G.MAGA_Il primo libro sul negazionismo dell'AIDS in italiano

Dora
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Re: G.MAGA_Il primo libro sul negazionismo dell'AIDS in ital

Messaggio da Dora » lunedì 30 giugno 2014, 13:56

Dora ha scritto:Il negazionismo e la politica, la magistratura, la stampa – CHE COSA RISCHIAMO IN TERMINI DI SALUTE PUBBLICA?

(...)● La vicenda Stamina ha messo in evidenza degli aspetti profondamente critici nel rapporto fra la scienza, la politica, la magistratura e i mezzi di comunicazione, che se non è sufficiente questo a far riflettere che qualcosa deve cambiare, mi chiedo che cosa mai possa volerci.

La comunità scientifica è sempre stata concentrata sul proprio lavoro e non aveva grandi aperture verso il pubblico. Rispetto ad altri Paesi, in Italia c’è più difficoltà, da parte dei ricercatori, a far conoscere il proprio lavoro e questo poi si paga, perché l’opinione pubblica finisce con il formarsi sulla propaganda di personaggi istrionici.
Secondo me, un caso come Stamina, così come il movimento antivaccinazioni con la sentenza del Tribunale di Rimini che ha condannato il Ministero della Salute a risarcire i genitori di un bambino sostenendo, che era diventato autistico a causa della vaccinazione trivalente, hanno scosso molti scienziati e si sta cercando di collaborare con i giornalisti scientifici per arrivare ad avere una comunicazione più corretta della scienza e della ricerca. (...)

E preoccupa molto il fatto che in tanti settori della pubblica amministrazione e della giustizia le motivazioni scientifiche non siano sovente prese in considerazione. Al di là di sentenze incredibili come quella di condanna dei geologi per il terremoto dell’Aquila, o quella di Rimini che sancisce il legame fra vaccinazione MMR e autismo, la commissione di esperti formata per giudicare il metodo Stamina è stata rifiutata per vizio di forma, perché in tempi non sospetti alcuni scienziati chiamati a farne parte avevano detto che secondo loro il metodo Stamina non stava in piedi. Ma è ovvio che quegli esperti non potevano giudicare altrimenti. Eppure quello è stato usato come motivo per far decadere la commissione. Queste sono le aberrazioni del nostro sistema.
È evidente la differenza con il caso Parenzee in Australia, che racconto anche nel libro: un gruppo di negazionisti si erano proposti come consulenti della difesa e i giudici non li hanno ammessi, semplicemente perché hanno ritenuto non rilevante la loro posizione sulla base della letteratura scientifica.

L’atteggiamento che si ritrova nei tribunali italiani, in cui le ragioni scientifiche spesso non vengono considerate come preminenti e vengono messe sullo stesso piano delle ipotesi pseudoscientifiche è dunque motivo di grande preoccupazione. Non si pretende che un magistrato abbia delle competenze scientifiche. Quello che si pretende è che, di fronte a un argomento che ha una chiara valenza scientifica e in cui la decisione se un atto sia o meno penalmente rilevante dipende da quanta validità scientifica gli si possa attribuire, sia richiesto un parere terzo e di questo si tenga conto. Un magistrato non può decidere solo sulla base del codice.
L'incontro con Giovanni Maga all'inizio di maggio mi ha offerto la possibilità di inquadrare la questione del negazionismo dell'HIV/AIDS nel più ampio campo dell'influenza che le pseudoscienze, la ciarlataneria e lo spirito anti-scientifico esercitano nella nostra società nel suo complesso.
Una lettera che Gilberto Corbellini e Michele De Luca hanno pubblicato ieri sul Domenicale del Sole 24 Ore, ripresa oggi dal sito dell'Associazione Luca Coscioni, tocca il tema caldissimo della pseudoscienza fatta propria dai giudici e dai tribunali.
Finalmente in Italia se ne discute - il primo passo per arrivare a modificare una situazione di gravissimo arbitrio spacciato per legalità
.


