Interferone-A per cura funzionale e perfino sterilizzante?

Ricerca scientifica finalizzata all'eradicazione o al controllo dell'infezione.
Dora
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Interferone-A per cura funzionale e perfino sterilizzante?

Messaggio da Dora » domenica 11 novembre 2012, 11:16

Riporto, per comodità, in questa sezione parte di un post preparato in occasione del CROI 2012. È infatti appena stato pubblicato sul Journal of Infectious Diseases l'articolo relativo alla sperimentazione di cui si parlava nel marzo scorso e credo sia utile continuare a seguire questa ricerca in "Verso una cura".
L'articolo di Livio Azzoni e Luis Montaner, del Winstar Institute di Filadelfia, è accompagnato da un editoriale firmato da Kathleen Collins e Lucy McNamara, che spiega molto bene il senso della ricerca e che sintetizzerò qui sotto. Che sia stato chiesto proprio a loro di scrivere un editoriale credo dipenda dal fatto che Collins e McNamara, oltre che di staminali, si occupano dell’enzima APOBEC3G, che ha un’importante funzione antivirale e che svolge probabilmente un ruolo anche nel lavoro di Azzoni e Montaner.

Qui la descrizione della ricerca e dei risultati ottenuti:

Dora ha scritto:Nell’ambito della ricerca di una cura funzionale, cioè di un controllo prolungato dell’HIV in assenza di HAART, si sono tentati molti approcci terapeutici volti ad aumentare la capacità di controllo del virus da parte dell’ospite, riuscendo comunque a mantenere i benefici della ricostituzione immunitaria. Luis Montaner, del Winstar Institute di Philadelphia, e colleghi hanno appena concluso e presentato al CROI una piccola sperimentazione clinica randomizzata (cfr. ClinicalTrials.gov: Antiviral Activity of Peg-IFN-Alpha-2A in Chronic HIV-1 Infection) finalizzata a ottenere una proof-of-concept del fatto che il trattamento con INF-alfa può portare a una durevole soppressione dell’HIV in persone in cui gli effetti dannosi della replicazione incontrollata del virus sulla funzione immunitaria sono stati parzialmente invertiti dalla HAART.

In assenza di HAART, il trattamento con INF-alfa (interferone-alfa, anzi precisamente interferone peghilato alfa-2a) ha comportato un parziale controllo della replicazione dell’HIV, con una riduzione dei livelli plasmatici di HIV RNA di circa 0,5 log.

In una dichiarazione riportata da The AIDS Beacon, Montaner ha sottolineato che l’HIV in genere danneggia le cellule immunitarie che producono interferone, ma in questo studio – fatto su una ventina di persone che si trovavano in uno stadio avanzato dell’infezione cronica, con viremie rese irrilevabili dagli antiretrovirali – si è visto che “dare interferone a un sistema immunitario che si è già ripreso [grazie alla HAART], può avere un grande effetto nel dirigere le risposte contro l’HIV, sia nel controllarlo, sia nel ridurne la presenza in luoghi dove sappiamo che si nasconde”.


Paper #631 - Pegylated Interferon-a2A Monotherapy Induces Durable Suppression of HIV-1 Replication and Decreased HIV DNA Integration following ART Interruption (...)

Background: Interrompere la HAART comporta, invariabilmente, un rebound virale, indipendentemente dalla ripresa o meno della funzione immunitaria.

Metodi: 23 pazienti HIV+, con viremie soppresse dalla HAART (VL < 50 copie/mL, CD4 > 450 cellule/mL), sono stati randomizzati per ricevere 180 (braccio A) o 90 (braccio B) μg/settimana di interferone-α2a peghilato (pIFN-α). Dopo 5 settimane di sovrapposizione dei trattamenti, la HAART è stata sospesa e la terapia con pIFN-α è stata proseguita fino alla 24° settimana; i soggetti che hanno avuto un fallimento virologico (VL ≥ 400 copie/mL) o seri eventi avversi hanno ripreso il precedente regime di HAART. L’analisi primaria ha confrontato la proporzione di soggetti con VL < 400 copie/mL dopo 12 settimane di monoterapia con pIFN-α con la proporzione attesa di 0,09 (test binomiale esatto, seri eventi avversi trattati come fallimenti virologici). L’analisi secondaria è consistita 1) nel confronto fra la proporzione di soggetti che hanno mantenuto VL < 400 copie/mL per tutte le 24 settimane con dei controlli storici (interruzione della HAART senza pIFN-α); e 2) nella misura mediante Alu-PCR dei livelli di HIV DNA integrati nelle cellule mononucleate del sangue periferico (PBMC) come correlati del controllo virale.

