Ruolo degli anticorpi monoclonali in una strategia di cura

Ricerca scientifica finalizzata all'eradicazione o al controllo dell'infezione.
Dora
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Re: Ruolo degli anticorpi monoclonali in una strategia di cura

Messaggio da Dora » mercoledì 27 gennaio 2021, 23:31

Whenharrymetsally ha scritto:
mercoledì 27 gennaio 2021, 23:19
Ma in effetti mi chiedo: come può una combinazione di anticorpi competere con un islatravir che si sintetizza in pochi steps e che, se i trials confermano, si potrebbe assumere in una pastiglia da 60mg una volta al mese o in quantità maggiori in maniera più infrequente?
Per non parlare di quando ci sarà l'impianto sottocutaneo, da cambiare una volta all'anno...
Non credo gli anticorpi potranno in alcun modo competere, tanto più che i costi non saranno neppure lontanamente paragonabili.



Dora
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Re: Ruolo degli anticorpi monoclonali in una strategia di cu

Messaggio da Dora » mercoledì 16 febbraio 2022, 8:43

Poiché la ricerca su romidepsina e bNABs non è proprio nuovissima, in attesa che trovi il tempo di preparare un aggiornamento, rinfreschiamo la memoria con questi vecchi post. Il prossimo post sarà dedicato ai risultati molto più incoraggianti presentati al CROI2022 e spero di riuscire a scriverlo oggi o al più tardi domani.
Dora ha scritto:
lunedì 9 marzo 2020, 18:09
Dora ha scritto:
sabato 4 marzo 2017, 7:45
In agosto 2016 è iniziato il trial ROADMAP (romidepsina + 3BNC117) della Rockefeller University. Ora anche i danesi della University of Aarhus hanno aperto un trial su romidepsina e 3BNC117.
Rivediamo prima il trial americano:
Dora ha scritto:IN PARTENZA IL TRIAL ROADMAP (romidepsina + 3BNC117)

Nei mesi scorsi era stato progettato e ne avevamo avuto notizia lo scorso marzo:
Dora ha scritto:Ho trovato interessante il progetto del trial proof of concept ROADMAP (cioè romidepsina + 3BNC117) su 30 persone con infezione cronica e in ART:

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Ora il trial Romidepsin Plus 3BNC117 Phase 2a Study (ROADMAP) della Rockefeller University in collaborazione con l'Ospedale Universitario di Cologna e l'Ospedale Universitario di Aarhus, è pronto a partire: è stato iscritto in ClinicalTrials.gov, anche se non ha ancora iniziato il reclutamento.

È uno studio di fase IIa, randomizzato, in aperto, che prevede la somministrazione a circa 30 partecipanti con viremia controllata dalla ART dell'HDACi romidepsina con o senza l'anticorpo 3BNC117 per valutarne gli effetti sul reservoir di HIV.
È prevista un'interruzione terapeutica alla 24° settimana e fino alla 36°. I risultati sono attesi nella seconda metà del 2018.

Obiettivo primario: tempo di rebound durante l'interruzione della ART [rebound definito come HIV-1 RNA ≥ 200 copie/mL in due misurazioni successive].

Obiettivi secondari: eventi avversi; dimensione del reservoir latente funzionale [questo è la prima volta che lo vedo ed è molto interessante: sarà valutato come numero di unità infettive per 1 milione di CD4 memoria e sarà misurato tramite viral outgrowth assay prima e dopo la terapia]; dimensione del reservoir provirale [valutata determinando l'HIV DNA e i circoli 2-LTR nei CD4 del sangue all'ingresso nel trial e dopo ogni ciclo di romidepsina, alla 24° settimana quando inizia l'interruzione terapeutica e alla fine dello studio (alla 48° settimana)]; HIV RNA nel plasma [come analisi di routine].

Verranno poi studiati alcuni parametri importanti: l'attività di trascrizione di HIV nei CD4 circolanti, la comparazione filogenetica dei virus prima e dopo il rebound, i livelli delle citochine e dei marker di infiammazione, l'attività e la funzionalità delle NK e dei CD8 e la loro capacità di inibire ex vivo l'infezione.
[...]
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#CROI2020 - I risultati del trial ROADMAP (un HDACi - la romidepsina - e un bNAb - il 3BNC117 in persone con HIV ben controllato dalla cART)


Della presentazione orale - A RANDOMIZED TRIAL OF THE IMPACT OF 3BNC117 AND ROMIDEPSIN ON THE HIV-1 RESERVOIR - che Ole Søgaard avrebbe dovuto tenere fisicamente a un CROI che è invece virtuale causa COVID-19, grazie al meraviglioso lavoro di Jules Levin per Natap sono riuscita a vedere le slides.
Dico subito che la sperimentazione è stata un fiasco. Si sapeva che non aveva grandi possibilità di successo, soprattutto perché tutti questi HDACi sono troppo deboli per stimolare una grande trascrizione del virus latente, ma vediamo comunque che cosa è successo.

