K.Collins_Staminali come reservoir, APOBEC3G e altro ancora

Ricerca scientifica finalizzata all'eradicazione o al controllo dell'infezione.
Dora
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K.Collins_Staminali come reservoir, APOBEC3G e altro ancora

Messaggio da Dora » sabato 3 settembre 2011, 10:25

Questo thread è la continuazione di K.Collins: Staminali/precursori del sangue come reservoir.

Riprendo il discorso, perché Kathleen Collins non si limita a indagare la presenza dell'HIV nelle staminali ematopoietiche ma, insieme al suo gruppo della University of Michigan, Ann Arbor, ha appena pubblicato su Nature Immunology un articolo sull'APOBEC3G, un enzima attualmente molto studiato per la sua capacità di agire contro i retrovirus (e segnatamente l'HIV): The antiviral factor APOBEC3G enhances the recognition of HIV-infected primary T cells by natural killer cells.


Premessa difficile: l’APOBEC3G (A3G) è un enzima prodotto dall’uomo e codificato da un gene che ha lo stesso nome. Appartiene alla grande famiglia di proteine che si chiama APOBEC ed ha una capacità antivirale che inibisce la replicazione dell’HIV mediante un processo che di chiama deaminazione (cioè fuoriuscita di un gruppo amminico da una molecola, con conseguente produzione di una molecola di ammoniaca) della citosina (una delle tre basi azotate pirimidiniche alla base degli acidi nucleici DNA e RNA).
Questo processo ossidativo spontaneo della citosina porta alla formazione di uracile, che è un’altra delle basi azotate pirimidiniche che formano l’acido nucleico RNA. Se si lega a una molecola di ribosio (che è uno zucchero contenuto in ogni cellula e che è alla base dell’acido ribonucleico – RNA – e dell’adenosintrifosfato – ATP), l’uracile forma l’uridina che, insieme a adenosina, guanosina e citidina, è la base dell’RNA.
Quando l’A3G causa la deaminazione della citosina, questo induce numerose mutazioni nella struttura del DNA del virus, interferendo con la sua replicazione (sia con la trascrizione inversa, sia con l’integrazione) e inattivandolo.
L’HIV reagisce all’A3G producendo una proteina che si chiama Vif (Fattore di infettività virale) che, interagendo con l’A3G, lo degrada. Il Vif promuove l’infettività, ma non la produzione di particelle virali; in sua assenza, le particelle virali che vengono prodotte sono difettive, mentre la trasmissione del virus da una cellula all’altra non ne viene toccata (cfr. Replicazione virale durante HAART per contagio fra cellule - cito questo thread non a caso, perché vi si racconta dell'ultimo lavoro di David Baltimore, nel cui laboratorio all'MIT la Collins ha lavorato a fine anni '90 e le cui ricerche sono più volte ricordate nella bibliografia dell'articolo su Nature Immunology).

In sostanza, l’A3G è una difesa che il nostro organismo mette in atto in caso di infezione retrovirale; ma l’HIV-1 ha imparato a superare questa difesa, producendo il Vif. Se si trovasse il modo di colpire il Fattore di infettività virale, si potrebbe disporre di una nuova strategia terapeutica.

Tutto questo si sapeva prima della Collins. Quello che lei fa in quest’ultimo lavoro (ancora più difficile di quelli sulle staminali) è di studiare la Vpr (Viral protein R), un amminoacido incorporato nel virione dell’HIV che interagisce con la glicosilasi dell’uracile, e di dimostrare che essa, insieme al Vif, contrasta l’A3G, diminuendo l’incorporazione dell’uridina. Tuttavia, questo processo comporta una attivazione del meccanismo di risposta al danno del DNA e una attivazione delle cellule NK (natural killer).

La fase acuta dell’infezione da HIV è caratterizzata da un’alta viremia, che viene contrastata da una rapida risposta immunitaria, che comporta la secrezione di citochine, che a loro volta aumentano la produzione di fattori della risposta immunitaria innata – quali appunto l’A3G – per limitare la replicazione e la diffusione del virus. A quel punto interviene il Fattore di infettività virale, che porta alla degradazione dell’A3G.
I linfociti T CD8 citotossici (CTL) prodotti specificamente contro l’HIV diminuiscono la viremia sia durante la fase acuta, sia durante la fase cronica dell’infezione, ma in genere non sono in grado di evitare il progredire della malattia.
Invece l’attivazione delle cellule NK è in grado di influenzare la progressione dell’infezione.

Il lavoro della Collins è consistito proprio nell’esaminare il ruolo dell’A3G, del Vif e della Vpr nel riconoscimento delle cellule infette da HIV da parte delle cellule natural killer. E nell’identificare il meccanismo attraverso il quale l’A3G riesce ad allertare le cellule NK, comunicando loro che è presente un virus e che si stanno creando danni al DNA, nonché nel mostrare come l’HIV riesca ad eludere questa risposta.

Studi precedenti avevano misurato l’effetto dell’A3G sull’inattivazione delle particelle virali e avevano dimostrato che l’incorporazione dell’A3G nelle cellule producer e nei virioni di nuova formazione è necessaria per inattivare il virus, mentre non è necessaria la presenza dell’A3G nelle cellule target.
Invece, la Collins fornisce delle prove a sostegno dell’ipotesi che anche l’A3G espresso nelle cellule target ha un ruolo nella risposta immunitaria innata: benché possa non essere sufficiente a impedire al virus di infettare produttivamente la cellula, i dati raccolti dalla Collins indicano che l’espressione dell’A3G nelle cellule target è necessaria per consentire alle cellule NK di distruggere mediante lisi le cellule infette. Questo a sua volta, attraverso un meccanismo che non è ancora chiaro, stimola l’espressione dell’A3G, innescando un circolo virtuoso.