Risultati: dei 23 pazienti arruolati, 3 sono stati esclusi dall’analisi primaria (1 è stato perso al follow-up, 1 è finito in carcere e 1 ha avuto insufficienza epatica di grado 2). 9 dei 20 pazienti rimanenti (45%) hanno mantenuto viremie < 400 copie/mL per 12 settimane, un risultato significativamente maggiore rispetto alla proporzione attesa di 0,09 (braccio A, p = 0.0088; braccio B, p = 0.0010, bracci combinati, p <0.0001). 4 di questi 9 pazienti hanno avuto viremie < 48 copie/mL (p = 0.0027, bracci combinati). Una analisi di sensitività che ha incluso i 3 soggetti esclusi ha confermato il risultato (39%, braccio A, p = 0.0178, braccio B, p = 0.0017, bracci combinati, p <0.0001). I 9 pazienti con viremie < 400 copie/mL alla 12° settimana hanno continuato il pIFN-α per altre 12 settimane; alla 24° settimana, 6 su 9 pazienti (67%) avevano viremie < 400 copie/mL in monoterapia con pIFN-α. Il numero dei CD4 è rimasto superiore alle 300 cellule/μL in tutti i soggetti. Gli eventi avversi sono stati 1 caso di neutropenia e 3 di depressione. Dopo la ripresa della HAART, tutti i pazienti hanno riportato le viremie al di sotto delle 48 copie/mL. Si è osservata una netta diminuzione (p=0,01) nelle copie di HIV DNA integrate nei CD4 fra i valori al basale e quelli alla 12° settimana in tutti i soggetti che hanno mantenuto viremie < 400 copie/mL, ma non in coloro che hanno avuto un rialzo virale > 400 copie/mL.

Conclusioni: abbiamo fornito la prima proof-of-concept che una immunoterapia basata su pIFN-α comporta un controllo durevole della replicazione dell’HIV a seguito dell’interruzione della HAART. Abbiamo anche dimostrato, per la prima volta, che il controllo virale mediato dal pIFN-α ha un’influenza sull’HIV. (...)

Dall'editoriale di Collins-McNamara: Interferon-alpha therapy: towards an improved treatment for HIV

Azzoni e colleghi hanno studiato le potenzialità dell’interferone-alfa (IFN-α) nel sopprimere la replicazione dell’HIV. In quello che potrebbe rivelarsi come un primo passo verso una cura funzionale, hanno scoperto che l’IFN-α consente a certe persone di mantenere basse viremie per 12-24 settimane in assenza di ART. Inoltre, hanno scoperto che, nei pazienti che hanno una buona risposta virologica all’IFN-α, questo riduce i livelli di provirus dell’HIV nelle cellule mononucleate del sangue periferico (PBMC, in sostanza i CD4). Questo risultato fa pensare che l’IFN-α possa eliminare i genomi dell’HIV latenti, una possibilità che potrebbe dare qualche indicazione nella ricerca di una cura dell’HIV, che sia sterilizzante o funzionale.

L’ IFN-α si usa in clinica per trattare l’epatite B e C e numerosi studi hanno stabilito che questa citochina è in grado di limitare in vivo la replicazione dell’HIV. Studi differenti hanno confermato che l’IFN-α può ridurre la viremia e ritardare la progressione della malattia in pazienti viremici. Tuttavia, le potenzialità dell’IFN-α nel sopprimere la viremia in pazienti che hanno carica virale ben controllata sono meno chiare. Di recente, uno studio ha sottoposto dei pazienti in ART, con viremia al di sotto delle 400 copie/ml per almeno 6 mesi e CD4 maggiori di 350 cellule/mL a una serie di tre interruzioni strutturate di trattamento (STI) della durata di 4 settimane, durante le quali i pazienti hanno ricevuto terapia con IFN-α oppure nessun trattamento. Il trattamento è poi stato sospeso fino alla fine del trial. Si è visto che la somministrazione di IFN-α smorzava in modo significativo il rebound virale durante le 4 settimane di STI, ma non allungava il tempo prima della ripresa della ART dopo che il trattamento con IFN-α veniva sospeso. In questo studio si è anche osservato che l’IFN-α nuoceva ai pazienti con basso nadir dei CD4.

