Ruth Coker-Burks, la donna che seppelliva i morti di AIDS

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Ruth Coker-Burks, la donna che seppelliva i morti di AIDS

Messaggio da uffa2 » martedì 21 gennaio 2020, 16:45

Immagine Alcuni tra voi conosceranno Jonathan Bazzi, un giovane scrittore che qualche anno fa decise di rendere “molto pubblica” la sua diagnosi di HIV. È anche l’autore di “Febbre”, un libro che parla anche della sua infezione e che sta avendo un buon riscontro nelle librerie, ed è stato anche intervistato da Dora in occasione del 1 dicembre 2017.
Sulla sua pagina Facebook è apparso un post dedicato alla figura di Ruth Coker-Burks, una donna che, nei giorni del buio più assoluto, si è donata per accompagnare nei loro ultimi giorni i malati abbandonati da tutti, offrendo loro persino la sepoltura nel piccolo cimitero di famiglia.
È una storia molto bella di generosità, di cui c’è tanto bisogno in questa epoca di cattiveria diffusa da ogni dove, buona lettura.





Ruth, santa Ruth, l’angelo del cimitero: tra il 1984 e la metà degli anni '90, prima dell’avvento dei farmaci antiretrovirali, negli Stati Uniti ci fu una donna che, da sola, si prese cura di centinaia di persone sieropositive morenti, molte delle quali giovani omosessuali abbandonati dalle famiglie.
Il suo nome è Ruth Coker Burks.

Santa Ruth in quegli anni ha seppellito più di 40 persone, dopo che i genitori si erano rifiutati di rivendicarne le salme: in molti casi lei è ora l'unica al mondo a conoscere la posizione delle tombe.

Tutto è iniziato nel 1984, in una corsia ospedaliera.
Ruth Coker Burks ha 25 anni ed è una giovane madre: si trova all’ospedale universitario di Little Rock, in Arkansas, per prendersi cura di un amico malato di tumore. Lì, in un momento di pausa, Ruth nota una porta con affissa “una grande borsa rossa": è la stanza di un paziente sieropositivo.
Davanti a quella porta un piccolo gruppo di infermiere sta tirando a sorte per decidere chi debba entrare.
Nessuno vuole farlo.
Ruth, sebbene l’epidemia sia agli albori, sa di che si tratta: ha un cugino gay alle Hawaii con cui ne ha parlato di recente. La pandemia viene indicata con la sigla GRID – deficienza immunitaria correlata all'omosessualità – e girano pressoché solo suggestioni e ipotesi strampalate.
Incuriosita o, come crede lei oggi, mossa da un qualche volere elevato, Ruth entra di nascosto nella stanza in cui nessuno vuole entrare. Nel letto di fronte a lei giace un giovane scheletrico, pesa – lo scoprirà di lì a breve – poco più di quaranta chili. Il giovane parla a stento, le dice che prima di morire vorrebbe poter rivedere la madre. Ruth esce dalla stanza, lo riferisce alle infermiere, che scoppiano a ridere.
"Tesoro, sua madre non verrà. È qui da sei settimane. Non verrà proprio nessuno”.

Ruth è scioccata, non riesce a capacitarsene: ottiene il numero e chiama la madre del ragazzo.
Riesce a dire però solo poche parole, la donna non la lascia finire, riattacca.
"L'ho richiamata e le ho detto: ‘Se metti giù di nuovo, metterò il necrologio di tuo figlio nel giornale del posto in cui vivi e farò sapere a tutti la causa della morte’”. La donna ascolta le parole di Ruth, ma non la smuovono: il figlio è un peccatore, dice, e per questo non verrà. Per lei è già morto da un pezzo.
Ruth mette giù, torna nella stanza e resta al capezzale del giovane agonizzante per tredici ore, “mentre faceva i suoi ultimi respiri sulla Terra”.

Con la morte del ragazzo, Ruth sente il dovere di dover occuparsi di quel corpo. Le viene in mente che può contare su una bizzarra eredità, finora rimasta inutilizzata: a causa di alcune vicissitudini familiari, la donna possiede infatti del terreno presso il cimitero Files Cemetery, in cima a una collina di Hot Springs. Una proprietà inutile, almeno fino a quel giorno: "Chi sapeva che sarebbe arrivato un momento in cui le persone non avrebbero voluto seppellire i propri figli?”.

Il giovane è morto ma Ruth gli ha fatto fa una promessa: “Nessuno lo voleva e in quelle lunghe tredici ore gli ho detto che lo avrei portato nel mio bel cimitero, dove erano sepolti mio padre e i miei nonni, che avrebbero guardato su di lui". Per farlo però deve lottare con le pompe funebri: è difficilissimo trovare addetti alla cremazione disposti a venire a contatto il corpo.
Ruth insiste, cerca, chiama, paga coi suoi risparmi.
Ce la fa: le ceneri le vengono restituite in una scatola di cartone, ma un'amica che lavora in una azienda di vasi le dà un barattolo di biscotti difettoso da usare come urna.
Arriva nel suo terreno al Files Cemetery e seppellisce, con l’aiuto della giovanissima figlia, i resti del ragazzo.

