Quali interventi contro l’attivazione immunitaria cronica?

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Dora
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Quali interventi contro l’attivazione immunitaria cronica?

Messaggio da Dora » lunedì 21 gennaio 2013, 11:41

Sharon Lewin, insieme a Reena Rajasuriar e altri colleghi in Australia e in Malesia, ha pubblicato tre giorni fa su AIDS una review dedicata ai trial clinici e agli approcci terapeutici che si stanno tentando per risolvere o almeno attenuare l'attivazione immunitaria cronica nella malattia da HIV: Persistent immune activation in chronic HIV infection: do any interventions work?

Cominciamo da uno schema che riassume la situazione:

Immagine

Dalla figura si vede che i meccanismi che scatenano l’attivazione immunitaria sistemica durante l’infezione da HIV cronica sono multifattoriali e comprendono la traslocazione di prodotti microbici dal tratto gastro-intestinale, la viremia di basso livello che persiste pur in presenza di ART e le co-infezioni con altri patogeni persistenti, CMV e HCV in particolare.
Uno studio recente su macachi infetti da SIV ha dimostrato un aumento significativo della attivazione immunitaria e nei marker della coagulazione (compreso il D-dimero) a seguito di una somministrazione esogena di LPS (lipopolisaccaride).
L’eccessiva produzione di interferone-α (INF-α) e di citochine pro-infiammatorie che portano a una sovraregolazione delle molecole pro-apoptotiche, la fibrosi dei linfonodi, la disfunzione dei linfociti CD4 T-regolatori (Treg) e la deplezione dei CD161++/ (MAIT, mucosal associated invariant T-cells) sono tutti fattori che probabilmente contribuiscono all’attivazione immunitaria cronica.

STRATEGIE PER RIDURRE L’ATTIVAZIONE IMMUNITARIA PERSISTENTE NELLE PERSONE CON HIV

SOSTANZE FARMACOLOGICHE

Sono stati completati o sono in corso diversi trial clinici per ridurre l’attivazione immunitaria nelle persone con HIV (una descrizione dettagliata la si trova in un articolo di D’Ettorre, Vullo et al. del 2011: HIV-associated immune activation: from bench to bedside). In sintesi:

Statine
L’uso delle statine in persone in terapia e non in terapia antiretrovirale ha mostrato mutamenti variabili nella attivazione dei linfociti T e nei livelli di proteina C reattiva altamente sensibile (hsCRP), ma nessun effetto sul numero dei CD4. Tuttavia, in due ampi studi osservazionali su pazienti in ART, l’uso di statine si è visto associato a una riduzione della mortalità e dell’incidenza di linfoma non-Hodgkin (NHL). Non si è invece riusciti a stabilire nessuna correlazione immunologica e bisogna ancora approfondire i meccanismi sottostanti ai benefici apportati dalle statine.

Clorochina e idrossiclorochina
La clorochina e l’idrossiclorochina inibiscono l’acidificazione endosomiale nelle cellule dendritiche plasmacitoidi (pDC) e inibiscono la produzione di INF-α. In vitro, la clorochina ha inibito l’attivazione e la maturazione delle pDC, ridotto l’attivazione dei CD8 mediata dall’INF-α, sotto-modulato l’indoleamina 2,3-diossigenasi (IDO) e l’espressione del PD-L1 sulle pDC, che sono tutti regolatori negativi delle risposte dei linfociti T.
Un recente trial controllato randomizzato (RCT) su 13 pazienti naive, mai in terapia, ha trovato che la clorochina si associava con una diminuzione dell’attivazione dei CD8 memoria, della proliferazione di CD4 e CD8 e dei livelli di LPS confrontati ai valori di partenza, ma non si sono visti cambiamenti nell’HIV RNA del sangue.
Di contro, un RCT sull’idrossiclorochina in pazienti naive non ha dimostrato alcun cambiamento nella attivazione e proliferazione di CD4 e CD8, ma invece un aumento dell’HIV RNA nel sangue e una diminuzione del numero dei CD4.
In un piccolo studio non randomizzato (su 20 pazienti), la somministrazione di idrossiclorochina a persone in ART soppressiva si è associata a una riduzione di molti marker di attivazione immunitaria, senza però una ripresa significativa dei CD4.
Dati questi risultati, sono attualmente in corso trial clinici più ampi sia sulla clorochina (NCT00819390), sia sull’idrossiclorochina (NCT01232660).

Inibitori selettivi della ciclossigenasi-2 (COX-2)
Gli inibitori della COX-2 sono sostanze anti-infiammatorie che modulano l’attivazione dei linfociti T attraverso l’inibizione della prostaglandina E2 e della adenosina monofosfato ciclico (cAMP) che attiva la protein chinasi A. Nei pazienti in ART, gli inibitori selettivi della COX-2 sono stati associati a un aumento della proliferazione dei linfociti T, a una non significativa riduzione della loro attivazione e a un aumento di CD8 contenenti perforina. Un recente RCT sulla somministrazione di alte dosi di celecoxib a 31 persone con HIV non in terapia ha mostrato una diminuzione significativa dei livelli di attivazione immunitaria (vedere An Exploratory Trial of Cyclooxygenase Type 2 Inhibitor in HIV-1 Infection: Downregulated Immune Activation and Improved T Cell-Dependent Vaccine Responses).