I due farmaci, sia la romidepsina da sola, sia in combinazione con l'anticorpo, si sono rivelati sicuri e abbastanza ben tollerati, con parecchi eventi avversi di grado lieve o moderato e uno solo di grado più severo.
I fastidi più frequenti sono stati nausea, mal di testa, fatigue, brividi e vomito.
Non si sono viste variazioni significative nei livelli dei CD4.
Gli effetti sulla trascrizione virale, quasi inesistenti dopo un primo ciclo di trattamento, sono stati assai modesti dopo un secondo ciclo. Circa nella metà dei partecipanti, subito dopo la somministrazione della romidepsina si è potuto misurare un leggero aumento delle viremie nel plasma, nulla però che abbia superato le 144 copie di HIV RNA.
L'effetto sulle dimensioni del reservoir (cioè sul DNA virale), invece, è stato nullo, e questo anche dopo il secondo ciclo di trattamento. Un risultato deludente che ci siamo abituati a vedere in tutti questi trial con gli HDACi.
C'è sempre il problema di una certa resistenza di alcune persone agli anticorpi. Anche questa, purtroppo, non è una novità.
I tempi di rebound delle viremie dopo la sospensione prevista della cART sono stati quelli canonici (tranne un partecipante del gruppo della sola romidepsina, che invece il rebound l'ha avuto dopo circa 2 mesi e mezzo).
Non si è creata immunità specifica (quella dei CD8 memoria) dopo le infusioni con il bNAb.

Insomma, come dicevo prima, un gran fiasco.



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CROI2022



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Re: Ruolo degli anticorpi monoclonali in una strategia di cura

Messaggio da Dora » giovedì 17 febbraio 2022, 7:26

E veniamo all'oggi.

#CROI2022 - LO STUDIO eCLEAR SULL'IMPATTO DEL TRATTAMENTO CON ROMIDEPSINA E ANTICORPO NEUTRALIZZANTE AD AMPIO SPETTRO 3BNC117 SUL RESERVOIR DI HIV DI PERSONE APPENA ENTRATE IN TERAPIA ANTIRETROVIRALE, METÀ DELLE QUALI IN FASE ACUTA

Poiché i materiali del congresso saranno disponibili a tutti tra non meno di un mese, le mie fonti ieri, quando ho deciso di scrivere il post, erano:
- il report di Mark Mascolini su Natap, in cui si pubblicano l'abstract e le slides complete: THE IMPACT OF 3BNC117 AND ROMIDEPSIN TREATMENT AT ART INITIATION ON HIV-1 PERSISTENCE
- la parte di post che Richard Jefferys ha dedicato a questa ricerca nel suo blog su TAG: CROI 2022 Update: A New Potential HIV Cure Case; Broadly Neutralizing Antibody Enhances Post-Treatment Control

Ma poi è stato pubblicato il post in cui Gus Cairns non solo riassume per NAM la storia di queste sperimentazioni, ma racconta magistralmente sia la presentazione di Søgaard, sia quella di Miriam Rosás-Umbert, dedicate allo Studio eCLEAR. Quindi il mio lavoro è inutile e mi limito a quotare l'articolo di Cairns e sotto a riportare le principali slides di Søgaard.
One person remains undetectable without HIV drugs almost four years after using an antibody-based therapy

Antibody enabled other people sensitive to it to stay off ART for at least three months
Gus Cairns
16 February 2022


The Conference on Retroviruses and Opportunistic Infections (CROI 2022) yesterday included a widely-reported study of a woman apparently cured of HIV after a stem-cell transplant. The same conference session also heard about another study participant for whom scientists are avoiding the word ‘cure’, but who has been off HIV therapy with an undetectable viral load for over 3.7 years after he was given a combination of a broadly-neutralising antibody and a drug that prevents HIV-infected cells becoming latent and hiding from the immune system.

As with many such studies, this was an isolated case; he was one out of 59 people in the study, and only one out of the 20 who remained undetectable after stopping his antiretroviral therapy (ART) in what’s called an analytical treatment interruption (ATI). But six other people were able to stay off ART for more than 12 weeks.

While the antibody therapy directly reduced the number of actively-infected CD4 cells that were producing virus, it also, in people sensitive to it, produced a considerably higher proportion of CD8 cells that were sensitive to HIV and therefore capable of killing off other infected cells.