Conclusione: “I nostri risultati indicano la possibilità che il rilevamento dell’HIV da parte del sistema immunitario innato porti alla produzione di A3G nelle cellule infette. In sostanza, i dati presentati qui dimostrano che l’espressione dell’A3G aumenta la capacità delle cellule NK di riconoscere le cellule infette (…). Ne segue che delle strategie terapeutiche volte ad aumentare l’attività antivirale dell’A3G potrebbero comportare il beneficio aggiuntivo di stimolare la distruzione delle cellule infettate dal virus da parte del sistema immunitario, cioè delle cellule NK”.



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Re: K.Collins_Staminali come reservoir, APOBEC3G e altro anc

Messaggio da Dora » mercoledì 14 dicembre 2011, 14:55

Due aggiornamenti sulle ricerche della Collins che, anche se non ha parlato direttamente a St Martin, ha mandato delle collaboratrici.
Mentre il primo abstract prosegue la ricerca della Collins su quale tipo di virus preferenzialmente sia responsabile dell'infezione delle staminali e quali tipi di staminali/progenitrici vengano infettate, per quel che riesco a capire, mi sembra che il secondo abstract renda meno astratte e lontane da applicazioni pratiche queste ricerche, perché fornisce l'aggancio fra studio del virus latente nelle staminali e possibilità di riattivare quel reservoir, colpendo il pathway dell'NF-κB.



Abstract 19

Hematopoietic Progenitor Cells(HPCs) are Preferentially Infected by CXCR4- and Dual-tropic HIV,and HIV from Latently Infected HPCs can be Transferred to CD4+ T cells in vitro

A Onafuwa-Nuga1, SR King2, FO Taschuk1, J Riddell IV1,D Bixby3, MR. Savona3* and KL Collins1,2

1Division of Infectious Diseases, Department of Internal Medicine; 2 Department of Microbiology and Immunology; 3 Division of Hematology and Oncology, Department of Internal Medicine, University of Michigan, Ann Arbor, MI 48109 USA


Background: HIV establishes a persistent infection, and in the absence of antiretroviral therapy is characterized by the gradual collapse of the immune system as well as hematopoietic dysfunction. As disease progresses, dual- and CXCR4-tropic HIV isolates emerge in many patients. The emergence of CXCR4-tropic HIV in infected individuals is thought to correlate with disease progression and poor clinical prognosis, and is often characterized by reduced CD4+ T cell counts and more opportunistic infections. Our previous studies have shown that multipotent HPCs are infected by HIV, and HIV can persist in the bone marrow of infected persons for more than 2 years, thus the bone marrow may be a potential long-term reservoir. These current studies explore whether infection by dual- and CXCR4-tropic HIV contribute to pathogenesis and latency in HPCs.

Methods: We used pseudotyping and receptor blocking experiments to examine co-receptor use during HIV infection of HPCs. Then, we examined by methylcellulose colony forming assays whether there was a preference for CXCR4-mediated entry HIV in the infection of primitive versus more lineage-committed HPCs. In vitro co-culture experiments were used to determine whether latent HIV infection in HPCs could be reactivated and transferred to CD4+ T cells. Finally, we assessed the envelope tropism genotypes of latent HIV from the bone marrow and blood from donors with <50 copies/ml for >6 months. To achieve this, envelope V3 loop sequences were PCR amplified from the genomic DNA isolated from the HPCs and PBMCs, and the cDNAs derived from circulating plasma virus.
Amplicons were cloned and sequenced and V3 phenotypes were predicted based on genotypes, using the Geno2Pheno co-receptor prediction algorithm.

Results: HIV predominantly uses CXCR4, and rarely uses CCR5, to infect multi-potent HPCs. Furthermore, cells with colony forming ability (an indicator of multi-potency) were primarily infectable with CXCR4-utilizing lentiviral constructs. In contrast, CCR5 co-receptor mediated infection usually occurred in more mature progenitors, which were unable to form colonies on methylcellulose soft agar. In vitro, latently infected HPCs were reactivated using GM-CSF and TNF-alpha, and HIV was efficiently transferred to activated CD4+ T cells as measured by product-enhanced RT assay (PERT). Preliminary studies to examine and compare the tropism of HIVs present in bone marrow and peripheral blood of infected persons with undetectable viral loads revealed that of 29 unique clones from bone marrow HPCs, 28 (96.5%) were CXCR4/dualtropic according to Geno2Pheno. In contrast, only 50% of clones from the plasma (14 out of 28) and 17% of clones from PBMCs (59 out of 347) were CXCR4/dual-tropic.

Conclusions: These data highlight the unique role of the CXCR4 co-receptor with respect to infection of multipotent HPCs, and may provide an explanation for the poor prognosis associated with the emergence of dual- and CXCR4-tropic HIV isolates.


