Sto guardando le linee guida sulla gravidanza che ho linkato nel primo post e mi sembra di capire che il test non sia obbligatorio. Deve essere proposto durante la prima visita e viene messo insieme allo screening per emoglobinopatie, status Rh(D), anemia, anticorpi antieritrociti, rosolia, sifilide, toxoplasmosi (p. 46). Invece lo screening per Chlamydia trachomatis, HCV, gonorrea deve essere offerto in presenza di fattori di rischio. Ne deduco che l'offerta del test HIV prescinda dalla presenza di fattori di rischio noti.rospino ha scritto:hmm... e se la madre si fosse opposta a eseguire il test?skydrake ha scritto:Può anche, forse, essere per quanto riguarda i genitori, ma sul fatto che i medici e i pediatri abbiano impiegato moltissimo tempo per accorgersene, temo che si sia innescato il solito meccanismo psicologico buonista già visto con una paio di altri vecchi utenti: arriva una coppia di sposini, idilliaca, fanno un figlio e cosi diventano il quadro della famiglia perfetta. Poi il bambino comincia a star male. I medici attorno giammai vanno a pensare all'HIV, quella malattia da pervertiti e da drogati. Sicché si inizia ad indagare sui disturbi genetici e non più rari, riservando il test dell'HIV all'ultimo degli esami, quando non sanno più dove sbattere la testa.
Entro la 12° settimana, di nuovo si parla di programmare il test HIV. Ancora fra 28° settimana e termine della gravidanza il test deve essere offerto.
Insomma, non è obbligatorio, tuttavia ci sono diverse occasioni in cui il ginecologo lo deve offrire e può quindi provare a far ragionare una donna che si oppone.
Io credo che se una donna continua a rifiutarlo, la prima cosa che si dovrebbe fare appena nato il bambino sia testarlo. In alternativa, allertare i servizi sociali e seguire con estrema attenzione i primi mesi di vita del bambino.
Che si sia arrivati a trovarselo in AIDS a 8 mesi di vita è indice di una tale mancanza di supervisione e controllo da parte dei sanitari che può essere comprensibile solo se la donna ha vissuto gravidanza e parto all'estero e solo in seguito ha portato il bambino in Italia, dove i medici sono entrati in contatto con il bambino solo quando se lo sono visto arrivare in ospedale con l'encefalopatia.