Louis Picker, le "scimmie di Portland" e il vaccino al CMV

Ricerca scientifica finalizzata all'eradicazione o al controllo dell'infezione.
Dora
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Re: Louis Picker, le "scimmie di Portland" e il vaccino al C

Messaggio da Dora » domenica 2 giugno 2013, 14:57

uffa2 ha scritto:direi che c'è di che commuoversi :P
Io direi che le amabili scimmiacce di Portland dovremmo seguirle con uno sguardo più attento di quanto abbiamo fatto finora. ;)

In fondo, abbiamo dedicato tempo, energie e fiumi di parole ai macachi di Lourdes, che paiono inchiodati dov’erano ormai da tempo immemorabile – anzi, te lo ricordi (vero?!) che eravamo insieme quando il bell’Andrea ci raccontava con aria ispirata e divorandosi un carciofo alla giudia (o forse ero io che stavo mangiando quella delizia? – solo su questo ho ricordi confusi) che era convinto entro un anno di passare in fase clinica? Era il febbraio 2010.
Un poco di sollecitudine in più al lontano Oregon potremmo proprio dedicarla.


Così, per iniziare subito a mantenere il proposito e fugare qualche inquietudine in chi – a ragion veduta – il CMV preferirebbe tenerlo lontano da persone immunodepresse, vi racconto che nei giorni scorsi mi sono imbattuta in un lungo articolo scritto l’altr'anno dai tre papà delle nostre bestiacce e dedicato a “nuovi paradigmi per lo sviluppo di un vaccino per l’HIV/AIDS”.
Qui Louis Picker, insieme a Scott Hansen e Jeff Lifson, ci espone in modo che mi pare chiaro ed esauriente la sua idea sulle direzioni in cui la ricerca di un vaccino dovrebbe muoversi, non nascondendo di vedere con un certo scetticismo la grande moda - oggi dilagante - dei bNAbs.

Anzitutto, analizza l’immunobiologia dell’infezione da HIV/SIV, spiegando perché proteggere i linfociti T memoria effettori sia un aspetto così cruciale nella prevenzione/cura dell’infezione e come tutto si giochi nella prima decina di giorni dopo la trasmissione del virus (le svariate pagine dedicate a questi aspetti della questione sono sintetizzate dalle Figure 1 e 2).

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Poi racconta che cosa abbiamo imparato dal fallimento del vaccino della Merck (STEP) e dal successo parziale del vaccino Thai (RV144) e illustra in che cosa consista il suo vaccino, spiegando cose che in sostanza abbiamo già visto.

Infine, espone la sua idea di che cosa si debba fare per arrivare a un vaccino che funzioni. Questa ultima parte dell’articolo è quella tradotta qui sotto.


PROSPECTS FOR AN HIV/AIDS VACCINE – REVISITED

Con il risultato negativo del trial STEP e la comprensione che è improbabile che anche i vaccini più potenti costruiti per stimolare risposte convenzionali dei CD8 memoria riescano a conferire lo status di elite controller alla maggior parte delle persone infette vaccinate, lo sviluppo del campo dei vaccini contro l’HIV/AIDS è stato lasciato senza un programma chiaro che porti a un vaccino efficace – solo con la speranza che una analisi strutturale sempre più dettagliata e sofisticata delle interazioni fra la proteina Env e un gruppo crescente di anticorpi monoclonali ampiamente neutralizzanti isolati da persone con HIV porti a dei progressi nella progettazione di un immunogeno Env e finalmente a un vaccino capace di provocare alti titoli di anticorpi ampiamente neutralizzanti.

Anche se abbiamo imparato molto sugli epitopi riconosciuti da questi diversi anticorpi ampiamente neutralizzanti, applicare queste informazioni sull’antigenicità allo sviluppo di immunogeni in grado di indurre risposte simili si è rivelato una sfida particolarmente avvilente. È ovvio che è importante esplorare completamente questa strategia ma, nel momento in cui scriviamo, il risultato di tutti questi sforzi rimane incerto.

