K.Collins_Staminali come reservoir, APOBEC3G e altro ancora

Ricerca scientifica finalizzata all'eradicazione o al controllo dell'infezione.
Dora
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Re: K.Collins_Staminali come reservoir, APOBEC3G e altro anc

Messaggio da Dora » martedì 5 marzo 2013, 19:23

Il poster di Kathleen Collins al CROI 2013, da cui si capisce che ha diligentemente continuato a lavorare sulla critica più seria che il suo articolo del 2010 aveva ricevuto (quella di avere avuto contaminazioni dei campioni) e che la questione del virus nelle cellule staminali/progenitrici è più aperta che mai.

HIV Preferentially Infects Hematopoietic Progenitor Cells with High CD4 and Can Be Found in CD133+ Hematopoietic Progenitor Cells in a Subset of Optimally Treated People with Long-term Viral Suppression - #372

ABSTRACT

Background. Hematopoietic progenitor cells (HPCs) have been proposed as a reservoir of HIV. However, HPCs are heterogeneous and the ability of specific subsets of HPCs to harbor HIV has not been thoroughly assessed. Here, we investigate whether immature CD133+ HPCs harbor HIV genomes in vivo and assess the potential for T cell contamination in these samples. We also investigate whether HIV preferentially infects HPCs with high CD4 expression in vitro.

Methods. CD133-sorted and CD133-depleted bone marrow cells were purified from 11 antiretroviral-treated donors with viral loads of <48 copies per ml. CD133 and CD3 expression was assessed by flow cytometry. HIV DNA was quantified by PCR. Associations between HIV DNA in CD133+ HPCs and donor characteristics were tested with t-tests. The probability of observing the distribution of HIV genomes in the CD133-sorted and CD133-depleted samples from each donor if all genomes were derived from CD3+ T cells was assessed with Fisher’s exact test. HIV infection of healthy donor HPCs with varying CD4 expression in vitro was assessed by flow cytometry.

Results. HIV genomes were detected in CD133-sorted samples from 6 donors, including two with undetectable viral loads for more than 8 years. CD3+ cells made up less than 1% of cells in all CD133-sorted samples. For 5 of 6 CD133-sorted samples with detectable HIV DNA, the HIV genomes could not be accounted for by contaminating CD3+ cells (p < 0.01 [3 donors] or p < 0.05 [2 donors], Fisher's exact test). Donors with detectable HIV DNA in HPCs were diagnosed significantly more recently than other donors (p < 0.02, t-test) but had had undetectable viral loads for similar periods of time (p = 0.49, t-test). In vitro, we observed 2 to 4 times more infection in CD4-high HPCs with both dual- and CXCR4-tropic HIV envelopes. For dual and CXCR4-tropic envelopes, the mean ratio of infection in CD4-high versus CD4-low HPCs was significantly greater than that observed with VSV-G envelope (p < 0.05, 1-way ANOVA test).

Conclusions. HIV genomes can be detected in CD133+ HPCs from a subset of donors with long-term viral suppression. Moreover, contaminating CD3+ cells are not a good explanation for these results. In vitro, HIV preferentially infects CD4-high HPCs. The finding that HIV infection of HPCs is associated with year of diagnosis but not with duration of viral suppression requires validation in further studies, but suggests that factors associated with disease duration may also influence HIV persistence in HPCs.

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Dora
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Re: K.Collins_Staminali come reservoir, APOBEC3G e altro anc

Messaggio da Dora » lunedì 11 marzo 2013, 11:37

Riprendo un discorso iniziato e subito interrotto circa un anno fa in questo thread, per introdurre la presentazione al CROI di Maria Buzon, Rangon Institute, MIT, Harvard, perché il mentore di Buzon è proprio quel Mathias Lichterfeld che è uno dei pionieri dello studio di questi strani linfociti T memoria, che si comportano come cellule staminali.
Dora ha scritto:un altro dei 4 finanziamenti [amfAR] è per Mathias Lichterfeld, del Massachusetts General Hospital, che "will investigate whether a newly discovered subset of CD4 T cells that have properties similar to stem cells might serve as the main site of viral persistence as well as a source of virus that re-emerges when ART is stopped".
Dora ha scritto:Dato che 'sta cosa delle T memory stem cells per me è una novità assoluta, ho cercato un po'. Non ho trovato lavori di Lichterfeld sull'argomento, né nulla che le descriva come un altro reservoir; ho però trovato un breve articolo del 2008 di un onco-ematologo - Stephen G. Emerson - che mi sembra sia il primo a parlarne: T Memory Stem Cells: Looking For Stem Cells In An Immune Haystack.

