Anticancro che blocca PD-1 e PD-L1 rinforza sistema immune

Ricerca scientifica finalizzata all'eradicazione o al controllo dell'infezione.
Datex
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Re: Anticancro che blocca PD-1 e PD-L1 rinforza sistema immu

Messaggio da Datex » martedì 24 febbraio 2015, 16:43

uffa2 ha scritto:nei trattamenti antitumorali si accettano tossicità che sono considerate inaccettabili in quasi ogni altro ramo della medicina: si combatte per la vita, per prolungarla anche solo di pochi mesi o per impedire che una neoplasia inneschi la spirale che mette in pericolo la vita, quindi "tutto è lecito"... noi invece siamo "fortunati", da quasi vent'anni la nostra sopravvivenza è assicurata dalla HAART, e possiamo discutere di effetti collaterali.
si ma da come lo hanno scritto pare fosse inatteso. quello che mi chiedo è perchè iniziare un trial e fermarlo dopo pochi mesi sapendo che causa effetti apparentemente molto tossici? avrebbero già dovuto saperlo.



Dora
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Re: Anticancro che blocca PD-1 e PD-L1 rinforza sistema immu

Messaggio da Dora » martedì 24 febbraio 2015, 17:34

Datex ha scritto:quello che mi chiedo è perchè iniziare un trial e fermarlo dopo pochi mesi sapendo che causa effetti apparentemente molto tossici? avrebbero già dovuto saperlo.
Ma infatti! Fra l'altro, l'hanno iniziato con grande ritardo proprio per le preoccupazioni sulla tossicità. Anche per me questa scelta di BMS è incomprensibile, quindi aspetto di vedere la presentazione, con la speranza che diano delle spiegazioni ragionevoli.



Dora
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Re: Anticancro che blocca PD-1 e PD-L1 rinforza sistema immu

Messaggio da Dora » domenica 1 marzo 2015, 17:06

Allora ... ho dato un'occhiata al poster della U Pitt sul tentativo di invertire la latenza ex vivo grazie all'anticorpo monoclonale anti-PD-L1 BMS-936559: Blockade of PD-L1 Does Not Reverse HIV Latency in CD4+ T Cells Ex Vivo.

L'anticorpo è lo stesso usato nel trial clinico (quello che, a quanto confermato anche in ClinicalTrials, ha sospeso il reclutamento dei pazienti).
La ricerca però è diversa, perché mentre nel trial condotto dalla University of North Carolina, Chapel Hill, si indaga sicurezza (oy!!), farmacocinetica e capacità di indurre risposte immuni HIV-1 specifiche, che si spera favoriscano la distruzione delle cellule che esprimono l’HIV-1 e così riducano la viremia persistente, in questa ricerca della University of Pittsburgh sono stati prelevati e isolati da 10 pazienti in terapia PBMC, CD4 totali e CD4 quiescenti e, dopo averli messi a coltura con un anticorpo anti-CD3/CD28 da solo o con aggiunta dell'anti-PD-L1 BMS-936559, dopo 8 giorni si è tristemente preso atto che il BMS-936559 non ha fatto nulla.
Le cellule esprimevano alti livelli di PD-1/PD-L1, quindi in teoria un anticorpo anti-PD-L1 avrebbe dovuto di molto migliorare l'efficacia dell'anti-CD3/CD28 nell'attivare la produzione di virioni.
Invece no.
  • Alternate strategies will be needed to activate proviral expression from latently infected CD4 T cells.
Cambiamo strada.



P.S. Questo non vuol dire che anche il trial clinico sia fallito in partenza. Se riprenderà, cioè se si vedrà che questo BMS-936559 non è poi tossico come si temeva (è un "se" bello grosso), si potrebbe comunque scoprire che la risposta dei CD8 migliora e l'espressione di PD-1, PD-L1 e altri marker di esaurimento cellulare diminuisce, cioè l'anticorpo anti-PD-L1 ha comunque un effetto sullo stato infiammatorio. Però, insomma, tante illusioni forse è meglio non farsele.