******************************************************


Abstract 06

Latent HIV Infection Occurs in Multiple Hematopoietic Progenitor Cell Subsets and is Reversed by NF-κB Activation

LA McNamara1,2, JA Ganesh3, and KL Collins1,3

1 Department of Microbiology and Immunology; 2 Department of Epidemiology; 3 Department of Internal Medicine, University of Michigan, Ann Arbor, MI 48109 USA


Background: We have recently shown that both active and latent HIV infection can occur in CD34+ hematopoietic progenitor cells (HPCs) in the bone marrow. Furthermore, we have shown that inducing differentiation with the cytokines GM-CSF and TNF-alfa can reactivate latent infection in these cells. However, CD34+ cells are a diverse group of cells and it is not yet known which types of CD34+ cells support latent HIV infection, nor are the mechanisms controlling latent infection in these cells understood. In this study, we assess which CD34+ cell subsets can support latent HIV infection and evaluate the role of NF-κB in the establishment of latency in these cells.

Methods: To study latent HIV infection in CD34+ cells, an in vitro, primary cell model for the establishment of latent HIV infection in HPCs was developed. GM-CSF and/or TNF-alfa were administered to induce reactivation of latent virus and transcription factor ELISA was used to assess transcription factor activation following cytokine administration. An NF-κB inhibitor was used to assess the role of the classical NF-κB pathway in reactivation of latent virus. Finally, flow cytometric analysis of markers defining distinct groups of CD34+ HPCs was used to assess which cell types harbored latent HIV.

Results: In our model of latently infected CD34+ cells, we found that GM-CSF and TNF-alfa induce a dramatic upregulation of activated NF-κB family transcription factors.
Furthermore, we found that GM-CSF is dispensable for the reactivation of latent virus in CD34+ HPCs and that TNF-alfa alone induces rapid reactivation. Using an inhibitor of the classical NF-κB pathway, (5-Phenyl-2-ureido)thiophene-3-carboxamide, we demonstrated that reactivation of latent virus can be blocked by inhibition of NF-κB signaling.
Finally, flow cytometric analysis of reactivation in different CD34+ cell subsets revealed that latent infection occurs in all cell subsets examined, including cells with surface markers consistent with multipotent hematopoietic stem/progenitor cells.

Conclusion: Our model suggests that latent HIV infection occurs in multiple hematopoietic progenitor cell types, including long-lived, multipotent hematopoietic stem/progenitor cells. Furthermore, latent virus in these cells can be reactivated through NF-κB activation while blockade of this pathway prevents reactivation.
Our findings thus suggest that targeting the NF-κB pathway in the bone marrow hematopoietic progenitor cells of HIV-positive individuals could lead to reactivation of latent virus, aiding in efforts to eliminate the latent reservoir of HIV.



Dora
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Re: K.Collins_Staminali come reservoir, APOBEC3G e altro anc

Messaggio da Dora » mercoledì 14 dicembre 2011, 17:26

Per dovere di completezza - e perché Sarah Palmer non è una bostoniana qualsiasi - riporto l'abstract di un suo intervento a St Martin, poiché qui viene fortemente messa in discussione la presenza di virus nelle staminali/progenitrici. Il lavoro della Palmer è molto più ampio, in quanto è dedicato alla caratterizzazione dei reservoir in giro per il corpo; ma la questione delle staminali mi pare degna di menzione in questo thread.


Abstract 12

Characterizing Latent HIV Reservoirs

L Josefsson1, 2, S Eriksson1,2, E Sinclair3, T Ho3, M Killian3, L Epling3, W Shao4, B Lewis3, P Hunt3, M Somsouk3, P Bacchetti5, L Loeb3, J Custer3, L Poole3, FM Hecht3 and S Palmer1,2

1 Department of Diagnostics and Vaccinology, Swedish Institute for Infectious Disease Control, Nobels väg 18, 171 82, Solna, Sweden; 2 Department of Microbiology, Tumor and Cell Biology, Karolinska Institutet, Nobels väg 16, 171 82, Solna, Sweden; 3 Department of Medicine, University of California San
Francisco, San Francisco, CA, USA; 4 Advanced Biomedical Computing Center, SAIC Frederick, Inc, NCI-Frederick, MD, USA; 5 Department of Epidemiology and Biostatistics, University of California San Francisco, San Francisco, CA, USA.


Background: The source of persistent viremia is currently unknown: it could arise from ongoing cycles of replication in a sanctuary site (an anatomical compartment into which drugs penetrate poorly), long-lived productively infected cells, and/or activation and viral expression from latently infected cells. During this presentation, the characteristics of persistent HIV in a broad spectrum of HIV-infected cells from different compartments will be described.

Methods: Using single-genome and single-proviral sequencing techniques, we obtained 20-50 single viral genomes from pretherapy plasma samples prior to the initiation of suppressive therapy from two groups of patients: 5 patients who initiated therapy during acute infection when the virus typically is homogeneous; and 3 patients who initiated therapy during chronic infection when the virus is more genetically diverse. The genetic variation and average pair-wise difference of pretherapy sequences were compared t o single proviral HIV-1 genomes derived from a broad spectrum of HIV-infected cells (including naive and memory CD4+ T-cells, myeloid cells, and hematopoietic progenitor cells (HPCs)) from peripheral blood, GALT, and BMT samples of the 8 patients collected after 4-10 years of suppressive therapy.

