augurio su quanto possiamo aspettarci dalle sperimentazioni congiunte di 3BNC117 e 10-1074 su esseri umani (vi ricordo, infatti, che c'è aperta una sperimentazione di fase Ib per valutare sicurezza, farmacocinetica ed effetti antivirali della somministrazione congiunta dei due bNABs in persone con infezione cronica, che al momento sta reclutando pazienti: 3BNC117 and 10-1074 in HIV-infected Individuals).
Le slides alla fine del post sono tratte dalla lezione di Nussenzweig al CROI e non sono le figure pubblicate nell'articolo, semplicemente perché sono di comprensione più immediata.

L'idea alla base di questo studio era la necessità di capire le differenze fra la somministrazione molto precoce della ART e quella di una combinazione di 2 bNABs molto potenti, che si rivolgono a epitopi molto diversi sulla envelope di HIV - appunto 3BNC117 e 10-1074, scoperti proprio nel laboratorio di Nussenzweig.
Sappiamo infatti che

  • 1. i bNABs sopprimono la viremia,
    2. accelerano la distruzione dei virioni liberi, quelli fuori dalle cellule,
    3. migliorano la distruzione delle cellule infette,
    4. migliorano la risposta dell'immunità umorale.


Sono quindi in grado di mitigare gli effetti dannosi che si verificano durante la fase acuta dell'infezione e forse anche di alterarne il decorso a lungo termine.

In effetti, questo è accaduto quando i bNABs sono stati somministrati a dei topi umanizzati e si è visto che impedivano la formazione del reservoir meglio della ART; ma questi animali non sono un buon modello, perché il loro sistema immune è incompleto e sovente non riesce a mantenere l'infezione per più di 3-4 mesi. D'altra parte, la somministrazione di bNABs in monoterapia a scimmie con infezione acuta ha permesso un controllo delle viremie per un paio di settimane, ma poi quando si è avuto il rebound si è vista l'insorgenza di varianti virali resistenti.

Di qui l'idea di combinare insieme due anticorpi molto potenti e molto diversi e di somministrarli alle scimmie il prima possibile, cioè a 3 giorni dall'infezione, appena si è avuta la certezza che fossero infette.
Il virus usato è stato un virus chimera SHIV, per avvicinare il più possibile il modello a quanto accade nell'infezione umana.

13 scimmie sono state inoculate con SHIV, poi hanno ricevuto 3 infusioni dei due anticorpi nel giorno 3, 10 e 17 dopo l'infezione.
Il trattamento ha soppresso il virus a livelli sotto o vicino la soglia di irrilevabilità e la sua azione si è prolungata fino a 6 mesi (range: 56-177 giorni).
Quando i titoli degli anticorpi sono completamente scomparsi, in tutte le scimmie c'è stato un rebound delle viremie, tranne in una, e i tempi di rebound si sono correlati con i livelli degli anticorpi nel plasma.

Ma la cosa molto strana (e bella) si è verificata in seguito, fra 5 e 22 mesi dopo: 6 macachi hanno spontaneamente riacquistato il controllo delle viremie, che sono di nuovo tornate irrilevabili e sono rimaste soppresse per periodi fra i 5 e i 13 mesi.
Sono stati osservati due andamenti dei rebound delle viremie, diversi fra le scimmie "controller" e quelle "non controller", ma anche quelle che non sono diventate "controller" hanno comunque avuto dei picchi di viremia modesti e non hanno manifestato gravi danni alla funzionalità del sistema immune, in particolare i livelli dei CD4 sono diminuiti poco, quindi hanno comunque beneficiato dell'immunoterapia. E questa situazione permane a 2-3 anni dalla fine dello studio.

Quando Nussenzweig e colleghi hanno indagato le ragioni immunitarie che avevano portato al controllo delle viremie, hanno potuto escludere che questo fosse da attribuirsi alla formazione di anticorpi, ma hanno invece visto che tutto era dipeso dai CD8.
Ai 6 macachi controller, infatti, i CD8 sono stati distrutti mediante un anticorpo che colpisce specificamente queste cellule e immediatamente i livelli di SHIV nel sangue sono aumentati.

Le cose nelle scimmie inoculate con SHIV e trattate con ART 3 giorni dopo e per 15 settimane sono andate in modo molto diverso (e simile a quanto accade negli esseri umani): nessuna è diventata un "post treatment controller" e tutte hanno raggiunto livelli di viremia molto alti appena la ART è stata interrotta.

L'ipotesi che è stata fatta per dar conto delle differenze negli effetti dei bNABs e della ART è che nelle scimmie trattate con gli anticorpi la replicazione a bassissimi livelli di virus prima dei veri e propri rebound delle viremie abbia indotto la formazione di complessi immuni cui le cellule dendritiche si sono legate attivando un processo di presentazione dell'antigene efficace, che ha permesso a CD4 e CD8 di funzionare bene - cosa che invece non può accadere quando la ART sopprime radicalmente la produzione di virus.

Questo lavoro ci dice che l'infezione da SHIV può essere ben controllata durante la fase acuta e che questo avviene grazie a un delicato equilibrio fra preservazione dei CD4, ampiezza e stabilità del reservoir, e continua produzione di quantità di antigeni sufficienti a generare una potente e sostenuta risposta dei CD8.

Ora i ricercatori stanno facendo uno studio per capire che cosa accade se la combinazione di 3BNC117 e 10-1074 viene somministrata non immediatamente dopo l'infezione, ma fra 2 e 6 settimane dopo, per cercare di avvicinarsi di più a quanto accade nel mondo umano.



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