Dati recenti aprono la possibilità di un nuovo approccio allo sviluppo di un vaccino contro l’HIV/AIDS basato sullo sfruttamento delle vulnerabilità immunitarie del virus durante la fase precoce dell’infezione.

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L’infezione delle mucose potrebbe essere impedita da più prosaici vaccini mirati agli anticorpi, che inducono risposte anticorpali capaci di legarsi a un virus o a una cellula infetta, ma non necessariamente in grado di sviluppare un’attività ampiamente neutralizzante.
In alternativa, l’infezione delle mucose potrebbe essere prevenuta da un rigoroso controllo dell’infezione mediante dei vaccini che generano linfociti T memoria effettori (Tem).

Per quanto nessuna di queste strategie vaccinali sia – così com’è - abbastanza ottimizzata per passare a un uso clinico, non è irragionevole ipotizzare che un’ottimizzazione empirica e un disegno razionale possano insieme migliorare l’efficacia di entrambi gli approcci e che una combinazione di questi approcci diversi e indipendenti possa comportare dei miglioramenti aggiuntivi o perfino sinergici nell’efficacia complessiva.

L’approccio del vaccino RV144 potrebbe essere migliorato empiricamente ottimizzando i vettori di priming, la Env che trasportano e gli immunogeni della proteina Env usati nella stimolazione, così come l’uso di adiuvanti più potenti insieme alla stimolazione proteica.

Certamente, nuovi immunogeni derivati dall’analisi della struttura e della funzione degli anticorpi monoclonali ampiamente neutralizzanti potrebbero essere incorporati in questi vaccini prime-boost mirati agli anticorpi, se questi si dimostrassero efficaci. E questa ottimizzazione la si potrebbe raggiungere utilizzando sia modelli di primati non umani, sia trial clinici adattivi.

L’idea di un vaccino che protegga i linfociti T memoria effettori che, ad oggi, è stato testato solo in un modello di SIV delle scimmie, segue una linea di sviluppo più complessa.

I vettori CMV, il prototipo dell’approccio vaccinale ai Tem, sono specie-specifici, pertanto il passaggio di questi vettori alla clinica richiede lo sviluppo di vettori CMV/HIV umani basati sull’RhCMV (il CMV dei macachi rhesus) validato mediante un modello di primati non umani.
Anche se i CMV che infettano i macachi e quelli che infettano gli uomini sono geneticamente distinti, sono strettamente collegati e sussiste un’omologia funzionale fra i geni chiave per poter tradurre nel secondo modello i concetti ideati per il primo.
Benché l’infezione da CMV sia onnipresente e non patogenica nella grande maggioranza delle persone infette, i vettori CMV wild-type possono in ogni caso mettere a rischio alcune popolazioni vulnerabili, come le donne in gravidanza e le persone mai entrate in contatto con il CMV e che hanno un’immunodeficienza di cui non si sospetta l’esistenza.

Ne segue che questi vettori non sarebbero dei candidati ideali da includere in un vaccino preventivo. Tuttavia, sia nei modelli scimmieschi, sia nei modelli murini, l’immunogenicità del CMV non dipende da una completa capacità di replicazione; dei costrutti CMV geneticamente modificati in modo da renderli incapaci o pochissimo capaci di propagarsi dopo il primo ciclo di infezione, sono in grado di provocare e mantenere una alta frequenza di risposte dei Tem, che sono sostanzialmente indistinguibili dalle risposte causate dai CMV wild-type.
È probabile che questa attitudine rifletta la capacità delle cellule infettate dal CMV di sfuggire all’eliminazione da parte delle risposte immuni e di persistere per lunghi periodi, nonostante una continua espressione dell’antigene – una biologia che favorisce con forza lo sviluppo di vettori CMV sicuri, e tuttavia altamente immunogenici.
Questi vettori potrebbero essere usati dopo un prime-boost eterologo, riuscendo così – presumibilmente – ad aumentare l’immunogenicità complessiva, mantenendo al tempo stesso il carattere Tem delle risposte provocate.

