Restrizione dell'HIV nei topi umanizzati grazie agli APOBEC3

Ricerca scientifica finalizzata all'eradicazione o al controllo dell'infezione.
Dora
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Re: Restrizione dell'HIV nei topi umanizzati grazie agli APO

Messaggio da Dora » venerdì 18 ottobre 2013, 8:03

friendless ha scritto:Se non sbaglio, questa mattina ne parla corriere.it

http://www.corriere.it/salute/13_ottobr ... eb87.shtml

perciò con 7 mesi di ritardo rispetto al forum. Come è questa cosa? Una mattina si svegliano, per caso si accorgono di una cosa e la sparano in prima pagina? E' così che funziona?

:)
No, no, la ricerca sui topi con cui Puzzle ha iniziato il thread è una cosa un po' diversa, anche se sempre di A3G si parla. L'articolo su PLoS - che è un bel passo avanti, perché è fatto ex vivo su esseri umani - è uscito il 16 ottobre, quindi il Corriere non è in ritardo.
Però, come al solito, i giornali alzano in modo insopportabile il rumore intorno a ricerche che sono così lontane da avere ricadute cliniche che chissà quanti ostacoli possono ancora bloccarle. Che senso ha esordire con "Scoperto il mistero dello scudo che conferisce ad alcune persone una sorta di “immunità” rispetto all’Hiv"?! Questo è immediatamente fuorviante, perché di "scudi" gli elite ne hanno più d'uno e molti sono già noti; inoltre non tutti gli elite hanno i medesimi "scudi", c'è chi ha certe protezioni e chi altre.
Qui invece sembra che basta far produrre tanto A3G a tutti e hai la cura in mano. Con una ricerca fatta su 7 (SETTE) elite!!



friendless

Re: Restrizione dell'HIV nei topi umanizzati grazie agli APO

Messaggio da friendless » venerdì 18 ottobre 2013, 8:10

Grazie, dora, per spiegarci tutti i retroscena degli studi.



Dora
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Re: Restrizione dell'HIV nei topi umanizzati grazie agli APO

Messaggio da Dora » venerdì 18 ottobre 2013, 8:45

friendless ha scritto:Grazie, dora, per spiegarci tutti i retroscena degli studi.
Queste ricerche sui fattori di restrizione dell'ospite, per quanto siano recenti e ancora non abbiano dato chiare indicazioni cliniche, mi sembrano molto affascinanti.
Appena ho un attimo provo a preparare un post, così vediamo se riusciamo a inquadrare un po' meglio questi studi.



uffa2
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Re: Restrizione dell'HIV nei topi umanizzati grazie agli APO

Messaggio da uffa2 » venerdì 18 ottobre 2013, 9:54

Dora ha scritto:Qui invece sembra che basta far produrre tanto A3G a tutti e hai la cura in mano. Con una ricerca fatta su 7 (SETTE) elite!!
Premio Pulitzer per il giornalismo scientifico :mrgreen:


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Dora
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Re: Restrizione dell'HIV nei topi umanizzati grazie agli APO

Messaggio da Dora » lunedì 21 ottobre 2013, 8:06

Non ho avuto tempo di preparare un post sui fattori di restrizione dell'ospite, ma ho trovato un articolo scritto nel 2009 da Stefano Rusconi per i ReAd Files, che li descrive in italiano, in un modo che mi pare comprensibile (tralascio le figure e la bibliografia, che potete trovare nella pagina originale).
Mentre il lavoro della Northwestern University apre (forse) prospettive sul controllo delle viremie in persone che l'infezione già ce l'hanno, l'articolo di Rusconi vede i fattori di restrizione dell'ospite in funzione di un loro possibile futuro utilizzo per sostenere un vaccino.

