Gli anni della disperazione: prima della HAART

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Gli anni della disperazione: prima della HAART

Messaggio da uffa2 » venerdì 12 ottobre 2012, 9:46

Gli anni della disperazione: prima della HAART
di Mark Harrington

E siamo qui, come in una piana che s’oscura
sbattuti tra confusi e allarmi di lotte e fughe,
dove eserciti ignoranti si scontrano di notte
—Matthew Arnold, “Dover Beach”


Questo è il secondo di una serie di articoli che ripercorrono i primi due decenni di lavoro di TAG per accelerare la ricerca sull’AIDS.
Nella Prima Parte abbiamo descritto le prime campagne di TAG per riformare l’attività di ricerca sull’AIDS condotta dai National Institutes of Health (NIH), far aumentare il budget federale e rivitalizzare la ricerca di base sull’HIV.[ii]
In questo articolo daremo uno sguardo alla scienza clinica dell’AIDS prima della scoperta della terapia antiretrovirale ad alta attività (HAART) negli anni 1995-1996, e a come TAG rispose ai bisogni delle persone con AIDS.
Per la maggior parte dei primi anni ‘90, sembrava che la scienza dell’HIV stesse arretrando. Nel 1987, l’AZT divenne il primo farmaco approvato dalla Food and Drug Administration (FDA) per il trattamento dell’AIDS, dando speranze ai ricercatori e alle persone con AIDS sul fatto che, quello che sembrava un virus non trattabile, potesse essere domato. I NIH misero all’asta due farmaci simili all’AZT a due compagnie farmaceutiche per lo sviluppo: didanosina (Videx® - Bristol-Myers Squibb - ddl) e zalcitabina (Hivid® - Hoffmann-La Roche - ddC).
Nel 1991, la didanosina fu approvata sulla base di variazioni in un marker surrogato: un modesto aumento dei CD4 nelle persone trattate con quel farmaco, rispetto al declino continuato in quelle trattate con AZT, prima che dei risultati conclusivi dimostrassero che tale incremento di CD4 fosse predittivo di un beneficio clinico.
All’inizio del ’92, la FDA adottò un regolamento per l’approvazione accelerata di farmaci per l’AIDS e altre malattie potenzialmente mortali sulla base di cambiamenti precoci in marker surrogati. Agli attivisti, che per lungo tempo avevano lottato per una riforma in tal senso, sembrò che fosse una grande vittoria.
Nell’aprile del 1992, la Hoffmann-La Roche presentò una richiesta (new drug application - NDA) per ottenere l’approvazione accelerata della zalcitabina. Ero uno dei rappresentanti della comunità alle audizioni del comitato consultivo della FDA sui farmaci antivirali. Non fu un compito piacevole. I dati sulla zalcitabina erano difficili da interpretare. Il farmaco aveva gravi effetti collaterali, tra cui un dolore neuropatico potenzialmente invalidante. Tuttavia emerse un forte consenso per l’approvazione tra gli attivisti presenti alle audizioni. Io votai per approvare la zalcitabina non perché sembrasse efficace, ma per il disperato bisogno di nuovi farmaci. Il comitato della FDA, nettamente diviso, raccomandò una approvazione limitata.
I benefici di questi farmaci erano di breve durata per la didanosina e inesistenti per la zalcitabina.
Le difficoltà della ricerca sul trattamento dell’HIV nei primi anni ’90 possono essere riassunte come un circolo vizioso tra cattivi farmaci, studi clinici disegnati male e misurazioni inadeguate dei marker di efficacia anti-HIV.
Cattivi farmaci
Anzitutto i farmaci. Virtualmente ogni farmaco in studio nei primi anni ’90 (didanosina e zalcitabina), così come quelli approvati in seguito stavudina (Zerit® - Bristol–Myers Squibb - d4T - 1994) e lamivudina (Zeffix® - GSK – 3TC - 1995) erano inibitori nucleotidici della trascrittasi inversa (NRTI). Gli NRTI bloccano la trascrittasi inversa delle proteine dell’HIV impedendo la trasformazione del RNA virale in DNA, terminando prematuramente la catena del DNA e rendendo così impossibile al virus di replicarsi pienamente. Tra gli NRTI c’erano però differenze di potenza (attività anti-HIV), durata degli effetti e tossicità.
L’AZT aggrediva il midollo osseo, provocando anemia. Didanosina, zalcitabina e stavudina provocavano gravi danni ai nervi, e talvolta pancreatiti. La lamivudina sembrava la più “benigna” dei primi cinque NRTI approvati dalla FDA, ma è stata anche l’ultima a raggiungere i mercato.
In monoterapia, nessuno di questi NRTI era efficace a lungo contro l’HIV. Secondo John Coffin, virologo del National Cancer Institute (NCI), questi farmaci –usati da soli- producevano una “piccola” soppressione virale. I suoi dati si basavano su misurazioni del RNA virale -chiamate anche test della carica virale- che all’inizio degli anni ‘90 non erano disponibili alla maggior parte dei ricercatori, per non parlare di medici e pazienti.
Studi clinici impostati male