T Memory Stem Cells Are a Long-term Reservoir for HIV-1

Sappiamo che anche se la ART sopprime la replicazione virale in modo efficace, l’HIV persiste – prevalentemente nei CD4 latentemente infetti , in cui si trova in uno stato di latenza che lo rende irraggiungibile dagli antiretrovirali.

Tuttavia, non tutti i CD4 – dice Buzon – sono creati uguali; alcuni costituiscono una nicchia particolarmente adatta a consentire la persistenza dell’HIV.
Quel che sappiamo della differenziazione dei linfociti T è che quando una cellula naive incontra un antigene, mediante una cellula che presenta l’antigene, quella cellula entra in un processo di differenziazione, che culmina nella generazione di cellule effettore che hanno una breve vita. Quando il segnale dell’antigene cessa, questa cellula va in uno stato di quiescenza, entrando nel serbatoio di cellule memoria.

Di recente, è stato individuato un nuovo tipo di linfociti T memoria, che hanno delle caratteristiche molto particolari, che li apparentano alle cellule staminali: le staminali T memoria (Tscm).

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  • • Anzitutto, questi Tscm hanno una vita lunghissima. Inoltre:
    • costituiscono il sottinsieme meno differenziato di cellule memoria (Tna → Tscm → Tcm → Tem).;
    • vengono mantenute in essere da proprietà simili a quelle delle staminali, come la capacità di auto-rinnovarsi e di proliferare omeostaticamente;
    • hanno una capacità proliferativa maggiore rispetto alle altre cellule memoria e sono in grado – se stimolate da un antigene - di indurre una generazione de novo di tutti i sottogruppi dei linfociti T memoria e effettori;
    • il loro fenotipo le identifica come un nuovo sottogruppo a sé stante (CD45RA, CCR7, CD62L, CD28, CD27, CD127, CD122, CD95).


La domanda è dunque se queste cellule possano costituire un reservoir dell’HIV e la risposta è sì.

I CD4+ Tscm, infatti, possono essere infettati dall’HIV-1 sia in vitro, sia ex vivo:

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Ma c’è di più, perché si è visto che queste cellule sono quelle - ex vivo – più suscettibili di essere infettate da diversi ceppi di HIV-1:

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Il passo successivo era di dimostrare che i CD4+ Tscm possono costituire un reservoir in vivo dell’HIV-1 ed è quello che Buzon dimostra, prelevando campioni di CD4 da pazienti in ART da una media di 8 anni e misurando i livelli di HIV DNA intra-cellulare. Quello che è emerso è che i Tscm, confrontati con tutti gli altri sottogruppi di CD4, avevano i più alti livelli per cellula di HIV DNA.

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Calcolando il contributo medio di questi Tscm all’intero reservoir, si è visto che ammontava a circa l’8%: basso, rispetto alle altre cellule, ma perché la frequenza dei Tscm è ammonta a circa l’1% di tutti i CD4.

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Facendo uno studio longitudinale, si è anche visto che i livelli di DNA virale nei Tscm erano costanti nel tempo, a indicare la persistenza e la lunga durata di questo reservoir.

Mettendo insieme i dati di pazienti diversi, si è vista la frequenza dei Tscm su tutti i CD4 (circa 1%) e il loro contributo al reservoir dei CD4 dopo un periodo breve e dopo un periodo lungo di ART (da 5 a 19%, a conferma che queste cellule hanno una vita molto lunga).

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È stata poi studiata la capacità del virus contenuto nei Tscm di replicarsi, e si è visto che è capace di replicazione. Inoltre, l’analisi filogenetica ha mostrato identiche sequenze fra i Tscm dopo 4 fino a 8 anni di ART, sempre a indicazione della lunga vita di questo reservoir.

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Re: K.Collins_Staminali come reservoir, APOBEC3G e altro anc

Messaggio da Dora » mercoledì 8 maggio 2013, 9:33

Trovo il tempo per parlarne solo adesso, ma a fine aprile Kathleen Collins, Lucy McNamara e colleghi della University of Michigan, Ann Arbor hanno pubblicato sul Journal of Infectious Diseases i risultati della loro ricerca sul virus nelle staminali in parte anticipati al CROI lo scorso marzo. L'articolo - un "major article" - è accompagnato da un editoriale di Mattew Pace e Una O'Doherty, della University of Pennsylvania.
Parto dalle conclusioni sintetiche del CROI, per vedere che cosa la Collins ci dica di nuovo.


Dora ha scritto:Il poster di Kathleen Collins al CROI 2013, da cui si capisce che ha diligentemente continuato a lavorare sulla critica più seria che il suo articolo del 2010 aveva ricevuto (quella di avere avuto contaminazioni dei campioni) e che la questione del virus nelle cellule staminali/progenitrici è più aperta che mai.