Prima, una breve introduzione sull'APOBEC3G scritta per un post di un paio d'anni fa dedicato a un lavoro di Kathleen Collins, che serve a capire meglio il senso della ricerca di D'Aquila e colleghi della Northwestern University:

Dora ha scritto:Premessa difficile: l’APOBEC3G (A3G) è un enzima prodotto dall’uomo e codificato da un gene che ha lo stesso nome. Appartiene alla grande famiglia di proteine che si chiama APOBEC ed ha una capacità antivirale che inibisce la replicazione dell’HIV mediante un processo che di chiama deaminazione (cioè fuoriuscita di un gruppo amminico da una molecola, con conseguente produzione di una molecola di ammoniaca) della citosina (una delle tre basi azotate pirimidiniche alla base degli acidi nucleici DNA e RNA).
Questo processo ossidativo spontaneo della citosina porta alla formazione di uracile, che è un’altra delle basi azotate pirimidiniche che formano l’acido nucleico RNA. Se si lega a una molecola di ribosio (che è uno zucchero contenuto in ogni cellula e che è alla base dell’acido ribonucleico – RNA – e dell’adenosintrifosfato – ATP), l’uracile forma l’uridina che, insieme a adenosina, guanosina e citidina, è la base dell’RNA.
Quando l’A3G causa la deaminazione della citosina, questo induce numerose mutazioni nella struttura del DNA del virus, interferendo con la sua replicazione (sia con la trascrizione inversa, sia con l’integrazione) e inattivandolo.
L’HIV reagisce all’A3G producendo una proteina che si chiama Vif (Fattore di infettività virale) che, interagendo con l’A3G, lo degrada. Il Vif promuove l’infettività, ma non la produzione di particelle virali; in sua assenza, le particelle virali che vengono prodotte sono difettive, mentre la trasmissione del virus da una cellula all’altra non ne viene toccata
(cfr. Replicazione virale durante HAART per contagio fra cellule - cito questo thread non a caso, perché vi si racconta dell'ultimo lavoro di David Baltimore, nel cui laboratorio all'MIT la Collins ha lavorato a fine anni '90 e le cui ricerche sono più volte ricordate nella bibliografia dell'articolo su Nature Immunology).

In sostanza, l’A3G è una difesa che il nostro organismo mette in atto in caso di infezione retrovirale; ma l’HIV-1 ha imparato a superare questa difesa, producendo il Vif. Se si trovasse il modo di colpire il Fattore di infettività virale, si potrebbe disporre di una nuova strategia terapeutica.

Tutto questo si sapeva prima della Collins. Quello che lei fa in quest’ultimo lavoro (ancora più difficile di quelli sulle staminali) è di studiare la Vpr (Viral protein R), un amminoacido incorporato nel virione dell’HIV che interagisce con la glicosilasi dell’uracile, e di dimostrare che essa, insieme al Vif, contrasta l’A3G, diminuendo l’incorporazione dell’uridina. Tuttavia, questo processo comporta una attivazione del meccanismo di risposta al danno del DNA e una attivazione delle cellule NK (natural killer).


La fase acuta dell’infezione da HIV è caratterizzata da un’alta viremia, che viene contrastata da una rapida risposta immunitaria, che comporta la secrezione di citochine, che a loro volta aumentano la produzione di fattori della risposta immunitaria innata – quali appunto l’A3G – per limitare la replicazione e la diffusione del virus. A quel punto interviene il Fattore di infettività virale, che porta alla degradazione dell’A3G.
I linfociti T CD8 citotossici (CTL) prodotti specificamente contro l’HIV diminuiscono la viremia sia durante la fase acuta, sia durante la fase cronica dell’infezione, ma in genere non sono in grado di evitare il progredire della malattia.
Invece l’attivazione delle cellule NK è in grado di influenzare la progressione dell’infezione.

Il lavoro della Collins è consistito proprio nell’esaminare il ruolo dell’A3G, del Vif e della Vpr nel riconoscimento delle cellule infette da HIV da parte delle cellule natural killer. E nell’identificare il meccanismo attraverso il quale l’A3G riesce ad allertare le cellule NK, comunicando loro che è presente un virus e che si stanno creando danni al DNA, nonché nel mostrare come l’HIV riesca ad eludere questa risposta.