EDIT 25 MARZO: il 17 marzo il trial NCT02028403 - Safety and Immune Response of BMS-936559 in HIV-Infected People Taking Combination Antiretroviral Therapy è stato ufficialmente sospeso. La ragione non è specificata.



Dora
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Re: Anticancro che blocca PD-1 e PD-L1 rinforza sistema immu

Messaggio da Dora » mercoledì 20 gennaio 2016, 9:06

Dora ha scritto:Allora ... ho dato un'occhiata al poster della U Pitt sul tentativo di invertire la latenza ex vivo grazie all'anticorpo monoclonale anti-PD-L1 BMS-936559: Blockade of PD-L1 Does Not Reverse HIV Latency in CD4+ T Cells Ex Vivo.

L'anticorpo è lo stesso usato nel trial clinico (quello che, a quanto confermato anche in ClinicalTrials, ha sospeso il reclutamento dei pazienti).
La ricerca però è diversa, perché mentre nel trial condotto dalla University of North Carolina, Chapel Hill, si indaga sicurezza (oy!!), farmacocinetica e capacità di indurre risposte immuni HIV-1 specifiche, che si spera favoriscano la distruzione delle cellule che esprimono l’HIV-1 e così riducano la viremia persistente, in questa ricerca della University of Pittsburgh sono stati prelevati e isolati da 10 pazienti in terapia PBMC, CD4 totali e CD4 quiescenti e, dopo averli messi a coltura con un anticorpo anti-CD3/CD28 da solo o con aggiunta dell'anti-PD-L1 BMS-936559, dopo 8 giorni si è tristemente preso atto che il BMS-936559 non ha fatto nulla.
Le cellule esprimevano alti livelli di PD-1/PD-L1, quindi in teoria un anticorpo anti-PD-L1 avrebbe dovuto di molto migliorare l'efficacia dell'anti-CD3/CD28 nell'attivare la produzione di virioni.
Invece no.
  • Alternate strategies will be needed to activate proviral expression from latently infected CD4 T cells.
Cambiamo strada.



P.S. Questo non vuol dire che anche il trial clinico sia fallito in partenza. Se riprenderà, cioè se si vedrà che questo BMS-936559 non è poi tossico come si temeva (è un "se" bello grosso), si potrebbe comunque scoprire che la risposta dei CD8 migliora e l'espressione di PD-1, PD-L1 e altri marker di esaurimento cellulare diminuisce, cioè l'anticorpo anti-PD-L1 ha comunque un effetto sullo stato infiammatorio. Però, insomma, tante illusioni forse è meglio non farsele.




EDIT 25 MARZO: il 17 marzo il trial NCT02028403 - Safety and Immune Response of BMS-936559 in HIV-Infected People Taking Combination Antiretroviral Therapy è stato ufficialmente sospeso. La ragione non è specificata.
Ci credereste? Il trial sospeso senza che ne venissero spiegate le ragioni oggi risulta completato a novembre 2015 (l'ultimo aggiornamento della pagina risale a una settimana fa e l'archivio dei cambiamenti non permette di capire che cosa sia avvenuto - cioè io non ci riesco, quanto meno).

Immagino che a breve verremo informati dei risultati e sono risultati che io attendo con molta trepidazione, perché il ruolo dell'asse PD-1/PD-L1 si sta delineando come sempre più importante e chissà che è accaduto quando quel meccanismo infiammatorio è stato interrotto.

Vi ricordo che lo studio era di sicurezza, ma anche di efficacia e l'attività immunoterapeutica di BMS-936559 doveva essere indagata attraverso un gran numero di parametri.

Stay tuned, allora.