Background
The study was based on the ‘kick and kill’ idea that underlies one of the approaches to curing HIV. One feature of HIV that makes it hard to cure is that, as a retrovirus, it inserts its DNA into the host DNA of a proportion of the immune cells that infected people carry. In the course of infection, some of these cells become long-lived memory cells, whose normal job is to stay quiet (or ‘latent’) until another infection by the same agent comes along. Vaccines work by creating a population of memory cells that are ready to combat the real infection when it turns up.

The problem with HIV is that the infected memory cells act as sleeper cells, invisible to the surveillance of the immune system. When antiretroviral drugs, which block HIV replication, are stopped, these cells start producing HIV again. This is why HIV infection is lifelong.

The ‘kick and kill’ strategy uses a two-stage process. It uses latency-reversing agents that wake up the memory cells. Several previous studies have used romidepsin, the latency-reversing agent used in the new study, to do this.

On its own, however it does not lead, as it does in cancer cells, to the self-destruction of the activated cells. It became apparent that additional therapies were needed to provide the ‘kill’ and to stimulate the immune system to kill off the now-awakened infected cells. Antibodies were candidates because, although they cannot kill virally-infected cells directly, they can alert other cells, like CD8 lymphocytes and natural killer cells, to do the job. In addition antibodies can surround (‘neutralise’) viruses and block them from infecting other cells. Ones that are active against a wide variety of viral strains are called broadly-neutralising antibodies (bNAbs).

The bNAb used in the present study, 3BNC117, has been used in cure studies before. In 2017, used alongside another antibody called 10-1074, it induced a remission of HIV infection to the monkey version of HIV in 13 animals; in 2018 the same duo apparently completely cured one monkey; and in another study in 2018 it enabled nine out of eleven people to stop their ART for five months before having to restart. This week, CROI heard about the same bNAbs being used to enable young children to stay off ART.

Cure studies in adult humans, however, have tended to enrol people who have had HIV for many years. The new study is possibly the first to give adults who are recently infected and new to ART the combination of a bNAb and a latency reversing drug at the same time as they start antiretrovirals. It was hoped that by doing this, the result would be a permanently smaller reservoir of HIV-infected memory cells, and an increased state of immune activation against the ones that remain. Most viral DNA found in people’s reservoir cells consists of viral strains that were reproducing before ART was started. The earlier one limits the size of the reservoir, the less chance there is of viral mutations that can escape immune responses.

The study
The eCLEAR Study was conducted by a team led by Dr Ole Schmeltz Søgaard of Aarhus University in Denmark, and took place at five sites in Denmark and two in London, UK. It enrolled 59 recently diagnosed people who had never taken ART, in four arms:

15 people were in the control arm and given ART alone
15 given ART and two infusions of 3BNC117 seven and 21 days after starting ART
13 were given ART and romidepsin at ten, 17 and 24 days after starting ART
16 were given ART and both of the other two experimental medications.
Twenty-nine of the 59 participants had been infected with HIV in the previous six months. Five were women but due to a quirk of randomisation four of them were in the control arm. CD4 counts averaged nearly 500 and viral loads 49,000, but there was an extremely wide range in viral loads, from 740 to 24,000,000.
One of the crucial issues in antibody therapy is that resistance mutations to them are naturally common in HIV. In the group that took 3BNC117 plus ART, 47% had resistance to it and in the group that took all three therapies, 37%.

Viral load and immune responses
Viral load declined faster in people given one or both of the experimental therapies than to ART alone. The faster rate of decline happened in what’s been called phase two of the viral load decline. This happens when HIV-infected cells circulating in the blood die off, and generally lasts from about 10-15 days to four to six weeks after starting ART. (Phase one occurs when short lived lymph-node and tissue cells die off, while phase three concerns latently infected cells). During phase two, viral load declined by about 10 copies a day in people on ART alone, about 18 copies a day in those on romidepsin alone, about 15 copies a day in those resistant to 3BNC117 and about 18 copies a day in those sensitive to 3BNC117. Taking romidepsin in addition to 3BNC117 didn't seem to speed up viral load decline.

The decline in viral load was a product of two different processes – the ‘kick’ and the ‘kill’ happening together. The 3BNC117 antibody, in participants sensitive to it, produced a roughly 80% decline in the number of infected CD4 cells producing viral proteins. The first dose of romidepsin, on the other hand, produced a roughly twofold increase in productively-infected cells. Because the first romidepsin dose was given three days after the first antibody dose, this provided more cells that were ‘visible’ to the antibodies in subjects given both therapies. But romidepsin ceased having any impact after its first dose and seemed generally to have a minor impact. Subsequent events in the study were largely influenced by whether participants were given 3BNC117 and whether they were sensitive to it, or not.

The most important lab finding from the study was that in people sensitive to 3BNC117, the number of CD8 cells sensitive to HIV (specifically, to its structural gag protein) was greatly enhanced. These are the important cells that kill off virally-infected cells and their ‘memory’ for HIV tails off only gradually.