Results: We found the Lin-/ CD34+ HPCs sorted from the bone marrow of the eight patients did not contain any HIV-1 DNA. This equated to less than one HIV-infected cell in 1.0 – 8.7 x 105 HPCs. In addition, we did not find any HIV-1 DNA in monocytes sorted from peripheral blood.
Both naïve and total memory CD4+ T-cells contain HIV DNA after long-term therapy. The infection frequencies of central and effector memory CD4+ T-cells from the peripheral blood and GALT were similar for both patient groups. In all 8 patients, regardless whether therapy was initiated during acute or chronic infection, phylogenetic analyses and measurements of intra-patient diversity revealed no change in viral diversity or population structure between pretherapy plasma-derived RNA sequences and intracellular DNA sequences from T cells located in the peripheral blood and GALT despite 3-12 years of suppressive therapy. Numerous intracellular HIV sequences identified after long-term therapy contained replication-incompetent virus. One patient, who initiated therapy during chronic infection, had a predominant intracellular clone in both memory and effector memory T cells containing a 380bp deletion after >9 years of therapy.

Discussion: The absence of infected HPCs provides strong evidence that the HIV-1 infection frequency of Lin-/CD34+ HPCs from bone marrow, if it occurred, was <0.003% (highest upper 95% CI) in all eight patients. These results strongly suggest that Lin-/CD34+ HPCs in bone marrow are not a source of persistent HIV-1 in patients on long-term suppressive therapy. The striking lack of HIV genetic evolution in the HIV populations after years of therapy strongly indicates little or no viral replication in the majority of cells from peripheral blood and GALT during suppressive therapy. The finding of multiple T cells with identical replication incompetent virus after long-term therapy is strong evidence that this persistent virus was due to expansion of cells with integrated pro-viral DNA rather than active viral replication.



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Re: K.Collins_Staminali come reservoir, APOBEC3G e altro anc

Messaggio da Dora » giovedì 22 dicembre 2011, 10:33

Dora ha scritto:Per dovere di completezza - e perché Sarah Palmer non è una bostoniana qualsiasi - riporto l'abstract di un suo intervento a St Martin, poiché qui viene fortemente messa in discussione la presenza di virus nelle staminali/progenitrici. Il lavoro della Palmer è molto più ampio, in quanto è dedicato alla caratterizzazione dei reservoir in giro per il corpo; ma la questione delle staminali mi pare degna di menzione in questo thread.
La discussione sul virus nelle staminali continua ad essere apertissima.
Questa ricerca della Palmer viene trattata con grande considerazione e rispetto da David Margolis, nel suo report su St Martin.
Ora, che Margolis abbia delle perplessità enormi sul lavoro di Kathleen Collins lo si era già capito dalle domande assai insidiose che le aveva rivolto al CROI, nel febbraio scorso (cfr. http://app2.capitalreach.com/esp1204/se ... odiumVideo). Ma la parte della lezione della Palmer dedicata alle CD34 deve averlo proprio ispirato. Questo è quanto scrive:
  • Sarah Palmer (Karolinska; abstr 12) ha raccontato di tecniche di sequenziamento di un singolo genoma e di un singolo provirus, usate per ottenere 20-50 singoli genomi virali da campioni di sangue raccolti prima che due gruppi di pazienti iniziassero una terapia soppressiva: 5 pazienti che hanno iniziato la terapia durante l’infezione acuta, quando il virus in genere è omogeneo; e 3 pazienti che hanno iniziato la terapia durante l’infezione cronica, quando il virus è più differenziato da un punto di vista genetico. La variazione genetica e la differenziazione media a coppie delle sequenze pre-terapia sono state confrontate con singoli genomi di provirus HIV-1 provenienti da un ampio spettro di cellule infette (fra cui CD4 naive e memoria, cellule mieloidi e cellule progenitrici ematopoietiche – HPC), tratte dal sangue periferico, dal GALT e dal midollo di 8 pazienti, raccolti dopo 4-10 anni di terapia soppressiva.
    Questa ricerca costituisce la risposta alla recente pretesa del laboratorio della Collins, secondo cui le cellule progenitrici del midollo osseo umano sono latentemente infettate dall’HIV.
    A smentita, la Palmer ha trovato che le HPC Lin-/ CD34+ estratte dal midollo degli 8 pazienti non contenevano alcun HIV-1 DNA e nessun HIV ha potuto essere trovato nei test di coltura di queste cellule. Ciò equivale a meno di 1 cellula infetta su 800.000. Inoltre, non è stato trovato HIV-1 DNA nei monociti estratti dal sangue periferico.
    (…) L’assenza di HPC infette fornisce una prova importante del fatto che la frequenza dell’infezione con HIV-1 delle progenitrici Lin-/CD34+ tratte dal midollo, se pure è avvenuta, era inferiore allo 0,003% in tutti gli 8 pazienti.
    Questi risultati suggeriscono con forza che le Lin-/CD34+ del midollo non siano una fonte di HIV-1 persistente nei pazienti da tempo in terapia soppressiva. (…)
    In sostanza, questi risultati sono importanti da molti punti di vista:
    1. Questo è il secondo studio che confuta gli articoli della Collins su Nature Medicine e che non trova nessuna prova della presenza del virus in HPC Lin-/CD34+ attentamente purificate [il primo sarebbe quello dei bostoniani. Cfr. Zhang-Crumpacker: staminali/progenitrici NON infettabili]. Il laboratorio di Siliciano ha riportato dati analoghi in diversi congressi. (...)