Leflunomide
L’A77 1726, il metabolita attivo del leflunomide, una sostanza usata contro l’artrite reumatoide, ha una attività anti-HIV, inibisce la sintesi della pirimidina e riduce in vitro la proliferazione dei linfociti T attivati.
Un piccolo RCT su 16 pazienti naive non ha trovato mutamenti significativi nel numero di CD4 e CD8 o nei livelli di HIV RNA rispetto ai pazienti trattati con placebo. Inoltre, ci sono stati eventi avversi di grado 1 e 2. Tuttavia, un uso del leflunomide per un breve periodo si è associato a una riduzione del ciclo cellulare e della attivazione dei linfociti T. Al momento non è chiaro se simili effetti immunologici si vedranno anche in persone in ART.


SOSTANZE BIOLOGICHE

Colostro bovino, micronutrienti e pre-/probiotici
Si stanno tentando diversi approcci per ridurre direttamente il carico e la traslocazione microbica nelle persone con HIV. Questi includono l’integrazione con micronutrienti, con colostro bovino e con pre- e pro-biotici: si è visto che tutte queste sostanze diminuiscono la diarrea associata all’HIV. Queste strategie, inoltre, possono alterare la composizione della microflora intestinale e questo potrebbe essere importante per modulare la traslocazione microbica causata dall’attivazione immunitaria.
La maggior parte di questi studi si sono svolti con pazienti naive e alcuni hanno riportato un aumento nel numero dei CD4. (*)
In un RCT in cui è stato somministrato oralmente del colostro bovino iperimmune (che contiene anticorpi contro l’LPS) non si è visto alcun effetto sull’attivazione immunitaria o sulla ripresa dei CD4 in pazienti in ART.


(*) Vedere:
  • - Floren CH, Chinenye S, Elfstrand L, Hagman C, Ihse I. Colo-Plus, a new product based on bovine colostrum, alleviates HIV-associated diarrhoea. Scandinavian journal of gastroenterology 2006; 41:682–686.
    - Anukam KC, Osazuwa EO, Osadolor HB, Bruce AW, Reid G. Yogurt containing probiotic Lactobacillus rhamnosus GR-1 and L. reuteri RC-14 helps resolve moderate diarrhea and increases CD4 count in HIV/AIDS patients. J Clin Gastroenterol 2008; 42:239–243.
    - Kaducu FO, Okia SA, Upenytho G, Elfstrand L, Floren CH. Effect of bovine colostrum-based food supplement in the treatment of HIV-associated diarrhea in Northern Uganda: a randomized controlled trial. Indian journal of gastroenterology: official journal of the Indian Society of Gastroenterology 2011; 30:270–276.
    - Fawzi WW, Msamanga GI, Spiegelman D, Wei R, Kapiga S, Villamor E, et al. A randomized trial of multivitamin supplements and HIV disease progression and mortality. N Engl J Med 2004; 351:23–32.
    - Kaiser JD, Campa AM, Ondercin JP, Leoung GS, Pless RF, Baum MK. Micronutrient supplementation increases CD4 count in HIV-infected individuals on highly active antiretroviral therapy: a prospective, double-blinded, placebo-controlled trial. J Acquir Immune Defic Syndr 2006; 42:523–528.
    - Trois L, Cardoso EM, Miura E. Use of probiotics in HIVinfected children: a randomized double-blind controlled study. Journal of tropical pediatrics 2008; 54:19–24.
    - Irvine SL, Hummelen R, Hekmat S, Looman CW, Habbema JD, Reid G. Probiotic yogurt consumption is associated with an increase of CD4 count among people living with HIV/AIDS. J Clin Gastroenterol 2010; 44:e201–e205.
TRATTAMENTO ANTIRETROVIRALE

L’attivazione immunitaria cronica in persone in ART può anche essere causata dalla viremia di basso livello. In diversi studi osservazionali e in RCT, l’aggiunta di raltegravir a una ART soppressiva non ha portato a una diminuzione significativa della attivazione immunitaria nel sangue, nel liquido cerebro-spinale o nei tessuti, né ha causato cambiamenti nella funzione endoteliale, un marker surrogato di disturbo cardio-vascolare.
Ci sono però stati due studi che hanno mostrato che l’aggiunta di raltegravir ha portato a una riduzione significativa nei marker di attivazione dei linfociti T in un sotto gruppo di pazienti e a una diminuzione delle dimensioni del reservoir.
Servono altri studi randomizzati e più ampi per determinare in modo conclusivo l’impatto dell’intensificazione con raltegravir sull’attivazione immunitaria.

Diversi studi di intensificazione con maraviroc hanno dimostrato una riduzione dell’attivazione immunitaria, ma in uno studio si è avuto un inatteso aumento. Gli antagonisti del CCR5 inibiscono i ligandi del CCR5 (fra cui CCL3, CCL4 e CCL5), portando a un aumento della loro concentrazione nel sangue. Questo potrebbe attivare i monociti/macrofagi attraverso il CCR1 e/o aumentare i linfociti T antigene-specifici e le risposte anticorpali, che si sono osservate in alcuni studi, ma non in tutti. Servono dunque altre ricerche per caratterizzare meglio i cambiamenti immunologici che si accompagnano all’uso di maraviroc.

Il momento di inizio della ART può essere un importante parametro che influenza l’attivazione immunitaria. Studi su pazienti trattati durante la fase cronica dell’infezione hanno dimostrato che persistono livelli elevati di attivazione immunitaria e insufficiente ricostituzione dei CD4 anche in pazienti in ART, se confrontati con persone HIV negative.
Un recente studio prospettico sulla ART iniziata in fase acuta ha dimostrato che dopo 48 settimane l’attivazione immunitaria scendeva a livelli normali. Servono dunque dei trial prospettici o randomizzati per determinare l’effetto di una ART precoce e di una ritardata sull’attivazione immunitaria di persone con infezione da HIV cronica.