HIV Preferentially Infects Hematopoietic Progenitor Cells with High CD4 and Can Be Found in CD133+ Hematopoietic Progenitor Cells in a Subset of Optimally Treated People with Long-term Viral Suppression - #372

(...)
Conclusioni. Genomi dell’HIV possono essere rilevati nelle cellule progenitrici ematopoietiche (HPC) CD133+ di un sottogruppo di donatori con viremia soppressa da molto tempo. Pensare a una contaminazione con CD3+ non dà una corretta spiegazione di questi risultati. In vitro l’HIV infetta di preferenza le HPC che esprimono alti valori di CD4 (CD4-high). La scoperta che l’infezione delle HPC è associata all’anno della diagnosi ma non alla durata della soppressione virale deve essere convalidata mediante altre ricerche, ma suggerisce che anche dei fattori associati alla durata della malattia possano influenzare la persistenza dell’HIV nelle HPC.
Nota: il CD133 è un marker che contraddistingue un sottogruppo di cellule progenitrici CD34+ particolarmente immature e in un lavoro precedente la Collins aveva dimostrato che queste cellule possono essere infettate in vitro solo da un virus che usa il corecettore CXCR4 (virus X4-tropico), mentre l’infezione delle CD133 in vivo non era ancora stata dimostrata ed è l’oggetto di quest’ultima ricerca, in cui sono state studiate le HPC CD133+ di 11 donatori che avevano la viremia al di sotto delle 48 copie/mL da almeno 6 mesi e fino a 8 anni.

La gran parte di questo articolo è dedicata ad escludere che i risultati ottenuti siano frutto di una contaminazione dei campioni con linfociti T CD3, che costituiscono fino a più dell’80% delle cellule presenti nei campioni, una volta che sono state separate le cellule progenitrici. Quella della contaminazione dei campioni è la grande accusa che viene fatta continuamente alla Collins e che la sta spingendo a raffinare sempre più il suo lavoro e, per quanto riesco a capirne, pare che i risultati presentati qui ne siano esenti.

In particolare, il virus è stato trovato nelle CD133+ di persone in cui le viremie erano soppresse da molti anni, compresi due pazienti in cui l’HIV DNA era stato trovato nelle progenitrici CD34+ nello studio fatto tre anni fa.

La stima fatta dalla Collins è di <0,71-63 genomi virali per 100.000 CD133+ ed è simile alla frequenza dei genomi virali nei CD4 del sangue periferico.

Due aspetti sono da approfondire per capire il tasso di decadimento nel tempo dell’HIV DNA nelle cellule progenitrici del sangue e il contributo che queste cellule danno alla persistenza virale sul lungo periodo:

  • 1) il confronto delle frequenze del DNA provirale in tre tipi di popolazioni di cellule della medesima persona: le progenitrici CD34+, le progenitrici CD133+ e i linfociti T quiescenti del sangue periferico;
    2) la frequenza di genomi virali nel tempo nella stessa popolazione di HPC di un gruppo di donatori più ampio.


L’altro aspetto di questa ricerca di cui credo valga la pena parlare è la associazione che viene stabilita fra presenza del virus nelle staminali più primitive e durata dell’infezione, in particolare dopo anni di soppressione della replicazione virale grazie alla ART.
Quello che la Collins ha stabilito con significatività statistica è che le persone nelle cui cellule progenitrici ha trovato dell’HIV DNA avevano ricevuto la diagnosi in tempi più recenti rispetto a coloro che di provirus nelle CD133+ non ne avevano.
Scrive la Collins che

  • “l’associazione fra infezione delle HPC e anno della diagnosi non risulta dalle differenze nella durata della soppressione virale (P=0,49) o dalle differenze nella purezza dei campioni di CD133 (P=0,65) o nella percentuale di linfociti T presenti (P=0,29). Né l’anno della diagnosi, né la durata della soppressione virale sono risultati correlati con il rilevamento dell’HIV DNA nei campioni da cui erano state tolte le CD133 (rispettivamente P=0,46 e P=0,32).”


Il fatto che i donatori nelle cui staminali è stato trovato il virus abbiano ricevuto la diagnosi molto più di recente rispetto a quelli nelle cui staminali non è stata trovata traccia di infezione NON può essere spiegato dal più breve periodo di ART soppressiva. L’ipotesi avanzata dalla Collins è che è meno probabile che le persone con alti livelli di infezione delle HPC siano sopravvissute o abbiano mantenuto basse viremie se sono state diagnosticate prima dell’avvento della ART.
La loro sopravvivenza ridotta potrebbe essere dovuta a più alti livelli di virus X4-tropico, che si è visto essere necessario per infettare in vitro le HPC più immature e che si associa a una progressione più rapida della malattia (questo, inoltre, potrebbe spiegare perché altri ricercatori – che avevano analizzato persone diagnosticate prima del 2000 e addirittura negli anni ’80 - non sono riusciti a trovare virus nelle staminali).