A year after starting therapy, only 0.1% of CD8 cells in the control group had immune reactivity to HIV. In contrast 2.9% of cells in those given 3BNC117 and 1% in those given both therapies had HIV-sensitive CD8 cells. A strong anti-HIV CD8 response is known to be a central feature of most immune controllers, that is people who naturally control their HIV viral load without ART.

After one year there was also a greater decline in the number of CD4 cells carrying intact proviral DNA. This declined by 69% in the control group, by 82 and 84% in the two groups given 3BNC117, and by 78% in those given romidepsin alone.

In a second presentation, Dr Miriam Rosás-Umbert from the eCLEAR study gave further information on immune responses. The most distinctive property of the CD4 and CD8 cells in people given 3BNC117 and sensitive to it was that they produced significant amounts of the antiviral protein interferon-gamma (IFN-g) when they were exposed to the HIV gag protein as an antigen. In contrast, those resistant to 3BNC117 and those not given it in the first place barely produced any at all.

Taking participants off ART
These immune markers may be used as guides but in cure studies there is as yet no substitute for taking people off ART in an analytical treatment interruption (ATI) and seeing if their HIV viral load rebounds. After 400 days on ART, participants were asked if they were willing to try an ATI and 20 of them agreed.

ART was restarted either at 12 weeks after stopping it, or earlier if the person’s viral load increased beyond the pre-specified limit of 5000.

Seven of the 20 participants were able to continue with the ATI for the full 12 weeks. Two of them had taken ART alone, one ART and romidepsin, one ART and 3BNC117, and three all of the interventions. Four out of the five people who were sensitive to 3BNC117 stayed on the ATI for 12 weeks; the exception was the participant who has started with a viral load of 24 million. Lower levels of intact proviral DNA were associated with a longer time to viral rebound.

Also, five of the seven participants who stayed on the ATI for 12 weeks had produced high levels of IFN-g. Most interestingly, higher levels of IFN-g production before the ATI were predictive of lack of viral rebound, providing possibly for the first time a marker for who may be able to stay undetectable on an ATI.

As mentioned, one of the participants remains off ART and undetectable with a viral load below 50 over 3.7 years after stopping ART. This participant started ART with one of the higher viral loads (200,000). His intact proviral DNA, as measured by two different assays, has continued to decline over the period. He maintains a very low viral load, detectable by ultrasensitive PCR tests, of 0.2 copies/ml.

He cannot therefore be regarded as a ‘cure’ in the sense of all HIV having disappeared from his body. But he can perhaps called an example of a long-term remission, or extreme post-treatment control, or even of functional cure if he continues to control his own HIV at these low levels.

Dr Søgaard emphasised that these are still early days for bNAb therapy. But he said that their time had come and he expected combinations of more powerful bNAbs, active against a broader variety of viral strains, would continue to be used as ARV drugs in their own right and also as a form of therapeutic vaccine, as in the eCLEAR study.

References
Gunst JD et al (presenter Søgaard OS). The impact of 3BNC117 and romidepsin treatment at ART initiation on HIV-1 persistence. Conference on Retroviruses and Opportunistic Infections, abstract 62, 2022.

View the abstract on the conference website.

Rosás-Umbert M et al. Administration of 3BNC117 at ART initiation induces long-term HIV CD8 T-cell immunity. Conference on Retroviruses and Opportunistic Infections, abstract 122, 2022.

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giovane888
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Re: Ruolo degli anticorpi monoclonali in una strategia di cura

Messaggio da giovane888 » domenica 1 maggio 2022, 23:42

Credo ci siano degli aggiornamenti, o forse è diventato tutto pubblico:
Nel mentre stò leggendo, comunque ti posto l'articolo

https://www.nature.com/articles/s41586-022-04597-1



Dora
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Re: Ruolo degli anticorpi monoclonali in una strategia di cura

Messaggio da Dora » lunedì 2 maggio 2022, 5:36

giovane888 ha scritto:
domenica 1 maggio 2022, 23:42
Credo ci siano degli aggiornamenti, o forse è diventato tutto pubblico:
Nel mentre stò leggendo, comunque ti posto l'articolo

https://www.nature.com/articles/s41586-022-04597-1
È semplicemente uscito l'articolo di Nussenzweig e colleghi della Rockefeller University sul trial i cui risultati sono stati anticipati al CROI e accennati nel post precedente.
Si tratta di una sperimentazione di combinazione di due potenti anticorpi ad ampio spettro - 3BNC117 e 10-1074 - iniziata nel 2018:
Dora ha scritto:
domenica 17 giugno 2018, 7:08
[...]