Lo studio di Azzoni e colleghi è il primo che riesce a dimostrare un effetto del trattamento con IFN-α sul rebound virale durante un’interruzione della ART durata alcuni mesi, ed è il primo che riesce a identificare un effetto dell’IFN-α sul reservoir provirale dell’HIV.
In questa ricerca, gli autori hanno reclutato 23 pazienti in terapia antiretrovirale, con HIV RNA nel sangue inferiore a 50 copie/ml. Tutti i partecipanti hanno ricevuto IFN-α in aggiunta alla ART per 5 settimane; poi la ART – ma non l’IFN-α – è stata sospesa per 12-24 settimane. La soppressione virale si è mantenuta per 12 settimane di sospensione terapeutica nel 45% dei pazienti e per 24 settimane nel 30%. In entrambi i casi, la proporzione di pazienti con viremie soppresse è stata significativamente maggiore di quanto ci si aspettasse.
Secondo gli autori, il livello di soppressione più alto osservato in questo studio rispetto ad altri trial può dipendere dalla co-somministrazione di Peg- IFN-α-2A con ART prima dell’interruzione del trattamento antiretrovirale.
C’è da aggiungere che i soggetti arruolati in questo studio avevano viremie completamente soppresse (< 50 copie/ml) e un buon livello di ricostituzione immunitaria (CD4 > 450 cellule/mL).

Gli autori, inoltre, hanno valutato il livello di HIV DNA integrato nei CD4 in 13 pazienti, 6 dei quali hanno avuto un fallimento virologico, mentre 7 hanno mantenuto la soppressione della viremia a 12 settimane dalla sospensione della ART. Non si è visto nessun cambiamento nelle copie di HIV DNA nei CD4 nei pazienti che hanno avuto fallimento virologico. Questo risultato è interessante, perché dimostra che, in presenza di IFN-α, si può fare una interruzione terapeutica senza che aumenti in modo rilevabile la dimensione del reservoir latente dei CD4.
D’altra parte, nei 7 pazienti che hanno mantenuto la soppressione virale a 12 settimane si è vista una diminuzione significativa dell’HIV DNA nei CD4. Questo risultato inatteso fa pensare che l’IFN-α, quando funziona al meglio, possa essere capace non solo di sopprimere la replicazione virale migliorando la risposta immune all’HIV, ma anche contribuire alla distruzione del reservoir virale.


Questo studio era piccolo e ha dovuto servirsi di controlli storici, quindi i suoi risultati devono essere interpretati con cautela. Tuttavia, fanno nascere domande interessanti:

  • 1) In che modo l’IFN-α attiva la risposta immune per sopprimere la replicazione virale e ridurre il reservoir provirale?


L’IFN-α promuove una risposta antivirale all’HIV che inibisce la replicazione in diverse fasi del ciclo di replicazione del virus. In particolare, l’IFN-α sovraregola in vitro tre proteine: l’APOBEC3G, la TRIM5α e la teterina (la sovraregolazione di TRIM5α e teterina è stata confermata anche in vivo). È possibile che la sovraregolazione di questi fattori in risposta a terapia con IFN-α inibisca la replicazione dell’HIV direttamente, oppure attivando altre cellule immunitarie. Una ricerca di Collins e McNamara ha proprio dimostrato che l’APOBEC3G può migliorare il riconoscimento delle cellule infette da HIV da parte dei CD8 citotossici e delle cellule natural killer (NK).

  • 2) In che modo l’IFN-α potrebbe contribuire a una riduzione del DNA provirale dell’HIV nei CD4?


Se i genomi provirali individuati nella ricerca di Azzoni e Montaner rappresentano virus latente, allora né l’APOBEC3G, nel la TRIM5α, né la teterina dovrebbero avere alcun impatto sulla quantità di HIV DNA rilevato. E allora il fatto che si sia rilevata una diminuzione nel numero dei genomi dell’HIV può far pensare che l’IFN-α riattivi il virus latente, portando alla morte delle cellule infette mediante gli effetti citotossici del virus o l’azione del sistema immunitario.
In alternativa, la diminuzione del genomi provirali in certi pazienti trattati con IFN-α potrebbe indicare che una parte di questi genomi proviene da una qualche forma di replicazione che persiste durante la ART, piuttosto che da virus latenti. In questo caso, il meccanismo attraverso il quale l’IFN-α potrebbe ridurre il numero di genomi provirali trovati sarebbe più evidente. Tuttavia, anche se ci sono delle prove che una certa replicazione virale possa verificarsi in qualche paziente con viremia soppressa dalla ART, la maggior parte delle prove fa pensare che la replicazione residua non sia una fonte importante di persistenza virale in questi pazienti.
Per capire meglio questa scoperta, bisogna dunque riuscire a confermare che l’IFN-α riduce la quantità di HIV DNA nei CD4 di almeno alcuni pazienti.

