HIV e AIDS. Lo stato della normativa e della giurisprudenza

La condizione di sieropositività, la malattia da HIV e relativi problemi, di salute e no.
Soul78
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HIV e AIDS. Lo stato della normativa e della giurisprudenza

Messaggio da Soul78 » martedì 17 aprile 2018, 6:40

Cit.: https://avvertenze.aduc.it/osservatorio ... _26888.php


É quasi giunto al termine il processo di primo grado dinnanzi alla Corte di Assise che vede imputato Valentino Talluto, accusato di avere contagiato numerose persone con l'HIV.
Gli addebiti sono gravissimi e vanno dalle lesioni volontarie al reato di epidemia, punito con l'ergastolo.
La tematica appare di particolare interesse, stante l'assenza di una normativa che regolamenti gli specifici doveri di una persona HIV positiva e, più in generale, del portatore di una malattia sessualmente trasmissibile.
In relazione al virus HIV lo stato dell'arte in Italia sembra essere, quanto meno dal punto di vista della sanità, sufficientemente avanzato.
La normativa di settore impone che il test per individuare l'HIV sia eseguito a richiesta dell'interessato e in forma anonima, oltre che gratuita.
Le ragioni di tale previsione vanno oltre alla mera tutela della privacy del soggetto contagiato e paiono indispensabili per favorire l'accesso alle analisi da parte di soggetti che abbiano tenuto comportamenti a rischio: mirano, dunque, alla massima diffusione del test.
Viene pertanto favorito un monitoraggio del fenomeno su scala nazionale: l'analisi dei dati che ne deriva non è meramente statistica, ma è finalizzata anche ad eventuali interventi di prevenzione.
In particolare, dal 2008, il contagio da HIV (e non più i soli casi di AIDS conclamata) è stato inserito fra le malattie infettive oggetto di comunicazione obbligatoria da parte del personale medico al Ministero della Sanità: la gestione di tali dati viene effettuata in modo anonimo.
Le raccomandazioni per il personale sanitario (previste dal Decreto Ministeriale del 31.3.2008) prevedono che al soggetto che si sottopone alle analisi venga assicurato un corretto approccio di counselling sia in caso di test negativo, sia in caso di test positivo.
Nel primo caso saranno consigliabili, ad esempio, spiegazioni sia in ordine ai comportamenti a rischio ed alle precauzioni da tenere, sia in ordine al c.d. periodo finestra (periodo durante il quale il test risulterà negativo anche in caso di contagio avvenuto).
Nel secondo caso l'assistenza dovrà certamente essere più pregnante e dovrà essere l'occasione per avvicinare i pazienti ai Centri Specializzati e quindi alla cura dell'infezione.
Per quanto riguarda poi i comportamenti che il soggetto consapevole di aver contratto il virus deve tenere, si aprono gravi problematiche anche in relazione alle altre infezioni a trasmissione sessuale.
Si ritiene, invero, che gli obblighi non possano essere particolarmente gravosi, poiché ne potrebbe derivare un rischio di allontanamento dei soggetti infetti dalle strutture specializzate con evidenti conseguenze sul rischio di diffusione del virus.
La descrizione del comportamento che deve essere tenuto, in assenza di una specifica regolamentazione normativa, è sostanzialmente affidata al codice penale ed alla sua applicazione da parte della giurisprudenza.
È ormai pacifico che il mero contagio da HIV debba essere ritenuto malattia giuridicamente rilevante ai fini della configurabilità del reato di lesioni, anche nel caso in cui non ne sia derivata la degenerazione in AIDS conclamata (degenerazione che allo stato della scienza può essere scongiurata dalla costante assunzione dei farmaci c.d. antiretrovirali).
L'infezione non è infatti debellabile e comporta: la necessità di un continuo trattamento farmacologico, la riduzione della durata della vita e la compromissione dell'organo della riproduzione (divenuto un veicolo di trasmissione del virus al concepito).
L'unica condotta richiesta alla persona infetta da HIV, o da altre malattie a trasmissione sessuale, in caso di rapporti, è, in sostanza, quella di utilizzare il preservativo al fine di evitare il contagio.
In tal caso non è previsto, né dalla normativa in vigore, né dalla giurisprudenza, un dovere di informazione al partner sul proprio stato di salute.
Nel caso in cui il rapporto avvenga, invece, senza le dovute precauzioni e si verifichi il contagio, il soggetto potrà essere chiamato a rispondere di lesioni dolose aggravate per aver accettato il rischio della trasmissione della malattia quale possibile prezzo di un risultato desiderato (Corte di Cassazione Sezione V n. 23992/2015).
In altre parole è richiesto che colui il quale ha trasmesso l'infezione per via sessuale abbia semplicemente voluto proprio il contagio o abbia comunque manifestato una qualche adesione all'evento per il caso che esso si (verificasse) quale conseguenza non direttamente voluta della propria condotta (Corte di Cassazione Sezioni Unite, n. 38343/2014).
In caso contrario potrebbe comunque essere contestato il reato di lesioni colpose.
Nell'ipotesi di rottura del preservativo la informazione tornerebbe (ad avviso di chi scrive) ad essere doverosa: la ricerca scientifica – con riguardo al virus HIV - ha portato alla diffusione di farmaci antiretrovirali che, se assunti entro le 24 ore dalla esposizione al virus, consentono di evitare il contagio.
In tale ipotesi, la omessa comunicazione al partner del rischio di trasmissione e della possibilità di evitarlo potrebbe integrare il reato omissivo di lesioni, quanto meno colpose.
Nel caso di rapporti occasionali la persona affetta da HIV dovrebbe in ogni caso avvalersi del servizio di partner notification e contact tracing, che consentono all'operatore sanitario, autorizzato dalla persona HIV+ interessata, di contattare il/i partner al fine di metterli al corrente del rischio corso, senza rivelare identità della persona HIV (dal sito Web del ministero della Salute).