TRATTAMENTO DELLE CO-INFEZIONI

Trattamento anti-CMV con valgancyclovir
L’aumento di anticorpi o di linfociti T CMV-specifici è stato associato ad arteriosclerosi e a scarsa ripresa dei CD4 in pazienti in ART. Questo ha fatto ipotizzare che la co-infezione con CMV possa causare attivazione immunitaria persistente. Un RCT con valgancyclovir su 30 pazienti HIV e CMV positivi in ART ha dimostrato che, durante la somministrazione di valgancyclovir, diminuivano in modo significativo sia il CMV DNA, sia l’espressione del CD38 e dell’HLA DR sui linfociti T. Al momento, non è chiaro se questo comporti dei benefici clinici e se il vancyclovir possa essere somministrato per lunghi periodi o questo comporti eccessiva tossicità.

Trattamento anti-HCV con interferon-alfa e ribavirina
Il trattamento dell’HCV con INF-α e ribavirina nei pazienti co-infetti con HIV e in ART si è visto associato a una significativa riduzione dei marker di attivazione dei linfociti T e della disfunzione endoteliale. Tuttavia, al momento non si conosce il suo impatto dal punto di vista clinico.

Altre strategie che includono il trattamento intravenoso con immunoglobuline (IVIG) e con minociclina sono state tentate in piccoli trial, ma hanno dato risultati negativi.

LE SFIDE NELL’IMPOSTARE I TRIAL CLINICI PER RIDURRE L’ATTIVAZIONE IMMUNITARIA

Ci sono diverse sfide nell’impostazione di trial clinici per ridurre l’attivazione immunitaria in persone in terapia antiretrovirale. Anzitutto, per questi studi è necessario che pazienti che per altri versi stanno clinicamente bene assumano farmaci aggiuntivi che potrebbero avere delle tossicità. Pertanto bisogna determinare con attenzione i rischi e i benefici.
In secondo luogo, sono tanti i marker dell’attivazione immunitaria e dell’infiammazione che sono stati studiati e al momento non è chiaro quale funzioni meglio per predire morbilità AIDS e non-AIDS correlate in pazienti che sono in ART soppressiva. Biomarker come l’IL-6, il D-dimero e l’sCD14 sono forse preferibili, perché sono relativamente facili da standardizzare partendo da misurazioni nel plasma. Ma bisogna ancora valutare se siano davvero i marker giusti per predire risultati clinici a seguito di interventi specifici.
Infine, dal momento che gli eventi clinici sono rari nei pazienti in ART soppressiva, saranno necessari campioni di pazienti abbastanza grandi per riuscire a dimostrare la rilevanza clinica di qualsiasi intervento volto a ridurre l’attivazione immunitaria.



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Re: Quali interventi contro l’attivazione immunitaria cronic

Messaggio da uffa2 » martedì 22 gennaio 2013, 11:14

Insomma, al momento si sa che c’è il problema… e non molto di più.
Non è una cattiva notizia, o meglio lo è, ma è anche indice di altra cosa: del fatto che ci si può permettere il “lusso” di studiare problemi di medio-lungo periodo nei pazienti HIV+ che diciamo sono “effetti collaterali” della benefica efficacia delle terapie…
Certo, la chiusura sulle sfide nell’impostare i trial clinici non è particolarmente rassicurante, perché in buona sostanza ci dice che stiamo cercando il classico ago nel pagliaio e che l’eventuale terapia farmacologica avrebbe, naturalmente, dei costi ancora non preventivabili… così, per ora, ci conviene tenerci il kefir: non sappiamo se faccia realmente qualcosa (oltre a regolarizzare un po’ l’intestino), ma male non fa. ;)


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Dora
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Re: Quali interventi contro l’attivazione immunitaria cronic

Messaggio da Dora » martedì 22 gennaio 2013, 11:43

uffa2 ha scritto:per ora, ci conviene tenerci il kefir: non sappiamo se faccia realmente qualcosa (oltre a regolarizzare un po’ l’intestino), ma male non fa. ;)
Con l'avvertenza, però, che pre- e pro-biotici non sono sempre e necessariamente buoni e possono non esserlo per tutti (di ieri un post su POZ che suona un campanello d'allarme sui problemi molto seri causati da certi probiotici negli Stati Uniti: Illness Due to Probiotic Supplement?) e quindi è sempre meglio porre un po' di attenzione anche ai batteri che si assumono per quella via (sui possibili effetti collaterali dei probiotici, vedere qui e qui).

Anche cercare di negativizzare l'HCV e combattere eventuali altre co-infezioni è una strada molto importante, che si può percorrere fin da subito. Fra l'altro, ora non riesco a trovarlo, ma poche settimane fa ho letto di uno studio in cui si dimostra che anche se la terapia contro l'HCV non ha un successo completo (risposta virologica sostenuta - cioè viremia irrilevabile - a 6 mesi dalla fine della terapia), ha comunque un effetto durevole nell'abbassare i marker infiammatori.

E poi, naturalmente, si può agire sulle fonti di infiammazione che toccano tutti, quelle legate allo stile di vita (fumo, alcool, alimentazione ...): non è che risolva il problema, ma almeno non lo peggiora.

Sugli inibitori selettivi della ciclossigenasi-2 (COX-2), dei quali nel forum non abbiamo mai parlato, spero di riuscire a scrivere un post quanto prima.