  • 3) Perché la terapia con IFN-α riesce a sopprimere la replicazione dell’HIV solo in alcune persone?


Analogamente a quanto avviene nell’infezione da HCV, in cui la risposta al trattamento con IFN-α è associata al polimorfismo nel gene IL28B, Azzoni e colleghi hanno esaminato vari polimorfismi associati a un migliore o a un peggiore controllo di HCV e HIV. Non hanno trovato nessuna associazione fra genotipi e risposte all’IFN-α. Ma questo studio era troppo piccolo per poter stabilire relazioni del genere.
Una possibilità è però che certe caratteristiche ancora da capire dell’HIV determinino la risposta individuale all’IFN-α, come accade nel caso dell’HCV, in cui i pazienti con genotipo 1 rispondono meno bene alla terapia rispetto ai pazienti con genotipo 2 o 3.

CONCLUSIONI

Anche se i risultati di questo studio devono essere confermati da una coorte di pazienti più ampia, le loro implicazioni cliniche possono essere importanti, perché dopo lo studio SMART – che ha dimostrato che le interruzioni della ART possono aumentare considerevolmente il rischio di malattie opportunistiche o di morte – è divenuto difficile stabilire l’efficacia di terapie finalizzate a limitare il rebound virale, perché non si può rischiare di mettere in pericolo la salute dei partecipanti alle sperimentazioni. Invece, lo studio di Azzoni e Montaner ha dimostrato che è possibile sottoporre dei pazienti a interruzione terapeutica senza aumentare il reservoir di HIV DNA nel sangue periferico: la somministrazione di IFN-α prima e durante le sospensioni della ART potrebbe offrire un modo più sicuro di valutare il controllo virale in assenza di terapia antiretrovirale.
Approfondire lo studio di un trattamento con IFN-α in pazienti in ART migliorerà la nostra comprensione del modo in cui si può limitare la replicazione virale in assenza di terapia e fornirà uno strumento per studiare approcci alternativi a una cura dell’infezione.





ALTRE FONTI:



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Re: Interferone-A per cura funzionale e perfino sterilizzant

Messaggio da uffa2 » domenica 11 novembre 2012, 18:17

mmm... non ho capito: ma c'era un follow-up oppure le 12/24 settimane di cui si parla erano quelle di somministrazione dell'IFN?
nel primo caso potremmo dire che tutto 'sto sbattimento, al momento sembra dimostrare che è possibile stare 6 mesi senza HAART, ma nel secondo caso (riduzione in costanza di IFN) mi sembra significhi passare dalla HAART all'IFN, al netto delle speranze su un'efficacia eradicante molto al di là dal provare, cosa ci guadagnerebbe un paziente? forse l'IFN costa meno?


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Dora
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Re: Interferone-A per cura funzionale e perfino sterilizzant

Messaggio da Dora » domenica 11 novembre 2012, 18:33

uffa2 ha scritto:mmm... non ho capito: ma c'era un follow-up oppure le 12/24 settimane di cui si parla erano quelle di somministrazione dell'IFN?
Spero che da questo schema si capisca meglio come è stata impostata la sperimentazione:

Immagine

Da Pegylated Interferon-α2A mono-therapy results in suppression of HIV-1 replication and decreased cell-associated HIV DNA integration.
forse l'IFN costa meno?
Pegasys (Peg-IFN-α2A) da 180 μg € 321,41.



uffa2
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Re: Interferone-A per cura funzionale e perfino sterilizzant

Messaggio da uffa2 » domenica 11 novembre 2012, 19:54

diciamo che la proof of concept è interessante, però al momento c'è giusto questo, giusto?
non sono destruens, sono solo un po' assonnato oggi :(


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Re: Interferone-A per cura funzionale e perfino sterilizzant

