Come ogni anno, ma presentandoli molto meglio rispetto agli anni scorsi, per il I dicembre il Centro Operativo AIDS (COA) dell’Istituto Superiore di Sanità rende pubblici i dati sulle nuove diagnosi: AGGIORNAMENTO DELLE NUOVE DIAGNOSI DI INFEZIONE DA HIV e DEI CASI DI AIDS IN ITALIA al 31 dicembre 2011.
In sintesi:
- 1. Nel 2011, sono stati diagnosticati 5,8 nuovi casi di HIV positività ogni 100.000 residenti. La maggioranza delle nuove infezioni è attribuibile a rapporti sessuali non protetti, che costituiscono il 78,8% di tutte le segnalazioni (eterosessuali 45,6%; MSM 33,2%).
2. Le persone che hanno scoperto di essere HIV positive nel 2011 hanno un’età mediana di 38 anni per i maschi e di 34 anni per le femmine.
3. Nel 2011, quasi una persona su tre diagnosticata come HIV positiva è di nazionalità straniera. L’incidenza HIV è distribuita diversamente nel territorio italiano tra gli italiani rispetto agli stranieri. L’incidenza è di 3,9 nuovi casi tra italiani residenti e 21,0 nuovi casi tra stranieri residenti.
4. Nel 2011, il 35,9% delle persone con una nuova diagnosi di HIV è stato diagnosticato con un numero di linfociti CD4 inferiore a 200 cell/μL, il 56,0% con un numero inferiore a 350 cell/μL e il 73,6% con un numero inferiore a 500 cell/μL.
5. Le persone con linfociti CD4 inferiore a 200 cell/μL hanno in media più di 40 anni di età, hanno contratto l’infezione prevalentemente attraverso rapporti eterosessuali e sono più spesso stranieri.
6. Nel 2011, quasi un quarto delle persone con una nuova diagnosi di infezione da HIV ha eseguito il test HIV per la presenza di sintomi HIV-correlati; il 13,0% in seguito a un comportamento a rischio non specificato e il 10,3% in seguito a rapporti sessuali non protetti.
Qualche dettaglio in più:
Distribuzione temporale, geografica e caratteristiche demografiche delle nuove diagnosi di infezione da HIV
Nel periodo 1985-2011 sono state segnalate 52.629 nuove diagnosi di infezione da HIV, di queste il 72,0% erano in maschi e 23,0% in persone di nazionalità straniera. L’età mediana alla diagnosi di HIV, calcolata solo tra gli adulti (≥ 15 anni) era di 35 anni (range: 29-43 anni) per i maschi e di 32 anni (range: 26-39 anni) per le femmine.
Nel 2010 e nel 2011 sono state segnalate, rispettivamente, 3.839 e 3.461 nuove diagnosi di infezione da HIV.
Età alla diagnosi di HIV
Dal 1985, escludendo le persone di età inferiore ai 15 anni diagnosticate con HIV, si osserva un aumento costante dell’età mediana al momento della diagnosi di infezione, che e passata da 26 anni per i maschi e 24 anni per le femmine nel 1985 a, rispettivamente, 38 e 34 anni nel 2011 (Figura 1).
La figura 2 mostra la distribuzione dei casi delle nuove diagnosi di infezione da HIV per classi di età nel 2010 e nel 2011. Nel 2010 la classe di età più rappresentata e quella 35-44 anni, nel 2011 quella 25-34 anni.
Rapporto maschi/femmine (M/F)
La proporzione di donne era aumentata all'inizio degli anni 2000 ma negli ultimi anni sta ridiminuendo: il rapporto M/F e passato da 3,5 (653 M/187 F) nel 1985, a 2 nel 2001(945 M/481 F); successivamente, si è osservato un cambiamento di tendenza e il rapporto M/F e aumentato di nuovo fino a 3 nel 2011(2596 M/865 F).