Dora
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Re: Quali interventi contro l’attivazione immunitaria cronic

Messaggio da Dora » lunedì 4 febbraio 2013, 8:22

Dora ha scritto:Inibitori selettivi della ciclossigenasi-2 (COX-2)
Gli inibitori della COX-2 sono sostanze anti-infiammatorie che modulano l’attivazione dei linfociti T attraverso l’inibizione della prostaglandina E2 e della adenosina monofosfato ciclico (cAMP) che attiva la protein chinasi A. Nei pazienti in ART, gli inibitori selettivi della COX-2 sono stati associati a un aumento della proliferazione dei linfociti T, a una non significativa riduzione della loro attivazione e a un aumento di CD8 contenenti perforina. Un recente RCT sulla somministrazione di alte dosi di celecoxib a 31 persone con HIV non in terapia ha mostrato una diminuzione significativa dei livelli di attivazione immunitaria (vedere An Exploratory Trial of Cyclooxygenase Type 2 Inhibitor in HIV-1 Infection: Downregulated Immune Activation and Improved T Cell-Dependent Vaccine Responses).
È da molti anni che esiste un’intera classe di farmaci contro la cicloossigenasi-2. Si tratta dei FANS (farmaci anti-infiammatori non steroidei), degli “analgesici periferici” che bloccano in modo più o meno reversibile il sito di legame della cicloossigenasi, un enzima che esiste in due forme: COX-1, che è prodotta dall’organismo ed è sempre presente in condizioni fisiologiche, e COX-2, che invece è espressa nelle cellule immunitarie ed è presente quasi soltanto quando c’è uno stato infiammatorio, perché la sua produzione viene stimolata da parte di fattori tumorali, citochine, sostanze batteriche (in particolare l’LPS, che è in circolo a causa della traslocazione microbica). Meglio di salicilati come l'aspirina, che colpiscono soprattutto la COX-1, altri FANS sono specifici nel trattamento dell’infiammazione derivata da problemi reumatologici o contro il dolore post-chirurgico, ma vengono anche prescritti come anti-dolorifici generici o come anti-piretici.
Gli inibitori selettivi della COX-2 esistono da fine anni ’90 e vengono utilizzati da milioni di persone (per maggiori dettagli sui meccanismi di azione di questi farmaci, vedere qui).

Un trial di fase II su un inibitore della COX-2 – l’Etoricoxib – sponsorizzato dall’Università di Oslo e diretto da Dag Kvale, sta reclutando partecipanti e i suoi risultati sono attesi per l’anno prossimo: Immunomodulating Therapy and Improved Vaccination Responses by Cox-2 Inhibitor in HIV-infected Patients (OUSCOX2).

L’Università della British Columbia sta invece reclutando volontari per un trial di fase IV sul Diflunisal (un anti-infiammatorio simile all’ibuprofene) da somministrarsi a persone con HIV non in terapia, per vedere anzitutto se questo ha effetti sulle viremie, ma anche se ci sono variazioni nei parametri ematologici e biochimici, nei marker di attivazione e di infiammazione, nei sottoinsiemi dei CD4 e dei CD8 e perfino a livello di reservoir latente.


Il lavoro di cui parlerò qui è una ricerca, sempre dell’università di Oslo, pubblicata da Frank Pettersen, Dag Kvale e colleghi nel luglio 2011 sul Journal of Virology: An Exploratory Trial of Cyclooxygenase Type 2 Inhibitor in HIV-1 Infection: Downregulated Immune Activation and Improved T Cell-Dependent Vaccine Responses.
Vengono riportati i risultati di un trial “esplorativo”, proof of concept, sugli effetti della somministrazione di un altro inibitore della COX-2 il Celecoxib - sui marker infiammatori di 31 persone con infezione da HIV-1 non in terapia e sulla risposta a due tipi di vaccini, uno dipendente dai linfociti T (TT – tossoide del tetano) e uno indipendente (PP – polisaccaride pneumococcico).

In due trial precedenti, lo stesso gruppo di lavoro aveva dimostrato che l’inibizione della COX-2 migliorava la funzione immunitaria in pazienti in terapia.

Poiché alti livelli di COX-2 vengono prodotti nei monociti esposti all’LPS in circolo, che nelle persone con HIV non in terapia antiretrovirale aumenta a causa dell’aumentata traslocazione microbica dall’intestino, l’idea di Kvale e colleghi è stata di somministrare un inibitore della COX-2 e vedere se questo sottoregola l’attivazione immunitaria cronica e migliora il funzionamento dei linfociti T dando un beneficio clinico.
Il marker principale di attivazione cronica misurata è stato il CD38 espresso dai CD8: è stato scelto come principale end point dello studio e un suo eventuale aumento come marker surrogato di progressione della malattia, perché l’aumento dell’HIV RNA e la diminuzione dei CD4 non potevano essere attesi come rilevanti, data la breve durata della sperimentazione.
La risposta dei linfociti T è stata testata sia in vitro, sia in vivo in un sottostudio che ha indagato la risposta umorale a due diversi vaccini, per capire se veniva migliorata oppure no.
L’attivazione cronica può di per sé contribuire ad aumentare il rischio cardiovascolare. Se gli inibitori della COX-2 la diminuiscono, possono diminuire il rischio cardiovascolare. Dal momento, però, che alcuni di questi inibitori sono stati associati ad eventi cardiovascolari in pazienti predisposti, pazienti con un tale profilo sono stati esclusi dallo studio.

Dei 31 volontari arruolati, 14 sono stati randomizzati nel braccio di controllo e 17 hanno ricevuto alte dosi di Celecoxib per 12 settimane.
4 dei pazienti che hanno ricevuto il farmaco hanno abbandonato il trial perché hanno sviluppato orticaria generalizzata, senza però manifestazioni sistemiche o segni di disfunzione d’organo.
Questo (insieme alle ridotte dimensioni del campione) ha reso molto più difficile la valutazione dei risultati. In particolare, anche se non viene esplicitamente discusso nell’articolo, la significatività statistica per certi parametri non è stata raggiunta, in certi casi è piuttosto dubbia e l'importanza clinica non è valutabile. Pertanto questi risultati vanno considerati delle tendenze, più che dei dati acquisiti. Questo fa concludere Kvale e colleghi che i dati di questo trial esplorativo giustificano degli studi più ampi. Però stanno facendo un nuovo trial sull’Etoricoxib e non sul Celecoxib.