Secondo il ben conosciuto “dogma della terapia di combinazione” per le infezioni di difficile trattamento -che si affermò negli anni ’50 rendendo possibile per la prima volta la cura della tubercolosi- è necessario usare due o più principi attivi contro un organismo che sviluppa rapidamente resistenze ai farmaci usati in monoterapia.
Già nel 1989, quando io e Peter Staley di ACT UP incontrammo il fumatore incallito David Barry (virologo della Burroughs-Wellcome e “supremo” dell’AZT) presso il Research Triangle Park in North Carolina, egli ci disse che il futuro del trattamento dell’HIV poggiava sulla terapia di combinazione.
Lo sapevano anche i ricercatori finanziati dai fondi federali presso l’ AIDS Clinical Trials Group (ACTG) dei NIH. Ma la maggior parte di loro aveva lavorato solo sull’herpes, un virus contro il quale l’aciclovir –scoperto e commercializzato agli inizi degli anni ’80- funzionava in monoterapia per la maggior parte delle persone.
I primi sforzi dell’ACTG per sviluppare una terapia di combinazione contro l’HIV sarebbero parsi risibili se non avessero prodotto così tanti studi falliti e vite perse. Approcci quali una settimana di AZT alternata con una settimana di zalcitabina furono la ricetta per produrre rapidamente la resistenza a entrambi i farmaci. Più spesso veniva aggiunto un nuovo farmaco a quello che già stava fallendo in monoterapia. Il più famigerato di questi studi, l’ACTG 155, confrontava AZT con zalcitabina da soli contro una combinazione di AZT+zalcitabina in un gruppo di persone già trattate con AZT e che probabilmente avevano già sviluppato una resistenza a tale farmaco.
Nella primavera del 1993 arrivarono nuove cattive notizie: lo studio franco-britannico Concorde mostrò che l’uso precoce di AZT (preso prima del comparire dei sintomi dell’AIDS e quando i CD4 erano tra 200 e 500 cellule/mm3) non offriva alcun beneficio nel lungo periodo.
In risposta a questi fallimenti, noi di TAG intensificammo la nostra opera come “cane da guardia” degli studi condotti da ACTG e dalle industrie sui farmaci anti HIV, e migliorammo la nostra preparazione sull’impostazione degli studi clinici, la statistica, la patogenesi dell’HIV. Partecipavamo e criticavamo gli studi disegnati e condotti con fondi sia pubblici sia privati. Eravamo membri dei comitati chiave dell’ACTG e ci incontravamo frequentemente con ogni compagnia farmaceutica impegnata nello sviluppo di un potenziale farmaco anti AIDS.
Nel giugno del 1993, noi di TAG e i nostri colleghi attivisti delle altre organizzazioni fummo testimoni del crollo di tutte le speranze inizialmente riposte nella terapia di combinazione alla International AIDS Conference di quell’anno. Come scrisse David Barr su TAGline nel 2003: «a Berlino sono state sconfessate due idee centrali al cuore della strategia di trattamento. La prima è che l’uso precoce di AZT possa essere utile. Ciò non era una sorpresa, poiché lo studio Concorde provava solo che nella maggior parte delle persone con AIDS in trattamento con AZT questo farmaco cessava di funzionare se usato da solo… I risultati dell’ACTG 155… mostravano inoltre che il trattamento con due farmaci non faceva di meglio nell’aiutare le persone che già avevano fallito la monoterapia con l’AZT. La bestia era più potente del farmaco».
Questo era già abbastanza deprimente. Ma ciò che deprimeva -ed esasperava- ancor di più era la condotta del National Institute of Allergy and Infectious Diseases (NIAID) e dei ricercatori nel distorcere i risultati dello studio su AZT+zalcitabina. Invece di presentare i risultati delle analisi pianificate per lo studio, che mostravano come la combinazione AZT+zalcitabina fosse inefficace, presentarono un’analisi non prevista -e non dotata di sufficiente forza statistica- che mostrava su un raggruppamento arbitrario di cellule T che i pazienti in duplice terapia “andavano meglio” degli altri pazienti… Margaret Fischl… iniziò a presentare l’analisi post hoc di sottogruppo, e noi perdemmo la ragione.
Mark Harrington, Gregg Gonsalves, Derek Link e io eravamo lì, ci alzammo e iniziammo a urlare che quella era una manica di frottole. La dottoressa Fischl era sconvolta dalla nostra reazione. Saltai su dalla sedia e andai al microfono per urlarle che non ci stava raccontando la verità. A quel punto la dottoressa dovette ammettere che i risultati delle analisi pianificate dicevano l’esatto opposto di quello che ci stava presentando. Noi continuavamo a urlare. La platea comprese che avevamo ragione e iniziò ad applaudire le nostre osservazioni. Alla fine abbandonammo la sala. [iii]