Messaggio da Dora » domenica 11 novembre 2012, 21:42

uffa2 ha scritto:diciamo che la proof of concept è interessante, però al momento c'è giusto questo, giusto?
Sì, questo è anche quanto dicono gli autori dell'articolo nelle conclusioni:
  • Regardless of the mechanism, our data suggest that detection of residual HIV in plasma can be disassociated from changes in HIV integration levels within peripheral cells. Further studies in larger populations will be required to establish if ART interruption and residual viremia are necessary in order to produce the observed reduction in viral integration.
    It will be important for future studies to determine whether Peg-IFN-α2A treatment can stabilize the viral setpoint to these low levels, sustaining viral control over time.
    (...) Overall, our observations are consistent with IFN-α contributing to long-term control despite residual viral replication, as observed in “elite” suppressors (...). Notably, the latter also preserve functional circulating plasmacytoid dendritic cells (pDCs) better than chronic progressors, and have low levels of viral integration, supporting the hypothesis that type-1 IFN-mediated mechanisms contribute to HIV control in vivo.

    Finally, our study cohort represents a proof-of-concept study with limited sample size: it will be important to confirm our results in future, larger longitudinal studies.
    In conclusion, we report that treatment with 90 or 180 μg/week of Peg-IFN-α2a can support viral control and reduction of peripheral HIV integration levels in subjects interrupting ART. Our study provides a proof-of-concept that immunotherapy can be pursued in HIV-infected ART-dependent subjects to reach a status of viral control beyond ART and could complement current research approaches to current “functional cure” and eradication.



nordsud
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Re: Interferone-A per cura funzionale e perfino sterilizzant

Messaggio da nordsud » lunedì 12 novembre 2012, 8:58

Ma diamine.. da quanti anni esiste l'interferone? Si sono accorti dopo tutti questi anni che riduce i reservoirs perchè al tempo non esisteva una tecnica di conta delle cellule con hiv integrato latente ?
Comunque sicuramente molte persone HIV+ l'interferone A lo avranno preso per tanti motivi e nessuno di loro è mai guarito ?
Sbaglio a dire quanto sopra ?



Dora
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Re: Interferone-A per cura funzionale e perfino sterilizzant

Messaggio da Dora » lunedì 12 novembre 2012, 10:38

nordsud ha scritto:Ma diamine.. da quanti anni esiste l'interferone? Si sono accorti dopo tutti questi anni che riduce i reservoirs perchè al tempo non esisteva una tecnica di conta delle cellule con hiv integrato latente ?
Comunque sicuramente molte persone HIV+ l'interferone A lo avranno preso per tanti motivi e nessuno di loro è mai guarito ?
In genere, le persone con coinfezione HIV/HCV che fanno l'interferone, lo fanno continuando a prendere gli antiretrovirali. Se la loro viremia è azzerata dalla ART, non puoi capire l'effetto dell'interferone sull'HIV. Inoltre, credo che le analisi sull'HIV DNA nei CD4 quiescenti non vengano mai fatte di routine - non solo perché sono sofisticate e costose, ma perché dal punto di vista clinico a che ti servono?
Chi, come Melisanda (l'ha scritto pubblicamente proprio parlando della sperimentazione di Azzoni e colleghi portata al CROI, quindi non penso di svelare un segreto), ha fatto l'interferone senza essere in ART, ha raccontato di avere riscontrato una diminuzione dell'HIV RNA addirittura sotto le 50 copie/ml. Però siamo a livello aneddotico, quindi non è che di questa informazione possiamo farci granché.

Aggiungo una cosa, però vado a memoria e non l'ho controllata, quindi posso ricordare male: mi sembra che già parecchi anni fa si fosse notato che in certe persone elite controller (o anche LTNP?) ci fosse un'alta produzione naturale di IFN-α. Questo potrebbe aver contribuito al loro buon controllo della replicazione virale, no?
(Fra l'altro l'interazione fra IFN-α prodotto dalle cellule dendritiche plasmacitoidi e fattori di restrizione dell'ospite tipo APOBEC3G, TRIM5α e teterina sono proprio cose che sta studiando la Collins e credo sia per questo che ha scritto lei l'editoriale di cui ho parlato nel primo messaggio.)



cesar78
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Re: Interferone-A per cura funzionale e perfino sterilizzant

Messaggio da cesar78 » giovedì 15 novembre 2012, 9:24

esistevano già negli anni '90 alcuni articoli sull'interferone (sia alfa che beta), sebbene qualcuno sia discutibile sulla metodica (mancanza di conoscenze dell'epoca? denaro?)..ne ho trovati alcuni, dove in linea generale concordano con quel che diceva Dora nei suoi link: l'interferone effettivamente qualcosa fa...