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Re: Anticancro che blocca PD-1 e PD-L1 rinforza sistema immu

Messaggio da uffa2 » mercoledì 20 gennaio 2016, 9:43

Gli anti-PD sono in grande spolvero in oncologia, agli ultimi ASCO ed ESMO sono stati i prezzemolini (per usare una un po’ desueta espressione di Dagospia) di molte patologie tumorali.
Per quel che riguarda BMS, mentre la nostra molecola si chiama BMS-936559, BMS commercializza Nivolumab - BMS-936558 (Opdivo®) un anticorpo monoclonale approvato proprio lo scorso giugno per il trattamento del melanoma avanzato (non resecabile o metastatico) negli adulti: immagino che in BMS qualcuno si sia convinto a riprendere lo studio perché magari gli studi registrativi in oncologia della stessa azienda sulla molecola parente avevano dato qualche buon suggerimento… vedremo, vedremo.


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Re: Anticancro che blocca PD-1 e PD-L1 rinforza sistema immu

Messaggio da Dora » giovedì 25 febbraio 2016, 16:54

Joseph J. Eron - Safety, Immunologic and Virologic Activity of Anti-PD-L1 in HIV-1 Participants on ART


I (modesti) risultati del trial ACTG sull'anti-PD-L1 di BMS (BMS-936559) sono stati presentati ieri a CROI 2016 da Joe Eron, University of North Carolina, Chapel Hill.
Poiché razionale, ipotesi di lavoro, impostazione e obiettivi del trial sono cosa di cui abbiamo già discusso nel corso del thread, posto qui di seguito le prime slide per ricordare di che cosa stiamo parlando e passo direttamente all’analisi dei risultati.

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Ed ora i risultati presentati, che riguardano solo la I coorte, composta da 8 persone con alti CD4 e scarsa viremia residua (da 0,4 a 6,5 copie/mL), che hanno ricevuto o 0,3 mg/kg di BMS-93659, o un placebo, e hanno tutte completato le 48 settimane di durata dello studio.
Poiché uno studio su modello animale ha mostrato un rischio di tossicità a livello della retina a tre mesi dalla somministrazione del farmaco proprio mentre era in corso questo trial, completata questa prima coorte, l’arruolamento si è fermato per dare tempo di tenere i pazienti sotto controllo [credo che questo spieghi il mistero che avevamo notato del trial che prima si era fermato e poi era ricominciato].

Questi 8 non hanno avuto cambiamenti significativi nei livelli di CD4 e CD8 durante i 28 giorni di trattamento, né hanno avuto aumenti dell’RNA virale nel plasma al di sopra delle 40 copie/mL.

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Il farmaco è stato rapidamente rilevabile nel siero e altrettanto rapidamente i suoi livelli sono scesi.
Tre partecipanti hanno sviluppato anticorpi contro il farmaco, senza differenze significative rispetto agli altri negli aspetti farmacocinetici.

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In due persone ci sono stati forti aumenti nelle risposte dei CD8 HIV-specifici (linee verdi nelle due slide seguenti), mentre gli altri non hanno in sostanza avuto risposte.

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La polifunzionalità è la proporzione dei linfociti T HIV-specifici che rispondono alla proteina Gag di HIV. Nei pazienti che hanno ricevuto il farmaco si è osservato un aumento della multifunzionalità dei CD8.

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Per quanto riguarda i risultati virologici, e in particolare la valutazione dell’HIV RNA nel plasma, la situazione è abbastanza confusa: in alcuni pazienti del gruppo del farmaco si è visto un piccolo aumento della viremia residua, ma nulla di significativo.

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Stesso discorso per il rapporto fra RNA e DNA associati alle cellule: in un paziente che aveva avuto forti risposte dei CD8 c’è stata una molto sensibile diminuzione dell’HIV RNA associato alle cellule (di 10 volte), ma negli altri nulla.

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Eventi avversi: 36 settimane dopo il trattamento un partecipante ha sviluppato iposurrenalismo e ipogonadismo ritenuti secondari a ipofisite, probabilmente a causa dell’anti-PD-L1; c’è stato un episodio di senso di costrizione toracica e fiato corto; un episodio abbastanza serio di diarrea; a un partecipante si sono alzate le transaminasi, ma indipendentemente dal trattamento; un po’ di nausea, fatigue … tutti sintomi di grado modesto e ritenuti non dipendenti dal BMS-936559.

