Anticancro che blocca PD-1 e PD-L1 rinforza sistema immune

Ricerca scientifica finalizzata all'eradicazione o al controllo dell'infezione.
Dora
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Re: Anticancro che blocca PD-1 e PD-L1 rinforza sistema immu

Messaggio da Dora » venerdì 22 dicembre 2017, 15:19

Dora ha scritto:Nei prossimi giorni, al congresso di Miami sui reservoir, si parlerà di pembrolizumab e saranno riferiti i risultati ad interim sulla sicurezza di questo anti-PD-1 in un trial di fase I su pazienti con HIV e cancro. Non credo arriveranno già dati sui reservoir, ma quello che serve sono studi seri, su un buon numero di pazienti. I casi clinici che sembrano fuori dalla norma restano solo interessanti curiosità.
VIA LIBERA AGLI ANTI-PD-1 NELLE PERSONE CON HIV E CANCRO?


All'Eighth International Workshop on HIV Persistence during Therapy i ricercatori del National Cancer Institute degli NIH hanno riferito dei risultati provvisori dello studio multicentrico CITN-12 di somministrazione dell'anti-PD-1 pembrolizumab a persone con HIV e cancro in fase avanzata: Interim safety analysis of cancer immunotherapy trials Network – 12 (CITN-12): a Phase 1 study of pembrolizumab in patients with HIV and cancer

I partecipanti, che dovevano essere da almeno 4 settimane in terapia antiretrovirale e avere una viremia sotto le 200 copie, sono stati divisi in tre coorti sulla base del numero dei CD4: 100-199, 200-350 e >350.
Hanno ricevuto 200 mg di pembrolizumab intravena ogni 3 settimane e per un massimo di 2 anni.
L'obiettivo primario era stabilire sicurezza e tollerabilità dell'anticorpo anti-PD-1, valutare le viremie e i livelli dei CD4.
I dati ad interim presentati a Miami sono su 17 pazienti (1 donna e 16 uomini) di età mediana 56 anni (43-77) e con diversi tipi di cancro (3 linfomi, 1 KS, 5 anale, 1 tonsille, 2 polmoni, 1 vescica, 1 fegato, 1 pancreas, 1 colangiocarcinoma).
La sicurezza è stata valutata su più di 100 cicli di trattamento, con una mediana di 4 per persona (1-20). Gli eventi avversi riferibili al farmaco in esame sono stati 82, equamente distribuiti nelle 3 diverse coorti, e per il 93% dei casi sono stati di modesta entità (grado 1 e 2). Dei 10 eventi avversi gravi osservati, 2 sono riferibili al pembrolizumab ed entrambi si sono verificati in una situazione in cui il cancro stava progredendo.
Anche se non si è raggiunta la significatività statistica, la mediana del numero dei CD4 è aumentata nel tempo, mentre la viremia è sempre rimasta soppressa in tutti i pazienti.
In 14 pazienti nei quali l'HIV RNA è stato misurato mediante single copy assay, la viremia mediana di partenza era di 0,8 copie/mL (0,3-9,9) e non è aumentata durante il trattamento.

Le conclusioni dei ricercatori sono state che il profilo di sicurezza del pembrolizumab in questi pazienti con cancro e viremia di HIV soppressa è accettabile e che non ci sono prove che la viremia si sia alzata in 6 settimane di trattamento.
Restano da valutare dei dati molto importanti: se si sia verificata inversione della latenza del virus, se si sia sviluppata un'immunità HIV-specifica e se i reservoir di HIV latenti siano stati in qualche modo perturbati dal trattamento con l'anti-PD-1.

Questi dati sono congruenti con quelli presentati su un'analisi ad interim di 36 pazienti delle stesse coorti di cui si è parlato a Miami a un recente incontro della Society for Immunotherapy of Cancer e pubblicati in un breve report su Cancer Discovery: Anti–PD-1 Therapy OK for Most with HIV.
Qui la conclusione era piuttosto confortante:

  • “HIV-positive patients now live as long as most uninfected people, so it no longer makes sense to continue excluding them from clinical trials when they get cancer,” says Edward Kim, MD, chair of Solid Tumor Oncology at Levine Cancer Institute, Carolinas Healthcare System, in Charlotte, NC. “To date, clinical trials have been so exclusionary that we have very little data on how checkpoint inhibitors work in HIV patients.”
    The interim data supports recommendations made by an American Society of Clinical Oncology working group, led by Uldrick, stating that eligibility for trials should be based on CD4 T-cell counts, as well as any history of AIDS complications and effective treatment with ART. [...]
    “It's become clear that we should not treat HIV patients [with cancer] differently from other cancer patients when it comes to clinical trials,” says Uldrick. “We now need to establish criteria to help us select patients who are healthy enough and would do well in the long run if not for their cancer.” –Janet Colwell