Non solo Stamina. Difendersi dalla pseudo scienza

Domenicale Sole 24 ore
30 Giu 2014
Corbellini, De Luca


Siamo allergici all'illogicità e al relativismo, ma non siamo esperti di diritto. Così abbiamo chiesto a parenti, amici o colleghi professionisti in diversi ambiti della giurisprudenza di spiegarci come mai nella vicenda Stamina, a fronte delle stesse leggi e decreti, e sostanzialmente di tesi e documentazioni fotocopie presentate dalle parti per chiedere e opporsi alla somministrazione dello pseudo-trattamento di Vannoni & Co presso gli Spedali Civili di Brescia, due terzi circa dei giudici hanno "prescritto", cioè obbligato gli Spedali Civili a somministrare il trattamento. Mentre un terzo ha giudicato infondate le richieste. Abbiamo anche chiesto come sia possibile che dei tribunali italiani ammettano l'esistenza di relazioni di causalità tra la somministrazione del vaccino trivalente e l'insorgenza di disturbi autistici, dando credito a perizie fantasiose e pseudoscientifiche. Abbiamo ricevuto risposte vaghe e quasi tutte insoddisfacenti. Sarà anche vero, come sostengono alcuni giuristi, che nella vicenda Stamina sarebbe bastata una legge che evitasse la disapplicazione dell'ordinanza amministrativa AIFA che nel maggio 2012 bloccava l'attività Stamina negli Spedali Civili, per evitare questi problemi. Certo, qualche dispositivo normativo servirebbe per tutelare l'ingente, costoso e qualificato lavoro che AIFA svolge per vigilare sulla sicurezza e l'efficacia dei farmaci pagati con le nostre tasse. Ovvero sarebbe saggio prevenire il rischio che un qualsiasi giudice, senza motivazioni di natura tecnica (o penale) ma solo formali, possa vanificare decisioni ponderate e giustificate da perizie di qualità e attendibilità superiore. Pensiamo tuttavia che diversi illogici pronunciamenti di tribunali su materie, dove le prove in discussione avevano una natura scientifica o tecnica, sollevi una più generale questione sullo stato dei rapporti tra diritto e scienza. Quantomeno in Italia. Riteniamo cioè urgente una riflessione sulla necessità di ridurre i margini di arbitrarietà dei giudizi dei tribunali su tali materie. Onde evitare che un giudice dell'ormai famoso Tar del Lazio possa, come ha fatto, disapplicare il decreto con cui il Ministero aveva nominato la Commissione scientifica che valutava il trattamento Stamina, perché alcuni degli scienziati arruolati si erano già pronunciati contro. Ovvero che un altro possa, come ha fatto, addirittura nominare il vice presidente della Fondazione Stamina commissario ad acta degli Spedali Civili di Brescia per assicurarsi che il trattamento sia garantito a un bambino. Per contro sarebbe salutare favorire decisioni come quella, in linea con la logica e con i fatti, del giudice di Torino che ha respinto la richiesta di proseguire un trattamento Stamina perché mancava di qualunque presupposto di sicurezza ed efficacia scientificamente accertate. In sostanza, è ritenuto normale che giudici diversi possano decidere sui medesimi fatti producendo sentenze così divergenti? Se qualcuno pensa di sì, vuol dire che prevale un'idea singolare del diritto, radicalmente formalistica e relativista. Che a noi pare più neotribale, che civile. Ci sono due questioni sulle quali abbiamo ragionato. Mentre è stato chiarito dagli storici che il diritto e la scienza, così come si sono sviluppati nell'età moderna, hanno condiviso la fiducia in un metodo comune per accertare i fatti, cioè quello scientifico, troviamo singolare che in maniera quasi sistematica i filosofi del diritto, e quindi l'atteggiamento dei giudici siano diventati abbastanza diffusamente antiscientifici. E