Data la variabilità in dimensione, qualità e durata delle risposte immuni provocate dal vaccino negli esseri umani, e date sia la capacità di evasione immunitaria, sia la diversità dell’HIV, è improbabile che un qualsiasi approccio vaccinale singolo – perfino il “Sacro Graal” della vaccinologia dell’HIV/AIDS, un approccio che stimoli anticorpi ampiamente neutralizzanti potenti e durevoli – sia efficace (cioè riesca a prevenire o a controllare molto bene l’infezione) in tutti i possibili casi di trasmissione.
E, naturalmente, quando un’infezione si verifica a fronte di una significativa pressione immunologica che non riesce a dare una buona protezione, quasi inevitabilmente essa porta a un’evasione immunitaria, e dunque alla possibile generazione e trasmissione di virus che non sono più sensibili ai meccanismi immunologici coinvolti.

Delle strategie di vaccini “a mosaico” possono allargare le risposte immuni stimolate dal vaccino e aiutare a superare il problema della diversità delle sequenze dei ceppi di HIV trasmessi. Ma è possibile che una soluzione più generale stia nello sviluppo di vaccini multimodali, che colpiscano diverse vulnerabilità immunitarie (proprio come degli antiretrovirali multipli e con obiettivi differenziati nei regimi efficaci di chemioterapia antiretrovirale combinata).

Questa strategia è sottilmente diversa dal mantra ripetuto dalla sapienza convenzionale, secondo cui un vaccino davvero efficace contro l’HIV dovrebbe indurre sia immunità umorale, sia immunità cellulare, nella speranza che uno dei bracci del sistema dell’immunità adattiva sia in grado di contrastare la porzione di virus che non vengono efficacemente contrastati dall’altro.

La nostra idea è che si potrebbero combinare elementi vaccinali indipendenti (impostati in modo da non interferire gli uni con gli altri) e farli lavorare insieme in modo strategicamente complementare per aumentare l’efficacia complessiva.

Per esempio, un regime prime-boost ottimizzato, focalizzato sulla Env dell’HIV e costruito così da generare anticorpi che blocchino l’acquisizione, potrebbe essere combinato con vettori CMV, che si concentrino sul resto del proteoma (l’insieme delle proteine) dell’HIV e siano disegnati in modo da stimolare risposte cellulari basate sui Tem che abbiano una lunga durata, per un controllo precoce e una sorveglianza immune di lungo periodo di un’eventuale infezione residua.
Se la prima componente è efficace al 50% nel bloccare l’acquisizione e la seconda riesce al 50% a controllare bene l’infezione iniziale, l’efficacia complessiva – senza sinergie – sarebbe di un non disprezzabile 75%.
È però plausibile che qualche sinergia si verificherebbe – per esempio, nelle persone vaccinate che si infettano, la risposta anticorpale Env-specifica potrebbe far diminuire il numero di foci infettivi e/o ostacolare una precoce trasmissione da una cellula all’altra, così aumentando la probabilità che i Tem generati dal vettore CMV siano effettivamente capaci di controllare l’infezione.
Inoltre, nella misura in cui la protezione iniziale dovesse non essere sterilizzante, la caratteristica dei vettori CMV di mantenere un’alta frequenza di Tem per lunghi periodi di tempo potrebbe distruggere l’infezione residua o sottomettere ogni rebound dell’infezione a un controllo molto stretto, anche qualora la componente anticorpale dovesse svanire.

In conclusione, la ricerca di base e clinica continua sull’immunobiologia dell’HIV/AIDS e la vaccinologia ha, sulla scia della delusione per i risultati del trial STEP, rinvigorito lo sviluppo di un vaccino. Insieme ai risultati sorprendentemente positivi dello studio RV144, questo lavoro ha conclusivamente dimostrato che, se si prende l’infezione da HIV/SIV subito dopo l’esposizione delle mucose e nella fase iniziale della replicazione virale, prima che l’infezione si diffonda in modo irreversibile, questi virus sono più vulnerabili di quanto si pensasse a un intervento immunitario. Dei vaccini capaci di suscitare appropriate risposte immuni degli effettori in queste fasi iniziali potrebbero dare una buona protezione.