1990 http://www.newscientist.com/article/mg1 ... ptoms.html
1994 http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC237202/
1998 http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC1758122/

in rete ce ne sono altri. non ho trovato quello sui LTNP...ma c'è sicuro, ora ho poco tempo...



Dora
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Re: Interferone-A per cura funzionale e perfino sterilizzant

Messaggio da Dora » mercoledì 17 aprile 2013, 8:52

Ancora poco più di un mese fa – al CROI – si sono tenute delle presentazioni orali sull’interferone, in cui si ipotizzava che possa essere usato per ridurre i reservoir all’interno di una strategia di cura e si sottolineava come gli interferoni di tipo 1 siano fondamentali nel controllare il danno immunitario nelle prime fasi dell’infezione.
Ma le cose – sotto questo cielo – non sono mai semplici e univoche come ci piacerebbe e arriva da Science un contrordine grande come un macigno, sotto forma di ben due diversi articoli:

1. Dei ricercatori della UCLA hanno fatto una scoperta che loro stessi definiscono “del tutto illogica” e che pensano possa portare a una nuova terapia dell’infezione da HIV. Elizabeth Wilson, David Brooks e colleghi hanno infatti dimostrato che se si blocca temporaneamente questa proteina, che è critica per la risposta immune perché permette alle cellule immunitarie di comunicare fra loro e di costruire una risposta contro un’infezione, si aiuta l’organismo a liberarsi da solo dell’infezione cronica. L’illogicità della scoperta consiste nel fatto che si è sempre pensato che l’IFN-1, stimolando l’attività antivirale e aiutando a controllare un’infezione acuta, abbia un effetto benefico. Quindi si pensava che, bloccando la sua attività, l’infezione sarebbe potuta dilagare.
D’altra parte, però, il prolungarsi del segnale dell’interferone nelle infezioni croniche è connesso a molti problemi immunitari. Quindi l’idea dei ricercatori della UCLA è stata quella di bloccare il meccanismo di segnalazione e di vedere se il sistema immunitario riusciva a riprendersi e a combattere da solo l’infezione. Hanno testato questa ipotesi su dei topi con un’infezione cronica da LCMV (il virus della coriomeningite linfocitaria, che colpisce i roditori) e non soltanto i topi sono riusciti a combattere da soli il virus, ma si sono pure risolti molti dei problemi immunitari connessi con qualsiasi infezione cronica, dall’aumento di proteine che sopprimono le risposte immuni alla continua immunoattivazione, alla distruzione del tessuto linfoide.
L’ipotesi dei ricercatori è che bloccare l’attività dell’IFN-1 sia come schiacciare il tasto “refresh”, dando al sistema immunitario il tempo per riprogrammarsi e controllare l’infezione.


2. Degli scienziati dello Scripps Research Institute hanno fatto, pure loro, una scoperta del tutto contro intuitiva: se fin dalla sua scoperta più di mezzo secolo fa si sapeva che l’IFN-1 è un potente antivirale, che guida la risposta del sistema immunitario contro un patogeno, questa ricerca ha invece dimostrato – nei topi – che l’IFN-1 dà inizio all’infezione persistente e limita il formarsi di una risposta immune efficace.
Buona parte di questo gioco è condotta dalle cellule dendritiche: queste hanno il compito di individuare un’infezione virale e, in genere, all’infezione rispondono producendo interferone-1. Ma non si fermano qui, perché producono anche sia le citochine e le chemochine che servono a stabilire una forte risposta immune, sia altre proteine – come l’IL-10 e la PD-1 – che hanno la funzione di sopprimere la reazione immune, in modo da bilanciarla ed evitare che si scateni contro l’organismo stesso.
Quando un virus instaura un’infezione cronica, è in grado di utilizzare a suo favore questo effetto di immuno-soppressione: anche nell’infezione cronica da HIV un aumento dei livelli di IL-10 e di PD-1 è seguito da una diminuzione nel numero e da un indebolimento della funzione antivirale dei linfociti T.