Modalità di trasmissione
Dalla metà degli anni ‘80 a oggi la distribuzione delle modalità di trasmissione ha subito un notevole cambiamento: la proporzione di consumatori di sostanze per via iniettiva (Injecting Drug User - IDU) e diminuita dal 76,2% nel 1985 al 4,7% nel 2011, mentre sono aumentati i casi attribuibili a trasmissione sessuale. In particolare, i casi attribuibili a trasmissione eterosessuale sono aumentati dall'1,7% nel 1985 al 45,6% nel 2011 e i casi attribuibili a trasmissione tra MSM (Maschi che fanno Sesso con Maschi) nello stesso periodo sono aumentati dal 6,3% al 33,2% (Figura 3).
La modalità“altro” nel 2011 è stata riportata nello 0,9% delle segnalazioni (31 casi). Per questa modalità di trasmissione la scheda di sorveglianza prevede che venga specificata la modalità precisa. Tuttavia, solamente in 13 casi è stata precisata la modalità di trasmissione: “esposizione accidentale” in 4 casi, “rapporti sessuali tra femmine”(femmine che fanno sesso con femmine) in 2 casi; “incidenti professionali” in 2 casi, “intervento chirurgico”in 2 casi, “proveniente da zona endemica” in 2 casi e “rapporti sessuali a rischio” in 1 caso. Per i restanti 18 casi non e stata riportata alcuna specifica.
Nel 2011 la modalità “trasmissione verticale” ha contribuito per lo 0,5% del totale dei casi segnalati e quella “sangue e/o derivati” per lo 0,3%.
Per il 14,8% delle persone diagnosticate con una nuova diagnosi di infezione da HIV nel 2011 non è stato possibile stabilire la modalità di trasmissione.
È necessario ricordare che, come già avviene per l’AIDS, la modalità di trasmissione viene attribuita secondo un ordine gerarchico che risponde a criteri definiti a livello internazionale. Ogni caso è classificato in un solo gruppo. I soggetti che presentano più di una modalità di esposizione vengono classificati nel gruppo con rischio di trasmissione più elevato (in ordine decrescente di rischio: uso iniettivo di droghe, MSM, eterosessuali)
Incidenza delle nuove diagnosi di infezione da HIV
L’incidenza delle nuove diagnosi di infezione da HIV ha visto un picco nel 1987, per poi diminuire rapidamente fino al 1998 e stabilizzarsi successivamente. Dal 2007 l’incidenza mostra una lieve ma costante diminuzione (Figura 4). Questo andamento è stato simile sia tra i maschi che tra le femmine.
Nel 2010 l’incidenza era pari a 6,5 nuovi casi per 100.000 residenti. Nel 2011 l’incidenza era pari a 5,8 nuovi casi per 100.000 residenti. Nel 2011 l’incidenza più bassa è stata osservata in Calabria e quella più alta nella provincia di Sassari. Nella maggior parte delle regioni l’incidenza dell’infezione da HIV sembra avere un andamento stabile, in alcune (Bolzano, Sassari, Valle d’Aosta, Umbria, Sicilia) sembra essere in aumento, in altre si osserva un andamento in diminuzione (Lazio, Piemonte, Emilia-Romagna, Marche, Trento).
È opportuno considerare che, soprattutto nelle regioni che hanno iniziato da pochi anni a raccogliere i dati sulle nuove diagnosi di infezione da HIV, il numero delle segnalazioni potrebbe subire delle variazioni dovute al recupero di diagnosi di anni precedenti.
Numero di linfociti CD4 alla prima diagnosi di infezione da HIV
Come richiesto dall’European Centre for Diseases Prevention and Control (ECDC), dal 2010 sono disponibili i dati sul numero dei linfociti CD4 riportati alla prima diagnosi di infezione da HIV. Nel 2011 solamente il Lazio non ha raccolto e inviato i dati relativi al numero di linfociti CD4 alla prima diagnosi di HIV.
Tuttavia, la completezza di questa variabile è diversa tra regioni e nel 2011 varia dal 73,6% del Veneto al 100% della Valle d’Aosta, Trento, Umbria, Marche, Molise, Basilicata, Calabria e Sassari. In totale, nel 2011, per il 75,1% dei casi segnalati e stato riportato il numero dei CD4 alla diagnosi.
