Re: [STUDI] Sangamo: CD4 e staminali resi CCR5- mediante ZFN
Inviato: venerdì 23 settembre 2011, 12:08
Ieri, quando ho letto il commento ai due lavori di Sangamo che Lafeuillade aveva appena postato nel suo sito (CCR5 Gene Therapy to Cure HIV? Many expectations, few answers), avevo deciso di non parlarne qui, perché mi sembrava che non dicesse molto di più di quel che già sappiamo. Inoltre, mi aveva un po’ infastidito l’impostazione, in cui pare che sia obbligatorio scegliere da che parte stare: o stai con chi persegue l’eradicazione, o stai con chi cerca una cura funzionale. A me pare, infatti, che non ci possiamo proprio permettere di scartare nulla (delle ricerche serie, naturalmente) e che certi aut-aut non abbiano senso, finché il massimo che c’è a disposizione rimane la HAART.
Oggi, però, David Margolis ha scritto un brevissimo commento. E allora vale la pena di parlarne (anche perché io vado in crisi su Margolis: a volte lo detesto, perché mi pare un venduto; altre volte mi piace, perché mi sembra intellettualmente più onesto di altri. Vabbè, time will tell).
Queste le critiche di Lafeuillade:
Anche se questi risultati sono certamente un passo avanti, portano però più domande che certezze.
La definizione di “cura funzionale” comporta:
• viremia irrilevabile in assenza di HAART;
• nessuna progressione della malattia;
• nessuna perdita di CD4;
• impossibilità di trasmettere il virus.
Al momento, soltanto a un paziente nel trial ZFN la viremia è divenuta irrilevabile e il follow-up è stato breve. Non sappiamo assolutamente se ripetere il trattamento più volte consentirà a più pazienti di raggiungere questa situazione, né quale potrebbe essere il tasso complessivo di successo.
Con i dati a nostra disposizione, dire che la terapia genica con le ZFN è la via per una cura funzionale è prematuro.
La persistenza del virus nei pazienti in terapia non è soltanto un problema di persistenza nei CD4, ma è anche un problema di infiammazione persistente, che è una delle ragioni principali dell’invecchiamento precoce, dei tumori, delle complicanze cardiovascolari. Perfino alcuni elite controllers presentano uno stato di infiammazione cronica e sviluppano queste complicanze.
Che cosa possa fare la terapia genica da questo punto di vista, non si sa.
La persistenza dell’HIV coinvolge altri reservoirs oltre ai CD4 [ma perché questo Lafeuillade non lo fa notare a quelli che per eradicare mirano solo a svegliare il virus latente nei CD4, tipo il suo amico Chomont, giusto per non fare nomi???]; quale sia il destino di queste cellule durante la terapia con ZFN resta poco chiaro.
In passato, l’HIV ha sempre dimostrato la capacità di mutare e di trovare dei modi per sfuggire alle risposte immunitarie o alla terapia antiretrovirale. Non sappiamo assolutamente se sarà capace di evolversi verso varianti X4-tropiche sotto la pressione delle cellule modificate con le ZFN.
Come ha sostenuto Sharon Lewin durante lo IAS, “abbiamo bisogno di UNA CURA CHE POSSA ESSERE GRADUATA, DISTRIBUITA A TUTTI E CHE SIA A BUON MERCATO”.
Ovviamente, la terapia genica non risponde a questi requisiti.
Anche senza dire come dice la Lewin, che “la terapia genica è imperfetta da un punto di vista scientifico e ad alto rischio”, rimane certo che è prematuro promettere una cura funzionale basandosi su una manciata di dati, che hanno coinvolto pochi pazienti in una sperimentazione clinica di fase I.
È capitato che in passato inducessimo false speranze nei nostri pazienti avendo solo dei risultati preliminari. La via verso una cura reale dell’HIV, che sia funzionale o eradicante, è difficile: non possiamo spingere i pazienti a pensare che sia proprio dietro l’angolo.
E ora veniamo al commentino di Margolis:
Nel complesso sono d’accordo con te, Alain. Tuttavia, dobbiamo riconoscere che cosa c’è di buono in tutto questo:
1. la sicurezza nel breve periodo. Anche se dovremo vedere se l’avere distrutto il gene che codifica per il CCR5 non danneggia anche altri geni e porta a sviluppare tumori (come è accaduto con altre terapie geniche contro retrovirus);
2. la capacità di modificare un gene umano: questo potrebbe portare benefici nel caso di malattie genetiche, soprattutto in quei casi in cui è sufficiente una riparazione inferiore al 100% per migliorare il fenotipo malato.