Come scrissi al tempo «dopo la conferenza di Berlino… [il capo statistico dell’ACTG] Steve Lagakos commentò con un membro della comunità che “gli attivisti non sarebbero così furenti (circa i risultati gonfiati nell’analisi di trend nel subset dell’ACTG 155) se i farmaci fossero migliori”». Esatto Steve! -se i farmaci fossero stati migliori, gli studi non avrebbero avuto bisogno di essere più grandi, o disegnati meglio, o analizzati più onestamente- difatti, se i farmaci fossero stati buoni a sufficienza, non avremmo avuto neppure bisogno di risposte dagli studi randomizzati, come nel caso del ganciclovir [DHPG]. Ma i farmaci NON erano migliori –e questo è il motivo per cui ci siamo rivolti agli statistici nella speranza che loro ci aiutassero a impostare studi con più competenza, e ad analizzarli con onestà, tenendo a mente che l’obiettivo primario era lo sviluppo di informazioni utili ai pazienti e ai loro curanti.[iv]
In realtà, nello studio ACTG 155 appariva che la terapia di combinazione era più tossica del 50% rispetto alla monoterapia, ma non più efficace.
Così, a metà del 1993, era palese che le nostre speranze che un incremento precoce e limitato dei CD4 potesse essere predittivo in modo affidabile di un beneficio clinico fossero infondate -poiché la zalcitabina non aveva mostrato gli stessi benefici precedentemente visti con la didanosina- e che l’uso di due farmaci, almeno nei pazienti non naïve, non era migliore, ma anzi peggiore, di un farmaco solo.
Non erano ancora disponibili risultati che mostrassero se i due farmaci, iniziati allo stesso tempo -in persone che non avevano mai assunto farmaci anti HIV (la teoria sulla combinazione postulava che assumere due farmaci potesse ritardare che le resistenze emergessero con la stessa velocità associata a un farmaco solo)- fossero meglio di uno. L’ACTG 175 era appunto uno studio che confrontava AZT da solo verso didanosina da sola verso AZT+didanosina. I suoi risultati non sarebbero giunti fino al tardo 1995.
Nel frattempo, la stavudina avanzava come il prossimo farmaco che sarebbe stato sottoposto all’approvazione della FDA, a metà del 1994. Lo stato dell’arte nello sviluppo dei farmaci anti HIV da “Alice nel paese delle meraviglie” era ben sintetizzato da un atricolo del New York Times intitolato “La FDA raccomanda un farmaco anti HIV nonostante i dati incompleti”: «un panel di scienziati ha raccomandato oggi che il governo approvi un nuovo farmaco per combattere il virus che causa l’AIDS, ma con forti ammonimenti sul fatto che ancora non si sa abbastanza su questo farmaco per poter dire chi dovrebbe assumerlo. Un comitato consultivo della FDA ha detto che il farmaco, d4T o stavudina, probabilmente offrirebbe alcuni benefici rispetto ai tre farmaci anti AIDS già esistenti. Ma il panel non ha saputo dire chi potrebbe beneficiarne, così come quale ne sia la sicurezza né se il fabbricante sia sulla giusta strada per rispondere alle molte domande ancora in essere».[v]
TAG e i suoi alleati inviarono una delegazione che era francamente spaccata al suo interno circa l’efficacia del farmaco, e concordava solo sul fatto che i dati sottoposti dal fabbricante erano impossibili da valutare. Gregg Gonsalves di TAG era il rappresentante della comunità nel panel della FDA a quei tempi, e previde correttamente che lo studio chiave di Bristol-Myers Squibb (fabbricante di stavudina) sarebbe stato troppo piccolo per provare l’efficacia del farmaco. Spencer Cox di TAG testimoniò dal pubblico, così come Derek Link di GMHC. Nessuno poteva interpretare i dati chiaramente ed entrambi indicarono i difetti nel paradigma esistente.
Il farmaco seguente a conquistare l’attenzione fu il primo di una nuova classe, gli inibitori della proteasi. Il farmaco era il saquinavir. Sfortunatamente, il farmaco era presentato da Roche. A quel tempo, io ero parte del comitato per le infezioni primarie (trattamento dell’HIV) di ACTG. Le negoziazioni tra Roche e ACTG furono, a dir poco, non trasparenti.
Roche fallì nel determinare la dose massima tollerata di saquinavir, sicché non sapevamo se la dose che essi intendevano testare negli studi di fase II fosse la miglior dose possibile per gli umani. La compagnia rifiutò di fornire al comitato i dati sulla fase I (preclinica). Invece, Roche prese da parte i due investigatori principali in un corridoio, mostrò loro i dati, e gli investigatori tornarono a dire al resto del comitato che la dose di saquinavir appariva adeguata. ACTG procedette ad arruolare circa duecento pazienti in un altro studio malamente disegnato, che questa volta confrontava combinazioni a due o tre farmaci in pazienti che avevano già fallito con AZT. Lo studio ACTG 229 arruolò 302 pazienti, assegnati casualmente a AZT/zalcitabina/saquinavir verso AZT/saquinavir verso AZT/zalcitabina (la combinazione che aveva fallito a Berlino).