Molto bene! Possiamo dunque tirare un gran sospiro di sollievo e mettere una pietra sopra la questione “HIV nelle staminali”?
Per nulla affatto! La storia continua e, anzi, si può dire che – proprio come Aristotele – Kathleen Collins NON è un cane morto. Ma questo è l’oggetto della prossima puntata.



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Re: K.Collins_Staminali come reservoir, APOBEC3G e altro anc

Messaggio da Dora » giovedì 22 dicembre 2011, 10:44

La nuova puntata della storia ce la raccontano Ms. Caroline Mullis della Johns Hopkins e il Dr. Andrew Redd del NIAID in un articolo (anzi, ancora un manoscritto in attesa di revisione) pubblicato una decina di giorni fa su AIDS Research and Human Retroviruses, dal titolo: Colony-forming hematopoietic progenitor cells are not preferentially infected by HIV-1 subtypes A and D in vivo.

Costoro non solo prendono per buona la “pretesa” della Collins di averlo proprio trovato il virus nelle staminali, ma da qui partono per affinare la ricerca. Quella che segue è una sintesi del loro manoscritto.


La capacità dell’HIV-1 di infettare le cellule progenitrici ematopoietiche (HPC) è stata studiata quale possibile causa di molte anomalie nell’ematopoiesi osservate in persone con HIV. Il virus è stato individuato in diversi tipi di HPC e questo ha spinto alcuni ricercatori a sostenere che è capace di infettare le staminali. In altri studi, però, non si è riusciti a identificare un’infezione delle HPC e ciò ha aperto la discussione sulla rilevanza e sulle dimensioni dell’infezione delle staminali in vivo.

Tuttavia, i dati pubblicati dalla Collins hanno confermato che l’HIV-1B è in grado di infettare le staminali sia in vitro sia in vivo e hanno spinto ad attribuire l’assenza di prove di infezione rilevata in studi precedenti alla difficoltà di mantenere in coltura le HPC e di stabilire che queste cellule sono infette solo in base a misurazioni indirette, che sono soggette a contaminazione da parte di altri tipi di cellule.
Curiosamente, la possibilità di contaminazione da parte di cellule mature è stata addebitata anche alla Collins, benché lei abbia cercato di evitare ogni possibile contaminazione, osservando che la carica provirale delle cellule mononucleate del midollo totali, tolte le CD34+, era più bassa rispetto alla carica provirale delle CD34+ purificate.

Il passo avanti compiuto da Mullis e Redd consiste nell’ipotizzare che questi risultati contrastanti possano essere spiegati dalle differenze fra i vari ceppi virali che infettano le staminali.

Questo uno schemino sui diversi ceppi virali (grazie a Skydrake, che l’ha postato pochi giorni fa):

Immagine

Raccontano Mullis e Redd che i primi studi utilizzavano il sottotipo B dell’HIV-1, nonostante questo raramente infetti le staminali, sia in vitro, sia in vivo. Invece, il sottotipo C sembra più efficiente nell’infettare le HPC in vitro, a dei livelli notevolmente più alti rispetto al B.
È stato studiato un campione di persone infette da HIV-1C e si è trovata una correlazione negativa fra viremie e crescita delle colonie ematopoietiche, che ha spinto ad ipotizzare che questo aumentato tropismo cellulare possa interessare anche l’ematopoiesi e avere anche implicazioni cliniche (in particolare, si è visto che l’infezione delle staminali con virus di tipo C era associata con aumentati tassi di anemia).

Mentre si sa che l’HIV-1C infetta le staminali a tassi maggiori rispetto all’HIV-1B, la capacità di infettare le staminali dei sottotipi A e D rimane poco chiara. E questo è quanto viene indagato da Mullis e Redd: i tassi di infezione in vivo di HPC in un campione di persone infette da HIV-1A o HIV-1D.

Riporto sinteticamente i risultati principali:
  • 1. Le viremie e le cariche provirali mediane non differivano fra le due popolazioni; invece il numero dei CD4 era notevolmente più alto nelle persone infettate dal sottotipo D, rispetto a quelle infettate dal sottotipo A.

    2. Le persone con virus A avevano una mediana di 6,9 colonie per 10^5 PBMC; quelle con virus D avevano una mediana di 17,8.

    3. 3 su 462 colonie (0,65%) da individui con virus A (1/19 persone) e 1 su 715 (0,14%) da individui con virus D (1/22 persone) sono state classificate come *stabilmente infette*.

    4. Tutte e quattro queste colonie classificate come *stabilmente infette* sono state identificate come CFU-GM (ovvero: progenitrici di granulociti e macrofagi, le stesse che si è visto che vengono infettate da virus di tipo B).

    5. Il tasso di infezione di queste colonie non differiva fra virus di tipo A e di tipo D.

    6. Poiché soltanto 4 su 1177 colonie di HPC analizzate sono risultate infette in vivo, pare abbastanza probabile che le staminali NON vengano infettate da virus HIV-1A o HIV-1D più spesso rispetto alle cellule mature. Questa frequenza di infezione delle staminali si correla più strettamente con i tassi di infezione da virus HIV-1B che con quelli osservati da virus HIV-1C.

    7. Anche se sono state analizzate più di 1100 colonie, è possibile che le HPC siano infettate a un tasso inferiore rispetto a quello delle PBMC, TUTTAVIA A UN LIVELLO SUFFICIENTE A COSTITUIRE UN RESERVOIR VIRALE.