questo nonostante la scienza stia dimostrando al meglio la sua efficacia e le sue potenzialità anche educative, cioè come formazione alla costruzione e al rispetto di regole razionali costruite su fatti accertati e accertabili. Inoltre, pensiamo che vi siano l'esigenza e le condizioni per avviare in Italia una riflessione del tipo, per esempio, di quella promossa cinque anni fa nel Regno Unito, dove la Commissione Giustizia produsse un'ampia consultazione e uno studio per regolamentare, secondo criteri di affidabilità o attendibilità (reliability), l'ammissibilità di esperti portatori di prove scientifiche nei processi penali. Anche se la commissione britannica affrontava solo il versante penale, l'origine della questione risiedeva, come dovrebbe essere noto, nell'impatto che ebbe l'introduzione dei criteri Daubert da parte della Corte Suprema degli Stati Uniti nel 1993, per evitare che venisse troppo spesso usata della pseudoscienza o "junk science" nei tribunali di quel Paese. Lo standard Daubert prevede che il giudice accerti che il metodo usato dall'esperto ammesso al dibattimento, sia scientifico. Ovvero il giudice è vincolato a prescindere dalla notorietà, coinvolgimento, simpatia o pertinenza dell'esperto sul piano di sue dichiarazioni o prese di posizione in materia. Ovvero, deve accertare se la conoscenza scientifica che egli apporta è attendibile. Attendibilità che viene stabilita sulla base della presenza di fattori che coincidono con il metodo falsificazionista proprio della scienza sperimentale. Quindi la teoria o tecnica ammessa deve essere controllabile e falsificabile; deve essere visibile e quindi pubblicata su riviste con sistema di referaggio dei pari (peer review); deve essere definito un tasso di errore; devono esserci standard e controlli per la tecnica costantemente aggiornati; infine, la teoria e la tecnica deve essere generalmente accettata dalla comunità scientifica di riferimento. In Italia questi criteri sono stati discussi e usati nella sentenza della Cassazione nota come "sentenza Cozzini" (Quarta Sezione della Cassazione, 17 settembre 2010, n. 43786) che faceva riferimento allo standard Daubert per chiarire l'uso delle categorie di causalità e causalità della colpa relativamente alla relazione tra l'insorgenza di un tumore e l'esposizione all'amianto. Ma l'analisi epistemologicamente corretta della sentenza Cozzini è stata messa in discussione da una sentenza più recente, sempre della Quarta Sezione della Cassazione, cioè la sentenza sul "caso Fincantieri" (27 agosto 2012, n. 33314 Senza entrare nel merito, rimane il fatto che per alcune questioni meno complicate di quelle relative all'eziopatogenesi del cancro lo standard Daubert spazzerebbe via ogni possibile inganno. Infatti, nessuno degli esperti usati da coloro che hanno chiesto al giudice di disapplicare l'ordinanza ALFA possono essere considerati tali, e tantomeno portatori di un metodo scientifico nella presentazione della prova scientifica. Lo stesso vale per i presunti esperti che sostengono esservi una correlazione tra vaccino trivalente e autismo. E diversi altri esempi si potrebbero fare. Il problema sollevato meriterebbe una riflessione, nel contesto di un dibattito sulle riforme istituzionali, che riguarderanno presto anche la giustizia, che dovrebbe essere ispirato all'uso di metodi e competenze attendibili e controllabili, se si vuole rigenerare la fiducia nel sistema democratico. In questo processo, gli strumenti della scienza andrebbero considerati come delle risorse, quali, in effetti, sono da secoli, per rafforzare i valori della convivenza civile e quindi le libertà. E non come minacce.