Nel 2010 la percentuale delle persone con una nuova diagnosi di HIV diagnosticate con un numero di linfociti CD4 inferiore a 200 cell/μL era del 35,3%, inferiore a 350 cell/μL del 53,1% e inferiore a 500 del 71,8%; mentre nel 2011 la percentuale delle persone con una nuova diagnosi di HIV diagnosticate con un numero di linfociti CD4 inferiore a 200 cell/μL era del 35,9%, inferiore a 350 cell/μL del 56,0% e inferiore a 500 del 73,6%.
Nel 2011 le persone con una nuova diagnosi di infezione da HIV con meno di 200 CD4 cell/μL alla diagnosi avevano un’età mediana di 40 anni. La proporzione delle persone con meno di 200 linfociti CD4 alla diagnosi era 45% tra gli eterosessuali maschi, 41,7% tra gli IDU, 39,5% tra gli stranieri, 34,6% tra le eterosessuali femmine, e 25,8% tra gli MSM (Figura 6).
Late Presenter
Una recente Consensus Conference europea ha definito come Late Presenter (LP) le persone che al momento della prima diagnosi di sieropositività hanno un numero di CD4<350 cells/μL o hanno una patologia indicativa di AIDS indipendentemente dal numero di CD4 e come Presenter with Advanced HIV Disease (AHD) le persone che si presentano alla prima diagnosi di sieropositività con un numero di CD4< 200 cells/μL o con una patologia indicativa di AIDS.
Nel 2010, i LP erano il 54,0% e gli AHD 37,8%. Nel 2011 erano, rispettivamente, 56,4% e 37,8%.
Nel 2011, l’età mediana dei LP era 40 anni, quella delle persone con AHD era di 42 anni; sia per i LP che per gli AHD i 3/4 erano maschi e 1/2 erano stranieri. Tra gli eterosessuali, il 61,1% era LP, tra gli IDU il 58,6% e tra gli MSM il 44,3%.
La popolazione straniera
La proporzione di stranieri tra le nuove diagnosi di infezione da HIV e aumentata dall’11% nel 1992 a un massimo di 32,9% nel 2006; nel 2011 era del 31,5% (Figura 7).
Nel 2010-2011, la distribuzione per area geografica di provenienza mostra che il 48,6% di stranieri con una nuova diagnosi di HIV proveniva dall’Africa (di questi, il 65,6% dall’Africa occidentale), il 21,7% dall’America meridionale, il 16,2% dai paesi dell’Europea Centrale e Orientale, il 4,6% dall’Asia. I maschi costituivano il 55,3% e la classe di età più rappresentata era la classe 30-34 anni, sia per i maschi che per le femmine (21,5% e 24,2%, rispettivamente).
I rapporti eterosessuali rappresentavano la modalità di trasmissione più frequente tra gli stranieri ed era pari al 64,9% e al 63,3%, rispettivamente per il 2010 e il 2011. I rapporti tra MSM rappresentavano il 15,5% nel 2010 e il 15,9% nel 2011, la quota degli IDU era 3,6% nel 2010 e 3,0% nel 2011.
Nuove diagnosi di infezione da HIV in persone di età ≤ 15 anni
Nel biennio 2010-2011 sono state segnalate 39 nuove diagnosi di infezione da HIV in persone minori di 15 anni di età: 14 (0,4%) nel 2010 e 25 (0,7%) nel 2011. In particolare, le diagnosi in bambini minori di 2 anni di età sono, rispettivamente, 4 nel 2010 (0,7%) e 11 (0,3%) nel 2011.
Fra i bambini minori di 2 anni con diagnosi di HIV, i maschi rappresentano il 41,1% e gli stranieri il 20,0%.
L’infezione da HIV in età pediatrica deriva quasi esclusivamente dalla trasmissione madre-figlio (trasmissione verticale); altre vie di contagio, ad esempio tramite trasfusioni di sangue e/o derivati, sono oggi rarissime.
È necessario sottolineare che, per quanto riguarda le diagnosi in bambini minori di 2 anni, potrebbero essere state segnalate positività non correttamente accertate. Tali dati potrebbero, pertanto, subire delle modifiche in seguito alle verifiche più accurate che verranno effettuate dalle singole regioni.