Soul78
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Re: HIV e AIDS. Lo stato della normativa e della giurisprude

Messaggio da Soul78 » martedì 17 aprile 2018, 6:57

Prima di venire alla PrEP, parliamo di TasP (terapia come prevenzione). E’ la strategia che si basa sul fatto che una persona con HIV che segue una terapia costante e ha livelli di virus nel sangue “non rilevabili” o al di sotto delle 200 copie non trasmette il virus. Nella stessa pagina di CDC citata sopra, vediamo i dati del 2011 dello studio HPTN 052 che parlavano di una riduzione del 96%. Ma poi la TasP ha dimostrato, con la prosecuzione di quello stesso studio e con altri studi, un’efficacia praticamente totale. Zero rischio. Due studi lo hanno ribadito, “Opposites Attract” e “Partner”, di cui gli ultimi risultati sono arrivati tra il 2016 e il 2017. Tra i due studi, su oltre 40.000 rapporti sessuali senza preservativo in coppie gay siero-discordanti (uno HIV positivo, l’altro HIV negativo) ci sono state ZERO infezioni da parte del partner con HIV. Ci sono state infezioni, ma filogeneticamente non provenienti dal partner (venivano dall’esterno della coppia). La presenza di altre IST nella coppia non ha cambiato nulla.

Le obiezioni alla TasP lasciano veramente di stucco. E’ chiaro che non usare il preservativo in una coppia siero-discordante lascia aperto il tema delle IST (se la coppia non è monogama), come è chiaro ovviamente che non si può con leggerezza andare “sulla fiducia” in rapporti occasionali con partner con HIV, perché non si può avere il controllo dell’effettivo stato clinico della persona. Infatti non è questo che diciamo, nemmeno nella campagna. Ma perché non considerarla un’opzione naturale per una coppia che si suppone costruita sul dialogo e la condivisione, se questa sente il bisogno di non usare il preservativo? Nello studio “Opposites Attracts” la non rilevabilità è rimasta un dato costante nel 98% dei casi, il che non stupisce visto il doppio valore motivazionale che ha per una persona sieropositiva il fatto di avere una lunga vita garantita e di non essere nemmeno infettiva grazie alla terapia. La viremia di routine viene controllata almeno ogni sei mesi. L’obiezione sulla possibile carica virale diversa tra sangue e sperma è mal riposta: gli scostamenti ci sono, ma oltre al fatto che non sono particolarmente significativi, i due studi suddetti hanno trovato ZERO infezioni con una viremia nel sangue al di sotto delle 200 copie. Che nello sperma le copie fossero di più o di meno, il risultato è comunque ZERO.

Il 27 settembre 2017 CDC, che è notoriamente un’istituzione con un approccio conservativo su queste questioni, ha ufficialmente detto: “quando la terapia antiretrovirale risulta in soppressione virale, definita come meno di 200 copie/ml o non rilevabile, previene la trasmissione sessuale dell’HIV. (…) Questo significa che le persone che prendono la terapia quotidianamente come prescritto e che raggiungono e mantengono una carica virale non rilevabile hanno effettivamente nessun rischio di trasmettere sessualmente il virus al partner HIV-negativo”.