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Allora, in sostanza questo anti-PD-L1 ha fatto pochino: nessun rilevante impatto né sulla viremia, né sul virus associato alle cellule; forse qualcosina per migliorare le risposte dei CD8, ma solo in 2 persone delle 6 che hanno assunto il farmaco.

La frase segnata in rosso nella slide qui sotto sembra più una auto-consolazione che una seria ipotesi di lavoro. Ma staremo a vedere (sempre che le tossicità non si rivelino più serie del previsto).

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Re: Anticancro che blocca PD-1 e PD-L1 rinforza sistema immu

Messaggio da Dora » giovedì 25 febbraio 2016, 17:42

Geetha Mylvaganam - PD-1 Blockade as an Adjunct Therapy to ART and Potential to Destabilize SIV Reservoir


Se sugli uomini gli studi lasciano un po' di amaro in bocca, sulle scimmie sembrano invece andare meglio.
Gli scienziati del gruppo di lavoro di Rama Rao Amara, microbiologo e immunologo presso lo Yerkes National Primate Research Center, Emory University, hanno infatti presentato al CROI uno studio in cui hanno testato per 14 giorni un anticorpo anti-PD-1 in alcune scimmie con SIV, iniziando a somministrare l'anti-PD-1 10 giorni prima di cominciare la ART.
Gli animali trattati hanno soppresso la viremia più rapidamente di quelli non trattati (in media 42 giorni vs 140) e hanno sviluppato migliori reazioni anti-SIV dei CD8.

In un altro gruppo di scimmie, prima hanno soppresso la viremia con la ART, poi hanno somministrato l'anti-PD-1 (tre infusioni a un mese di distanza l'una dall'altra). In queste scimmie si sono verificati degli aumenti transitori di viremia nel sangue.

Questo potrebbe significare che, oltre a un miglioramento della funzionalità dei CD8, c'è stata un'azione dell'anti-PD-1 sul reservoir.


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Re: Anticancro che blocca PD-1 e PD-L1 rinforza sistema immu

Messaggio da Dora » giovedì 21 luglio 2016, 16:42

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Dalla presentazione al CROI 2016


MACACHI: UN ANTICORPO ANTI-PD-1 SINERGIZZA CON LA ART PER MIGLIORARE LA FUNZIONALITÀ DEI CD8 E FORSE ANCHE DISTURBARE IL RESERVOIR


Rama Rao Amara e collaboratori di Emory hanno portato a AIDS 2016 un lavoro che sembra la fotocopia di quello portato al CROI: hanno fatto 5 infusioni di anticorpo anti-PD-1 nel corso di 14 giorni a macachi infettati da SIVmac251, poi 10 giorni dopo sono partiti con la ART. Dopo circa 8 mesi di ART, alcuni macachi hanno ricevuto 3 infusioni di anti-PD-1 una volta al mese (con dosaggio più che triplicato rispetto alle infusioni iniziali), altre scimmie invece hanno ricevuto un placebo. 2 settimane dopo la somministrazione dell'ultima dose di anticorpo, tutte le scimmie hanno sospeso la ART.

Bloccare l'espressione della PD-1 durante l'inizio della ART ha migliorato la proliferazione dei CD8 anti-SIV, ne ha aumentato la capacità citotossica e la polifunzionalità. Inoltre, ha permesso di raggiungere più rapidamente la soppressione delle viremie e ha favorito la ricostituzione dei linfociti Th17 nella mucosa rettale. Soprattutto, si è visto che bloccare la PD-1 durante la soppressione della viremia con la ART ha aumentato in modo transitorio, ma significativo, la viremia e questo permette di ipotizzare che qualcosa di destabilizzante sia accaduto nel reservoir latente.
Quando la ART è stata sospesa, gli animali trattati con l'anticorpo hanno avuto una riduzione dell'80% del set point della viremia al rebound rispetto al set point raggiunto prima di iniziare la ART.