Un’ipotesi alternativa è che l’infiammazione associata a un’alta viremia cronica possa in qualche modo influenzare la stabilità dei genomi dell’HIV nelle cellule progenitrici.

Naturalmente, queste sono soltanto delle ipotesi e la connessione fra frequenza dei genomi dell’HIV trovati nelle HPC e anno della diagnosi deve essere indagata e validata mediante altre ricerche.

Le scoperte della Collins dimostrano che le cellule progenitrici del sangue possono ospitare DNA provirale anche dopo molti anni di ART. Ma NON dimostrano che le HPC costituiscono un reservoir dell’HIV, perché i genomi trovati potrebbero essere difettivi e questo aspetto deve ancora essere studiato.
Nel frattempo – conclude la Collins – chi sta tentando di riattivare il virus nei CD4 memoria quiescenti dovrebbe considerare l’opportunità di trovare il modo di riattivare l’HIV latente anche nelle HPC.



Nell’editoriale pubblicato a commento di questo articolo, Mattew Pace e Una O’Doherty sostengono che i dati presentati dalla Collins che la portano a ipotizzare che le HPC siano infette solo in un sottogruppo di pazienti – coloro che hanno iniziato la ART poco dopo la diagnosi – possono spiegare i dati contrastanti che sono stati pubblicati da altri gruppi di ricerca, che di virus nelle cellule progenitrici non ne hanno trovato.

Accettando implicitamente l’ipotesi della Collins, i due commentatori scrivono che forse l’infezione delle HPC può essere rilevata solo agli inizi della malattia ed è per questo che, studiando pazienti con infezioni di lunghissima durata, altri gruppi di ricerca hanno trovato solo staminali “pulite”.

Ma altre ipotesi sono possibili: per esempio, è possibile che il tempo durante il quale un paziente non riceve la ART determini se le HPC possono essere infettate. È possibile che, dopo molti anni di infezione, la maggior parte delle HPC siano già state infettate e siano morte, in modo che il livello di HPC suscettibili di infezione sia troppo basso per essere rilevato. Ed è anche possibile che tutto dipenda dal singolo paziente, per esempio alcuni potrebbero avere staminali che possono essere infettate ed altri no, in base al livello del recettore CD4 espresso sulle superfici delle cellule. Ma anche l’espressione del CD4 su queste cellule è una questione controversa, cui ancora non è stata data una risposta conclusiva.

Una notazione interessante è che sempre più ricerche stanno dimostrando che il reservoir dei CD4 aumenta all’aumentare del tempo in cui non si prende la ART. Cioè il livello di infezione fra le cellule che potrebbero contaminare i campioni della Collins aumenta nel tempo, proprio mentre sembrerebbe che il livello di infezione delle HPC diminuisca. Quindi è probabile che sia proprio la breve durata dell’infezione ad aver permesso di identificare delle cellule progenitrici infette.

In ogni caso, Pace e O’Doherty ritengono che davvero questa volta i campioni della Collins non siano stati contaminati da linfociti maturi infetti e quindi i dati siano attendibili. Tuttavia, nonostante questi risultati in vivo, affermano che un argomento contro l’infezione delle staminali è il fatto che i linfociti B e i neutrofili che da esse traggono origine non sono infetti. Una possibile spiegazione è che le HPC infette muoiano nel momento in cui si differenziano, a causa degli effetti citopatici del virus.

La questione principale aperta resta comunque se le HPC costituiscano o meno un reservoir dell’HIV. Dal momento che molti pazienti non mostrano segni di infezione in quelle cellule, pare probabile che le HPC possano al più essere un reservoir per un sotto-gruppo di persone.

Una considerazione di Pace e O’Doherty che a me pare importante, perché tocca un tema su cui ci siamo sempre fatti tante domande studiando il lavoro di Paula Cannon sulla modificazione delle staminali mediante le nucleasi a dita di zinco, è che servono degli studi longitudinali per stabilire quali pazienti hanno le HPC infette e per determinare l’emivita di queste staminali. Infatti, se l’emivita del reservoir delle HPC si dimostrasse breve, allora avrebbe senso fare trapianti autologhi di staminali (in persone in ART) per cercare di eradicare il virus – sempre se si riescono a rimuovere la maggior parte dei linfociti T [DdD: quindi niente condizionamento leggero?].
Pertanto identificare il sottogruppo dei pazienti con staminali che contengono l’HIV è importante per impostare correttamente i trial sull’eradicazione.





FONTI



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Re: K.Collins_Staminali come reservoir, APOBEC3G e altro anc

Messaggio da Dora » lunedì 31 luglio 2017, 21:26




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