Se per i pazienti con HIV e cancro questa sperimentazione sembra aprire la strada a futuri trattamenti con anti-PD-1 indipendentemente dall'infezione da HIV (e se i dati sugli effetti di questi anticorpi sui reservoir di virus latente sono ancora da vedere), anche per questo tipo di pazienti vale un caveat molto importante sottolineato in un articolo di ricercatori dell'Università di Napoli sul numero del 21 novembre scorso di Circulation - Cardiac Toxicity of Immune Checkpoint Inhibitors: attenzione alle possibili complicanze a livello cardiaco di questi nuovi fantastici anticorpi! La delezione dell'asse PD-1 causata dagli inibitori del checkpoint immunitario può causare l'insorgere molto rapido di miocarditi e cardiomiopatie di origine auto-immune e fare danni gravi. Bisogna pertanto che infettivologi, oncologi e cardiologi lavorino insieme, monitorando i parametri cardiaci con estrema cura.

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Dora
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Re: Anticancro che blocca PD-1 e PD-L1 rinforza sistema immune

Messaggio da Dora » martedì 21 gennaio 2020, 8:19

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ANTI-PD-1 CONTRO IL RESERVOIR DI HIV: una nuova sperimentazione clinica

Il profilo di sicurezza degli anticorpi monoclonali che bloccano l'asse fra PD-1 e il suo ligando PD-L1 sembra abbastanza accettabile per somministrarli a persone con HIV e una concomitante patologia oncologica adatta ad essere trattata con questi farmaci.
Una review sistematica pubblicata un anno fa su JAMA Oncology - Safety and Efficacy of Immune Checkpoint Inhibitor Therapy in Patients With HIV Infection and Advanced-Stage Cancer: A Systematic Review - ha preso in esame tutti gli studi in cui gli inibitori del checkpoint immunitario (ICI - quindi non solo anti-PD-1 e anti-PD-L1, ma anche anti-CTLA-4 e loro eventuali combinazioni) sono stati usati per trattare un cancro in fase avanzata in 73 persone con HIV fino a metà 2018 e ne ha concluso che, nonostante le limitazioni che queste analisi retrospettive portano con sé e nonostante i numeri ancora ridotti su cui si è dovuta basare la revisione, che non consentono di derivare conclusioni definitive, questo tipo di terapia sembra non presentare un rapporto rischi-benefici sfavorevole e quindi per il momento può essere considerata un'opzione accettabile.

Ma si può dire lo stesso quando gli inibitori del checkpoint sono usati per aggredire il reservoir latente di HIV in persone che controllano bene l'infezione con la cART e non hanno nessuna di quelle patologie per cui gli ICI sono indicati? Il rapporto rischi-benefici continua ad essere non sfavorevole? Abbiamo qualche prova di efficacia?

Qui entriamo in un campo minato, perché la teoria ci dice che quanta più PD-1 è espressa sulla superficie dei CD4 e dei CD8, tanto più queste cellule sono stanche, invecchiate, incapaci di svolgere al meglio le loro funzioni di difesa contro i patogeni. E tanto più quindi è facile che l'infezione progredisca pur in presenza di un'efficace terapia antiretrovirale. Sappiamo anche che la presenza stessa di una proteina come PD-1 sulla superficie di una cellula si verifica di preferenza in cellule latentemente infettate da HIV, quindi in cellule che costituiscono il reservoir. Cioè sappiamo che c'è una relazione fra persistenza di HIV ed espressione di PD-1.