Alla Rockefeller University (e dove, sennò?) stanno iniziando ben due trial clinici, che vedono l'uso combinato di due bNAbs che conosciamo bene:

1. 3BNC117 and 10-1074 in ART-treated Individuals: studio di fase I, in aperto e randomizzato per valutare sicurezza e attività antivirale di 7 infusioni dei due anticorpi 3BNC117 e 10-1074 insieme, seguite da interruzione terapeutica in 40 persone con HIV ben controllato dalla ART.
Ci sono due gruppi: in uno l'interruzione della ART avverrà 2 giorni dopo la prima infusione e poi, nelle settimane 2, 4, 8, 12, 16 e 20 ci sono altre 6 infusioni di anticorpi. Se mantengono la soppressione della viremia, i partecipanti staranno in sospensione terapeutica fino alla 38° settimana.
Nel secondo gruppo, gli anticorpi saranno somministrati alle settimane 0, 2, 4, 8, 12, 16 e 20 e l'interruzione della ART comincerà alla 26° settimana, durando fino alla 38° se le viremie restano irrilevabili.
Molti obiettivi: fra i principali, il cambiamento delle dimensioni del reservoir latente funzionale, le dimensioni del reservoir provirale, il tempo di rebound della viremia, il tasso e la gravità degli eventi avversi; fra i secondari, il tasso di rebound delle viremie a 26 settimane dalla sospensione della ART e i livelli sierici degli anticorpi quando le viremie tornano rilevabili.
Conclusione prevista dello studio: maggio 2020.

[...]
Del gruppo di 17 persone che hanno ricevuto entrambi gli anticorpi una sola vota, 13 (cioè il 76%) hanno mantenuto la viremia soppressa all'interruzione della cART per almeno 20 settimane e per un tempo mediano di 28 settimane, che è un tempo consistentemente più lungo di quello che si vede sospendendo gli antiretrovirali senza aver preso anticorpi e anche prendendo un solo anticorpo.
Un gruppo di pazienti, invece, ha continuato lo studio prendendo gli anticorpi per 7 volte e, quando ha sospeso la cART, ha mantenuto il controllo della viremia per una mediana di 32 settimane. Ma solo se la cART è stata sospesa subito dopo l'ultima dose di anticorpi: chi ha ritardato la sospensione, ha avuto il rebound della viremia molto prima, dopo una mediana di sole 7 settimane (non è una gran bella notizia: ci dice che l'efficacia dei bNAbs non solo è estremamente variabile da una persona all'altra e - fatte salve specifiche resistenze personali a specifici anticorpi - ancora non sappiamo perché, ma anche tende a diminuire nel tempo).

2 persone che hanno ricevuto tutte e 7 le dosi di 3BNC117 e 10-1074 (cioè il 12% dei partecipanti), continuano a mantenere la viremia sotto controllo a 1 anno dalla sospensione dei trattamenti.

Per quanto riguarda l'analisi dei reservoir, si è visto che, mentre è rimasto inalterato il numero di provirus difettivi, è diminuito quello di provirus intatti. Questo ovviamente va bene, perché sono proprio quelli intatti che dobbiamo distruggere per primi, ma non è chiaro perché le cose siano andate così. Forse perché gli anticorpi stimolano i CD8 a far meglio il loro lavoro di killer dei CD4 infetti, o magari perché colpiscono le cellule latentemente infette nel momento in cui cominciano a dividersi, e quindi a produrre virus.
In ogni caso, questo potrebbe spiegare l'allungamento dei tempi di rebound, anche se non sono stati ancora trovati dei marker che possano metterci in grado di predirli, questi tempi, per capire chi può permettersi una sospensione della cART e chi invece è inutile che la tenti.
Il fatto che ancora, a distanza ormai di diversi anni che si sperimentano i bNAbs per arrivare un giorno a curare l'infezione da HIV, non si sappiano cose fondamentali come quelle evidenziate da questo studio conferma l'urgenza di lavorare su numeri molto più grandi di persone che presentino caratteristiche di base le più diverse, e in trial con gruppi di controllo impostati come si deve e non raccattati qua e là da studi precedenti, per far emergere le costanti, tra le caratteristiche individuali, che permetteranno di sapere a chi questi anticorpi potranno essere utili e a chi sarà invece inutile somministrarli, e poi quanti, in quali dosaggi, per quanto tempo.