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Re: G.MAGA_Il primo libro sul negazionismo dell'AIDS in ital

Messaggio da uffa2 » lunedì 30 giugno 2014, 17:24

Alla fine, è incredibile come un gran numero di problemi di una società complessa si riferisca a una manciata di principi fondamentali.

Già quarant’anni fa, in “Leggi scientifiche e spiegazione causale” veniva affrontato e discusso uno dei problemi di fondo, e cioè se il principio fondamentale del libero convincimento del giudice significasse che il giudice era libero di convincersi “di quel che voleva” e che le sue convinzioni avessero titolo solo per questo per diventare diritto (“le cose stanno così perché io – che sono il Giudice- mi sono convinto in questo senso”), oppure se questo libero convincimento dovesse sottostare alle leggi della scienza ed essere spiegabile attraverso quelle leggi.

Quarant’anni fa si dimostrava che solo mediante la copertura offerta da una legge scientifica, atta a spiegare il rapporto fra condotta ed evento, era possibile formulare un giudizio di responsabilità, dettando così un principio di portata generale, che significava che il “libero convincimento” era la libertà di non piegarsi a un’auctoritas, ma che il Giudice aveva il dovere di motivare razionalmente questo convincimento, e che solo le leggi scientifiche, universali o quantomeno a elevato grado di probabilità statistica, potevano dimostrare che il Giudice s’era convinto “liberamente” e non sulla base dei propri pregiudizi.
Dopo quarant’anni tutto, ancora, inizia e finisce lì: “le mie convinzioni sono mie o rispondono alle acquisizioni della Scienza?”, “i consulenti, i testimoni, le parti stesse stanno sostenendo un punto di vista personale oppure espongono dati che sono stati già esposti al giudizio di falsificazione?”, “i fatti affermati poggiano sull’esperienza, sono verificabili, confermabili?”.
Sciaguratamente, tra il delirio di onnipotenza di certa magistratura e il rifiuto della realtà a cui molti si aggrappano, i venditori di olio di serpente trovano molto spazio.


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Re: G.MAGA_Il primo libro sul negazionismo dell'AIDS in ital

Messaggio da Dora » lunedì 30 giugno 2014, 17:36

uffa2 ha scritto:Sciaguratamente, tra il delirio di onnipotenza di certa magistratura e il rifiuto della realtà a cui molti si aggrappano, i venditori di olio di serpente trovano molto spazio.
Fortunatamente non tutti i giudici sono in preda a delirio di onnipotenza. Proprio una decina di giorni fa, intervistato da Galileo in un articolo non a caso intitolato Stamina, la magistratura non può sostituire la scienza, il giudice Amedeo Santosuosso diceva:
  • "È importante che i magistrati capiscano che non ci si può sostituire alla scienza, nemmeno impugnando l’articolo 32 della Costituzione. Perché il diritto alla salute non si tutela con provvedimenti avventurosi, ma scrutinando le ragioni scientifiche. Il giudice deve, sì, rimanere indipendente e non prendere ordini per decidere le cause, ma non può farlo senza tener conto della conoscenza scientifica disponibile. Per questo vanno incrementate sempre di più le occasioni di incontri e riflessioni. Perché ogni magistrato impari i criteri per orientarsi, ragionare e decidere, senza essere indipendenti dalla razionalità scientifica".


Da quelle sagge parole potrebbero partire, i giudici convinti di sapere tutto, per ricollegarsi con la realtà.



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Re: G.MAGA_Il primo libro sul negazionismo dell'AIDS in ital

Messaggio da uffa2 » lunedì 30 giugno 2014, 18:05

Direi che il dottor Santosuosso ha letto “Leggi scientifiche e spiegazione causale” e, soprattutto, l'ha capito: c'è speranza per la Giustizia di questo Paese.


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Re: G.MAGA_Il primo libro sul negazionismo dell'AIDS in ital

Messaggio da raven » martedì 1 luglio 2014, 8:53

bello e interessante questo 3d. grazie ;)



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Re: G.MAGA_Il primo libro sul negazionismo dell'AIDS in ital

Messaggio da Dora » martedì 1 luglio 2014, 11:18

raven ha scritto:bello e interessante questo 3d. grazie ;)
Grazie a te, Raven. Immagine

Uffa, in qualità di mio esperto personale di giurisprudenza, vorrei che ti studiassi il Daubert standard, che Corbellini e De Luca invocano anche per l'Italia e mi spiegassi come sia possibile che personaggi dell'infimo calibro di David Rasnick, Nancy Banks e Rodney Richards, universalmente noti per essere dei negazionisti dell'HIV/AIDS e per non sapere una cippa di test HIV etc., abbiano potuto essere usati come "esperti della difesa" in alcuni dei processi in cui l'OMSJ di Clark Baker si proponeva di far scagionare delle persone accusate di avere trasmesso l'HIV a partner sessuali sulla base della fantasiosa affermazione che ... non potevano avere trasmesso un virus che non avevano, perché questo virus non esiste.
I processi si sono sempre risolti contro l'OMSJ e i suoi sventurati clienti, che avrebbero meritato una difesa competente ed appropriata. Ma Rasnick, Banks e Richards sono stati ammessi dai tribunali come esperti e solo in un secondo momento sbugiardati.