In sintesi, i risultati mostrano dei segnali di riduzione dell’attivazione immunitaria cronica, anche se non si può proprio parlare di una diminuzione sconvolgente:

  • • Nel gruppo che ha preso l’inibitore della COX-2 si è vista una diminuzione dell'espressione del CD38 (-24%; P = 0,04). Obiettivo principale raggiunto (più o meno), anche se non si capisce se questo comporti un reale beneficio clinico.
    • Il trattamento con l’inibitore della COX-2 ha fatto diminuire le IgA nel siero (P = 0,04). Poiché le IgA sono prodotte soprattutto nelle mucose, l’inibizione della COX-2 potrebbe ridurre l’attivazione immunitaria cronica nei comparti linfoidi delle mucose, così contrastando la traslocazione microbica.
    • Tuttavia, l’LPS circolante non è diminuito.
    • È invece diminuita un po’ l’espressione della PD-1 sui CD8 (P = 0,01).
    • Quando l’inibizione della COX-2 è stata testata sulle funzioni dei linfociti T in vivo mediante immunizzazione con un vaccino contenente tossoide tetanico, che dipende dai T, e con un antigene invece indipendente (polisaccaride pneumococcico) di controllo, si è visto che le risposte umorali al vaccino dipendente dai linfociti T miglioravano. Questo fa pensare che l’inibizione della COX-2 potrebbe migliorare la risposta a diversi vaccini, che nelle persone con HIV sovente è scarsa.


Da una lezione tenuta da Dag Kvale l'anno scorso:

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Dora
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Re: Quali interventi contro l’attivazione immunitaria cronic

Messaggio da Dora » sabato 16 febbraio 2013, 9:25

Fra i farmaci di uso comune per trattare problemi infiammatori, un altro FANS è l'aspirina, da tempo studiata per ridurre l'attivazione immunitaria nella malattia da HIV. Fino ad ora i risultati sono stati assai modesti.
Si è accennato qualcosa nel thread Aspirina e HIV: riduce il rischio cardiovascolare e non solo? e in un report di David Shepp su IAS 2012, ma in questa sezione del forum vorrei affrontare l’argomento in modo un poco differente. Anzitutto, riaprendo il discorso su COX-1, COX-2 e FANS iniziato nei messaggi precedenti con una figura presa da Wikipedia e ricordando che l'aspirina inibisce soprattutto la ciclossigenasi-1, mentre è soprattutto la COX-2 l'enzima da inibire:

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Dopo aver presentato i propri dati l’estate scorsa a Washington (le slides sono disponibili su Natap), Megan O’Brien, Jeffrey Berger e colleghi della New York University pubblicano adesso su JAIDS un articolo, in cui raccontano i risultati di uno studio pilota per diminuire, mediante somministrazione di aspirina, l'attivazione delle piastrine e l'attivazione immunitaria in persone con HIV in terapia: Aspirin attenuates platelet activation and immune activation in HIV-infected subjects on antiretroviral therapy: A Pilot Study.

Iniziamo con due slides che spiegano il senso di questa ricerca:


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I meccanismi che, nella malattia da HIV, legano attivazione immunitaria, infiammazione e aumento del rischio di trombosi non sono del tutto chiari, ma studi recenti indicano che l’attivazione delle piastrine potrebbe essere coinvolta.

L’idea dei ricercatori della New York University è stata dunque quella di indagare se la somministrazione di basse dosi (81 mg) di aspirina per una settimana sia in grado di diminuire l’attivazione delle piastrine e l’attivazione immunitaria in 25 persone con HIV e con viremia soppressa dalla ART (VL < 50), confrontandole con 44 controlli senza HIV.


Quello che hanno trovato è che
  • Le persone con HIV in ART avevano piastrine iper-reattive: la mediana dei valori di aggregazione spontanea delle piastrine (SPO) era più alta (7,9% rispetto al 4,9 dei soggetti HIV-) e più alta era l’aggregazione in risposta a tutte le concentrazioni di agonisti non a massime concentrazioni (in particolare, ADP = adenosina difosfato: 11,3% vs 6,4%; COL = collagene: 5,6% vs 3,2; AA = acido arachidonico: 54,9% vs 7,4%). A concentrazioni più alte, la maggior parte delle differenze osservate si sono attenuate. Questo risultato permette a O’Brian, Berger e colleghi di sostenere che le piastrine delle persone con HIV hanno una soglia più bassa di attivazione e questo porta a un fenomeno che è chiamato di “esaurimento delle piastrine”. Le piastrine attivate a loro volta attivano i monociti e questo mostra che c’è un ruolo diretto delle piastrine nell’attivazione immunitaria e quindi nell’aumento di rischio cardiovascolare.

    L’aspirina ha mostrato di avere degli effetti sull’attività delle piastrine dei soggetti con HIV: rispetto ai valori misurati al basale, l’aggregazione delle piastrine è stata inibita nelle persone con HIV anche in seguito a una singola dose di aspirina, mentre dopo una settimana era diminuita in entrambi i gruppi, anche nei controlli.

    Il trombossano urinario è più alto nelle persone con HIV in ART, ma l’aspirina lo abbassa un po’: l’aspirina causa l’acetilazione irreversibile della COX-1 delle piastrine, inibendo la formazione del trombossano, che è un potente antagonista delle piastrine. I livelli iniziali delle concentrazioni di questo marker nelle urine erano molto più alti nei soggetti con HIV rispetto ai controlli, ma dopo una settimana di aspirina sono diminuiti, pur rimanendo più alti che nei controlli.