Secondo me, una lezione molto utile e importante che viene da questa sperimentazione è che, comunque si risponderà alle domande ancora aperte, 2 è nettamente meglio che 1, cioè la conferma che bisogna continuare sulla strada delle combinazioni di anticorpi perché le resistenze nelle monoterapie sono un problema certo e non evitabile (magari unendoli a qualcosa d'altro, qualcosa che perturbi il reservoir obbligando quantità sempre maggiori di virus latenti a uscire dalla latenza).



giovane888
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Re: Ruolo degli anticorpi monoclonali in una strategia di cura

Messaggio da giovane888 » lunedì 2 maggio 2022, 12:28

Dora ha scritto:
lunedì 2 maggio 2022, 5:36
giovane888 ha scritto:
domenica 1 maggio 2022, 23:42
Credo ci siano degli aggiornamenti, o forse è diventato tutto pubblico:
Nel mentre stò leggendo, comunque ti posto l'articolo

https://www.nature.com/articles/s41586-022-04597-1
È semplicemente uscito l'articolo di Nussenzweig e colleghi della Rockefeller University sul trial i cui risultati sono stati anticipati al CROI e accennati nel post precedente.
Si tratta di una sperimentazione di combinazione di due potenti anticorpi ad ampio spettro - 3BNC117 e 10-1074 - iniziata nel 2018:
Dora ha scritto:
domenica 17 giugno 2018, 7:08
[...]

Alla Rockefeller University (e dove, sennò?) stanno iniziando ben due trial clinici, che vedono l'uso combinato di due bNAbs che conosciamo bene:

1. 3BNC117 and 10-1074 in ART-treated Individuals: studio di fase I, in aperto e randomizzato per valutare sicurezza e attività antivirale di 7 infusioni dei due anticorpi 3BNC117 e 10-1074 insieme, seguite da interruzione terapeutica in 40 persone con HIV ben controllato dalla ART.
Ci sono due gruppi: in uno l'interruzione della ART avverrà 2 giorni dopo la prima infusione e poi, nelle settimane 2, 4, 8, 12, 16 e 20 ci sono altre 6 infusioni di anticorpi. Se mantengono la soppressione della viremia, i partecipanti staranno in sospensione terapeutica fino alla 38° settimana.
Nel secondo gruppo, gli anticorpi saranno somministrati alle settimane 0, 2, 4, 8, 12, 16 e 20 e l'interruzione della ART comincerà alla 26° settimana, durando fino alla 38° se le viremie restano irrilevabili.
Molti obiettivi: fra i principali, il cambiamento delle dimensioni del reservoir latente funzionale, le dimensioni del reservoir provirale, il tempo di rebound della viremia, il tasso e la gravità degli eventi avversi; fra i secondari, il tasso di rebound delle viremie a 26 settimane dalla sospensione della ART e i livelli sierici degli anticorpi quando le viremie tornano rilevabili.
Conclusione prevista dello studio: maggio 2020.

[...]
Del gruppo di 17 persone che hanno ricevuto entrambi gli anticorpi una sola vota, 13 (cioè il 76%) hanno mantenuto la viremia soppressa all'interruzione della cART per almeno 20 settimane e per un tempo mediano di 28 settimane, che è un tempo consistentemente più lungo di quello che si vede sospendendo gli antiretrovirali senza aver preso anticorpi e anche prendendo un solo anticorpo.
Un gruppo di pazienti, invece, ha continuato lo studio prendendo gli anticorpi per 7 volte e, quando ha sospeso la cART, ha mantenuto il controllo della viremia per una mediana di 32 settimane. Ma solo se la cART è stata sospesa subito dopo l'ultima dose di anticorpi: chi ha ritardato la sospensione, ha avuto il rebound della viremia molto prima, dopo una mediana di sole 7 settimane (non è una gran bella notizia: ci dice che l'efficacia dei bNAbs non solo è estremamente variabile da una persona all'altra e - fatte salve specifiche resistenze personali a specifici anticorpi - ancora non sappiamo perché, ma anche tende a diminuire nel tempo).

2 persone che hanno ricevuto tutte e 7 le dosi di 3BNC117 e 10-1074 (cioè il 12% dei partecipanti), continuano a mantenere la viremia sotto controllo a 1 anno dalla sospensione dei trattamenti.

Per quanto riguarda l'analisi dei reservoir, si è visto che, mentre è rimasto inalterato il numero di provirus difettivi, è diminuito quello di provirus intatti. Questo ovviamente va bene, perché sono proprio quelli intatti che dobbiamo distruggere per primi, ma non è chiaro perché le cose siano andate così. Forse perché gli anticorpi stimolano i CD8 a far meglio il loro lavoro di killer dei CD4 infetti, o magari perché colpiscono le cellule latentemente infette nel momento in cui cominciano a dividersi, e quindi a produrre virus.
In ogni caso, questo potrebbe spiegare l'allungamento dei tempi di rebound, anche se non sono stati ancora trovati dei marker che possano metterci in grado di predirli, questi tempi, per capire chi può permettersi una sospensione della cART e chi invece è inutile che la tenti.
Il fatto che ancora, a distanza ormai di diversi anni che si sperimentano i bNAbs per arrivare un giorno a curare l'infezione da HIV, non si sappiano cose fondamentali come quelle evidenziate da questo studio conferma l'urgenza di lavorare su numeri molto più grandi di persone che presentino caratteristiche di base le più diverse, e in trial con gruppi di controllo impostati come si deve e non raccattati qua e là da studi precedenti, per far emergere le costanti, tra le caratteristiche individuali, che permetteranno di sapere a chi questi anticorpi potranno essere utili e a chi sarà invece inutile somministrarli, e poi quanti, in quali dosaggi, per quanto tempo.