Sembra perciò logico che, avendo a disposizione degli anticorpi che bloccano l'espressione di questa proteina, si provi ad usarli per ridurre le dimensioni del reservoir e così, magari in combinazione con farmaci che stimolino la trascrizione del virus latente o di vaccini terapeutici che favoriscano la distruzione delle cellule infette, consentire almeno lunghe sospensioni della cART.
E questo sembra ancora più logico perché molti studi su cellule, sia linee cellulari, sia cellule prelevate a persone in terapia, e anche qualche studio su modelli animali hanno dimostrato che l'inibizione dell'espressione della PD-1, soprattutto se in combinazione con qualche sostanza anti-latenza, sembra agire sul reservoir.
Ma molti altri studi usciti di recente dicono il contrario, dicono che bloccare solo l'asse PD-1 - PD-L1 non basta a far produrre virus dalle cellule latentemente infette di persone in cART.
Se poi passiamo agli studi sui macachi, da un lato abbiamo gruppi di ricerca che parlano di espansione dei linfociti T e riattivazione della produzione virale, ma dall'altro abbiamo Gilead, che ci dice che le hanno provate tutte per far funzionare il blocco della PD-1, compreso somministrare un ICI insieme al loro potente attivatore del Toll-like receptor 7 (TLR7), ma niente, di benefici i loro macachi con infezione da SIV controllata dalla cART non ne hanno visti.

Quando infine arriviamo agli studi sull'uomo, la delusione è cocente: il gruppo di Sharon Lewin ha presentato a Miami a dicembre i risultati dello studio AMC-095, sull'impatto sul reservoir in vivo della terapia con nivolumab (anti-PD-1) da solo o in combinazione con ipilimumab (anti-CTLA-4) in persone con HIV ben controllato e concomitante patologia oncologica. Mentre qualche minimo accenno di variazione nei livelli di HIV RNA associato alle cellule si è visto nelle prime 24 ore in chi aveva ricevuto la combinazione dei due anticorpi, il reservoir di virus capace di replicarsi non è stato neppure sfiorato.
D'altra parte, nonostante qualche primo risultato che pareva incoraggiante e nonostante l'eccitazione con cui sono stati annunciati i risultati preliminari sulla diminuzione del reservoir in UNA PERSONA trattata con nivolumab per curare un cancro al polmone, quei dati sono stati giudicati inconsistenti da parte non di oncologi, ma di esperti di HIV del calibro di Timothy Henrich.

In una situazione che potremmo quindi considerare abbastanza confusa, qualcuno ci riprova.

E questo qualcuno è AbbVie, che ha in sperimentazione sul cancro un proprio anticorpo monoclonale anti-PD-1 - che si chiama ABBV-181 (o anche Budigalimab) - che, legandosi alla proteina PD-1, blocca l'interazione con il suo ligando PD-L1, e intende sperimentarlo anche in persone con HIV.

È stato quindi appena iscritto in ClinicalTrials.gov

A Study to Evaluate the Safety, Pharmacokinetics and Pharmacodynamics of ABBV-181 (Budigalimab) in Adult Participants With HIV-1

uno studio di fase Ib randomizzato, in doppio cieco e con placebo, che prevede di arruolare 50 persone che abbiano un'infezione da HIV ben controllata dalla cART (e solo quella) per valutare sicurezza, farmacocinetica e farmacodinamica dell'anti-PD-1 ABBV-181.
In una prima fase, un gruppo riceverà per infusione Budigalimab, un gruppo riceverà un placebo.
In una seconda fase, a confrontarsi con il placebo saranno diversi dosaggi di anti-PD-1.
Lo studio si svolgerà in diversi centri degli Stati Uniti e dell'Australia e a Porto Rico e si prevede che si concluda a fine 2021.

Nel cancro, il profilo di sicurezza pare abbastanza buono. Si potrà dire la stessa cosa nell'HIV? E soprattutto, una volta stabilito che il rapporto rischi-benefici è non sfavorevole, il budigalimab arriverà dove nivalumab, ipilimumab e altri ICI non sono arrivati?
Per rispondere non basterà un trial di fase Ib, quindi se ne riparlerà fra qualche anno.


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Betulla
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Uscito oggi su Nature Medicine

Messaggio da Betulla » martedì 17 marzo 2020, 8:55




Dora
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Re: Anticancro che blocca PD-1 e PD-L1 rinforza sistema immune

Messaggio da Dora » martedì 17 marzo 2020, 9:00

Betulla ha scritto:
martedì 17 marzo 2020, 8:55
https://www.nature.com/articles/s41591-020-0782-y
Sì, conto di scriverne appena avrò tempo. Non è urgente: è un lavoro su scimmie.

Se non ti spiace, chiederò agli admin di spostare questi post nel thread in cui seguiamo queste ricerche:

Anticancro che blocca PD-1 e PD-L1 rinforza sistema immune



Betulla
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Re: Anticancro che blocca PD-1 e PD-L1 rinforza sistema immune

Messaggio da Betulla » martedì 17 marzo 2020, 10:51

Fai pure Dora, l'ho segnalato perchè ne ha parlato oggi Silvestri.