Più tardi apparve chiaro che la dose di saquinavir era troppo bassa. Il 96% del farmaco era escreto identico nelle urine, significando che solo il 4% entrava nelle cellule del sangue e del corpo per bloccare la replicazione dell’HIV. Anche a una dose insufficiente, però, il saquinavir poteva produrre un’attività antivirale sufficiente a rendere l’HIV resistente non solo al saquinavir, ma anche a tutti gli inibitori della proteasi di prima generazione.
Nonostante la dose inadeguata, uno studio piccolo e di breve durata, dati scadenti, Roche, imperterrita, chiese alla FDA nell’estate del 1994 di considerare il saquinavir per l’approvazione accelerata.
Quando Bristol-Myers chiese l’approvazione accelerata per la didanosina nel 1991, già oltre 35.000 persone erano state trattate con quel farmaco dal 1989, e migliaia di queste erano state arruolate in studi sulla didanosina lungo un periodo di cinque anni. Di contro, alla metà del 1994, saquinavir era stato studiato in meno di un migliaio di persone, per meno di un anno. Né i dati di sicurezza né quelli di efficacia –quali che fossero- di saquinavir apparivano buoni come erano apparsi quelli della sola didanosina tre anni prima.
Questa volta, TAG tracciò il solco. Eravamo determinati a far sì che non si ripetessero i fallimenti negli studi e nel percorso di approvazione registrati con gli NRTI anche con gli inibitori della proteasi, che invece apparivano una classe di farmaci più promettente, e ciò anche se il saquinavir sembrava essere relativamente debole.
Così scrivemmo una lettera per ottenere un incontro con il membro della FDA David Kessler -un ardente riformatore che fu il padre intellettuale dell’approvazione accelerata- e con lo staff per i farmaci sull’HIV dell’agenzia.
Non fu un incontro “amichevole”. Noi di TAG e i nostri alleati criticammo la FDA per aver fallito nel rilevare la responsabilità di Roche nella mancata esecuzione degli studi di post marketing su zalcitabina, e per avere permesso a Roche e ad altre aziende di condurre studi troppo piccoli e troppo brevi per mostrare l’eventuale efficacia dei farmaci nella maggior parte delle persone con HIV.
TAG presentò un piano per rispondere a questi rilievi per la classe degli inibitori della proteasi, combinando il meglio dell’accesso allargato con un migliore disegno degli studi clinici così da renderli ampi e lunghi quanto serviva per mostrare se l’aggiunta degli inibitori della proteasi -o l’avvio del trattamento con uno di questi- fosse più efficace rispetto all’aggiunta o all’avvio del trattamento con un NRTI. Modellato sulla scorta di una serie di studi sul cancro e sulle malattie cardiovascolari che erano stati coronati da successo, lo chiamammo “uno studio largo e semplice” (large, simple trial - LST)
Noi di TAG ci lanciammo in questo meeting con la FDA e con la nostra proposta “LST” senza condividere le nostre idee prontamente né sufficientemente con il resto della comunità. Il tasso di morti per AIDS stava ancora aumentando, e nella nostra fretta di cambiare la rotta di questa nave mancammo di informare o collaborare con i nostri commilitoni nell’equipaggio.
Questa fretta si ritorse contro di noi più tardi, quell’estate, quando la rivista economica “Barron’s” pubblicò un’intervista provocatoria in cui il nostro Spencer Cox criticava gli studi su saquinavir, dal titolo ancora più provocatorio: “Abbiamo forse troppi farmaci contro l’AIDS?”[vi]
Rapidamente, TAG divenne l’organizzazione più impopolare nel mondo dell’attivismo sull’AIDS. Durante la tarda estate e agli inizi dell’autunno, cercammo di recuperare le posizioni, esponendo il nostro punto di vista in un report: “Salvare l’approvazione accelerata: andare oltre lo status quo”,[vii] che fu distribuito in durante un’animata audizione del comitato consultivo della FDA nel settembre del 1994, in cui il dibattito raggiunse livelli molto accesi.
Come Donald Kotler (gastroenterologo esperto di HIV) affermava in una drammatica scena di quell’epoca documentata dal film “How to Survive a Plague” di David France, ACT UP stava parlando di accesso alle cure, TAG parlava invece di risposte. Entrambi parlavamo di cose differenti, ma entrambi avevamo bisogno di entrambe.
Fortunatamente, trovammo alleati oltre che detrattori. Uno dei più importanti dei nostri nuovi alleati era il brillante attivista HIV+ e statistico “virtuale” autodidatta Carlton Hogan, un newyorchese in esilio a Minneapolis, Minnesota, dove lavorava per i Community Programs for Clinical Research on AIDS (CPCRA) finanziati dai NIH, un rivale spontaneo e ispirato dalla comunità del più accademicamente levigato e a talvolta compiaciuto di sé ACTG.