    Le persone con HIV in ART hanno livelli aumentati di P-selettina solubile, che diminuiscono dopo una settimana di aspirina: si tratta di un marker di attivazione delle piastrine e dell’endotelio, considerato un fattore di rischio vascolare. Dopo un giorno di aspirina non è successo nulla, ma dopo una settimana la P-selettina solubile è diminuita in modo significativo.

    Anche l’attivazione immunitaria dei linfociti T e dei monociti era più alta nei soggetti con HIV rispetto ai controlli, ma è diminuita dopo una settimana di aspirina: sono state testate le proprietà immunomodulanti dell’aspirina, misurando l’attivazione dei CD4 e dei CD8 mediante marker di attivazione quali il CD38 e l’HLA-DR. Dopo una settimana di aspirina, questi sono scesi in modo consistente rispetto agli innalzati livelli di partenza, mentre nei controlli sono rimasti costanti.
    Per l’attivazione dei monociti si è valutato l’sCD14, che era più alto al basale nei soggetti con HIV e che è diminuito in modo significativo dopo una settimana di trattamento.

    Una settimana di aspirina migliora la risposta dei leucociti alla stimolazione con un agonista del Toll-like receptor (TLR): durante l’infezione cronica da HIV le cellule dell’immunità innata rispondono meno bene a stimolazione del TLR, forse a causa della stimolazione cronica da parte di citochine infiammatorie. Si è quindi testata l’aspirina per le sue proprietà anti-infiammatorie e si è visto che in parte funzionava.

    L’aspirina non è invece servita a diminuire i marker solubili di infiammazione (IL-6, D-dimetro e proteina C-reattiva).

In sostanza, quel che si è visto da questo studio è che basse dosi di aspirina date ogni giorno per una settimana fanno diminuire l’attività delle piastrine, sia nelle persone con HIV, sia nei controlli HIV negativi. Si è poi visto che l’aspirina, in quanto sostanza anti-piastrine e immunomodulante, può almeno in parte invertire l’attivazione immunitaria: 1) indirettamente, inibendo l’attivazione delle piastrine e così anche migliorando le risposte dei leucociti; 2) direttamente, bloccando i meccanismi infiammatori in diversi tipi di cellule.

Naturalmente, dato che questo studio pilota era piccolo, non randomizzato e in aperto, servono studi più approfonditi e meglio strutturati per confermare i risultati ottenuti.



Betelgeuse
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Re: Quali interventi contro l’attivazione immunitaria cronic

Messaggio da Betelgeuse » mercoledì 20 febbraio 2013, 8:51

Concordo.. maggiori studi sono necessari soprattutto per capire se l'attivazione delle piastrine sia HIV-correlata o farmaco-correlata. Hai scritto che lo studio si è svolto su persone in ARV, e questo è comunque significativo. Bisognerebbe capire quanta parte dell'infiammazione non dipenda proprio dai farmaci.



Dora
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Re: Quali interventi contro l’attivazione immunitaria cronic

Messaggio da Dora » mercoledì 20 febbraio 2013, 9:16

Betelgeuse ha scritto:Concordo.. maggiori studi sono necessari soprattutto per capire se l'attivazione delle piastrine sia HIV-correlata o farmaco-correlata. Hai scritto che lo studio si è svolto su persone in ARV, e questo è comunque significativo. Bisognerebbe capire quanta parte dell'infiammazione non dipenda proprio dai farmaci.
I fattori che possono causare infiammazione sono tali e tanti che qualche effetto tossico dei farmaci può entrare in gioco e può diventare difficile distinguere in modo chiaro (lo si vede sia a livello cardiovascolare, sia metabolico, etc.). Tuttavia in genere, quando si prende la ART, i marker di attivazione immunitaria si abbassano, quasi si normalizzano. Questo fa pensare che il fattore che ha il peso nettamente maggiore sia il virus.
È su quel "quasi" che rimane come effetto della replicazione virale residua che si deve lavorare e su cui - a quanto capisco seguendo la ricerca - di strada da fare ce n'è ancora molta.
Questo, detto in generale e non solo in riferimento alle piastrine.
Comunque sia, l'aspirina non va bene come inibitore della ciclossigenasi-2.



Dora
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Re: Quali interventi contro l’attivazione immunitaria cronic

Messaggio da Dora » mercoledì 26 febbraio 2014, 10:50

Ho avuto modo di vedere soltanto adesso la presentazione che Steven Deeks ha portato al 6th International Workshop on HIV Persistence during Therapy di Miami lo scorso dicembre (appena messa online da Lafeuillade qui:The Role of Immune-based Therapeutics in Curing HIV Infection).
Ho trovato alcune slides che mi permettono di aggiornare rapidamente questo thread, segnalando alcuni degli interventi contro l'attivazione immunitaria cronica che - a parere di uno dei maggiori esperti mondiali - potrebbero avere successo.

L’idea da cui parte Deeks è che l’attivazione dei linfociti T e la proliferazione cellulare indotta da questa attivazione contribuiscano in vivo alla persistenza dell’HIV.
È vero, infatti, che si è trovata una associazione abbastanza debole fra persistenza dell’HIV associato a cellule e attivazione dei linfociti T nel sangue.
Ma è anche vero che un'analisi comparativa di differenti tipi di misurazione dei reservoir virali ha mostrato come la frequenza di cellule memoria quiescenti che contengono DNA virale sia fortemente correlata con la frequenza dei CD4 attivati. E l’associazione fra questi fattori è particolarmente stretta nella mucosa intestinale.
Inoltre, l’RNA (ma non il DNA) virale associato alle cellule è più basso nelle persone che sono eterozigoti CCR5Δ32 e si correla con la frequenza di cellule che esprimono il recettore CCR5.
Abbiamo poi che la frequenza di proliferazione delle cellule, così come l’espressione di alcune importanti proteine infiammatorie (PD-1, LAG-3, TIGIT), che aumenta quando aumenta la proliferazione/attivazione delle cellule, predicono le dimensioni del reservoir di DNA virale integrato.