Anche se c’è ancora molto lavoro da fare per ottimizzare questi approcci e tradurre queste informazioni in vaccini che possano essere messi in commercio, il campo dei vaccini contro l’HIV/AIDS, per la prima volta, ha davanti a sé una strada da seguire, che è basata su solide osservazioni di efficacia e su una comprensione sempre più sofisticata dell’immunobiologia dei lentivirus.



Dora
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Re: Louis Picker, le "scimmie di Portland" e il vaccino al C

Messaggio da Dora » giovedì 12 settembre 2013, 11:09

Ieri Louis Picker ha pubblicato su Nature una breve letterina - molto concisa e tosta come sanno essere solo le letterine a Nature o Science - in cui racconta del successo nell'eradicare il 50% dei macachi trattati con il suo vaccino al citomegalovirus: Immune clearance of highly pathogenic SIV infection.
Si tratta del resoconto delle sue ricerche già raccontate al CROI 2013 e di cui ho scritto dettagliatamente in un post dello scorso giugno.

Chi ha seguito questo thread non si farà dunque trarre in inganno dalle decine di articoli sulla stampa generalista, che nel giro di una notte hanno scoperto questa ricerca e la stanno trasformando nella cura certa dell’infezione da HIV: Picker sta lavorando a una versione modificata del CMV umano, in modo da essere sicuro che sia innocuo prima di passare alla fase clinica della sperimentazione. Questa è prevista fra un paio d’anni, se tutto andrà bene e non ci saranno intoppi.

Appena possibile preparerò un post su quest’ultimo articolo, perché - anche senza farsi prendere dall’entusiasmo – penso che il lavoro di Picker sia fantastico e meriti tutta la nostra attenzione.

Per adesso, accontentatevi del sorrisone di Louis. :D

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P.S. di domenica 15 settembre.
L'altro giorno la Oregon Health & Science University ha pubblicato questa video-intervista a Picker, ora su YouTube:





Dora
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Re: Louis Picker, le "scimmie di Portland" e il vaccino al C

Messaggio da Dora » lunedì 16 settembre 2013, 9:38

Dora ha scritto:Appena possibile preparerò un post su quest’ultimo articolo, perché - anche senza farsi prendere dall’entusiasmo – penso che il lavoro di Picker sia fantastico e meriti tutta la nostra attenzione.
Ho riletto il post scritto a giugno e gli altri scritti in precedenza e a quelli rimando per la storia di questo vaccino e le ragioni che hanno spinto Louis Picker, insieme a Scott Hansen, Jeff Lifson e colleghi ad utilizzare come vettore il CMV per cercare di sfruttare la finestra di vulnerabilità dell’SIV (e HIV), che nelle primissime fasi dell’infezione non ha ancora la capacità di produrre quasispecie che sfuggano al controllo della reazione immunitaria o dei farmaci, né di creare un reservoir che sostenga l’infezione pur in presenza di antiretrovirali. Il CMV, grazie alla sua abilità nel provocare e mantenere per un tempo indefinito la produzione di molti linfociti T memoria effettori, dovrebbe poter approfittare del momento di vulnerabilità del virus per instaurare una forte e persistente risposta immune.

E così è stato in un numero di macachi così alto che, a chi è abituato ai due o tre macachi miracolati dalle ricerche di Savarino e ai numeri sempre scarsissimi di scimmie usate in queste ricerche, fa una certa impressione. Infatti, il totale di scimmie con cui Picker ha lavorato sfiora il centinaio e in questo nuovo studio spiega che, oltre ai precedenti, altri 9 dei 16 macachi vaccinati hanno sviluppato risposte immuni che hanno controllato e – stando a tutte le apparenze – eradicato l’SIV.

Queste scimmie hanno infatti perso ogni segno di virus capace di replicazione in ogni campione di sangue o tessuti che è stato loro prelevato e analizzato con test ultrasensibili: non sono state trovate sequenze né di RNA, né di DNA virale e non è stato possibile infettare altri animali con il sangue prelevato ai macachi eradicati.
Inoltre, hanno perso la reattività dei linfociti T alla proteina Vif dell’SIV, che non era contenuta nel vaccino (il vettore RhCMV conteneva infatti le proteine Gag, Rev/Tat/Nef, Env e Pol, ma non Vif) – a dimostrazione che l’SIV è proprio sparito dal corpo degli animali.