Marker surrogati inadeguati
La soluzione della crisi non ebbe una soluzione immediata, perché ancora non c’erano gli strumenti scientifici per misurare l’attività anti-HIV di farmaci, combinazioni, strategie. I livelli di CD4, per quanto mostrassero una correlazione con l’attività antivirale, erano un marker indiretto, e nella stessa classe farmaci differenti sembravano avere effetti coerenti sulla conta dei CD4 mentre invece i risultati clinici erano divergenti.
I primi metodi per misurare direttamente l’attività dell’HIV offrivano risultati configgenti. Uno dei metodi più semplici era quello di misurare i livelli sanguigni della proteina p24, un componente dell’HIV che talvolta era misurabile ad alti livelli. In molte persone, però, la p24 era difficile da misurare, probabilmente perché legata agli anticorpi p24, rendendo inaffidabile il test.
Una tecnica ancora più impegnativa era la co-coltura quantitativa – condotta prelevando il sangue dalle persone in studio e misurando quanto rapidamente quel sangue potesse infettare le cellule nella coltura. Era un metodo difficile, variabile da laboratorio a laboratorio e non standardizzabile commercialmente.
Ma, nelle prime fasi della ricerca, apparve improvvisamente una promessa.
Il metodo della reazione a catena della polimerasi (PCR), che misura le sequenze di DNA e RNA moltiplicando i loro legami a una sequenza genetica target, fu scoperto da Kary Mullis e dai suoi colleghi nel 1983. Entro il 1989, le prime forme di PCR furono applicate alla ricerca sull’HIV. Nel gennaio del 1995, David Ho e i suoi colleghi dell’Aaron Diamond AIDS Research Center (ADARC) di New York mostrarono in uno studio sulla PCR quantitativa che a differenza dai NRTI, i più potenti inibitori della proteasi –quale il ritonavir di Abbott- potevano ridurre i livelli di HIV del 99% (due log10) in due settimane [viii] (il NRTI più debole, la zalcitabina, riduceva l’HIV di solo 1,5 log). Però, le farmaco resistenze emergevano rapidamente anche con gli inibitori della proteasi quando questi erano usati in monoterapia.
Ora i ricercatori avevano uno strumento per misurare –e per provare a prevenire- il rimbalzo nella replicazione virale, che si verificava rapidamente dopo il declino iniziale offerto dalle monoterapie.
Nel febbraio del 1995, durante un’audizione Task Force nazionale sullo sviluppo dei farmaci per l’AIDS, TAG e GMHC presentarono una serie di raccomandazioni ai produttori di ciascun inibitore della proteasi. A Roche raccomandammo di raddoppiare le dimensioni del campione dei suoi studi chiave sull’efficacia di saquinavir. Fummo molto duri sugli studi condotti da Merck sull’indinavir definendoli “scarsamente controllati, malamente disegnati, di forza statistica insufficiente e probabilmente inadatti a offrire informazioni interessanti sull’utilità clinica del farmaco”.[ix]
Abbott fu invece lodata per avere adottato «un nuovo braccio di controllo “standard di cura”» nei suoi studi sul ritonavir che permetteva ai pazienti di assumere qualunque NRTI preferissero, con l’eccezione della lamivudina, per essere poi randomizzati a ricevere ritonavir o placebo.[x] Questo braccio di controllo era stato originariamente proposto da Spencer Cox di TAG.
Il primo studio che mostrava un chiaro beneficio clinico dalla terapia di combinazione fu annunciato nel tardo 1995. Era un confronto -oramai sorpassato- tra AZT da solo, didanosina da sola, AZT+didanosina e AZT+zalcitabina. Per la prima volta, i ricercatori studiavano i regimi in soggetti che non avevano già sviluppato resistenza all’AZT. I risultati dello studio (ACTG 175) mostravano che la combinazione di AZT e didanosina era chiaramente meglio del solo AZT. Peraltro anche la didanosina da sola era meglio del solo AZT, e lo studio non era abbastanza grande da mostrare in maniera conclusiva che la combinazione di due fosse migliore di un solo farmaco.
Ma i primi risultati di un altro studio mostravano qualcosa di ancor più promettente. Abbott presentò alcuni allettanti risultati iniziali su ritonavir in monoterapia e in combinazione.
Come TAG riportò al tempo: «D. Norbeck… ha descritto uno studio francese di tripla combinazione… i partecipanti ricevevano AZT/zalcitabina/ritonavir. I loro CD4 sono saliti a 110 e l’RNA plasmatico è sceso di 2,5 log a 20 settimane. Il dott. Norbeck ha affermato che una crescente percentuale di partecipanti ha avuto colture negative nelle settimane seguenti, ossia che le colture non venivano infettate dal sangue» “alcuni sono diventati negativi alla PCR e al test delle co-colture, il che suggerisce che il reservoir virale si sia svuotato”[xi]
Eravamo così abituarti a un’industria che forniva informazioni infondate o destinate a essere smentite, così come alle esagerazioni accademiche e del NIH, da essere istintivamente increduli per le affermazioni di Abbott sulla capacità -mai prima sperimentata- di una tripla terapia realizzata con due farmaci mediocri –AZT e zalcitabina- più uno super potente ma ancora nuovo e non sperimentato, di rendere le colture virali negative o la carica virale nel sangue irrilevabile.
L’anno fini con un pigolio, piuttosto che con un’esplosione. La FDA diede piena approvazione alla stavudina, nonostante studi di potenza statistica inadeguata. Approvò anche il me-too di Glaxo Wellcome lamivudina. E diede l’approvazione accelerata per il saquinavir di Roche, il primo inibitore della proteasi, ed anche il più debole.
Negli USA, l’ondata delle malattie e dei decessi AIDS-correlati raggiunse il massimo nel 1995.
Nel 1995, appena quattordici anni dopo che la malattia era stata identificata, il New York Times riportava che l’AIDS era divenuta la principale causa di morte tra gli americani di età 25-44 [xii], in quell’anno il numero di morti cumulate per AIDS in USA riportato dal CDC era di 311.381 unità [xiii]: più del numero di morti USA in battaglia durante la seconda guerra mondiale (291.557).[xiv]
Sono morti più cittadini USA di AIDS nel solo 1995 (50,798)[xv] che in Vietnam durante l’intero conflitto (47,434).[xvi]