La mia preoccupazione è che, con la gelosa difesa che i giudici italiani fanno delle loro prerogative, ben al di là del comune buon senso, possiamo trovarci con qualche yoghurtaro accettato in tribunale come "esperto" - di HIV/AIDS, cancro, fatica cronica, autismo e chissà che altro - in barba a qualsiasi utilizzo del Daubert standard. E che si arrivi comunque a sentenze che incorporano spazzatura antiscientifica solo perché un simile "esperto" non viene smascherato in tempo.

Sono troppo ansiosa?



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Re: G.MAGA_Il primo libro sul negazionismo dell'AIDS in ital

Messaggio da uffa2 » martedì 1 luglio 2014, 11:33

no, è un rischio concreto: i consulenti sono di parte (tranne quello d'ufficio), e quindi ognuno è libero di scegliersi il supercazzolaro che preferisce, l'ammissione dei testimoni è fatta dal singolo giudice, il quale è molto libero...


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Re: G.MAGA_Il primo libro sul negazionismo dell'AIDS in ital

Messaggio da Dora » giovedì 28 aprile 2016, 9:06

Dora ha scritto:Giovanni Maga fa delle gran belle ricerche, molto interessanti, e mi è dispiaciuto non poco non poterne parlare a lungo durante il nostro incontro.
Magari avrà voglia in futuro di dedicarci altro tempo e potremo raccontarne qualcosa.
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INIBITORI DELLA DDX3: UNA CLASSE DI FARMACI ANTIVIRALI AD AMPIO SPETTRO


Sono passati due anni ed è finalmente giunto il momento di parlare di una grande ricerca di Giovanni Maga.

È infatti appena stato pubblicato sui Proceedings of the National Academy of Sciences uno studio - Human DDX3 protein is a valuable target to develop broad spectrum antiviral agents - basato sulla cooperazione fra Dipartimento di Biotecnologie, chimica e farmacia dell'Università di Siena (Prof. Maurizio Botta) e Istituto di Genetica Molecolare del CNR di Pavia (Prof. Giovanni Maga), che annuncia una sorta di rivoluzione copernicana: l'utilizzo di molecole che, invece di attaccare proteine virali, inibiscono una proteina umana che permette ai virus - non al solo HIV-1, ma a molti virus diversi - di infettare le cellule e replicarsi.

La RNA elicasi DDX3 è un enzima cellulare prodotto dal nostro organismo che fa parte di una ampia famiglia di proteine implicate in diversi processi cellulari, che riguardano l’alterazione di strutture secondarie dell’RNA e che si pensa siano coinvolte nell’embriogenesi, nella spermatogenesi e nella crescita e divisione delle cellule. Poiché si è visto che alti livelli di espressione di DDX3 sono associata a diversi tipi di cancro, se ne sta studiando l’inibizione anche in campo oncologico.

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Il lavoro di Maga e colleghi pubblicato ora su PNAS descrive le attività antivirali di una serie di composti disegnati in modo da inibire questa specifica proteina e in questo modo impedire la replicazione dei molti diversi virus che la utilizzano per infettare le cellule. È la prima volta che si ha una classe di antivirali così ad ampio spettro, capaci di bloccare virus che vanno dall’HIV-1 all’HCV, al CMV, al virus che causa la Dengue, a virus della stessa famiglia cui appartiene Zika.

In particolare, uno di questi composti – il 16d – si è dimostrato attivo contro ceppi di HIV-1 che presentano delle mutazioni che li rendono resistenti ai comuni antiretrovirali e questo permette di ipotizzare che gli inibitori della DDX3 possano essere utili nel trattamento delle persone con coinfezione HIV/HCV e delle persone che ospitano virus resistenti – oltre che per trattare infezioni virali emergenti, contro le quali non esistono farmaci specifici.

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Sì è inoltre visto che questo composto riesce a distribuirsi bene in diversi comparti dell'organismo, raggiungendo le più alte concentrazioni nel tessuto adiposo, ma arrivando bene anche ai testicoli, ai reni, al fegato e al cervello.