Amara e colleghi ne concludono che bloccare l'espressione della PD-1 possa davvero permettere di migliorare la funzionalità dei CD8 e magari anche di infastidire il reservoir. È anche sensato immaginare che qualche anti-PD-1 riesca a lavorare in sinergia con dei vaccini terapeutici e/o delle sostanze anti-latenza.

Per quanto mi appaia un po' strano portare a due congressi importanti consecutivi la medesima ricerca, è una bella notizia in un periodo in cui le belle notizie sul fronte della cura latitano, quindi mi faceva piacere parlarne.
E poi gli anticorpi contro la PD-1 o contro il suo ligando PD-L1 stanno andando benissimo in campo oncologico, speriamo che qualcosa della fortuna che stanno avendo contro il cancro si riverberi anche contro l'HIV. Fra l'altro, c'è un trial clinico in corso in cui si stanno somministrando ipilumab (un anticorpo anti-CTLA-4) e nivolumab (un anticorpo anti-PD-1) a persone con HIV e tumori solidi. Il suo obiettivo principale è ovviamente curare i tumori, ma servirà anche a dare preziose informazioni su variazioni della viremia e di diversi parametri immunitari. Se avrà successo, sarà comunque una conferma che la via aperta dagli studi sulle scimmie potrebbe funzionare anche nell'uomo.



FONTI:



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Re: Anticancro che blocca PD-1 e PD-L1 rinforza sistema immu

Messaggio da Dora » giovedì 27 luglio 2017, 10:37

IAS 2017 - LE TERAPIE ANTI-PD-1 AL FORUM SULLA CURA

Anche se, come abbiamo visto, le sperimentazioni cliniche su anticorpi anti-PD-1 nella ricerca di una cura di HIV non hanno dato risultati particolarmente brillanti, questi farmaci stanno riscuotendo un grande successo in campo oncologico, permettendo di trattare tumori solidi altrimenti refrattari alle chemioterapie.
Poiché il focus del tradizionale seminario dedicato alla cura che precede i congressi annuali della IAS quest'anno era rivolto a mutuare strategie contro HIV dal campo della cura del cancro, riprendo questo thread raccontando qualcosa di 3 abstract sul possibile ruolo terapeutico del blocco dell'asse PD-1 - PD-L1 mediante inibitori del checkpoint immunitario portati al Forum sulla Cura a IAS 2017 (il Journal of Virus Eradication ha già pubblicato 2 files che fungono da Libro degli abstract):

  • - HIV reservoir dynamics and immune responses after anti-PD-1 therapy - presentato da Timothy Henrich
    - PD-1 blockade in 12 HIV-infected patients with lung cancer - presentato da Brigitte Autran
    - Anti-PD-1 disrupts HIV latency in non-proliferating but not in proliferating T cells - presentato da Sharon Lewin


Il secondo studio, quello dell'INSERM, è stato presentato anche durante il congresso: Immunovirological evolution in HIV-infected patients treated with anti-PD1 therapy.


Cominciamo dall'abstract di Timothy Henrich, che ha raccontato delle osservazioni fatte sulla dinamica delle viremie in tre persone che avevano la viremia soppressa dalla ART e hanno ricevuto una terapia anti-PD-1 per curare un concomitante tumore. Uno dei tre, che aveva anche co-infezione con HCV, ha risposto molto bene alla terapia contro il cancro ed è stato analizzato con maggiore profondità rispetto agli altri due.
Due pazienti come anti-PD-1 hanno ricevuto l'anticorpo nivolumab, l'altro è stato invece trattato con pembrolizumab.

Campioni di sangue sono stati raccolti più volte durante il trattamento e analizzati per vedere che cosa l'anti-PD-1 avesse causato al reservoir virale (HIV DNA totale associato alle cellule, HIV RNA unspliced).
Del paziente studiato in modo pià approfondito sono stati misurati anche la viremia con single copy assay, i livelli di anticorpi anti-HIV, il rapporto CD4/CD8, lo stato di attivazione e vari altri marker.