A questo punto, proprio non sembrava che lo sviluppo dei farmaci per l’HIV stesse permettendo di intaccare finalmente il cumulo di morti che la malattia continuava a creare.




Matthew Arnold. “Dover Beach.” New Poems. 1867. The Poems of Matthew Arnold 1840-1867. Oxford U. Press (London, New York) 1909. http://www.bartleby.com/254/109.html.
[ii]http://www.treatmentactiongroup.org/tag ... -campaigns.
[iii]Barr D. Necessary diversions: the Boston AIDS conference that never was—and other grim tales. TAGline. 2003 January/February;10(1):1–5. Available from: http://www.treatmentactiongroup.org/tag ... diversions.
[iv]Harrington M. The crisis in clinical AIDS research. Treatment Action Group. 1993 December 1. Available from: http://www.treatmentactiongroup.org/sit ... les/Crisis in AIDS Research Dec 1993.pdf.
[v]“F.D.A. Panel Recommends AIDS Drug Despite Incomplete Data,” New York Times, May 21, 1994. Available from: http://www.nytimes.com/1994/05/21/us/fd ... -data.html.
[vi]Wyatt EA. Rushing to judgment. Barron's. 1994;74(33):23.
[vii]Cox S, Dennis Davidson, Gregg Gonsalves, Mark Harrington, Carlton Hogan, Rebecca Pringle Smith. Rescuing Accelerated Approval: Moving Beyond the Status Quo. A Report to the FDA Antiviral Drugs Advisory Committee. 12-13 September 1994 Silver Spring, Maryland. Treatment Action Group 1994. http://www.treatmentactiongroup.org/pub ... status-quo
[viii]Ho DD, Neumann AU, Perelson AS, Chen W, Leonard JM, Markowitz M. Rapid turnover of plasma virions and CD4 lymphocytes in HIV-1 infection. Nature. 1995 Jan 12;373(6510):123–6.
[ix]Barr D, Cox S, Gonsalves G, Harrington M, Link D, Ravitch M, et al.; National Task Force on AIDS Drug Development. Problems with protease inhibitor development plans. Treatment Action Group. 1995 February. Available from: http://www.treatmentactiongroup.org/pub ... ment-plans.
[x]Problems with protease.
[xi]Harrington M, Marco M, Cox S, Horn T; Antiviral Committee Opportunistic Infections Committee. TAG does ICAAC: AIDS research highlights from the 35th Interscience Conference on Antimicrobial Agents and Chemotherapy (ICAAC). Treatment Action Group. 1995 September. Available from: http://www.treatmentactiongroup.org/pub ... does-icaac.
[xii]Altman, L. “AIDS Is Now the Leading Killer of Americans From 25 to 44,” New York Times, 31 January 1995. http://www.nytimes.com/1995/01/31/scien ... to-44.html.
[xiii]CDC MMWR. Weekly. First 500,000 AIDS Cases – United States, 1995. November 24, 1995 / 44(46);849-853. http://www.cdc.gov/mmwR/preview/mmwrhtml/00039622.htm.
[xiv]Anne Leland, Mari-Jana “M-J” Oboroceanu. American War and Military Operations Casualties: Lists and Statistics. Congressional Research Service. 26 February 2010. Table 1. Principal Wars in Which the United States Participated: U.S. Military Personnel Serving and Casualties. Tables, p. 2. http://www.fas.org/sgp/crs/natsec/RL32492.pdf.
[xv]Centers for Disease Control and Prevention. HIV/AIDS Surveillance Report, 2000;12(No. 2): p. 30. Table 21. AIDS cases and deaths, by year and age group, through December 2000, United States. http://www.cdc.gov/mmwr/preview/mmwrhtml/00039622.htm.
[xvi]American War and Military. Tables, p. 3.