    8. È possibile che le colonie studiate siano state in qualche modo “contaminate” da altre cellule che formano colonie più mature. È però difficile confrontare direttamente molti degli studi che hanno analizzato le staminali/progenitrici, perché sono stati utilizzati test e campioni differenti per stabilire l’infezione.

    9. C’è prova che l’infezione attiva da HIV nelle staminali sia citotossica per le cellule progenitrici che si trovano in una fase iniziale del periodo di incubazione. Si ritiene che, quando le HPC infette da HIV vengono indotte a differenziarsi, esse vengano distrutte e che sia proprio questo a rendere difficile il trovare staminali infette. Pertanto, il basso livello di infezione osservato da Mullis e Redd può essere una conseguenza di questa citotossicità.
    È anche possibile che le infezioni in vivo non siano state rilevate perché si ipotizza che l’infezione con HIV-1 possa promuovere la differenziazione delle staminali, e quindi diminuire il lasso di tempo durante il quale la cellula può essere individuata come tale.



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Re: K.Collins_Staminali come reservoir, APOBEC3G e altro anc

Messaggio da Dora » venerdì 27 gennaio 2012, 18:39

David Margolis - nel report su St Martin ha scritto:[il lavoro portato da Sarah Palmer a St Martin] è il secondo studio che confuta gli articoli della Collins su Nature Medicine e che non trova nessuna prova della presenza del virus in HPC Lin-/CD34+ attentamente purificate [il primo sarebbe quello dei bostoniani. Cfr. Zhang-Crumpacker: staminali/progenitrici NON infettabili]. Il laboratorio di Siliciano ha riportato dati analoghi in diversi congressi.
Ed eccolo qui, un lavoro STRA-OR-DI-NA-RIO di Siliciano e del suo laboratorio alla Johns Hopkins, che – se confermato (e facilmente lo sarà, perché cerca di ovviare proprio al problema della contaminazione dei campioni in cui si accusa la Collins di essere incorsa) - potrebbe rendere un po’ meno ardua la via verso l’eradicazione.


Vorrei far notare fin dall'inizio lo stile di Siliciano, non soltanto chiaro e comprensibilissimo, ma estremamente dialettico e rispettoso del lavoro della Collins, pur arrivando, la sua ricerca, a risultati opposti. Una bella lezione umana e scientifica per i bostoniani e la loro irrimediabile volgarità.

Si tratta di 5 paginette scarse, appena uscite sul Journal of Infectious Diseases:

HIV-1 DNA Is Detected in Bone Marrow Populations Containing CD4+ T Cells but Is not Found in Purified CD34+ Hematopoietic Progenitor Cells in Most Patients on Antiretroviral Therapy.

Christine M. Durand, Gabriel Ghiaur, Janet D. Siliciano, S. Alireza Rabi, Evelyn E. Eisele, Maria Salgado, Liang Shan, Jun F. Lai, Hao Zhang, Joseph Margolick, Richard J. Jones, Joel E. Gallant, Richard F. Ambinder and Robert F. Siliciano

Eccone una sintesi.

La HAART blocca la replicazione dell’HIV e riduce la viremia plasmatica a livelli non rilevabili. Nonostante le terapie, si riesce a trovare dell’HIV DNA latente nei CD4 quiescenti; se il trattamento antiretrovirale viene interrotto, si ha un rapido rebound della viremia fino ai livelli precedenti alla terapia. Studi longitudinali confermano che, a causa delle lunga vita dei CD4 quiescenti, la dimensione di questo reservoir non diminuisce in modo consistente nel periodo in cui si assume la HAART.

Oltre all’HIV DNA latente nei CD4 quiescenti, la maggior parte dei pazienti in terapia presentano dell’HIV RNA residuo nel plasma, che può essere rilevato mediante test particolarmente sensibili (real-time PCR).
Le analisi delle sequenze dell’HIV e gli studi filogenetici della viremia residua dimostrano che molte sequenze presenti nel plasma sono identiche alle sequenze presenti nei CD4 latenti.
Tuttavia, in alcune persone la viremia residua contiene dei cloni predominanti, che sono scarsissimamente presenti nei CD4 circolanti. Questo fa ipotizzare che possano esistere altri reservoir dell’HIV in cellule capaci di proliferare dopo essere state infettate.

Le cellule progenitrici ematopoietiche (HPC) sono un logico candidato come secondo reservoir, poiché esprimono i corecettori CCR5 e CXCR4 necessari all’HIV per penetrare nella cellula.
Nell’ultimo ventennio, la maggior parte degli studi hanno fatto ritenere che queste cellule non ospitino HIV in vivo. Altre ricerche, invece, hanno trovato dell’HIV DNA nelle HPC di pazienti infettati da virus di sottotipi non-B.
Lo studio di Carter e Collins del 2010 è stato il primo a prendere in esame pazienti in HAART con HIV irrilevabile nel plasma e ha stabilito l’infezione delle CD34+ in 4 pazienti su 9, con una frequenza di 2,5 – 40 copie di HIV DNA su 10.000 cellule.

Le ragioni di questi risultati discordanti non sono chiare. Ma determinare se le CD34+ costituiscono un secondo reservoir nei pazienti in terapia è cruciale per i tentativi che si stanno facendo di eradicare il virus, poiché al momento questi si stanno concentrando sui CD4 latentemente infetti, considerandoli come la barriera che impedisce di curare l’infezione da HIV.