Studi precedenti avevano misurato l’effetto dell’A3G sull’inattivazione delle particelle virali e avevano dimostrato che l’incorporazione dell’A3G nelle cellule producer e nei virioni di nuova formazione è necessaria per inattivare il virus, mentre non è necessaria la presenza dell’A3G nelle cellule target.
Invece, la Collins fornisce delle prove a sostegno dell’ipotesi che anche l’A3G espresso nelle cellule target ha un ruolo nella risposta immunitaria innata: benché possa non essere sufficiente a impedire al virus di infettare produttivamente la cellula, i dati raccolti dalla Collins indicano che l’espressione dell’A3G nelle cellule target è necessaria per consentire alle cellule NK di distruggere mediante lisi le cellule infette. Questo a sua volta, attraverso un meccanismo che non è ancora chiaro, stimola l’espressione dell’A3G, innescando un circolo virtuoso.

Conclusione: “I nostri risultati indicano la possibilità che il rilevamento dell’HIV da parte del sistema immunitario innato porti alla produzione di A3G nelle cellule infette. In sostanza, i dati presentati qui dimostrano che l’espressione dell’A3G aumenta la capacità delle cellule NK di riconoscere le cellule infette (…). Ne segue che delle strategie terapeutiche volte ad aumentare l’attività antivirale dell’A3G potrebbero comportare il beneficio aggiuntivo di stimolare la distruzione delle cellule infettate dal virus da parte del sistema immunitario, cioè delle cellule NK”.
Ed ora l'articolo di Stefano Rusconi:

I fattori di restrizione dell'ospite: APOBEC, TRIM, TETHERIN

Le infezioni virali hanno esercitato da sempre una pressione sui loro ospiti, tra cui l’uomo, in modo tale da stimolare l’evoluzione degli inibitori antivirali cellulari a partenza per l’appunto dall’ospite stesso. Tali inibitori sono definibili come “fattori di restrizione”.
Esistono alcune molecole identificate recentemente e studiate meglio di altre, che hanno questa funzione: APOBEC3G/3F, TRIM5α e, più recentemente, Tetherin. Queste proteine regolatrici bloccano la replicazione dei retrovirus in maniera specie-specifica.
Rimane aperta la domanda se fattori innati di restrizione, che potremmo definire “primordiali” sulla base della specie-specificità, possano essere sfruttati al fine di inibire la replicazione di HIV-1.
Questi fattori di restrizione hanno la proprietà di bloccare la replicazione virale in seguito all’entrata di questi patogeni nella cellula ospite. I fattori descritti sono speciespecifici, nel senso che ogni specie può selezionare (restringere) un numero finito di virus nei confronti dei quali è sensibile. La storia dei recenti fallimenti di candidati vaccinali verso HIV-1 può essere ricondotta a questi elementi endogeni.


La rincorsa alla scoperta di questi fattori genetici innati è iniziata qualche anno fa (2002) con l’identificazione di APOBEC. Le proteine denominate apolipoprotein B mRNA-editing enzyme catalytic polipeptide-like editing complex (APOBEC), sono le più importanti all’interno di questo gruppo. In particolare, APOBEC3G possiede un’attività antivirale ad ampio spettro in grado di ridurre la fitness virale. Questa attività viene esercitata tramite l’induzione di una ipermutazione da G a A durante il processo di retrotrascrizione nel DNA provirale. Un’altra attività di APOBEC3G consiste nel prevenire l’integrazione del genoma provirale nella cellula ospite. L’azione antivirale di APOBEC3G è ostacolata dalla proteina virale Vif, per cui è possibile proporre un modello secondo il quale il risultato dell’esposizione ad HIV si basa sul bilanciamento tra APOBEC3G e la proteina virale Vif.