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uffa2
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Iscritto il: lunedì 26 novembre 2007, 0:07

Re: Gli anni della disperazione: prima della HAART

Messaggio da uffa2 » venerdì 12 ottobre 2012, 9:59

La traduzione di questo articolo è stata un viaggio nel dolore.
Mark Harrington rende in maniera vivida quel clima di fallimento e disperazione che per i primi quindici anni ha circondato la nostra malattia, che ancora è il suo marchio e che ognuno di noi ha vissuto nella sua mente nel momento in cui ha ricevuto la diagnosi.
Questo racconto spiega come e perché il progresso verso la situazione di oggi fu lastricato di fallimenti, idee che oggi sembrano non solo sbagliate ma folli.

Dobbiamo la nostra “fortuna” ai tanti che in quegli anni hanno combattuto, ai tanti che sono morti mentre, un errore dietro l’altro, la scienza conquistava i misteri di una delle sfide più incredibili del ventesimo secolo.
Questa storia, la storia di chi ci ha preceduto, la nostra storia, è la migliore spiegazione dell’ostinazione di alcuni di noi nel non consentire che, per ignoranza o malafede, qualcuno continui a raccontare cose sulla malattia e sui farmaci che non stanno né in cielo né in terra.

Un grazie a Dora che ha rivisto i miei strafalcioni.


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Tarek
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Re: Gli anni della disperazione: prima della HAART

Messaggio da Tarek » sabato 13 ottobre 2012, 13:06

Un grazie a voi due da parte mia.

Quindici anni di storia che non conoscevo perché non volevo sapere niente a parte qualche notizie (spesso) che appariva sulla stampa e che, non si poteva confrontare con questo meraviglioso strumento che abbiamo oggi e che si chiama web,

Ricordo i pasticconi didanosina e forse la stavudina ma sono passati anni (2000/1,) e poi ho interrotto la terapia perché sinceramente quella roba era vomitevole

Ringrazio anche io chi ha lottato e é morto per farci stare bene perché oggi, anche se ci sono tante persone che stanno male, ce ne sono altrettante che riescono a vivere senza problemi

Interessante, leggetevelo



carletto
Messaggi: 1717
Iscritto il: domenica 17 agosto 2008, 12:01

Re: Gli anni della disperazione: prima della HAART

Messaggio da carletto » sabato 13 ottobre 2012, 15:37

Mi fido sulla parola senza leggere 8-)



Dora
Messaggi: 7493
Iscritto il: martedì 7 luglio 2009, 10:48

Re: Gli anni della disperazione: prima della HAART

Messaggio da Dora » sabato 13 ottobre 2012, 16:35

uffa2 ha scritto:Questa storia, la storia di chi ci ha preceduto, la nostra storia, è la migliore spiegazione dell’ostinazione di alcuni di noi nel non consentire che, per ignoranza o malafede, qualcuno continui a raccontare cose sulla malattia e sui farmaci che non stanno né in cielo né in terra.
Tarek ha scritto:Ringrazio anche io chi ha lottato e é morto per farci stare bene perché oggi, anche se ci sono tante persone che stanno male, ce ne sono altrettante che riescono a vivere senza problemi
C'è una frase che mi ha colpito molto nel primo articolo che Mark Harrington ha scritto rievocando quegli anni e che mi sembra ricorra anche in How to survive a plague:
  • "Nel corso del 1992, un'ondata di attivisti di ACT UP e di TAG morirono di AIDS, e fra loro Michael Wright di ACT UP/San Francisco in gennaio, Scott Slutsky di TAG in maggio, l'artista/scrittore David Wojnarowicz in luglio e Mark Fisher di ACT UP/New York appena prima delle elezioni [presidenziali] di novembre. Quando marciammo nel centro di New York la vigilia delle elezioni, nel 1992, portando il cadavere di Mark fino al quartier generale della campagna elettorale di Bush, la maggior parte di noi sentiva che era solo questione di tempo - e non di molto tempo - prima che anche noi morissimo di AIDS. Ma eravamo determinati a premere perché il sistema della ricerca cambiasse, così che le generazioni di persone infettate dopo di noi potessero avere una prognosi migliore e la possibilità di una vita più lunga".
Da TAG at 20: Early Campaigns

Sono passati esattamente 20 anni da quei giorni e siamo alla fine di una nuova campagna elettorale negli Stati Uniti. La questione dell'HIV/AIDS non è mai stata trattata dai candidati, non rientra nel loro programma, non è fra le loro priorità.
Per chi avesse voglia di leggerlo, un articolo piuttosto amaro è uscito proprio ieri sul Global Post: An invisible issue: The presidential campaign and HIV/AIDS.