Quello che di nuovo Picker ci dice in Immune clearance of highly pathogenic SIV infection è che i macachi sono stati infettati con un ceppo di SIV estremamente aggressivo, addirittura 100 volte più cattivo dell’HIV – questo lo ripeto perché Francesco Spinazzola in un articolo sul Fatto Quotidiano che è il migliore fra quanti usciti sulla stampa, ha scritto che l’SIV “causa una sindrome tipo Aids dei primati, meno grave rispetto a quella dell’uomo” – beh, con l’SIVmac239 non è affatto così, perché in un anno e mezzo porta all’AIDS, a fronte di un HIV che di anni ce ne mette in media 10. E la via di infezione scelta è stata sia intravaginale – come ci era già stato detto – sia intrarettale, sia direttamente intravenosa.

L’inoculazione intrarettale è stata sperimentata perché si sa che per questa via l’infezione entro 4 ore si diffonde ai linfonodi, con un tasso di disseminazione che potrebbe impedire ai linfociti T memoria effettori SIV-specifici di contenere l’infezione entro la mucosa rettale. Invece, si sa che lo sviluppo dell’infezione da SIV per via vaginale è più lento, richiede dai 4 ai 5 giorni. Quindi era importante riuscire a dimostrare che le risposte dei linfociti T sollecitate dal vaccino possono controllare localmente l’espandersi dell’infezione, sia che questa avvenga per via vaginale, sia che avvenga per via rettale.

Una volta dimostrato che è stato così per 9 macachi su 16, mentre nessuna delle 18 scimmie non vaccinate usate come controlli è riuscita a evitare di essere infettata, è stata testata l’ipotesi che le risposte immuni montate da questo vettore possano fornire una protezione anche quando le mucose di superficie vengono aggirate. Le scimmie vaccinate sono dunque state infettate con basse dosi di SIVmac239 per via intravenosa e 2 su 6 hanno presentato lo stesso schema di controllo delle scimmie infettate per via rettale o vaginale: una transitoria viremia di basso livello, associata allo sviluppo di risposte SIV-specifiche dei linfociti T e al rilevamento in un primo momento di SIV RNA nel midollo (alti livelli) e/o nelle PBMC (bassi livelli). A ciò è seguita la sparizione del virus.

Mettendo insieme tutti questi risultati, Picker ne conclude che

  • 1. le risposte immuni sollecitate dai vettori RhCMV/SIV possono mediare una protezione indipendentemente dalla via con cui avviene l’infezione da SIV;
    2. il controllo virale è sia locale, sia sistemico;
    3. del virus capace di replicazione persiste nei macachi vaccinati in diversi siti per settimane e addirittura mesi, perfino quando le scimmie risultano aviremiche, ma poi declina nel tempo, fino a sparire nella metà degli animali.


Anche se non è ovviamente stato possibile andare al di sotto della (infinitesimale) soglia di rilevabilità dei test e non si può escludere che del virus persista al di sotto di quel limite, oppure in tessuti che non sono stati analizzati, tutti i dati raccolti forniscono una prova molto chiara che, dopo essere stati infettati con l’SIV senza possibilità di dubbio, i macachi vaccinati con i vettori RhCMV/SIV hanno spazzato via l’infezione. Pertanto, in base a tutti i criteri di misurazione adottati (assenza di blip virali nel plasma, assenza di risposte Vif-specifiche dei linfociti T, estensive analisi mediante PCR quantitativa ultrasensibile, analisi di co-colture e, infine, transfer adottivo, cioè tentativo di infettare delle scimmie naive con il sangue di quelle vaccinate), Picker ne conclude che queste scimmie sono indistinguibili rispetto ai controlli, che sono stati vaccinati ma mai infettati con l’SIV.
QUESTA PROGRESSIVA ELIMINAZIONE MEDIATA DALLA RISPOSTA IMMUNE DI UNA INFEZIONE LENTIVIRALE CONSOLIDATA CORRISPONDE ALLA DEFINIZIONE DI CURA FUNZIONALE ED È CONSISTENTE CON UNA POSSIBILE ERADICAZIONE DEL VIRUS.

