Si occupa di capire i meccanismi dell’immunopatogenesi dell’infezione da HIV, principalmente secondo due filoni di ricerca:
- (1) il ruolo delle cellule dendritiche plasmacitoidi (pDC) e dell’interferone alfa (IFN-alfa) nella promozione della soppressione immunitaria nei pazienti con HIV;
(2) i meccanismi che permettono lo stabilirsi, il mantenersi e l’attivarsi della latenza dell’HIV nei CD4.
Durante la fase di quiescenza, infatti, le cellule latentemente infette non esprimono i marker di attivazione delle cellule che contengono virus attivamente replicante; sarebbe dunque molto utile trovare altri marker che le differenzino dalle cellule non infette, permettendo di riconoscerle e di cercare di distruggere queste mine vaganti, con il loro esplosivo carico di provirus pronto a svegliarsi e a trascriversi.
Ora, Romerio ha portato un lavoro a AIDS 2012, in cui presenta una analisi completa del trascrittoma, cioè di tutti i trascritti (i geni attivamente espressi in ogni dato momento e quindi variabili in funzione delle condizioni ambientali), dei CD4 latentemente infetti.
I MIEI APPUNTI DELLA PRESENTAZIONE A WASHINGTON, INTEGRATI CON L’ABSTRACT E QUALCHE DIAPOSITIVA (MI SPIACE, SONO ORRENDE, MA NON SONO RIUSCITA AD AVERNE DI MIGLIORI):
I punti fermi:
- • I CD4 quiescenti costituiscono il maggiore reservoir di provirus latente e Chomont nel 2009 ha dimostrato che il contributo principale alla formazione di questo reservoir viene dai CD4 memoria centrale e memoria transitoria.
• Questo reservoir si forma molto presto, fin dagli inizi dell’infezione, e viene reintegrato continuamente.
• I linfociti T producono dell’RNA virale, ma probabilmente non producono né proteine virali, né virioni.
• Queste cellule latentemente infette non si riescono a trattare con gli antiretrovirali e risultano invisibili al sistema immunitario, costituendo così l’ostacolo principale alla cura dell’infezione.
• Studiare queste cellule è reso ancora più difficile dal fatto che sono rarissime nel sangue periferico e, soprattutto, al momento non c’è modo di distinguere le cellule latentemente infette da quelle non infette.
È per questa ragione che molti laboratori hanno costruito dei modelli in vitro per generare CD4 latentemente infetti.
La grande limitazione di questi modelli consiste nel fatto che sono parziali, perché fin dall’inizio è necessario stabilire che tipo di cellule utilizzare, come attivare le cellule, se attivarle oppure no … Questo fa sì che lavorare con i modelli in vitro imponga di scegliere fra opportunità tecniche e rilevanza fisiologica del sistema. Inoltre, per riprodurre correttamente quanto accade in vivo, bisogna che con i modelli si arrivi davvero a uno stato di latenza virale e di quiescenza dei CD4.
L’ultimo avvertimento di Romerio è che – quando poi si passa a sperimentazioni ex vivo e in vivo – le cose possono andare diversamente da come i modelli avevano previsto.
Il modello:
- • Nel suo laboratorio, Romerio e colleghi hanno sviluppato un modello di latenza a partire dall’isolamento di CD4 naive e monociti da un donatore HIV negativo, dalla differenziazione dei monociti in cellule dendritiche e dall’uso delle cellule dendritiche più un antigene per attivare le cellule naive.
• Dopo l’attivazione, le cellule sono state infettate e si è lasciato che l’infezione si sviluppasse per qualche giorno.
• Dopo di ché sono state estratte da questa popolazione le cellule memoria e sono state riportate in stato di quiescenza in presenza di interleuchina-7 per alcune settimane, in modo da far entrare il virus in latenza (le cellule erano infatti prive dei marker di attivazione – HLA-DR, CD25, Ki67 - non sintetizzavano DNA, quindi non sostenevano la replicazione del virus, e avevano un fenotipo da CD4 memoria centrale).
I risultati:
- • Durante la fase di quiescenza non c’è stata produzione di virioni, mentre era possibile trovare la proteina p24 all’interno delle cellule; è stato tuttavia possibile dimostrare che ciò non indicava né nuova sintesi della proteina, né nuova infezione, ma solo una lenta e progressiva degradazione della p24 preesistente.