Siliciano ha dunque condotto uno studio su 11 pazienti in tearapia, con viremia plasmatica soppressa (< 50 copie/ml) da almeno due anni, usando tecniche di purificazione delle staminali molto rigorose e test real-time PCR per andare a cercare il DNA virale dentro le CD34.
In un sottogruppo di pazienti ha anche messo in co-cultura le HPC e i linfociti: questo tipo di test è meno sensibile nei confronti dell’HIV DNA totale, ma è altamente specifico nell’andare a cercare del virus capace di replicarsi.


CARATTERISTICHE DEI PAZIENTI (dettagliate nella tabella 1):
  • • 21 anni la durata mediana dell’infezione (dalla diagnosi);
    • 4,8 anni la durata mediana di viremia irrilevabile in terapia;
    • 212 cellule/ml il valore mediano del nadir dei CD4;
    • 4/11 pazienti presentavano anemia o trombocitopenia al momento della raccolta dei campioni di midollo;
    • 10/11 avevano iniziato la HAART durante la fase cronica dell’infezione; 1 entro due mesi dal contagio.
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PURIFICAZIONE:
  • • Le HPC CD34+ sono state isolate mediante un processo a due stadi:
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  • • Il grado medio di purezza delle CD34 ottenuto è stato del 63% (range: 25% - 87%); mentre il livello medio di contaminazione delle CD34 è stato del 10% (range: 3% - 17%). Dopo avere estratto le cellule avendole rese fluorescenti tramite citometria a flusso (FACS), la purezza della popolazione di CD34 era maggiore del 98,7%, con una contaminazione di linfociti T CD3+ minore dello 0,2% in tutti i pazienti:
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QUANTIFICAZIONE DELL’HIV DNA:

Per misurare il DNA virale, Siliciano ha usato una real-time PCR con un limite di rilevamento di 2 copie di HIV DNA su 100.000 cellule. Ha confrontato i numeri di copie virali nelle CD34 con il numero di copie virali nei CD4 del sangue periferico e in altre porzioni del midollo. Nella tabella 1 riportata sopra sono riportate le CD34 testate per ogni paziente.

La figura che segue mostra il numero di copie di HIV su 100.000 cellule:

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  • • Il DNA virale è stato ritrovato nei CD4 di tutti gli 11 pazienti, con una media geometrica di 64 copie su 100.000 cellule;
    • in molti pazienti, l’HIV DNA è stato rilevato anche nelle altre frazioni di midollo osseo;
    IN NESSUNO DEGLI 11 PAZIENTI È STATO TROVATO DNA VIRALE NELLE CD34.

CO-CULTURA DI HPC CD34+ E LINFOCITI:

Per stabilire se la produzione di HIV è indotta mediante una differenziazione ex vivo delle CD34, Siliciano ha messo a coltura per 28 giorni delle staminali di 7 pazienti con delle citochine e ha aggiunto dei linfoblasti CD4 attivati, che sono target tipici per la replicazione del virus. Nei CD4 quiescenti, mediante questa co-cultura, è possibile rilevare del virus capace di replicazione rilasciato da una singola cellula infetta.
In nessuno dei 7 pazienti è stato possibile trovare né antigeni, né RNA virale.


LE CONCLUSIONI CHE NE TRAE SILICIANO:

Si è visto che sovente, nei pazienti in terapia, si può trovare DNA virale in frazioni di midollo che contengono linfociti T maturi, ma non in popolazioni pure di staminali CD34+.
L’analisi quantitativa mediante PCR ha trovato del virus nei CD4 di tutti i pazienti, ma non ha trovato nessuna prova di una presenza del virus nelle staminali.

Poiché la Collins ha sostenuto che l’infezione latente delle CD34 può essere risvegliata mediante una differenziazione indotta dalle citochine, Siliciano ha messo a coltura frazioni di midollo di 7 pazienti insieme a linfociti NON infetti. Dopo un mese, ha trovato del virus capace di replicazione nelle CD34 di 0 pazienti su 7 e in frazioni di midollo contenenti linfociti T di 3 pazienti su 7.

Siliciano riconosce che due limiti di questo studio sono la piccola dimensione del campione e la sensibilità del test per la PCR utilizzato. Ma ritiene comunque di poter concludere che

NELLA MAGGIOR PARTE DEI PAZIENTI CON HIV SOTTOTIPO-B IN TERAPIA ANTIRETROVIRALE LA FREQUENZA DI STAMINALI CD34+ INFETTE È INFERIORE ALLO 0,002%.

Questa conclusione confermerebbe i risultati degli studi che, negli ultimi vent’anni, hanno indicato che LE CD34+ NON COSTITUISCONO UN RESERVOIR DELL’HIV IN VIVO DI QUALCHE IMPORTANZA.

Siliciano avanza anche qualche ipotesi per spiegare i discrepanti risultati ottenuti dalla Collins (presenza di HIV DNA nelle CD34 di 4 pazienti su 9) e sostiene che è possibile che le staminali esaminate da lui siano state infettate a un livello al di sotto del limite di rilevamento del suo test, oppure i campioni di cellule prelevate da ciascun paziente potrebbero essere stati troppo piccoli. Nota, tuttavia, che la sensibilità del test da lui utilizzato è paragonabile a quello usato dalla Collins e il numero di cellule esaminate per paziente è maggiore.
Avanza dunque l’ipotesi che LA CONTAMINAZIONE CON LINFOCITI T MATURI INFETTI POSSA AVER PRODOTTO NEL CASO DELLA COLLINS DEI FALSI POSITIVI.