Dora
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Re: Anticancro che blocca PD-1 e PD-L1 rinforza sistema immune

Messaggio da Dora » martedì 17 marzo 2020, 12:40

Betulla ha scritto:
martedì 17 marzo 2020, 10:51
Fai pure Dora, l'ho segnalato perchè ne ha parlato oggi Silvestri.
Ora ho letto su Facebook.
Io capisco tutto, capisco l'entusiasmo che un ricercatore ha per le ricerche proprie e dei propri allievi, ma credo che - sempre, ma soprattutto in questo momento e soprattutto quando si lavora su modelli animali - la sobrietà sia un valore da tenere come luce nella tempesta e si dovrebbe stare attenti a non parlare a sproposito di uno studio che aumenta le nostre chance di arrivare presto ad un cura per l’AIDS .
In questo studio hanno indotto in macachi la riattivazione del reservoir di SIV utilizzando una combinazione di inibitori del checkpoint immunitario (CTLA-4/PD-1) senza però ottenere nessuna riduzione del reservoir.
La stessa cosa si è già vista sull'uomo, ne abbiamo parlato nell'ultimo post dedicato a queste ricerche e già sapevamo che per arrivare a una remissione di HIV ci vuole qualche intervento più tosto.
Direi che posso tornare a occuparmi di cose più urgenti.



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Re: Anticancro che blocca PD-1 e PD-L1 rinforza sistema immune

Messaggio da Betulla » martedì 17 marzo 2020, 13:17

Sorry Dora, mi avevano entusiasmato le sue parole.
😢



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Re: Anticancro che blocca PD-1 e PD-L1 rinforza sistema immune

Messaggio da Dora » martedì 17 marzo 2020, 14:07

Betulla ha scritto:
martedì 17 marzo 2020, 13:17
Sorry Dora, mi avevano entusiasmato le sue parole.
😢
Ma non sei tu, Betulla, a doverti scusare! Sono gli scienziati che dovrebbero imparare a comunicare nei social. Ma niente, tutti esperti di comunicazione. O tutti irresponsabili, che possono infischarsene di creare illusioni in chi li legge. 😕



Dora
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Re: Anticancro che blocca PD-1 e PD-L1 rinforza sistema immune

Messaggio da Dora » domenica 30 gennaio 2022, 9:00

AGGIORNAMENTI SUGLI ANTICORPI ANTI-PD-1 E ANTI-CTLA-4 IN SPERIMENTAZIONI PER ARRIVARE A UNA CURA DI HIV


Eravamo fermi a un paio d'anni fa, quando Paiardini e colleghi, lavorando su macachi, avevano indotto la riattivazione del reservoir di SIV utilizzando una combinazione di inibitori del checkpoint immunitario (CTLA-4/PD-1) senza però ottenere nessuna riduzione del reservoir e concludendo che il blocco con due anticorpi era senz'altro più efficace del blocco con un solo anti-PD-1 nell'indurre una inversione della latenza virale e una riduzione dei livelli totali del virus integrato nel reservoir, ma che questi interventi non avevano comportato un miglioramento dell'efficacia delle reazioni dei CD8 SIV-specifici e soprattutto non si era visto nessun controllo delle viremie una volta sospesa la cART alle scimmie. Questi risultati - secondo gli autori - suggerivano che "i regimi del blocco del checkpoint immunitario, se effettuati in persone con HIV e stabilmente aviremiche, è improbabile siano in grado di indurre la remissione di HIV in assenza di ulteriori interventi.

La stessa cosa si era già vista sull'uomo e ne avevamo parlato nel gennaio di due anni fa.

Oggi vorrei parlare di due importanti lavori del gruppo di Sharon Lewin a Melbourne, perché uno conferma in una sperimentazione clinica le difficoltà della combinazione di un anti-PD-1 e un anti-CTLA-4 a intervenire nella riduzione del reservoir di HIV, l'altro apre una nuova possibilità molto interessante, che sta già per essere esplorata in un nuovo trial clinico.

La pubblicazione del primo lavoro di Sharon Lewin e tanti colleghi su Clinical Infectious Diseases è avvenuta lo scorso ottobre:

Impact of Anti–PD-1 and Anti–CTLA-4 on the Human Immunodeficiency Virus (HIV) Reservoir in People Living With HIV With Cancer on Antiretroviral Therapy: The AIDS Malignancy Consortium 095 Study.