Nelle parole di Picker:

  • Negli ultimi 5 anni, il campo dei vaccini contro l’HIV/AIDS è giunto alla conclusione che un vaccino profilattico per l’HIV/AIDS deve impedire o eliminare l’infezione da HIV, poiché si ritiene che ogni infezione residua comporti un alto rischio di eventuale progressione. La nostra dimostrazione qui che i linfociti T memoria effettori virus-specifici mantenuti da un vettore persistente possono spegnere l’infezione produttiva da SIV e, mantenendo nel tempo una sorveglianza immune, curare funzionalmente e forse eradicare questa infezione, indica che un vaccino contro l’HIV/AIDS che si rivolga ai linfociti T memoria effettori potrebbe (da solo o combinato con approcci basati sugli anticorpi) offrire una efficacia vera e duratura.
    I nostri risultati suggeriscono anche che un vaccino rivolto ai linfociti T memoria effettori potrebbe contribuire alle strategie di cura dell’HIV. Anche se i reservoir dell’SIV che si sviluppano inizialmente nelle scimmie vaccinate con il vettore RhCMV/SIV e che controllano l’infezione sono di piccole dimensioni e forse hanno un carattere diverso dai reservoir di HIV/SIV che si formano in un contesto di ART somministrata durante l’infezione cronica, ha senso immaginare che i linfociti T virus-specifici sollecitati e mantenuti in modo non convenzionale e per una durata indefinita dai vettori CMV – da soli o in combinazione con sostanze che attivano l’espressione genica dell’HIV – potrebbero esercitare una potente pressione immunitaria sulle cellule che presentano una qualsiasi espressione delle proteine dell’HIV (compresa l’espressione di antigeni virali da parte di cellule latentemente infette, attivate in modo casuale) e pertanto facilitare la deplezione dei reservoir di HIV residui in pazienti in ART soppressiva.
    È anche possibile che queste risposte riescano ad esercitare uno stretto controllo sui rebound di infezione dopo la sospensione della ART, in analogia al controllo che esercitano sull’infezione da SIV primaria descritto in questo studio.
    In sintesi, la capacità dei vettori CMV di porre in essere una sorveglianza immune contro i patogeni, che è continua, duratura e potente li rende dei buoni candidati per strategie vaccinali volte sia a prevenire, sia a curare l’HIV/AIDS, così come altre infezioni croniche.



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Re: Louis Picker, le "scimmie di Portland" e il vaccino al C

Messaggio da nordsud » lunedì 16 settembre 2013, 10:37

Ormai macachi e macache non si possono più "usare" per sperimentare qualsiasi farmaco o vaccino ( mi sembra che la proposta di legge, almeno in Italia, escluda categoricamento il modello animale ). Chi si offrirà volontario per i trial clinici futuri ? Molti sostengono che sperimentare sul modello animale farmaci o vaccini è cosa inutile. Purtroppo nessuno di loro propone qualcosa di sensato in alternativa. Credere che testare un farmaco solo su una cultura cellulare possa bastare per conoscere funzionamento efficacia e pericolosità.. .. è semplicemente ridicolo... forse credono che si possano scrivere dei programmi di simulazione tali da sostituire perfino la sperimentazione in laboratorio animale ed umana.
Io la vedo così .. se qualcuno non è d'accordo possiamo anche discuterne.



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Re: Louis Picker, le "scimmie di Portland" e il vaccino al C

Messaggio da uffa2 » lunedì 16 settembre 2013, 14:20

Tra il vaccino col CMV e le dita di zinco cinesi, forse mi sta tornando un po’ di buon umore, e vabbe’ per ringraziare Dora di essersi fatta latrice delle buone notizie, la prossima volta che ci vediamo la insulterò meno del solito [pensavi chissà cosa, eh? :-D ].
Però, però… c’è qualcosa che mi sfugge: se non ho letto male, tutto il “gioco” presuppone che il vaccino al CMV sia, da buon vaccino, stato inoculato prima dell’infezione… e poi si parla di cura funzionale, ossia di un suo utilizzo dopo il contagio: cosa mi sfugge?