La rappresentazione della persona con HIV come potenzialmente pericolosa “a prescindere” dice molto più del bisogno di non mollare una paura irrazionale e una distanza rassicurante tra sé e il sieropositivo, che della volontà di fare prevenzione. La paura è legittima, ma rimane irrazionale. Ed è anche peggio da quelli che “hanno tanti amici sieropositivi”.



nordsud
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Re: HIV e AIDS. Lo stato della normativa e della giurisprude

Messaggio da nordsud » martedì 17 aprile 2018, 13:45

Il test è anonimo, e così diventa impossibile per chiunque dimostrare che un untore sia consapevole o all'oscuro della trasmissione virale.
Basta ribadire che non c'era la conoscenza dell'infezione.
E così buona notte a tutte quante.
A meno che la privacy regni sovrana fintanto che il primo giudice che passa lo voglia.. ma davanti a dei test anonimi la vedo dura per il giudice riuscire a risalire a qualcosa di certo..( potrebbero esserci delle foto o dei filmati come prova della frequentazione di un day hospital del sospettato.? )
Mi ricordo che a PD girava 25 anni orsono la storia di uno (un tossico morto ancora prima dell'avvento della Haart ) che ha dato false generalità fino a quando non hanno chiesto la tessera sanitaria o i documenti.. ..( e non credo sia stato nemmeno segnalato per le false generalità....beh erano altri tempi.. la follia e la disperazione erano all'ordine del giorno..)



rospino
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Re: HIV e AIDS. Lo stato della normativa e della giurisprude

Messaggio da rospino » martedì 17 aprile 2018, 18:02

nordsud ha scritto:Il test è anonimo, e così diventa impossibile per chiunque dimostrare che un untore sia consapevole o all'oscuro della trasmissione virale.
Basta ribadire che non c'era la conoscenza dell'infezione.
E così buona notte a tutte quante.
Beh non sempre il test è anonimo, e l’anonimato comunque non credo che possa essere garantito anche DOPO un eventuale accertamento di sieropositività. Ovvero: nella struttura dove sono seguito NON registrano le persone che chiedono di fare anonimamente il test, ma vi è comunque obbligo di fornire i propri dati, che vengono cestinati laddove poi il test risulti negativi, così da non lasciare traccia del test effettuato.
Se poi vuoi davvero parlare di “untori” (concetto che a me sembra degno delle peggiori cronache) è molto più pericoloso un test effettuato in casa...


 
La verità non esiste e la vita come la immaginiamo di solito è una rete arbitraria e artificiale di illusioni da cui ci lasciamo circondare.

marte82

Re: HIV e AIDS. Lo stato della normativa e della giurisprude

Messaggio da marte82 » domenica 22 aprile 2018, 12:31

Ma io non ho capito...questa persona che avrebbe contagiato tutte queste donne non faceva una terapia? Era in attesa di farla o la aveva rifiutata?



marte82

Re: HIV e AIDS. Lo stato della normativa e della giurisprude

Messaggio da marte82 » domenica 22 aprile 2018, 12:44

Soul78 ha scritto:Prima di venire alla PrEP, parliamo di TasP (terapia come prevenzione). E’ la strategia che si basa sul fatto che una persona con HIV che segue una terapia costante e ha livelli di virus nel sangue “non rilevabili” o al di sotto delle 200 copie non trasmette il virus. Nella stessa pagina di CDC citata sopra, vediamo i dati del 2011 dello studio HPTN 052 che parlavano di una riduzione del 96%. Ma poi la TasP ha dimostrato, con la prosecuzione di quello stesso studio e con altri studi, un’efficacia praticamente totale. Zero rischio. Due studi lo hanno ribadito, “Opposites Attract” e “Partner”, di cui gli ultimi risultati sono arrivati tra il 2016 e il 2017. Tra i due studi, su oltre 40.000 rapporti sessuali senza preservativo in coppie gay siero-discordanti (uno HIV positivo, l’altro HIV negativo) ci sono state ZERO infezioni da parte del partner con HIV. Ci sono state infezioni, ma filogeneticamente non provenienti dal partner (venivano dall’esterno della coppia). La presenza di altre IST nella coppia non ha cambiato nulla.

Le obiezioni alla TasP lasciano veramente di stucco. E’ chiaro che non usare il preservativo in una coppia siero-discordante lascia aperto il tema delle IST (se la coppia non è monogama), come è chiaro ovviamente che non si può con leggerezza andare “sulla fiducia” in rapporti occasionali con partner con HIV, perché non si può avere il controllo dell’effettivo stato clinico della persona. Infatti non è questo che diciamo, nemmeno nella campagna. Ma perché non considerarla un’opzione naturale per una coppia che si suppone costruita sul dialogo e la condivisione, se questa sente il bisogno di non usare il preservativo? Nello studio “Opposites Attracts” la non rilevabilità è rimasta un dato costante nel 98% dei casi, il che non stupisce visto il doppio valore motivazionale che ha per una persona sieropositiva il fatto di avere una lunga vita garantita e di non essere nemmeno infettiva grazie alla terapia. La viremia di routine viene controllata almeno ogni sei mesi. L’obiezione sulla possibile carica virale diversa tra sangue e sperma è mal riposta: gli scostamenti ci sono, ma oltre al fatto che non sono particolarmente significativi, i due studi suddetti hanno trovato ZERO infezioni con una viremia nel sangue al di sotto delle 200 copie. Che nello sperma le copie fossero di più o di meno, il risultato è comunque ZERO.