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Si tratta dei risultati di uno studio fatto all'interno dell'AIDS Malignancy Consortium 095 Study e ricalca il razionale del lavoro fatto da Paiardini sui macachi, ma arruolando persone con HIV ben controllato dalla cART e che avevano anche una patologia oncologica avanzata, adatta ad essere trattata con degli inibitori del checkpoint immunitario.

Dei 40 partecipanti, 33 sono stati trattati con il solo nivolumab (anti PD-1, approvato con nome commerciale Opdivo), mentre 7 sono stati trattati con una combinazione di nivolumab e ipilimumab (anti-CTLA-4, approvato con nome commerciale Yervoy).

La somministrazione è avvenuta per infusione e sono stati raccolti campioni prima del trattamento e nei giorni 1 e 7 dopo la prima e la quarta dose. In questi campioni sono stati indagati sia la viremia plasmatica (HIV RNA), sia i reservoir di HIV (HIV RNA unspliced associato ai CD4 [CA-US HIV RNA], HIV DNA). Mediante QVOA (Quantitative Viral Outgrowth Assay) è stato misurato il reservoir composto da virus capace di replicazione.
Senza andare nei dettagli, mentre la monoterapia con nivolumab non ha scalfitto l'RNA virale associato ai CD4, dopo la prima dose della combinazione di nivolumab e ipilimumab si è potuto misurare un aumento mediano di 1,44 volte di CA-US HIV RNA (a indicazione che un po' di virus latente è stato indotto a risvegliarsi). Non si è vista però, tranne che in due persone trattate con i due anticorpi insieme, nessuna diminuzione nella frequenza delle cellule contenenti HIV capace di replicarsi. In sostanza: se i partecipanti avessero sospeso la cART, il loro virus sarebbe tornato immediatamente rilevabile, perché il reservoir latente è rimasto intatto.
Le conclusioni di questo lavoro sono in linea con quelle di Paiardini: un inibitore del checkpoint da solo non ha avuto alcun effetto né sulla latenza, né sul reservoir. Invece, la combinazione qualcosina forse fa, ma si tratta di un qualcosina assai modesto.

Contrary to other reports, we found no latency reversing effect of nivolumab alone but there was a modest yet significant increase in HIV transcription during combined blockade of PD-1 and CTLA-4. Overall, we detected no change in the frequency of cells containing replication-competent HIV, but in the 2 individuals on combination ICB [immune checkpoint blockade] with samples available to perform QVOA, the frequency of replication-competent HIV decreased dramatically. These data indicate a latency-reversing effect of nivolumab and ipilimumab but no effect with nivolumab monotherapy.
[...] We found a small but statistically significant decrease in HIV DNA across the whole cohort and a decline in the frequency of cells containing replication-competent HIV in individuals receiving anti–PD-1 and anti–CTLA-4. The impact of combination ICB on HIV persistence warrants further
investigation.



Con il secondo lavoro del gruppo di ricerca di Sharon Lewin al Doherty Institute di Melbourne, in collaborazione con il Fred Hutchinson Cancer Research Center di Seattle, abbiamo un colpo di scena.
Pembrolizumab induces HIV latency reversal in people living with HIV and cancer on antiretroviral therapy è appena uscito su Science Translational Medicine e riferisce dei risultati di un'altra sperimentazione clinica, sempre su persone con HIV ben controllato e con un cancro trattabile con inibitori del checkpoint, ma questa volta trattate in monoterapia con pembrolizumab (anti-PD-1, nome commerciale Keytruda) per poter valutare gli effetti di questo anticorpo sulla trascrizione e la persistenza di HIV.

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I 32 partecipanti hanno ricevuto somministrazioni intravena di pembrolizumab ogni 3 settimane e già dopo la prima infusione si è potuto misurare un aumento mediano di 1,3 volte di HIV RNA unspliced associato alle cellule (un'inversione della latenza modesta, ma comunque un'inversione della latenza) e un aumento mediano di 1,6 volte del rapporto tra RNA unspliced e DNA virale nei CD4 del sangue. La diminuzione dell'HIV DNA è stata transitoria, ma ben venga, è proprio quel che vogliamo. Anche la viremia plasmatica è aumentata (di 1,65 volte). Per misurare la frequenza del virus latente inducibile (cioè che può essere spinto a trascriversi) è stato utilizzato un test diverso dal QVOA, il TILDA (tat/rev limiting dilution assay), grazie al quale si è visto che il pembrolizumab è riuscito a stimolare l'inversione della latenza del virus, fortunatamente senza al contempo spingere le cellule latentemente infette a espandersi per via clonale. Il timore è infatti che, data la nota capacità degli anti-PD-1 di causare proliferazione sia dei CD8 sia dei CD4 e dal momento che le cellule del reservoir tendono a esprimere alti livelli di PD-1, ci si trovi ad espandere il reservoir per via clonale invece che diminuirlo distruggendo le cellule latentemente infette; quindi quanto osservato da Lewin e colleghi è una ottima notizia.