Da lì in poi la gente inizia a cercare Ruth spasmodicamente.
L’epidemia si fa sempre più grave e si sparge la voce che c’è una specie di pazza di Hot Springs che non ha paura di niente e si prende cura dei malati di HIV abbandonati dalle famiglie.
Gli stessi ospedali di periferia iniziano a dare ai pazienti sieropositivi il suo numero: "Andate da lei, non venite da noi. Ecco il nome e il numero, andate, andate".
Ruth diventa per molti di loro il conforto insperato, una confidente pronta a restare fino alla fine.
Passano le settimane e i mesi e la donna inizia a ricevere delle donazioni a supporto delle sue attività. Il lavoro è sempre di più: accompagnare i pazienti alle visite, aiutarli a richiedere il supporto economico quando non possono più lavorare, seguirli nell'assunzione di quel po' di terapia disponibile, rincuorarli quando la depressione sradica tutto. Per gestire i bisogni dei malati Ruth mette in piedi una specie di farmacia sotterranea a casa sua: "Non avevo narcotici, ma avevo l'AZT, avevo antibiotici… Le persone morivano e mi lasciavano tutte le loro medicine. Io le conservavo perché avrebbero potuto servire ad altri”.
L’aiuto economico arriva anche dai club gay, in particolare dal Discovery di Little Rock: il sabato sera viene inaugurato uno show di raccolta fondi: “Se non fosse stato per le drag queen, non so cosa avremmo fatto", dice oggi Ruth.

Santa Ruth in quegli anni giunge a partecipare anche a tre funerali al giorno e spesso ad andarsene sono persone con cui ha stretto amicizia mentre combattevano la malattia.
C'è l'uomo la cui famiglia insiste per battezzarlo in un ruscello a ottobre, tre giorni prima di morire, per lavare via il peccato di essere gay; ci sono le madri che si accaniscono nell’imboccare a forza i figli morenti; ci sono ragazzi alti due metri che arrivano a pesare 35 chili e ci sono i parenti, troppi parenti, che, dopo i decessi, i si aggirano per le case, ricoperti di plastica protettiva, disinfettando tutto – pareti, soffitti e ventilatori compresi – con la candeggina.

L'angelo del cimitero si prende cura di ogni cosa per tempo: “Ci sedevamo e riempivamo insieme i loro certificati di morte. Potete immaginarvi di compilare il vostro certificato di decesso prima di morire? Ma a me serviva, avevo bisogno di avere tutte le informazioni necessarie: magari non avrei avuto il nome da nubile della madre, o un altro dato indispensabile. Prendevo la pizza e mentre mangiavamo la pizza compilavamo il loro certificato di morte”.

Ruth oggi racconta di essersi sentita spesso una privilegiata: lo dice pensando soprattutto ai tanti partner e amici che si sono presi cura dei propri cari con altruismo, dignità e grazia. Per questo, dice, è stata entusiasta della legalizzazione del matrimonio egualitario: "Ho visto questi uomini accudire i loro compagni e vederli morire. Li ho visti entrare a tenerli sotto la doccia, sorreggerli mentre io li lavavo, e li ho visti poi riportarli sul letto, asciugarli e coprirli. Lo hanno fatto fino alla fine, sapendo che probabilmente di lì a poco sarebbe toccato a loro. Ora: mi dite che tutto ciò non è amore, devozione? Non conosco poi molte persone etero che lo farebbero”.

Il lavoro che Ruth Coker Burks e altri hanno fatto in quegli anni è stato perlopiù dimenticato.
Lei non è l'unica ad aver compiuto imprese del genere, ma è una delle poche ancora in vita, e per questo è diventata un po’ la custode della memoria.
Prima di morire – non è molto anziana ma il suo corpo è provato dopo l’ictus che l’ha colpita qualche anno fa – dice che le piacerebbe vedere un memoriale al Files Cemetery.
Qualcosa per raccontare alla gente tutta la storia.
Una targa, una pietra, un elenco dei nomi dei morti che giacciono lì.
“Un giorno mi piacerebbe avere un monumento che dica: questo è ciò che è accaduto. Cominciò nel 1984. Iniziarono a venire, e venire. E tutti loro sapevano che sarebbero stati ricordati, amati e curati – e che qualcuno avrebbe pronunciato una parola gentile su di loro quando se ne sarebbero andati".


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Re: Ruth Coker-Burks, la donna che seppelliva i morti di AIDS

Messaggio da Moz72 » giovedì 23 gennaio 2020, 14:54

stupendo racconto, grazie di averlo riproposto uffa, lei è stata un angelo in terra
bazzi è un ragazzo molto coraggioso, da ammirare



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