Deeks mostra dunque come esista una implicazione reciproca fra la persistenza e la replicazione dell’HIV e l’attivazione e l’infiammazione dei linfociti T.

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I meccanismi causali dell’associazione fra persistenza dell’HIV e attivazione/proliferazione immunitaria sono complessi, probabilmente multi-direzionali e possono essere diversi in gruppi di pazienti differenti (definiti in base ad età, genere e risposta immunologica).
In questo schema si vede chiaramente come un problema causi e implichi l’altro:

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La questione diventa dunque questa: L’INIBIZIONE DELLA ATTIVAZIONE E/O DELLA PROLIFERAZIONE DEI LINFOCITI T PUÒ CONTRIBUIRE A DISTRUGGERE IL RESERVOIR?

Deeks parla del Sirolimus (rapamicina), un antibiotico usato come farmaco immunosoppressore nei trapianti d’organo per evitare il rigetto. Il Sirolimus, al momento, è sperimentato in fase clinica su persone con HIV e tumori HIV-correlati (KS, linfomi).
Ma Deeks racconta che lo si è visto associato a una riduzione del reservoir dell’HIV in persone che avevano avuto un trapianto di reni, perché ha tre caratteristiche molto interessanti:

  • 1. riduce l’espressione del CCR5;
    2. riduce l’attivazione dei linfociti T;
    3. riduce la proliferazione dei linfociti T.


Ecco quindi che l’ACTG ha in programma un trial clinico pilota sul Sirolimus per indagarne la sicurezza e l’efficacia nella riduzione del reservoir dell’HIV. L’idea è di fare un trial di questo tipo:

  • - Impostazione dello studio: studio pilota randomizzato (3 a 1) in aperto sulla terapia con o senza Sirolimus per 3 mesi.
    - Soggetti: 40 persone con HIV che siano in terapia antiretrovirale priva di inibitori della proteasi e che abbiano HIV RNA < 40 copie e CD4 > 350 cellule.
    - Obiettivi primari:
    • 1. farmacocinetica, sicurezza e tollerabilità;
      2. valutazione della capacità di replicazione dell’HIV;
      3. funzionalità dei linfociti T.


Quando questo trial partirà, ne farò un thread separato.

A parere di Deeks, servono comunque studi rigorosi e controllati, che uniscano terapie antiretrovirali più potenti ad immunoterapie per arrivare a determinare quanto, di fatto, l’ambiente immune contribuisca alla persistenza del virus.

E questo è l’elenco delle sperimentazioni in sviluppo o già partite, alcune delle quali stiamo già seguendo in questo thread (IDO) o in altri di questa sezione (JAK e ACE inibitori qui; interferone qui; auranofin qui; PD-1 e PD-L1 qui - invece di Greene e dell'inibizione della caspasi 1 credo che sentiremo parlare molto la settimana prossima al CROI):

Immagine


Anche Hiroyu Hatano ha tenuto una presentazione a Miami dedicata a Immune Activation and Persistence: New Therapeutic Approaches. Questa è la slide finale, in cui Hatano riassume le diverse opzioni terapeutiche in sviluppo per diminuire lo stato infiammatorio nell'infezione da HIV:

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Dora
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Re: Quali interventi contro l’attivazione immunitaria cronic

Messaggio da Dora » sabato 17 maggio 2014, 17:36

Ivona Pandrea, insieme al suo gruppo di ricerca del Center for Vaccine Research all'Università di Pittsburg, pubblica sul Journal of Clinical Investigation di giugno un lavoro sulle scimmie, che il comunicato stampa presenta come un "Breakthrough in HIV/AIDS Research [which] Gives Hope for Improved Drug Therapy" e che, se i suoi risultati saranno confermati sull'uomo, potrebbe aprire una via per controllare l'attivazione cronica del sistema immunitario e l'infiammazione che persistono anche nelle persone con HIV in terapia antiretrovirale.

Pandrea, infatti, ha scoperto che, somministrando alle scimmie infettate con SIV il Sevelamer (nome commerciale Renagel), che è un farmaco approvato per abbassare i livelli di fosfati nel sangue delle persone che soffrono di insufficienza renale cronica, i batteri presenti nell'intestino si legavano al farmaco e questo rendeva loro più difficile trasmigrare nel resto del corpo. Bloccando la traslocazione microbica dall'intestino al circolo sanguigno, sono diminuiti i livelli dei marker di immunoattivazione e di infiammazione.
Nelle scimmie trattate con Sevelamer i livelli di LPS (lipopolisaccaride) e quelli dei marker della coagulazione (in particolare D dimero) diminuivano drasticamente; e lo stesso si è visto per l'sCD14 (CD14 solubile), che è un marker surrogato di traslocazione microbica e di attivazione dei monociti, e per diversi marker di infiammazione (varie citochine, proteina C reattiva, etc.).
Nelle scimmie non trattate, nulla di tutto questo.
Questi risultati dimostrano dunque che IL SEVELAMER BLOCCA LA TRASLOCAZIONE MICROBICA.