La monoterapia con nivolumab, come abbiamo visto, è stata inefficace contro il virus latente. La monoterapia con pembrolizumab, invece, qualche efficacia l'ha avuta e il reservoir è riuscita a infastidirlo.
Con tutte le limitazioni di questo studio, la prima ovviamente che i partecipanti avevano anche il cancro e quindi il loro sistema immunitario potrebbe aver funzionato (o mal funzionato) in modo differente da chi ha infezione da HIV ben controllata e la seconda è il basso numero di persone trattate accompagnato dalla totale assenza di un gruppo di controllo, questi risultati sono incoraggianti.

Un limite molto serio per questo tipo di approccio, che abbiamo già rilevato in diverse occasioni, sono gli effetti avversi degli inibitori del checkpoint - così gravi, talvolta, da poter essere accettabili per persone che devono curare un cancro, ma del tutto inaccettabili per persone che possono continuare a trattare l'HIV con gli antiretrovirali.
Che cosa accadrebbe se si provasse a diminuire il dosaggio di anti-PD-1? I possibili effetti avversi sarebbero limitati, ma continuerebbe ad essere efficace contro il reservoir di HIV?
Ecco perché sta partendo una nuova sperimentazione clinica, questa volta in persone che hanno solo HIV e nessun cancro, persone che non devono avere un elenco molto lungo di possibili altre patologie o alterazioni di tantissimi marker. In sostanza persone in ottima salute e con HIV perfettamente controllato dalla cART:

Low Dose Nivolumab in Adults Living With HIV on Antiretroviral Therapy (NIVO-LD)

Perché il nivolumab, che ha fatto poco contro il reservoir e a basso dosaggio rischia di fare ancor meno, invece del pembrolizumab, che invece sembra aver funzionato meglio? Non ne ho idea, forse soltanto perché i buoni risultati del pembrolizumab sono arrivati solo adesso, o forse per ragioni di tossicità, o altro. Forse un trial clinico su pembrolizumab è in arrivo.
In ogni caso, il trial che sta iniziando adesso ha un'impostazione assai complessa, con diversi step e due coorti, in parte randomizzato in triplo cieco e con placebo, in parte in aperto. Studierà un gran numero di marker del reservoir, ma prevede anche un periodo di sospensione della cART.
Sarà su 42 persone, si svolgerà a Melbourne e si completerà nel gennaio 2024.



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Re: Anticancro che blocca PD-1 e PD-L1 rinforza sistema immune

Messaggio da giovane888 » domenica 30 gennaio 2022, 21:58

Quando lessi questo articolo qualche giorno questo articolo mi venisti subito in mente tu e del fatto che dicesti che una probabile cura funzionale avrebbe avuto qualche tossicità e sarebbe stata abbinata a qualche terapia complessa come quella di Tom Perrault dell'ucf di San Francisco.

Bè qualche piccolo risultato, che comunque è già tanto rispetto a quello che si aveva prima, indica proprio una strada simile a quella descritta da te (e credo da molti altri medici.

Infatti come ad esempio le foto postate da Tom potrebbe (e un super condizionale è d'obbligo) essere avvenuto un parziale controllo della viremia (il tempo dirà se è stato solo lui, se è stato provvisorio e tanti altri se)




Chissà se combinando entrambi le situazioni in base ai risultati dei trial del Pembrolizumab potrebbero insieme consentire un controllo o una remissione. Ovviamente serviranno molti più dati ma anche un prof of concept sarebbe un risultato straordinario. Sarà poi un'altra storia come renderlo fattibile su larga scala, ed ognuno di noi decidere se la tossicità sarà accettabile

Però proprio come dicesti tu, alcuni di questi esperimenti sono i primi a riportare alcuni timidi risultati. Non sò se una combinazione di essi sia fattibile ma sono i primi a riportare dei timidi dati.



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