Ma qual’è l’importanza di queste scoperte per la ricerca di un vaccino efficace contro HIV? Uno studio recente ha dimostrato che alti livelli di base di APOBEC3G mRNA, che possono essere stimolati da IFNα, sono presenti nei monociti/macrofagi di soggetti esposti non infetti (ESN) con HIV. Ciò sottolinea l’importanza di questi fattori nel regolare la suscettibilità dell’ospite ad HIV e suggerisce l’impiego di IFNα nella costruzione di un vaccino efficace nei confronti di HIV.


Un secondo fattore di restrizione è TRIM5α (tripartite motif protein 5α), identificato nel 2004 come inibitore cellulare della replicazione di HIV-1 nelle cellule di macaco rhesus. Come altri TRIM, TRIM5α possiede all’estremità C-terminale un dominio PRY/SPRY, che include le sequenze per il reclutamento (intrappolamento) virale. Il dominio PRY/SPRY può essere descritto come il dominio che riconosce la forma del capside dei retrovirus che si avvicinano alla cellula ospite. L’interazione tra PRY/SPRY e capside virale inibisce l’infettività virale. Anche per il dominio PRY/SPRY, di cui è attiva solo la forma più lunga 5α, si può parlare di una forte selezione positiva che ha interessato tutta l’evoluzione dei primati: questa evoluzione in TRIM5 suggerisce una contro evoluzione tra ospite e virus.
Presumibilmente, l’infezione da parte di virus patogeni ha selezionato un cambiamento nell’ospite, che ha condotto all’inibizione, o al suo tentativo, specie-specifica delle infezioni come la vediamo oggi. TRIM5α esercita la sua azione di blocco della trascrittasi inversa mediante il rapido trascinamento del complesso TRIM5α-virus nel proteasoma.
Qui avviene la degradazione del complesso che, invece, se è inibita da composti specifici quale MG132 (un’aldeide peptidica), consente la retrotrascrizione nel genoma della cellula ospite.


L’ultimo tra i fattori di restrizione dell’ospite, Tetherin, è stato descritto nel 2008 ed è stato chiarito nei suoi meccanismi d’azione nell’ottobre 2009. Anche Tetherin è inducibile dall’interferone, e ciò conferma l’azione pleiotropica di una sostanza etichettata come “aspecifica” nell’armamentario degli antivirali. Tetherin, precedentemente denominata BST-2 (bone marrow stromal antigen 2), può bloccare la produzione di virus dotati di envelope tramite il sequestro delle particelle virali sulla superficie cellulare.
L’effetto antivirale è controbilanciato dalla proteina virale accessoria Vpu. L’identificazione di un antagonista di Vpu suggerisce che questa proteina contribuisce alla diffusione dell’infezione facilitando la produzione di progenie virale. Le due controparti, Tetherin e Vpu, interagiscono tramite i rispettivi domini transmembrana e Vpu degrada il fattore di restrizione cellulare mediante un’internalizzazione seguita da una degradazione lisosomiale. Ciascuna delle molecole, dimerizzate tramite ponti disolfuro, di Tetherin agisce da collante tra la membrana virale e quella cellulare.

I virus sono classicamente avvantaggiati da un’evoluzione più accelerata rispetto a quella dell’ospite, ma le dimensioni maggiori e la complessità del genoma dell’organismo ospitante garantiscono in alcuni casi la sopravvivenza dell’ospite. Attraverso la comprensione dei complessi meccanismi di interazione tra virus e cellula ospite, saremo in grado di quantificare la pericolosità degli agenti patogeni virali in grado di sfuggire al controllo da parte dell’immunità innata tramite meccanismi di escape.
In futuro potrebbe essere teoricamente possibile stimolare questi meccanismi di restrizione come adiuvanti di protocolli classici di vaccinazione e sfruttare al meglio milioni di anni di evoluzione da parte dell’ospite, difficile da superare tramite mutazioni nel genoma virale.



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