Un’altra possibilità per l’assenza di DNA virale nelle progenitrici esaminate da Siliciano potrebbe essere il TROPISMO DEL CO-RECETTORE: le CD34 sono cellule eterogenee e includono rare staminali, così come progenitrici già commissionate verso la linea mieloide o linfoide. Queste cellule possono essere diverse, per quanto riguarda l’espressione del CCR5 e del CXCR4: le cellule più primitive esprimono il CXCR4, ma non il CCR5.
In effetti, la Collins ha dimostrato che – in vitro – un virus X4-tropico infetta le progenitrici in modo molto più efficiente rispetto a un virus R5.
Rimane però poco chiaro se questo accada anche in vivo.
Siliciano ammette di non conoscere il tropismo dei virus presenti nella maggior parte dei pazienti del suo campione e conclude dicendo che servono ora degli studi in vivo su pazienti che presentino diverse frequenze di virus X4-tropici.



Eilan
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Re: K.Collins_Staminali come reservoir, APOBEC3G e altro anc

Messaggio da Eilan » venerdì 27 gennaio 2012, 19:07

Dora ha scritto: Siliciano riconosce che due limiti di questo studio sono la piccola dimensione del campione e la sensibilità del test per la PCR utilizzato. Ma ritiene comunque di poter concludere che

NELLA MAGGIOR PARTE DEI PAZIENTI CON HIV SOTTOTIPO-B IN TERAPIA ANTIRETROVIRALE LA FREQUENZA DI STAMINALI CD34+ INFETTE È INFERIORE ALLO 0,002%.

Questa conclusione confermerebbe i risultati degli studi che, negli ultimi vent’anni, hanno indicato che LE CD34+ NON COSTITUISCONO UN RESERVOIR DELL’HIV IN VIVO DI QUALCHE IMPORTANZA.
Oh almeno una buona notizia in questa giornata, HLA già avvisato! ;)



stealthy
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Re: K.Collins_Staminali come reservoir, APOBEC3G e altro anc

Messaggio da stealthy » venerdì 27 gennaio 2012, 19:09

Chiarissimo lo studio di Siliciano. E con la Collins come la mettiamo?! Questo significa che le CD34+ non sono infettabili e che quindi Siliciano approfondirà meglio lo studio in modo di trovare una strada alternativa che porta all'eradicazione. Giusto?



Dora
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Re: K.Collins_Staminali come reservoir, APOBEC3G e altro anc

Messaggio da Dora » venerdì 27 gennaio 2012, 19:24

stealthy ha scritto:E con la Collins come la mettiamo?! Questo significa che le CD34+ non sono infettabili [?]
Secondo me, Siliciano è molto più possibilista sulla validità dei risultati della Collins. Infatti è per questo che ho notato uno stile molto meno dogmatico rispetto a quello dei bostoniani, che l'hanno presa a male parole, dandole dell'incompetente con una villania che è difficile riscontrare in lavori scientifici di un certo livello.
Lui riconosce che lei è una brava e, soprattutto, pone la questione del tropismo del virus. Non credo sia solo galanteria, perché lei da mesi parla di virus -X4 e lui è un signore educato e cerca di compiacerla.
Mia impressione (per quel che vale!), è che sia davvero quello il virus che crea problemi nelle staminali. Ma che ci sia del virus che nelle staminali ci si annida, non credo potrà essere smentito in modo chiaro. E non tanto perché è impossibile dimostrare che una cosa non esiste, quanto perché ci sono troppe anomalie nell'ematopoiesi di alcune persone con HIV per pensare che non ci sia il virus di mezzo (lo so, parlo così perché ho imparato bene le lezioni di Lambertenghi; ma come argomento a posteriori, secondo me, è fortissimo. Beh, non solo secondo me: http://hivforum.0sites.net/Lilanew/view ... 4316#64316!).
quindi Siliciano approfondirà meglio lo studio in modo di trovare una strada alternativa che porta all'eradicazione. Giusto?
Penso che stia procedendo sulle due strade insieme: quella di sostanze che risveglino il virus dalla latenza (vedi per esempio qui: [STUDI] Siliciano: tre chinoline per riattivare l’HIV e qui: Antabuse (disulfiram): per ripulire i reservoir); e quella delle staminali infette o non infette in vivo (perché temo non ci siano dubbi che in vitro si infettano).

Certo, togliersi di dosso il reservoir delle staminali e poter pensare solo a quello dei CD4 memoria (e del cervello), credo sarebbe in ogni caso un passo avanti enorme.



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Re: K.Collins_Staminali come reservoir, APOBEC3G e altro anc

Messaggio da HLAB5701 » venerdì 27 gennaio 2012, 22:22

Dora ha scritto: Certo, togliersi di dosso il reservoir delle staminali e poter pensare solo a quello dei CD4 memoria (e del cervello), credo sarebbe in ogni caso un passo avanti enorme.
appunto. enorme. :ugeek:

Grazie Dora per il lavoro di sintesi, chiaro come sempre.



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