Distribuzione temporale dei casi di AIDS
Dal 1982, anno della prima diagnosi di AIDS in Italia, al 31 dicembre 2011, sono stati notificati al COA 63.891 casi di AIDS. Di questi, 49.347 (77,2%) erano di genere maschile, 780 (1,2%) in età pediatrica (<13 anni) o con infezione trasmessa da madre a figlio, e 5.723 (8,9%) erano stranieri. L’età mediana alla diagnosi
di AIDS, calcolata solo tra gli adulti (≥ 13 anni), era di 35 anni (range: 13-87 anni) per i maschi e di 33 anni (range: 13-84 anni) per le femmine.
Nel 2011 sono stati notificati al COA 774 (61,4%) casi di AIDS diagnosticati nel 2011, e 486 casi diagnosticati negli anni precedenti. Infatti, l’anno di notifica non coincide necessariamente con l’anno di diagnosi, ma può essere successivo (ad esempio, un caso può essere stato diagnosticato nell’anno 1985 ma essere stato
notificato nel 1990).
La Figura 9 mostra l’andamento del numero dei casi di AIDS segnalati al Registro Nazionale AIDS, corretti per ritardo di notifica. Nella stessa figura e riportato l’andamento dei tassi d’incidenza per anno di diagnosi: si evidenzia un incremento dell’incidenza dei casi di AIDS notificati nel nostro Paese dall’inizio dell’epidemia sino al 1995, seguito da una rapida diminuzione dal 1996 fino al 2001 e da una successiva costante lieve diminuzione dell’incidenza fino a oggi.
L’età mediana alla diagnosi dei casi adulti di AIDS mostra un aumento nel tempo, sia tra i maschi che tra le femmine. Infatti, se nel 1991 la mediana era di 31 anni per i maschi e di 29 per le femmine, nel 2011 le mediane sono salite rispettivamente a 44 e 42 anni (Figura 11). Nell’ultimo decennio, la proporzione di casi di AIDS
di sesso femminile tra i casi adulti e rimasta sostanzialmente stabile intorno al 23-25% (dati non mostrati).
Trattamenti precedenti alla diagnosi di AIDS
Dal primo gennaio 1999 la scheda di notifica AIDS raccoglie anche alcune informazioni virologiche e sul trattamento (ultimo test HIV negativo, viremia plasmatica alla diagnosi di AIDS, terapia antiretrovirale effettuata prima della diagnosi di AIDS e profilassi delle infezioni opportunistiche effettuata prima della diagnosi di AIDS).
La Figura 12 mostra che il 36,2% dei casi diagnosticati nel 2001 ha ricevuto un trattamento antiretrovirale prima della diagnosi di AIDS, mentre nel 2011 tale proporzione e solo del 26,4%.
Inoltre, nel 2010-2011 solo il 20,1% dei pazienti con modalità di trasmissione sessuale (cioè eterosessuali o MSM) ha effettuato una terapia antiretrovirale, rispetto a oltre il 53% dei soggetti che facevano uso iniettivo di droghe (Figura 13).
Il quadro delle patologie di esordio clinico e differente tra trattati e non trattati. In particolare, si evidenzia tra i trattati una proporzione minore di polmonite da Pneumocystis carinii, infezioni da Cytomegalovirus e toxoplasmosi cerebrale, e di una percentuale più elevata di candidosi, Wasting Syndrome, encefalopatia da HIV, linfomi, carcinoma cervicale invasivo e polmoniti ricorrenti.
Diagnosi tardive di AIDS
Il fattore principale che determina la probabilità di avere effettuato una terapia antiretrovirale prima della diagnosi di AIDS e la consapevolezza della propria sieropositività. In Tabella 16 [
pag. 25 del PDF] sono riportate le caratteristiche dei pazienti suddivisi secondo il tempo intercorso tra il primo test HIV positivo e la diagnosi di AIDS (informazione che viene raccolta dal 1996). Si osserva che la proporzione di pazienti con una diagnosi di sieropositività vicina (meno di 6 mesi) alla diagnosi di AIDS e aumentata dal 1996 al 2011, ed e più elevata tra coloro che hanno come modalità di trasmissione i rapporti sessuali e tra gli stranieri. Questi dati indicano che molti soggetti arrivano allo stadio di AIDS conclamato ignorando la propria sieropositività.