Secondo me, una lezione molto utile e importante che viene da questa sperimentazione è che, comunque si risponderà alle domande ancora aperte, 2 è nettamente meglio che 1, cioè la conferma che bisogna continuare sulla strada delle combinazioni di anticorpi perché le resistenze nelle monoterapie sono un problema certo e non evitabile (magari unendoli a qualcosa d'altro, qualcosa che perturbi il reservoir obbligando quantità sempre maggiori di virus latenti a uscire dalla latenza).
Ti ringrazio per le delucidazioni. Forse è vero quello che diceva questa slide, ovvero che gli anticorpi ampiamente neutralizzanti saranno il prossimo step dopo le iniezioni a lunga durata. Inoltre, non sò se emerge dal testo, come impattano le tossicità a livello renale, metabolico, cardiovascolare, osseo rispetto alla cart tradizionale? Cioè, in questi soggetti, nell'arco di 20 settimane o 32, i valori del fegato, reni, hdl, disturbi neurocognitivi che tipo di impatto hanno avuto rispetto al metro di paragone della cart?

Forse da quel che vedo sono dati non ancora disponibili. Potrebbero, visto i dati disponibili essere una combinazione di due anticorpi neutralizzanti il prossimo futuro delle terapie.


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Dora
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Re: Ruolo degli anticorpi monoclonali in una strategia di cura

Messaggio da Dora » lunedì 2 maggio 2022, 15:18

giovane888 ha scritto:
lunedì 2 maggio 2022, 12:28
non sò se emerge dal testo, come impattano le tossicità a livello renale, metabolico, cardiovascolare, osseo rispetto alla cart tradizionale? Cioè, in questi soggetti, nell'arco di 20 settimane o 32, i valori del fegato, reni, hdl, disturbi neurocognitivi che tipo di impatto hanno avuto rispetto al metro di paragone della cart?
In genere, il profilo di sicurezza e tossicità dei bNABs è ottimo e anche in questo caso gli anticorpi sono stati ben tollerati, con effetti avversi di scarsissima entità (guarda la prima parte della tabella sotto):
Repeated antibody infusions over the course of 20 weeks were generally safe and well-tolerated. Eighty-eight per cent (79 out of 90) of the reported adverse events were of grade 1 severity—28% (25 out of 90) were considered at least possibly related to the antibodies and were of grade 1 severity. Two participants acquired hepatitis C virus (HCV) infection during study follow-up and experienced transient grade 3 elevations of hepatic transaminases, and ART was restarted. No serious adverse events were reported (Supplementary Table 3).
Questa la Tabella 3 dei Materiali Supplementari:

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giovane888
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Re: Ruolo degli anticorpi monoclonali in una strategia di cura

Messaggio da giovane888 » domenica 5 giugno 2022, 18:15

è uscito quest'altro articolo il primo giugno su nature. Mi sembra lo stesso studio, non capisco però le differenze con quelle precedenti:
articolo 1 giugno 2022
https://www.nature.com/articles/s41586- ... -9#ref-CR2

articolo 13 aprile 2022 di cui abbiamo discusso nei post precedenti:
https://www.nature.com/articles/s41586-022-04597-1

puoi aiutarmi a fare chiarezza?



Dora
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Re: Ruolo degli anticorpi monoclonali in una strategia di cura

Messaggio da Dora » lunedì 6 giugno 2022, 5:39

giovane888 ha scritto:
domenica 5 giugno 2022, 18:15
è uscito quest'altro articolo il primo giugno su nature. Mi sembra lo stesso studio, non capisco però le differenze con quelle precedenti:
articolo 1 giugno 2022
https://www.nature.com/articles/s41586- ... -9#ref-CR2

articolo 13 aprile 2022 di cui abbiamo discusso nei post precedenti:
https://www.nature.com/articles/s41586-022-04597-1

puoi aiutarmi a fare chiarezza?
Volentieri!
Stesso gruppo di lavoro - collaborazione NIAID e Rockefeller University - stessa combinazione di anticorpi - 3BNC117 e 10-1074 - ma sperimentazioni diverse, su gruppi di persone con HIV dalle caratteristiche differenti - ad aprile NCT03526848, mentre a giugno NCT03571204.