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Re: Louis Picker, le "scimmie di Portland" e il vaccino al C

Messaggio da Dora » lunedì 16 settembre 2013, 15:03

nordsud ha scritto:Ormai macachi e macache non si possono più "usare" per sperimentare qualsiasi farmaco o vaccino ( mi sembra che la proposta di legge, almeno in Italia, escluda categoricamento il modello animale ). Chi si offrirà volontario per i trial clinici futuri ? Molti sostengono che sperimentare sul modello animale farmaci o vaccini è cosa inutile. Purtroppo nessuno di loro propone qualcosa di sensato in alternativa. Credere che testare un farmaco solo su una cultura cellulare possa bastare per conoscere funzionamento efficacia e pericolosità.. .. è semplicemente ridicolo... forse credono che si possano scrivere dei programmi di simulazione tali da sostituire perfino la sperimentazione in laboratorio animale ed umana.
Io la vedo così .. se qualcuno non è d'accordo possiamo anche discuterne.
Sai che mentre scrivevo il post mi sono fermata per decidere se mettere o meno le virgolette al verbo usare riferito a quello che facciamo con gli animali nelle sperimentazioni?
Ho poi deciso di non metterle, perché mi pare che sia esattamente questo che facciamo: usiamo gli animali per il nostro bene (talvolta anche per il loro, quando le ricadute sono anche in campo veterinario). Non c'è eufemismo che tenga: sfruttiamo la nostra maggior forza a nostro vantaggio.
E anche tralasciando l'aspetto etico della questione, c'è da tener conto che tutti i modelli animali funzionano solo all'interno di gravose e numerose limitazioni, perché - per restare al campo che ci interessa - le differenze fra SIV e HIV e perfino fra SIV e il virus chimera SHIV ci sono e non sono sempre trascurabili, così come altro è un uomo e altro un topo, per quanto *umanizzato* con un sistema immunitario e interi organi formati da staminali e tessuti umani.
Quest'estate ho seguito una discussione appassionante nata attorno a un articolo pubblicato su PLoS Biology da degli studiosi di Stanford (Evaluation of Excess Significance Bias in Animal Studies of Neurological Diseases), che con una meta-analisi molto accurata hanno dimostrato come una parte consistente degli articoli su sperimentazioni animali soffra di un *pregiudizio di eccesso di significato*, che comporta che il numero di risultati positivi (statisticamente significativi) sia troppo grande per essere vero. In sostanza, molta parte del fallimento sugli uomini di sperimentazioni che sugli animali erano andate benissimo dipende dal fatto che si leggono come significativi troppi dati che invece non lo sono, così si passa in fase clinica e si sbatte la faccia contro la dura realtà.

Detto tutto questo e ammesso che commettiamo un abuso nei confronti di altri esseri viventi e senzienti, mammiferi come noi, non vedo come potremmo fare diversamente, perché non c'è modello cellulare che consenta di capire cose come quelle che Picker ha capito sacrificando un centinaio di scimmie.
Questo, con buona pace della demagogia suicida delle varie Brambille in guerra contro Green Hill.



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Re: Louis Picker, le "scimmie di Portland" e il vaccino al C

Messaggio da Dora » lunedì 16 settembre 2013, 15:18

uffa2 ha scritto:Tra il vaccino col CMV e le dita di zinco cinesi, forse mi sta tornando un po’ di buon umore, e vabbe’ per ringraziare Dora di essersi fatta latrice delle buone notizie, la prossima volta che ci vediamo la insulterò meno del solito [pensavi chissà cosa, eh? :-D ].
Io spero sempre (irragionevolmente, lo so) in qualche parure di Cartier ... :mrgreen:
Però, però… c’è qualcosa che mi sfugge: se non ho letto male, tutto il “gioco” presuppone che il vaccino al CMV sia, da buon vaccino, stato inoculato prima dell’infezione… e poi si parla di cura funzionale, ossia di un suo utilizzo dopo il contagio: cosa mi sfugge?
Forse la ragionevole speranza espressa da Picker alla fine dell'articolo che le robuste e vincenti risposte dei linfociti T memoria effettori HIV-specifici, stimolate e mantenute in essere dal suo vaccino (penso che il vettore umano si chiamerà HuCMV/HIV o qualcosa del genere), "riescano ad esercitare uno stretto controllo sui rebound di infezione dopo la sospensione della ART, in analogia al controllo che esercitano sull’infezione da SIV primaria descritto in questo studio".