La terapia con anti-PD-1 è stata ben tollerata in tutti e 3 i partecipanti; quello che è stato trattato con pembrolizumab ha sviluppato una dermatite autoimmune, ma è rimasto nello studio.

In generale, i cambiamenti nell'RNA o DNA virale associati ai CD4 sono stati minimi:

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Nel paziente più studiato, la viremia di basso livello e le risposte dei CD8 HIV-specifici sono rimaste inalterate e pure le IgG HIV-specifiche sono rimaste stabili nel tempo.

Conclusioni di Henrich:

  • 1. l'anti-PD-1 al reservoir di HIV non ha fatto neanche il solletico (certo, Henrich lo dice in modo più elegante);
    2. il fatto che l'anti-PD-1 riesca a stimolare risposte immuni contro il cancro non serve a predire che ci saranno delle risposte HIV-specifiche.



Passiamo ora al lavoro presentato da Brigitte Autran.
Anche qui sono state studiate persone con HIV e cancro: erano 12 (10 maschi, 1 femmina e 1 transgender) e 11 avevano un tumore ai polmoni non a piccole cellule, mentre 1 aveva un melanoma - per entrambi questi tipi di tumore gli inibitori del check point immunitario sono diventati lo standard delle terapie di seconda linea.
Questi 12 pazienti sono stati trattati con nibolumab e in uno se ne sono studiati anche gli effetti su HIV.
In 3 la risposta del cancro all'anticorpo anti-PD-1 è stata parziale, 5 sono rimasti stabili, in 4 c'è stata progressione della patologia oncologica.
Al momento di iniziare il nivolumab, tutti avevano HIV RNA nel sangue irrilevabile e in nessuno si è avuto un innalzamento della viremia.
In 5 pazienti su 12 si sono visti un leggero aumento dei CD4 (mediana da 338 a 351 dopo 3 o 4 inieizioni di anticorpo) e diminuzione dei CD8 (mediana da 674 a 525).
In un paziente l'HIV RNA unspliced è rimasto irrilevabile e stabile, mentre i livelli di HIV DNA associati alle cellule sono raddoppiati (da 116 a 213 copie su 1 milione di CD4 a 30 giorni dall'inizio del trattamento).
L'IL-6 è aumentata, ma poi si è rapidamente normalizzata.
L'espressione della PD-1 sui CD4 e sui CD8 è diminuita e ancora dopo 4 mesi è rimasta bassa.
Sono aumentati i CD8 della memoria transitoria.

Conclusione di Autran:

  • il nivolumab è stato ben tollerato ed è riuscito a far proliferare i CD8tm e a far diminuire l'espressione della PD-1, ma non ha avuto impatto né sulla replicazione di HIV, né sul reservoir.



Il terzo lavoro di cui parliamo, quello presentato da Sharon Lewin, è una ricerca in vitro su un modello di latenza.
Si sa che quando si trova la PD-1 espressa sui CD4 delle persone con HIV in terapia è molto probabile che quelle cellule siano infette. L'obiettivo era dunque vedere il contributo della PD-1 (e anche di un altro marker di attivazione, il CTLA-4) sul mantenimento dell'infezione latente in linfociti T proliferanti e non proliferanti.
Senza entrare nei dettagli tecnici, si è visto che è vero che quando i CD4 esprimono alti livelli di PD-1, sia che siano proliferanti, sia che non lo siano, è probabile che siano infetti. E si è visto che se si mettevano queste cellule a contatto con l'anti-PD-1 nivolumab, se le cellule erano in uno stato quiescente, il virus latente cominciava a trascriversi. Invece nelle cellule proliferanti non succedeva niente.

La conclusione di Lewin è in completa controtendenza rispetto a quanto hanno concluso gli altri due lavori che abbiamo visto:

  • l'anti-PD-1 può invertire la latenza di HIV in vitro e da altri studi sappiamo che in vivo aumenta l'RNA virale associato alle cellule e il rapporto fra HIV RNA e HIV DNA nei CD4, ma lo fa solo in cellule che non stanno proliferando. Bisognerebbe sperimentarlo in qualche trial clinico come strategia anti-latenza.