Quando è stato valutato in vivo nei ratti, non si sono osservati eventi avversi e il profilo di tossicità si è dimostrato buono: i parametri biochimici, infatti, sono rimasti inalterati rispetto al gruppo di controllo e l’analisi istopatologica del fegato, dei reni, del cervello non ha presentato anomalie, permettendo agli autori di affermare che “si è visto che 16d ha un’eccellente biocompatibilità e i ratti Wistar hanno mostrato una buona tolleranza alla dose di 20 mg/kg”.

La conclusione del lavoro è molto sobria: “Questo risultato rappresenta un passo avanti nella lotta contro le malattie infettive e apre un nuovo scenario nel processo di sviluppo dei farmaci”.

Per sapere qualcosa di più di questa ricerca, ho rivolto qualche domanda a Giovanni Maga.




  • Ribaltare la prospettiva e affrontare qualcosa da un punto di vista diametralmente opposto – spesso le rivoluzioni nella scienza nascono così. Come vi è nata l’idea di attaccare una proteina umana invece che una virale?

    La storia di questa ricerca nasce dal nostro lavoro ormai ventennale, sulle resistenze farmacologiche del virus HIV. Da sempre siamo impegnati, il Prof. Botta e io, nello sviluppare molecole in grado di superare la barriera delle resistenze, ovvero di quei virus mutati che non sono più' suscettibili ai farmaci. Era chiaro, tuttavia, che sarebbe stato sempre un rincorrere il virus, cioè un cercare di superare un ostacolo quando questo si presentava, dato che HIV e i virus in genere, mutano sempre in risposta all'aggressione da parte di nuovi farmaci. Di qui l'idea, non solo nostra ma che si faceva strada nella comunità scientifica in quegli anni, parliamo della metà degli anni 2000, di cercare di modulare farmacologicamente il metabolismo della cellula, in modo da renderla un ambiente inospitale per i virus. I virus infatti sono parassiti obbligati delle cellule e sono costretti a utilizzarne il metabolismo per potersi riprodurre. Basti pensare che HIV modifica l'espressione e la funzione di oltre 1000 geni della cellula per potersi replicare. Esistono quindi proteine cellulari che sono essenziali ai virus. La sfida era trovarne una che, oltre che importante per i virus, non fosse essenziale per la cellula non infetta.


    Perché proprio la elicasi DDX3? Qual è la sua funzione nella fisiologia normale? E i virus in che modo e a che scopo la utilizzano?

    Nel 2004 un gruppo di ricercatori americani dimostrò che questo enzima cellulare, DDX3 appunto, era importante per la replicazione di HIV. Allora non si sapeva quasi nulla delle funzioni di questa proteina. Si sapeva che era una RNA elicasi, cioè un enzima in grado di aprire una doppia elica di RNA. Dato che noi stavamo lavorando in quegli anni su di un enzima simile, la elicasi NS3 del virus dell'epatite C, avevamo a disposizione il know-how per poter cercare di sviluppare degli inibitori. Sfortunatamente non esistevano molecole note in grado di inibire DDX3, o una delle elicasi a lei somiglianti. Così abbiamo dovuto inventarcene di nuovi. Qui il contributo del gruppo del Prof. Botta dell'Università di Siena è stato fondamentale. Da chimici farmaceutici, loro hanno costruito da zero una molecola chimica "su misura", basandosi cioè sulla struttura tridimensionale dell'enzima, che era stata appena risolta. Noi abbiamo clonato ed espresso l'enzima umano e poi dimostrato che queste molecole inibivano DDX3 e bloccavano la replicazione di HIV, senza danneggiare le cellule sane. Questi dati sono stati pubblicati nel 2008. Da lì, grazie anche al supporto della Fondazione Franca Rame e Dario Fo, che hanno finanziato una mia ricercatrice per tre anni, insieme a Botta abbiamo cercato di sviluppare molecole sempre più attive. Più volte abbiamo dovuto cambiare strada, inventare nuove strategie, costruire nuovi modelli. Alla fine, dopo anni di lavoro, abbiamo avuto in mano degli agenti molto selettivi e molto potenti, con cui finalmente investigare fino in fondo la possibilità di usare DDX3 come bersaglio per la terapia. Intanto, forse anche stimolati dal nostro lavoro del 2008, altri ricercatori trovavano che DDX3 era importante per la replicazione di altri virus. Oggi sappiamo che DDX3 svolge molti ruoli nel regolare l'espressione dei geni cellulari. Tuttavia, le cellule hanno almeno altre 50 proteine della stessa famiglia, che possono svolgere la stessa funzione. Per questo inibendola non si danneggia la cellula. I virus, invece, utilizzano in maniera specifica DDX3 per favorire l'espressione dei loro geni. Per questo inibendola, possiamo bloccare la loro replicazione.


