In questo buio feroce

La condizione di sieropositività, la malattia da HIV e relativi problemi, di salute e no.
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In questo buio feroce

Messaggio da friendless » mercoledì 18 dicembre 2013, 18:46

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In Questo buio feroce di Harold Brodkey (1930-1996), appena ristampato da Fandango, il punto di vista è quello del malato grave. Anzi gravissimo. All'inizio degli anni novanta, avere l'Aids era ancora sinonimo di morte rapida e sicura. Brodkey resistette a tutti i sabotaggi del suo organismo per compilare un succinto diario dei suoi ultimi due anni di vita, trascorsi in simbiosi con la moglie Ellen. In poche pagine, scritte con la densità della grande letteratura, ripercorriamo anche in brevi schizzi la New York degli anni '50-'60 descritta come “sessualmente aggressiva”, una città in cui essere oggetto di molestie da parte del padre adottivo, per un ragazzino, è abbastanza normale e poi via via la New York degli anni settanta vissuta (anche) nei gabinetti diurni della wild side per arrivare infine ai pochi anni da scrittore riconosciuto e da uomo felicemente sposato. La malattia, la morte e il lutto: questo trittico del dolore, ben nascosto ed esorcizzato con cura tanto nella comunicazione commerciale quanto in quella personale e intima, nella letteratura d'autore non conosce mai cadute di popolarità. I romanzi-verità che trattano questi temi sono spesso paradossalmente vitali in libreria, se è vero che l'Italia si è scoperta all'improvviso appassionata di due autori finora largamente ignorati come Joan Didion e Julian Barnes, e l'amore è scoppiato all'uscita di due libri (L'anno del pensiero magico e Livelli di vita), scritti dagli autori dopo la morte di un caro a seguito di una grave malattia. Nel caso di Brodkey, però, a scrivere è colui che sta morendo e la scrittura non si nasconde dietro ad alcunché: l'orizzonte è così vicino che la morte è “semplicemente lì”. La scrittura del Brodkey terminale brilla di un'intelligenza così acuta da far paura; il sottotitolo del libro è facile da ricordare: Storia della mia morte. A differenza di Hitch 22 di Christopher Hitchens, scritto in circostanze simili, Questo buio feroce non fa mai sorridere. Non prova nemmeno a consolare quelli che restano. L'Aids non è il cancro e Brodkey è sempre stato uno scrittore scomodo: fu uno tra i primi intellettuali a rendere pubblica la sua “vergognosa” malattia scrivendone sul New Yorker e lo fece perché “dire la verità è il modo migliore per sentirsi un po' meno male”. Non ci sono buone notizie, in questo libro. Chi vi cerca speranza perché toccato da simili circostanze trova “soltanto” la dignità e la forza di una mente che non abbassa lo sguardo e anzi sa fissare il dolore e la morte dritto negli occhi fino alla fine. E non è poco.

M. Drago.
Da Vanity Fair della scorsa settimana