Ovviamente non so chi abbia ragione. Si faranno dei trial e si cercherà ancora di capire se con gli anti-PD-1 è possibile ottenere contro HIV risultati paragonabili a quelli che si stanno vedendo contro diverse forme di cancro.
Quello che però mi viene da notare per l'ennesima volta è che in vitro gli effetti anti-latenza sono sempre molto più incoraggianti di quanto poi si vede in vivo. Forse c'è davvero ancora tanto da lavorare sui modelli di latenza per avvicinarli alla complessità del reale.



Dora
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Re: Anticancro che blocca PD-1 e PD-L1 rinforza sistema immu

Messaggio da Dora » domenica 10 dicembre 2017, 7:18

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NIVOLUMAB, ANTICORPO ANTI-PD-1 CONTRO IL RESERVOIR DI HIV: CHE COSA C'È SOTTO IL VESTITO DELL'HYPE

L'Italia non ne è stata toccata, ma a fine novembre, proprio in tempo per godere della risonanza mediatica del World AIDS Day, si sono sparsi nella rete titoli di giornali come Lung cancer drug may be early clue in hunt for HIV cure (The Independent), Cancer drug offers tantalising hope for HIV cure (The Guardian), HIV breakthrough as cancer drug could hold secret to curing the virus (The Daily Mirror) ...
E il farmaco delle meraviglie era il nivolumab, uno degli anticorpi anti-PD-1 di cui ci occupiamo in questo thread.

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Per chi era rimasto fermo alle deludenti conclusioni emerse dallo IAS l'estate scorsa, una certa sorpresa:

Dora ha scritto:[...]
  • - HIV reservoir dynamics and immune responses after anti-PD-1 therapy - presentato da Timothy Henrich
    - PD-1 blockade in 12 HIV-infected patients with lung cancer - presentato da Brigitte Autran
    - Anti-PD-1 disrupts HIV latency in non-proliferating but not in proliferating T cells - presentato da Sharon Lewin


Il secondo studio, quello dell'INSERM, è stato presentato anche durante il congresso: Immunovirological evolution in HIV-infected patients treated with anti-PD1 therapy. [...]

Passiamo ora al lavoro presentato da Brigitte Autran.
Anche qui sono state studiate persone con HIV e cancro: erano 12 (10 maschi, 1 femmina e 1 transgender) e 11 avevano un tumore ai polmoni non a piccole cellule, mentre 1 aveva un melanoma - per entrambi questi tipi di tumore gli inibitori del check point immunitario sono diventati lo standard delle terapie di seconda linea.
Questi 12 pazienti sono stati trattati con nibolumab e in uno se ne sono studiati anche gli effetti su HIV.
In 3 la risposta del cancro all'anticorpo anti-PD-1 è stata parziale, 5 sono rimasti stabili, in 4 c'è stata progressione della patologia oncologica.
Al momento di iniziare il nivolumab, tutti avevano HIV RNA nel sangue irrilevabile e in nessuno si è avuto un innalzamento della viremia.
In 5 pazienti su 12 si sono visti un leggero aumento dei CD4 (mediana da 338 a 351 dopo 3 o 4 inieizioni di anticorpo) e diminuzione dei CD8 (mediana da 674 a 525).
In un paziente l'HIV RNA unspliced è rimasto irrilevabile e stabile, mentre i livelli di HIV DNA associati alle cellule sono raddoppiati (da 116 a 213 copie su 1 milione di CD4 a 30 giorni dall'inizio del trattamento).
L'IL-6 è aumentata, ma poi si è rapidamente normalizzata.
L'espressione della PD-1 sui CD4 e sui CD8 è diminuita e ancora dopo 4 mesi è rimasta bassa.
Sono aumentati i CD8 della memoria transitoria.