    I virus che utilizzano questa proteina – HIV-1, HCV, CMV, Dengue Virus, West Nile Virus, Vaccinia Virus, Norovirus - sembrano molto diversi fra loro, alcuni sono virus a DNA, altri a RNA. In che senso li accomuna l’uso della DDX3?

    DDX3 è quello che potremmo definire un "nodo" della rete metabolica. Un po' come un hub di una rete informatica. L'informazione genetica, contenuta nel DNA, viene ricopiata in RNA, che funziona da stampo per la produzione delle proteine. Molti di questi RNA "passano" dal nodo DDX3, nel senso che questo enzima ne facilita il trasporto all'interno della cellula e anche la traduzione in proteine. Dato che questi meccanismi operano sia per i virus a DNA che RNA, non stupisce che virus molto diversi abbiano evoluto la capacità di sfruttare questo "hub cellulare" comune per facilitare l'espressione dei loro geni. Nel nostro studio su PNAS infatti dimostriamo che "spegnendo l'hub", cioè inibendo DDX3, blocchiamo la replicazione di molti virus diversi (HIV, HCV, Dengue, West Nile…e ne stiamo investigando altri per cui la lista potrebbe allungarsi).


    Se si inibisce farmacologicamente la DDX3, che cosa succede ai virus?

    Inibire la proteina DDX3 non impedisce al virus di entrare in una cellula, tuttavia ne blocca la riproduzione. In altre parole, il virus rimane intrappolato all'interno della cellula infetta, senza riuscire a produrre nuove particelle virali e quindi muore quando la cellula infetta viene distrutta dal sistema immunitario. Quindi questi farmaci possono impedire che l'infezione si propaghi. Dal punto di vista del virus, l'effetto è analogo a quello degli antivirali classici, che bloccano anch'essi la riproduzione virale. La differenza, importante, è che qui il bersaglio è una proteina cellulare. Nel nostro lavoro, noi dimostriamo che inibendo DDX3 possiamo bloccare la replicazione dei virus HIV mutanti resistenti a tutte le classi di farmaci oggi in uso. Infatti tutti dipendono da DDX3. Anche questo è un vantaggio.


    Quali danni può causare all’organismo trovarsi con una proteina umana che non svolge la sua funzione? Dalla ricerca preliminare sui ratti di cui avete parlato nell’articolo, sembra che di effetti negativi non se ne siano visti - ci si può attendere che inibire in vivo la DDX3 negli esseri umani non comporti rischi per i nostri normali processi fisiologici?

    Ad oggi, non sono stati riscontrati, da noi né da altri, effetti negativi su cellule umane in coltura quando DDX3 viene soppressa. Per lo meno nei tempi normalmente utilizzati in questi esperimenti in vitro, che sono di alcuni giorni. Anzi, alcuni gruppi di ricerca hanno notato che DDX3 è espressa in maniera anomala in molti tumori e che inibendola nelle cellule tumorali si ottiene un beneficio. Nel 2015 scienziati Americani e Olandesi hanno iniziato a studiare un inibitore di DDX3 come possibile chemioterapico per il tumore al polmone. Insomma, si tratta di una proteina dalle molte sfaccettature. Sapere quali saranno gli effetti in vivo, richiede però ancora una lunga sperimentazione prima in modelli animali e poi, se tutto andrà bene, sull'uomo. Anche perché per passare alla fase clinica è necessario l'intervento di investimenti del settore privato, dato che i costi sono troppo alti per essere sostenuti dalla ricerca pubblica. Inoltre ci vorrà anche una maggiore comprensione dei ruoli di DDX3 nelle cellule umane, una ricerca che stiamo portando avanti anche noi.