Possiamo nutrire speranze:
1. di aumentare la scalabilità della terapia nel tempo (una volta si pensava di non poter portare la HAART in Africa);
2. che queste cellule modificate abbiano una funzione immunitaria e non si esauriscano per espansione ex vivo.
Oggi, però, David Margolis ha scritto un brevissimo commento. E allora vale la pena di parlarne (anche perché io vado in crisi su Margolis: a volte lo detesto, perché mi pare un venduto; altre volte mi piace, perché mi sembra intellettualmente più onesto di altri. Vabbè, time will tell).
Queste le critiche di Lafeuillade:
Anche se questi risultati sono certamente un passo avanti, portano però più domande che certezze.
La definizione di “cura funzionale” comporta:
• viremia irrilevabile in assenza di HAART;
• nessuna progressione della malattia;
• nessuna perdita di CD4;
• impossibilità di trasmettere il virus.
Al momento, soltanto a un paziente nel trial ZFN la viremia è divenuta irrilevabile e il follow-up è stato breve. Non sappiamo assolutamente se ripetere il trattamento più volte consentirà a più pazienti di raggiungere questa situazione, né quale potrebbe essere il tasso complessivo di successo.
Con i dati a nostra disposizione, dire che la terapia genica con le ZFN è la via per una cura funzionale è prematuro.
La persistenza del virus nei pazienti in terapia non è soltanto un problema di persistenza nei CD4, ma è anche un problema di infiammazione persistente, che è una delle ragioni principali dell’invecchiamento precoce, dei tumori, delle complicanze cardiovascolari. Perfino alcuni elite controllers presentano uno stato di infiammazione cronica e sviluppano queste complicanze.
Che cosa possa fare la terapia genica da questo punto di vista, non si sa.
La persistenza dell’HIV coinvolge altri reservoirs oltre ai CD4 [ma perché questo Lafeuillade non lo fa notare a quelli che per eradicare mirano solo a svegliare il virus latente nei CD4, tipo il suo amico Chomont, giusto per non fare nomi???]; quale sia il destino di queste cellule durante la terapia con ZFN resta poco chiaro.
In passato, l’HIV ha sempre dimostrato la capacità di mutare e di trovare dei modi per sfuggire alle risposte immunitarie o alla terapia antiretrovirale. Non sappiamo assolutamente se sarà capace di evolversi verso varianti X4-tropiche sotto la pressione delle cellule modificate con le ZFN.
Come ha sostenuto Sharon Lewin durante lo IAS, “abbiamo bisogno di UNA CURA CHE POSSA ESSERE GRADUATA, DISTRIBUITA A TUTTI E CHE SIA A BUON MERCATO”.
Ovviamente, la terapia genica non risponde a questi requisiti.
Anche senza dire come dice la Lewin, che “la terapia genica è imperfetta da un punto di vista scientifico e ad alto rischio”, rimane certo che è prematuro promettere una cura funzionale basandosi su una manciata di dati, che hanno coinvolto pochi pazienti in una sperimentazione clinica di fase I.
È capitato che in passato inducessimo false speranze nei nostri pazienti avendo solo dei risultati preliminari. La via verso una cura reale dell’HIV, che sia funzionale o eradicante, è difficile: non possiamo spingere i pazienti a pensare che sia proprio dietro l’angolo.
E ora veniamo al commentino di Margolis:
Nel complesso sono d’accordo con te, Alain. Tuttavia, dobbiamo riconoscere che cosa c’è di buono in tutto questo:
1. la sicurezza nel breve periodo. Anche se dovremo vedere se l’avere distrutto il gene che codifica per il CCR5 non danneggia anche altri geni e porta a sviluppare tumori (come è accaduto con altre terapie geniche contro retrovirus);
2. la capacità di modificare un gene umano: questo potrebbe portare benefici nel caso di malattie genetiche, soprattutto in quei casi in cui è sufficiente una riparazione inferiore al 100% per migliorare il fenotipo malato.
Possiamo nutrire speranze:
1. di aumentare la scalabilità della terapia nel tempo (una volta si pensava di non poter portare la HAART in Africa);
2. che queste cellule modificate abbiano una funzione immunitaria e non si esauriscano per espansione ex vivo.