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Re: Louis Picker, le "scimmie di Portland" e il vaccino al C

Messaggio da uffa2 » lunedì 16 settembre 2013, 19:19

Vabbe', se per lui questa ragionevole speranza c'è, apriamo le porte alla speranza...


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Re: Louis Picker, le "scimmie di Portland" e il vaccino al C

Messaggio da Dora » martedì 17 settembre 2013, 17:16

Mi sono appena imbattuta in un post scritto da Andreas von Bubnoff per il blog di IAVI Report, che affronta proprio la questione dell'uso del vaccino di Picker in una strategia di cura funzionale.


CMV-based vaccine can clear SIV infection in macaques

Could a vaccine be used to functionally cure HIV infection? New evidence from an animal study suggests the strategy may work, though the infection cleared was—of course—of simian immunodeficiency virus (SIV), not HIV.

We have previously reported that Louis Picker of Oregon Health & Science University and his colleagues found that half of rhesus macaques vaccinated with a cytomegalovirus (CMV) derived vector encoding SIV genes could suppress viral load to undetectable levels after repeat rectal challenge with SIV (Nature 473, 523, 2011). This effect is likely due to the induction of an unusual and broad effector memory T cell response (Science 340, 940, 2013).

In a new study (Nature 2013, doi:10.1038/nature12519), the group shows that the vaccine suppresses SIV to undetectable levels in about half the animals after vaginal and intravenous challenge as well. This suggests that the immune response elicited by the vaccine is not restricted to mucosal tissues—the soft lining of body cavities, where SIV and HIV establish infection—but can also control viral load in the blood.

What’s more, by 70 weeks after rectal challenge, vaccinated animals had no remnants of SIV DNA or RNA, or replication-competent SIV, in blood or tissues. Even extremely sensitive assays failed to detect any virus, though the animals previously had detectable virus in blood and tissues.

This suggests that the effector-memory T cells induced by the vaccine progressively eliminated all infected cells, including SIV reservoirs in latently infected cells. One possible explanation for the clearance of latently infected cells is the observation that such cells sometimes start expressing HIV proteins in a random fashion. It’s possible, Picker says, that the vaccine-induced T cells target and eliminate such cells.

In principle, this type of vaccine could be used alone or together with other cure strategies that are designed to eradicate viral reservoirs, Picker says. He cautions, however, that the reservoir in most people on HAART is likely larger than the reservoir in his CMV-vaccinated macaques.

“That’s probably a higher bar,” he says, adding that it might therefore take much longer to clear HIV infections in people on HAART than the 1-2 years it took to clear SIV infection in his macaques—especially in people who start ART during chronic infection. “It may well be that in humans that are put on ART well into their plateau phase, the rate at which those latent cells express HIV antigens may be such that it would take ten or 20 years to clear their reservoir,” Picker says. That’s why additional treatment with agents that activate HIV production in latently infected cells might be needed to accelerate the process, he adds.

To test if such an approach might work, Picker plans to treat SIV-infected rhesus macaques with HAART until they have undetectable viral load, and to then vaccinate them with his CMV-based SIV vaccine. He would then treat them with agents that activate HIV expression in latently infected cells (such as HDAC inhibitors) and check if the CMV-vaccine induced immune response can eliminate these reactivated cells, so that the animals would not have any rebound in viral load even after stopping HAART. “We are hoping to do that study in monkeys,” Picker says. “That’s the next experiment in terms of proof of principle.”



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Re: Louis Picker, le "scimmie di Portland" e il vaccino al C

Messaggio da uffa2 » venerdì 20 settembre 2013, 22:13

Non sono sicuro di essere lieto di ciò che ho letto...


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