    Per quanto tempo si può prevedibilmente inibire la DDX3? Fra gli esempi di farmaci che attaccano proteine umane e non virali, nell’articolo avete citato l’Alisporivir, ora in fase III per trattare l’HCV, che prevede un utilizzo a tempo determinato. Sarebbe possibile andare avanti a tempo indeterminato a bloccare la DDX3, un po’ come si fa con il Maraviroc per inibire il CCR5?

    La risposta a questa domanda, purtroppo, si avrà solo quando (e se) si completeranno gli studi in vivo. Tuttavia esiste già un vantaggio direi unico nell'utilizzare DDX3 come antivirale che ne consente, almeno in teoria, un uso prolungato. Come tutte le proteine cellulari, DDX3 muta molto raramente e lentamente. Per cui non ci si attende che si possa sviluppare una resistenza ai farmaci. Ma se anche dovesse accadere, la cellula in cui DDX3 mutata non venisse più inibita, comunque sarebbe infettata e morirebbe rapidamente. In questo modo, il gene mutato non sarebbe in ogni caso trasmesso ad una progenie di cellule mutanti. Quando un virus muta e diventa resistente, invece, i suoi geni sono passati alle nuove particelle virali che continuano l'infezione anche in presenza del farmaco.


    Nell’articolo avete presentato uno studio approfondito sul composto 16d, il più efficace fra quelli che avete testato. Ma avete anche sottolineato il fatto che gli inibitori che avete considerato finora sono solo i capostipiti della nuova classe di farmaci. State già lavorando a sintetizzarne altri?

    Il composto 16d è un prototipo, anche se molto avanzato. Noi stiamo attualmente lavorando a migliorarne le caratteristiche farmacologiche, ma abbiamo anche in sviluppo una famiglia di molecole completamente nuove, che colpiscono l'enzima in un diverso sito di legame. Se riusciremo a portare anche queste molecole ad un livello paragonabile a 16d, si aprirebbe la possibilità di una terapia combinata, un po' come succede con gli inibitori nucleosidici e non-nucleosidici della RT di HIV, che hanno lo stesso bersaglio ma modi di interazione diversi e quindi possono essere usati in sinergia.

    Quali sono le prospettive della vostra ricerca? Che cosa farete adesso?

    Lavoreremo su due fronti: 1) migliorare i composti esistenti e idearne di nuovi, proseguendo la loro caratterizzazione come inibitori ad ampio spettro (quindi provandoli su altri virus) e continuando le prove farmacologiche sul metabolismo, essenziali per poter decidere se un giorno saranno dei veri farmaci; 2) approfondire lo studio dei ruoli di DDX3 nella cellula, per poter prevenire eventuali effetti indesiderati, ma anche per verificare se effettivamente DDX3 ha un ruolo nella trasformazione tumorale. Molte infezioni virali sono legate a doppio filo con lo sviluppo di tumori, basti pensare al carcinoma epatico da HCV. Sarebbe bello se con una molecola si potesse eliminare il virus e anche prevenire l'insorgenza dei tumori. Oggi è quasi fantascienza, ma domani…chissà. Come diceva Martin Luther King: "I have a dream".




Grazie!



rospino
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G.MAGA_Il primo libro sul negazionismo dell'AIDS in italiano

Messaggio da rospino » giovedì 28 aprile 2016, 9:19

Grazie davvero a Giovanni Maga!

EDIT: Come giustamente Georg ricordava, grazie anche a Dora (il cui lavoro è per noi prezioso e per il quale è doveroso ogni tanto ringraziarla)
Ultima modifica di rospino il giovedì 28 aprile 2016, 10:32, modificato 1 volta in totale.


 
La verità non esiste e la vita come la immaginiamo di solito è una rete arbitraria e artificiale di illusioni da cui ci lasciamo circondare.

georg.frideric
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Re: G.MAGA_Il primo libro sul negazionismo dell'AIDS in ital

Messaggio da georg.frideric » giovedì 28 aprile 2016, 10:15

Mi unisco al ringraziamento, non solo al prof. Maga ma anche a Dora!



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