• Dopo aver lasciato le cellule in coltura in stato quiescente per alcune settimane, Romerio ha separato le cellule p24 positive e quelle p24 negative, ha isolato l’RNA virale e ha potuto analizzare l’intero trascrittoma.
• Quello che ha scoperto è che le cellule latentemente infette sono molto diverse da quelle non infette, perché sotto-regolano un certo numero di geni coinvolti nella attivazione e nella proliferazione della cellula, mentre sovra-regolano dei geni coinvolti nella sopravvivenza della cellula.
• Ma la differenza più interessante è che le cellule latentemente infette sotto-regolano anche dei geni che determinano il metabolismo cellulare fondamentale, come se tentassero di raggiungere lo stato di quiescenza più rapidamente rispetto alle cellule non infette.
Questo, dice Romerio, fa sorgere una domanda non di poco conto: se davvero le cellule latentemente infette hanno un metabolismo più lento rispetto ai CD4 non infetti, la riattivazione del reservoir latente è effettivamente possibile?
Pertanto, lo stabilirsi dello stato di latenza dell’HIV non significa semplicemente la soppressione della proliferazione del virus e il ritorno della cellula infetta allo stato di quiescenza. Si è visto, piuttosto, che l’HIV è capace di sfruttare e promuovere la soppressione di tutte le funzioni della cellula che lo ospita. Questo avrà per forza delle implicazioni terapeutiche, quando si tenterà di eradicarlo.
- • Un altro risultato importante di questa analisi del trascrittoma è stata l’individuazione di 33 marker di superficie espressi in modo diverso nelle cellule infette e in quelle non infette: 20 di questi recettori erano sovra-regolati, 13 erano sotto-regolati.
Per uno di questi recettori – il CD2 – Romerio e il suo gruppo sono riusciti a ottenere una validazione della diversa espressione in vitro nelle cellule infette rispetto a quelle non infette. Inoltre, sono riusciti a validare questo risultato anche a livello di proteine: le cellule latentemente infette esprimono livelli di CD2 più alti.
• Il passo successivo è stato quello di riuscire a confermare questo risultato in campioni clinici in vivo.
Questo è stato fatto in collaborazione con Nicolas Chomont, che ha preso dei CD4 da 6 pazienti con HIV RNA irrilevabile nel sangue grazie alla ART e ha separato i CD4 memoria quiescenti. Da questi ultimi, ha separato quelli che presentavano livelli più bassi e più alti di espressione del CD2 e ha misurato il contenuto di HIV DNA sia in queste due popolazioni di CD4 memoria, sia nei CD4 naive.
In tutti e 6 i pazienti, i CD4 che presentavano livelli più alti di espressione del CD2 presentavano anche livelli di DNA virale più alti (da 3 a 8 volte).
Chomont ha poi anche riattivato l’HIV da queste due popolazioni di CD4 memoria e in 5 pazienti su 6 ha trovato una riattivazione molto maggiore del virus dai CD4 che esprimevano più alti livelli di CD2.
Questo sembra permettere di affermare che i CD4 latentemente infetti esprimono in vivo livelli di CD2 più alti rispetto alle cellule non infette.
In conclusione, Romerio:
- • Ha costruito un modello in vitro di quiescenza delle cellule e di latenza virale.
• È riuscito a dimostrare che i geni delle cellule latentemente infette presentano espressioni notevolmente diverse rispetto a quelli delle cellule non infette.
• In particolare, ha trovato che molte funzioni cellulari, comprese alcune funzioni di base del metabolismo delle cellule, sono sotto-modulate. E questo potrebbe avere importanti implicazioni per l’eradicazione del virus.
• Ha trovato che 33 diversi marker si esprimono in modo differente nelle cellule latentemente infette e in quelle non infette.
• Ha convalidato uno di questi marker anche su campioni clinici.
• Questo significa che il CD2 potrebbe essere considerato un marker per riconoscere in vivo le cellule latentemente infette.
FONTI:
Abstract: Complete transcriptome analysis of latently infected CD4+ T cells
Webcast: http://pag.aids2012.org/flash.aspx?pid=1280