Questo studio è rilevante da un punto di vista teorico, perché - dicono Pandrea et al. - fornisce una prova empirica a quella che finora era solo un'ipotesi sul ruolo della traslocazione microbica nell'infiammazione delle persone con HIV.

Si è anche visto che le viremie delle scimmie trattate erano, a 6 settimane dall'infezione, di 1,1 log più basse rispetto a quelle delle scimmie non trattate e nessuna delle scimmie che hanno ricevuto Sevelamer ha avuto una rapida progressione della malattia.

In questo studio, il Sevelamer è stato somministrato presto, durante la fase acuta o comunque iniziale dell'infezione, che è anche il momento in cui si verifica il danno alla mucosa intestinale e in cui un intervento tempestivo può alleviare le conseguenze dell'infezione acuta, anche in assenza di controllo della replicazione del virus.
Purtroppo, nel caso della maggior parte degli esseri umani, gli interventi terapeutici avvengono durante la fase cronica dell'infezione. Quindi bisognerà vedere se la sommistrazione di Sevelamer sarà efficace anche in quei casi. (*)

La conclusione di Pandrea e colleghi è che i loro risultati dimostrano che degli interventi terapeutici precoci volti a limitare la traslocazione microbica possono diminuire in modo sostanziale i livelli di immunoattivazione e di infiammazione, così diminuendo il rischio di disturbi cardiovascolari, etc.
Inoltre, ridurre il carico microbico significa anche migliorare la funzione immune a livello gastrointestinale e aumentare la ricostituzione dei CD4 della mucosa, ottenendo così un probabile beneficio a livello di morbilità e mortalità.

Secondo Pandrea e colleghi, queste strategie potrebbero includere anche la somministrazione di antibiotici, anti-infiammatori, probiotici - il tutto, ovviamente, associato alla ART. Ci sono in corso diversi trial clinici sui singoli approcci, ma Pandrea e colleghi ritengono che sia dalla combinazione di approcci diversi che si possa trovare una strategia efficace di controllo degli effetti dell'attivazione immunitaria.


(*) Tutto bene, allora? Tutti a prendere Sevelamer?
Meglio andarci cauti, perché i risultati del Sevelamer su esseri umani con infezione cronica e non in terapia presentati al CROI di quest'anno ci dicono qualcosa di diverso. Questo un pezzo di post del 10 marzo scorso:

Dora ha scritto:Il CROI 2014 è stato particolarmente avaro di buone notizie sul fronte del contrasto all’attivazione immunitaria e all'infiammazione a livello intestinale.
Se l’anno scorso Rajes Gandhi e lo studio A5296 avevano fatto sperare che il sevelamer potesse ridurre il lipopolisaccaride (LPS) circolante nel plasma e la conseguente attivazione dei monociti e dei linfociti T, l’aggiornamento di quest’anno è deludente: lo studio di 40 persone con HIV e non in terapia cui sono stati somministrati 1600 mg di sevelamer tre volte al giorno per 8 settimane e che sono state seguite per le altre 8 settimane successive non ha dimostrato nessun effetto sui livelli plasmatici di LPS e di sCD14 (il marker di attivazione dei monociti) (cfr. #337 Sevelamer Does Not Decrease Plasma LPS or sCD14 But Does Decrease Soluble Tissue Factor and LDL).


FONTE:



Dora
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Re: Quali interventi contro l’attivazione immunitaria cronic

Messaggio da Dora » giovedì 29 maggio 2014, 9:56

Dora ha scritto:(*) Tutto bene, allora? Tutti a prendere Sevelamer?
Meglio andarci cauti, perché i risultati del Sevelamer su esseri umani con infezione cronica e non in terapia presentati al CROI di quest'anno ci dicono qualcosa di diverso. Questo un pezzo di post del 10 marzo scorso:

Dora ha scritto:Il CROI 2014 è stato particolarmente avaro di buone notizie sul fronte del contrasto all’attivazione immunitaria e all'infiammazione a livello intestinale.
Se l’anno scorso Rajes Gandhi e lo studio A5296 avevano fatto sperare che il sevelamer potesse ridurre il lipopolisaccaride (LPS) circolante nel plasma e la conseguente attivazione dei monociti e dei linfociti T, l’aggiornamento di quest’anno è deludente: lo studio di 40 persone con HIV e non in terapia cui sono stati somministrati 1600 mg di sevelamer tre volte al giorno per 8 settimane e che sono state seguite per le altre 8 settimane successive non ha dimostrato nessun effetto sui livelli plasmatici di LPS e di sCD14 (il marker di attivazione dei monociti) (cfr. #337 Sevelamer Does Not Decrease Plasma LPS or sCD14 But Does Decrease Soluble Tissue Factor and LDL).
Ecco uscito, sul Journal of Infectious Diseases, l'articolo di Gandhi et al con i risultati del trial ACTG A5296 annunciati al CROI:

Sevelamer Does Not Decrease Lipopolysaccharide or Soluble CD14 But Does Decrease Soluble Tissue Factor, LDL, and Oxidized LDL Levels in Untreated HIV Infection
  • Abnormal levels of inflammation are associated with cardiovascular disease and mortality in HIV-infected patients. Microbial translocation, which may cause inflammation, is decreased by sevelamer in patients receiving hemodialysis. In this single-arm study, we evaluated the effects of 8 weeks of sevelamer on 36 HIV-infected subjects who were not receiving antiretroviral therapy. Sevelamer did not significantly change markers of microbial translocation, inflammation, or T-cell activation. During sevelamer treatment, however, levels of soluble tissue factor, LDL, and oxidized LDL cholesterol decreased significantly, whereas D-dimer levels increased. Thus, in this study population, sevelamer does not reduce microbial translocation but may have cardiovascular benefits.



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