Conclusione di Autran:

  • il nivolumab è stato ben tollerato ed è riuscito a far proliferare i CD8tm e a far diminuire l'espressione della PD-1, ma non ha avuto impatto né sulla replicazione di HIV, né sul reservoir.
[...]
Che cosa è accaduto? È accaduto che il gruppo francese dell'INSERM ha pubblicato sugli Annals of Oncology una breve lettera in cui descrive il caso clinico di un uomo di 51 anni, fumatore, con HIV diagnosticato nel 1995 e tumore ai polmoni, arruolato nella medesima (piccolissima) coorte di cui Brigitte Autran ha riferito allo IAS di Parigi: Drastic decrease of the HIV reservoir in a patient treated with nivolumab for lung cancer.
Il paziente, dopo un fallimento della chemioterapia di prima linea, è stato trattato con 15 iniezioni di nivolumab, una ogni 2 settimane, e alla fine del trattamento, che è stato ben tollerato, non ha causato le reazioni auto-immuni tanto temute quando si usano questi anticorpi, e ha mandato in remissione il tumore, lasciando sostanzialmente inalterato il livello dei CD4 e dei CD8, ha avuto una molto consistente diminuzione dei livelli di HIV DNA: quelli di partenza erano di 369 copie per milione di CD4, quelli di arrivo erano 30 copie per milione di CD4. Significa una riduzione di più del 90%.
È tanto, notevolmente di più delle diminuzioni del DNA virale che si sono misurate nei trial andati meglio con gli HDACi, anche se sicuramente meno delle diminuzioni viste nei Boston Patients.
Ma nel trial sul panobinostat quelle diminuzioni non sono state sufficienti ad assicurare un grande aumento dei tempi di rebound delle viremie quando la ART è stata sospesa, e la delusione per il ritorno delle viremie nei due Boston Patients è ancora ben viva. Non dimentichiamo, poi, che le stime di Siliciano e del suo gruppo di lavoro dicono che la diminuzione dell'HIV DNA deve essere di un radicale 99% se si vuole sperare in una consistente estensione dei tempi di rebound.

Al paziente francese la ART non è stata sospesa, quindi al momento non si può dire nulla dell'efficacia del trattamento con nivolumab sulla riduzione del reservoir latente di HIV.

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A questo dobbiamo aggiungere che lo stesso caso clinico era stato presentato a Parigi in un poster - Immunovirological evolution in HIV-infected patients treated with anti-PD-1 therapy - in cui si raccontava insieme di un altro paziente al quale la somministrazione di nivolumab aveva fatto non già diminuire, bensì un poco aumentare i livelli di DNA virale e di infiammazione (un caso pubblicato anche come lettera su AIDS: Transient HIV-specific T cells increase and inflammation in an HIV-infected patient treated with nivolumab).

Anche trascurando il fatto che per parlare di efficacia di un farmaco servono numeri molto più grandi di pazienti, se teniamo conto dei dati negativi riferiti da Timothy Henrich sempre l'estate scorsa allo IAS, in cui al reservoir dei suoi pazienti il nivolumab non ha fatto un bel niente, c'è ragione di pensare che il caso riferito dai francesi dell'INSERM sia poco indicativo di quel che può accadere trattando con questo anticorpo anti-PD-1 le persone con HIV.

Se ne può concludere che i giornali inglesi abbiano, ancora una volta, dimenticato la lezione del panobinostat e del RIVER trial e siano ricascati nella mania dell'hype, spacciando per possibile cura un farmaco che al momento non ha ancora dimostrato niente.

Nei prossimi giorni, al congresso di Miami sui reservoir, si parlerà di pembrolizumab e saranno riferiti i risultati ad interim sulla sicurezza di questo anti-PD-1 in un trial di fase I su pazienti con HIV e cancro. Non credo arriveranno già dati sui reservoir, ma quello che serve sono studi seri, su un buon numero di pazienti. I casi clinici che sembrano fuori dalla norma restano solo interessanti curiosità.



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