Michael Oldstone, John Teijaro e colleghi hanno dunque studiato i primi eventi del cronicizzarsi dell’infezione da LCMV nei topi e hanno visto che a un giorno dall’infezione i livelli di IFN-1 erano di molte volte più alti che nell’infezione cronica. Quando poi l’infezione si cronicizzava, il virus era molto più bravo a infettare le cellule dendritiche plasmacitoidi – proprio la principale fonte di IFN-1.
Quando invece l’infezione non riusciva a cronicizzarsi, si aveva una produzione di IFN-1 nella fase iniziale molto minore e i CD8 aggredivano il virus e riuscivano a debellarlo in una decina di giorni.


Immagine


Se siamo abituati a pensare che più IFN-1 c’è, meglio è perché meglio si combatte l’infezione, beh … questa ricerca ci dice che – bloccando la produzione di interferone mediante un anticorpo monoclonale – si ha un crollo della produzione di IL-10 e di PD-L1, si evita una tempesta di citochine (cioè una produzione incontrollata di citochine, con connessa immuno-attivazione) e si preserva la struttura del tessuto linfoide. E sul lungo periodo questo è un gran bene, perché si evita l’esaurimento dei linfociti T, si ha una ripresa della risposta immune antivirale e si eradica l’infezione.

Non proprio un risultato disprezzabile, anche se in contrasto con la visione del meraviglioso mondo degli interferoni che avevamo fino ad ora.


Questi due articoli insieme si sono meritati un commento di Pamela Odorizzi e John Wherry – due immunologi della University of Pennsylvania – non a caso intitolato “Un paradosso dell’interferone”. Vi si sostiene che la paradossale scoperta che gli interferoni 1 (α e β), ritenuti potenti antivirali, sono anche in grado di sopprimere il sistema immunitario in modo da favorire la cronicizzazione delle infezioni e la persistenza dei virus deve spingere i ricercatori a definire in modo diverso le basi del ruolo fondamentale dell’interferone nelle infezioni croniche.

Immagine

Odorizzi e Wherry si pongono due domande ineludibili:

  • 1. Perché gli interferoni possono generare effetti antivirali diretti nello stesso momento in cui rinforzano le risposte immuno-regolatorie che impediscono delle forti risposte dell’immunità adattiva alle infezioni?

Una possibile risposta è che le funzioni di regolamento dell’immunità dell’IFN-α/β si siano evolute per limitare la patologia immuno-mediata durante quelle infezioni in cui si crea persistenza virale. In questi casi, il meccanismo dell’IFN-α/β può identificare il livello di replicazione virale attiva e rinforzare la soppressione immunitaria per evitare un danno immunologico come una tempesta di citochine, una meningite o la distruzione immuno-mediata dei tessuti.
Bisogna quindi riuscire a determinare in che modo questo equilibrio è influenzato dalla virulenza del patogeno e dalla forza della risposta immune. E bisogna capire se davvero la capacità degli IFN-α/β di controllare efficacemente la replicazione virale agli inizi dell’infezione e la capacità di svariati virus di evadere questa risposta possono imporre la rilevanza di questi effetti immuno-regolatori.

  • 2. In che modo queste scoperte possono migliorare le strategie di cura basate sugli interferoni?

Secondo Odorizzi e Wherry, è necessario identificare le basi molecolari degli effetti antivirali come contrapposti agli effetti immuno-modulanti degli IFN-α/β per manipolare in modo selettivo queste attività contrapposte. Inoltre, bisogna determinare in che modo l’equilibrio fra effetti antivirali e effetti immuno-regolatori varia da virus a virus o, nel tempo, durante una specifica infezione virale.
Lo studio della UCLA e quello dello Scripps suggeriscono che i pazienti attualmente in terapia con IFN siano monitorati per valutare l’induzione di effetti antivirali e di opposti effetti immuno-regolanti, in modo da permettere ai medici di modificare all’occorrenza le strategie terapeutiche. Questo dovrebbe anche consentire di migliorare il potenziale terapeutico antivirale degli IFN e di indagare le loro proprietà immuno-regolatorie in caso di patologie non virali.





FONTI



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Re: Interferone-A per cura funzionale e perfino sterilizzant

Messaggio da uffa2 » mercoledì 17 aprile 2013, 9:34

La prima risposta sarebbe "ma accidenti, cose semplici, mai?".
Poi però m'è venuto in mente che l'ipotesi patogenetica della Sclerosi Multipla è quella di una patologia autoimmune in cui le cellule T liberano citochine infiammatorie... e gli interferoni sono usati proprio come immunomodulanti (ossia soppressori a bassa intensità).
Ancora: "ma accidenti, cose semplici, mai?"


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