stealthy
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Re: Gli anni della disperazione: prima della HAART

Messaggio da stealthy » sabato 13 ottobre 2012, 19:09

Non posso che ringraziare...
Non me la sentirei di lamentarmi perché posso solo ritenermi fortunato che grazie al loro sacrificio, oggi, molti possono avere la possibilità di curarsi.
Dovrebbero leggerlo tutti i neo infetti, e non solo.
Grazie per averlo tradotto.



uffa2
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Re: Gli anni della disperazione: prima della HAART

Messaggio da uffa2 » domenica 14 ottobre 2012, 15:57

carletto ha scritto:Mi fido sulla parola senza leggere 8-)
non l'avessi dovuto tradurre, non l'avrei letto neppure io, sapevo che la sensazione di impotenza che trasmette, l'identificarsi nello spavento di chi ha vissuto quegli anni sarebbero stati la colonna sonora delle ore dedicate alla traduzione; evito da sempre i film su quegli anni (ogni tanto li programmavano in tv, magari in occasione del 2 dicembre o del mese del pride) capisco le motivazioni...


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carletto
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Re: Gli anni della disperazione: prima della HAART

Messaggio da carletto » domenica 14 ottobre 2012, 20:37

Grazie Uffa per aver tradotto la nostra vita, e grazie sopratutto di aver capito che non voler leggere non era polemico, non voler leggere significa non voler ricordare e soffrire, ho rispetto per chi impiega il suo tempo per le traduzioni sia che siano Gli anni della disperazione: prima della Haart fatto da te, o Le origini dell'Aids fatto da Melisanda.....non vedo la differenza di impegno a secondo di chi lo fa, o l'importanza maggiore del 3d in base a quale criterio?

Ti passo alcune sensazioni che affiorano nella mente, ragazzi il vissuto non si può cancellare rimane dentro ed è ben radicato.

Ettore penso che sia stato il primo morto di hiv nella nostra comunità intesa come paese, era alto 2 mt una potenza muscolare impressionante due mani che erano dei badili, cominciò le terapie nel 1987 era sano e nel giro di un anno lo ridussero una larva umana, l'ultima volta che lo vidi era il 1988 gli dissi che mi sposavo e che lo invitavo, il suo funerale fu il 30 /9/1989 gli regalai i fiori del mio matrimonio facendoli arrivare la mattina in modo che li sfruttasse anche lui, io invece mi sposai nel pomeriggio, era il mio socio in affari.

Lidia mori nel 1989 sua madre mi cercò chiedendomi di andare a trovarla, mi ricordo ancora come era ridotta uno scheletro, dormiva nella stanza di ospedale dentro una culla, ormai era cieca deformata in viso e nel corpo, avevo scopato con lei circa un anno prima, ricordo le sue parole ueee guarda che sono positiva, gli sorrisi dicendo siamo gia in due qua dentro, ed ancora era in perfetta forma stupenda, le sue parole quando capi chi ero furono...ti prego portami via di qua mi stanno uccidendo, non si fermano io non avevo niente guarda come mi hanno ridotto, e li trovare le parole per incutergli speranza, ricordo che si attaccò al collo e non voleva lasciarmi per nessun motivo, dovetti strapparla da me poichè gli infermieri mi marcavano a vista.

Nunzio grande il Nunzio era il prestinaio di paese, aveva la passione per la moto, ricordo ancora quella volta che per scappare a due sbirri per una busta di <edit automatico> con una accelerata mi lasciò seduto sull'asfalto..scena a dir poco comica anche per gli sbirri, la sua agonia durò circa un anno agli infettivi di Bergamo, tutta gente che accettava di essere curata in quegli anni dove si provava di tutto e le persone venivano usate come cavie. .

Stumaghet,Carluccio,Ivano,Pasquale, i tre fratelli Mariani,Cristian,Chico,Alfio, Mora, e tanti altri..tutti ragazzi della mia età con cui avevamo diviso l'adolescenza...scusa se è poco li c'è la mia vita.
Non mi serve leggere cosa succedeva prima della Haart, l'ho vissuto dall'altra parte della barricata che è molto più vero di qualsiasi scienza randomizzata....più randomizzati di così....



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Re: Gli anni della disperazione: prima della HAART

Messaggio da uffa2 » lunedì 15 ottobre 2012, 9:27

Avete visto l'inferno, lo so... :(


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Re: Gli anni della disperazione: prima della HAART

Messaggio da Tarek » lunedì 15 ottobre 2012, 15:43

non voler leggere significa non voler ricordare e soffrire... ragazzi il vissuto non si può cancellare rimane dentro ed è ben radicato.,

Carletto io ho fatto tutto un lavoro introspettivo; il divenire dell'uomo s'avvale del passato per vivere il presente e (ri)programmare il futuro. Io ho il ricordo della morte di mia figlia che é un macigno sul mio cuore; ho sempre evitato sia il ricordo che il parlarne; ora che ci sto pensando sto meglio



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