Questo secondo trial si è svolto in due fasi. Nella prima, di fase I, randomizzata e controllata con placebo, hanno arruolato 14 persone che avevano iniziato la cART nei momenti iniziali dell'infezione. Poco dopo la prima infusione degli anticorpi o del placebo, la cART è stata sospesa. Poi di infusioni ne sono state fatte altre 7, 2 nel primo mese e le altre una volta al mese. Ogni 2 settimane sono stati misurati viremie e CD4.
La cosa interessante è che gli anticorpi da soli sono riusciti a mantenere le viremie soppresse in assenza di cART e nessuno dei 7 che li hanno ricevuti ha dovuto ricominciare gli antiretrovirali prima delle 28 settimane previste dal protocollo (durata media senza cART 39,6 settimane). Invece, 6 su 7 fra quelli che hanno ricevuto il placebo la cART hanno dovuto riprenderla prima (durata media senza cART 9,4 settimane).

Nella seconda fase dello studio sono state scelte 5 persone che riuscivano a mantenere viremie basse da sole, senza cART, e sono state loro fatte infusioni della combinazione di 3BNC117 e 10-1074. Tra queste, solo 2 su 5 sono riuscite a mantenere le viremie soppresse per una media di 41,7 settimane.

Questo sembra mostrare che un periodo di cART, specie se presa nelle fasi iniziali dell'infezione, aiuta gli anticorpi a mantenere più a lungo il controllo della viremia quando gli antiretrovirali vengono sospesi.

Questo studio continua a confermare quello che abbiamo visto ad aprile: la combinazione di anticorpi è una via molto più promettente rispetto alla monoterapia. E conferma anche un'altra cosa: se ci sono virus resistenti fin dall'inizio, dare gli anticorpi non serve a niente.
Quindi non solo si devono cercare combinazioni di bNAbs sempre più potenti, ad ampio spettro e con emivite sempre più lunghe, che consentano periodi più prolungati senza somministrazioni, ma bisogna anche prevedere di avere dei test sulle resistenze da fare prima di partire con qualsiasi combinazione.
Come dicono molto chiaramente gli autori dell'articolo e come continuiamo a ripetere qui in tutte le salse, la questione delle resistenze è seria. Così seria che potrebbe rendere questo tipo di terapia - quando sarà abbastanza matura per arrivare sul mercato - non utilizzabile su vasta scala (anche la somministrazione via infusione non contribuirà a rendere particolarmente popolari questi bNABs).
Aggiungiamo i costi pazzeschi di questi anticorpi e ci rendiamo conto che sono una cosa meravigliosa, che potrebbe essere un valido sostituto della cART, ma rischia di rimanere alla portata di una ristretta elite di persone con HIV per molti molti anni.



giovane888
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Re: Ruolo degli anticorpi monoclonali in una strategia di cura

Messaggio da giovane888 » lunedì 6 giugno 2022, 14:37

quella delle resistenze purtroppo è una cosa che mi tocca personalmente:
la persona che mi ha trasmesso il virus, ha una serie costellata di fallimenti terapeutici dovuti sicuramente ad una mancata aderenza ma anche ad una efficacia ridotta dei farmaci precedenti.

Tu mi potrai confermare o dire di più che farmaci a cui sono resistente, elvitelgravir e raltegravir, su internet c'è scritto che avevano un'efficacia dal 50-75%, se presi anche come si deve. Altrimenti buonanotte. Ricordiamoci anche che fino al 2015 venivano anche fatte le vacanze terapeutiche.

Quindi io ho il virus perchè le resistenze e /o la mancata aderenza (che genera resistenza)hanno permesso la trasmissione. Quindi sì, è un problema serissimo. Ed io ne sono la prova.

Quella degli anticorpi sarà il prossimo step e probabilmente 5-10 anni per vedere qualcosa di almeno in parte utilizzabile e o in commercio.

Spero che riusciranno a far accoppiare qualcosa con lenacapavir, anche affiancandolo ad uno o due principi attivi, come stanno facendo con i multiresistenti. Sì prenderà sempre una compressa, ma si potrà utilizzare un farmaco ad emività lunga e teoricamente forse meno tossico.

Non lo sò, mi immagino anche soluzioni ibride, lenacapavir + rilpivirina, lenacapavir + cabotegravir. Oppure riusciranno a resuscitare l'islatavir, anche se la vedo dura.


I bnab saranno probabilmente il passo successivo ai long acting e magari potranno essere autosomministrati. O rimarranno opzioni terapeutiche limitate a casi specifici.

La questione resistenze (serissima in questo campo) e anche molto seria nel campo degli antibiotici, di cui molti di noi ne fanno grande uso per curare infezioni ricorrenti. Quindi doppia attenzione



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