Il 27 settembre 2017 CDC, che è notoriamente un’istituzione con un approccio conservativo su queste questioni, ha ufficialmente detto: “quando la terapia antiretrovirale risulta in soppressione virale, definita come meno di 200 copie/ml o non rilevabile, previene la trasmissione sessuale dell’HIV. (…) Questo significa che le persone che prendono la terapia quotidianamente come prescritto e che raggiungono e mantengono una carica virale non rilevabile hanno effettivamente nessun rischio di trasmettere sessualmente il virus al partner HIV-negativo”.

La rappresentazione della persona con HIV come potenzialmente pericolosa “a prescindere” dice molto più del bisogno di non mollare una paura irrazionale e una distanza rassicurante tra sé e il sieropositivo, che della volontà di fare prevenzione. La paura è legittima, ma rimane irrazionale. Ed è anche peggio da quelli che “hanno tanti amici sieropositivi”.
Non ho capito cosa intendono con compromissione dell'organo riproduttivo...



Soul78
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Re: HIV e AIDS. Lo stato della normativa e della giurisprude

Messaggio da Soul78 » mercoledì 25 aprile 2018, 16:35

http://m.laprovinciapavese.gelocal.it/p ... 1.16755199

PAVIA. La moglie ha saputo di essere positiva al test dell’Hiv, facendo accertamenti medici quando ha scoperto di essere incinta del loro secondo figlio: contro l’uomo, un 47enne di origine straniera residente a Pavia, si è aperto il processo in tribunale per lesioni gravissime. Già in sede di udienza preliminare, quando si è costituita parte civile con il suo avvocato Francesca Timi, la donna aveva presentato una richiesta di risarcimento danni da un milione di euro.

L’uomo è accusato di aver trasmesso il virus alla moglie 36enne avendo rapporti non protetti con lei, ignara di tutto, senza dirle di sapere benissimo di essere sieropositivo da oltre 20 anni. Secondo la ricostruzione della procura, appunto, la donna aveva scoperto la sieropositività durante la seconda gravidanza, quando il medico le ha comunicato che aveva contratto la malattia.

Il contagio sarebbe avvenuto inoltre, sempre secondo le accuse, in un contesto di umiliazioni e prevaricazioni durati almeno cinque anni, dal 2009 fino al 2014, per cui l’uomo è accusato anche di maltrattamenti in famiglia. Dopo che la donna ha scoperto di essere sieropositiva e lo ha denunciato, la coppia si è separata. Per l’uomo era il secondo matrimonio: dalle prime nozze aveva già avuto un figlio. Rimasto vedovo, si è risposato con la connazionale.

Secondo la denuncia della seconda moglie, fin da subito ha avuto atteggiamenti prevaricatori e violenti. La moglie ha dichiarato di sapere mentre convivevano che l’uomo aveva problemi di salute, ma non che fosse sieropositivo.
Dall’unione è nata prima una figlia, anche lei sempre secondo le accuse vittima dei maltrattamenti del padre. La situazione si è trascinata fino alla seconda gravidanza, quando la donna ha scopre di avere contratto il virus dell’Hiv che fortunatamente non ha trasmesso ai due figli avuti con l’uomo. Ha chiesto spiegazioni al marito e in questo modo ha saputo che lui a conoscenza della sua malattia fin dal 1992.

Il marito ha ammesso la consapevolezza di essere positivo al virus che può portare all’Aids ma non avrebbe mai mostrato alcun segno di pentimento. Anzi, i maltrattamenti si sarebbero fatti più pesanti. Durante i litigi lui sarebbe anche arrivato a dire averla contagiata volutamente, per farle del male. La donna ha deciso di denunciarlo temendo anche per l’incolumità dei figli, dopo essersi rivolta a un centro antiviolenza, per avere sostegno e trovare accoglienza in una struttura protetta insieme ai bambini in tenera età, continuando a curarsi, e ha denunciato il marito. La prossima udienza del procedimento aperto davanti al giudice Rosaria D’Addea è prevista l’11 maggio, quando dovrebbe essere sentito l’imputato.



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